Il papa:la fede è attesa docile

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Stamane papa Francesco ha celebrato nella cattedrale di san Pietro la messa in suffragio dei 17 cardinali e 191 vescovi defunti nell’anno, chiedendo di ascoltare l’invito ad aspettare in silenzio la salvezza di Dio: “Questo atteggiamento non è un punto di partenza, ma un punto di arrivo. L’autore infatti vi approda al termine di un percorso, un percorso accidentato, che lo ha fatto maturare. Egli arriva a comprendere la bellezza di fidarsi del Signore, il quale non viene mai meno alle sue promesse”.

Il papa ha sottolineato che la conoscenza di Dio è un’esperienza: “Ma la fiducia in Dio non nasce da un entusiasmo momentaneo, non è un’emozione e nemmeno solo un sentimento. Al contrario, viene dall’esperienza e matura nella pazienza, come accade a Giobbe, che passa da una conoscenza di Dio ‘per sentito dire’ a una conoscenza viva, esperienziale.

E perché ciò avvenga, è necessaria una lunga trasformazione interiore che, attraverso il crogiuolo della sofferenza, porta a saper attendere in silenzio, cioè con pazienza fiduciosa, con animo mite. Questa pazienza non è rassegnazione, perché ad alimentarla è l’attesa del Signore, la cui venuta è certa e non delude”.

L’attesa è un’arte: “Aspettarlo docilmente, fiduciosamente, scacciando fantasmi, fanatismi e clamori; custodendo, soprattutto nei periodi di prova, un silenzio carico di speranza.

E’ così che ci si prepara all’ultima e più grande prova della vita, la morte. Ma prima ci sono le prove del momento, c’è la croce che abbiamo adesso, e per la quale chiediamo al Signore la grazia di saper aspettare lì, proprio lì, la sua salvezza che viene”.

La pazienza apre alla speranza: “Nella prova nemmeno i bei ricordi del passato riescono a consolare, perché l’afflizione porta la mente a soffermarsi sui momenti difficili. E quando l’amarezza raggiunge il culmine, all’improvviso rifiorisce la speranza…

Riprendere speranza nel momento dell’amarezza. Nel vivo del dolore, chi sta stretto al Signore vede che Egli dischiude la sofferenza, la apre, la trasforma in una porta attraverso la quale entra la speranza. E’ un’esperienza pasquale, un passaggio doloroso che apre alla vita, una sorta di travaglio spirituale che nel buio ci fa venire di nuovo alla luce”.

La prova del dolore permette la scoperta di novità: “La prova rinnova, perché fa cadere molte scorie e insegna a guardare oltre, al di là del buio, a toccare con mano che il Signore salva davvero e che ha il potere di trasformare tutto, perfino la morte.

Egli ci lascia attraversare delle strettoie non per abbandonarci, ma per accompagnarci. Sì, perché Dio accompagna, soprattutto nel dolore, come un padre che fa crescere bene il figlio standogli vicino nelle difficoltà senza sostituirsi a lui. E prima che sul nostro viso spunti il pianto, la commozione ha già arrossato gli occhi di Dio Padre”.

Per questo occorrono occhi ‘diversi’: “Chiediamo la forza di saperle abitare nel silenzio mite e fiducioso che attende la salvezza del Signore, senza lamentarci, senza brontolare, senza lasciarci rattristare. Ciò che sembra un castigo, si rivelerà una grazia, una nuova dimostrazione dell’amore di Dio per noi.

Saper attendere in silenzio la salvezza del Signore è un’arte, sulla strada della santità. Coltiviamola. E’ preziosa nel tempo che stiamo vivendo: ora più che mai non serve gridare, suscitare clamori, amareggiarsi; serve che ognuno testimoni con la vita la fede, che è attesa docile e speranzosa”.

In ciò consiste la fede: “La fede è questo: attesa docile e speranzosa. Il cristiano non sminuisce la gravità della sofferenza, no, ma alza lo sguardo al Signore e sotto i colpi della prova confida in Lui e prega: prega per chi soffre. Tiene gli occhi al Cielo, ma ha le mani sempre protese in terra, per servire concretamente il prossimo. Anche nel momento della tristezza, del buio, il servizio”.

(Foto: Santa Sede)

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