Da Cop26 un’intesa per la salvaguardia delle foreste

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A Glasgow a conclusione della Conferenza Onu sul clima (Cop26) si è raggiunta una piccola intesa per la salvaguardia delle foreste e riduzione delle emissioni di metano: sono 105 i Paesi che si sono impegnati a porre fine entro il 2030 all’abbattimento delle grandi distese di alberi che, a ogni latitudine, fanno respirare il pianeta.

Dell’intesa fa parte anche l’impegno a ripristinare i fragili ecosistemi provati da decenni di disboscamento e a sostenere, anche dal punto di vista finanziario, le comunità indigene che ne fanno parte, spesso ‘costrette’ a rendersi complici degli abbattimenti per fare largo a coltivazioni intensive di prodotti, come caffè, cacao e olio di palma nelle aree tropicali, destinate ai mercati delle grandi città.

L’altro impegno riguarda la riduzione delle emissioni di metano, con Stati Uniti e Unione Europea, che hanno lanciato il ‘Global Methane Pledge’, puntando ad abbattere le emissioni di gas del 30% in 20 anni e a migliorare attraverso l’adozione di applicazioni tecnologiche la quantificazione delle emissioni.

Secondo gli scienziati questa misura potrebbe contribuire a evitare un innalzamento delle temperature di 0,3 gradi entro il 2040, cosa che concorre a mantenere la soglia del riscaldamento globale al di sotto dei 1,5 gradi. Impegno appoggiato da circa 100 Paesi che rappresentano il 70% dell’economia globale, ma non Russia, Cina e India.

Nel giorno dell’inaugurazione papa Francesco aveva inviato un messaggio, in cui sottolineava di costruire insieme: “Accanto ai vari drammi che ha portato il Covid-19, la pandemia ci insegna anche che non abbiamo alternative: riusciremo a sconfiggerla solo se tutti quanti prenderemo parte a questa sfida. Tutto ciò, lo sappiamo bene, richiede una profonda e solidale collaborazione tra tutti i popoli del mondo.

Vi è stato un prima della pandemia; esso sarà inevitabilmente differente dal dopo-pandemia che dobbiamo costruire, insieme, prendendo spunto dagli errori fatti nel passato. Analogo discorso è possibile farlo nel contrastare il problema globale del cambiamento climatico. Non abbiamo alternative. Possiamo conseguire gli obiettivi scritti nell’Accordo di Parigi solo se si agirà in maniera coordinata e responsabile. Sono obiettivi ambiziosi, ma indifferibili”.

E’ una sfida di civiltà a cui partecipa anche la Santa Sede: “Da parte sua la Santa Sede, come ho indicato all’High Level Virtual Climate Ambition Summit del 12 dicembre 2020, ha adottato una strategia di riduzione a zero delle emissioni nette (net-zero emission) che si muove su due piani:

1) l’impegno dello Stato della Città del Vaticano a conseguire questo obiettivo entro il 2050; 2) l’impegno della Santa Sede stessa a promuovere un’educazione all’ecologia integrale, ben consapevole che le misure politiche, tecniche ed operative devono unirsi a un processo educativo che, anche e soprattutto tra i giovani, promuova nuovi stili di vita e favorisca un modello culturale di sviluppo e di sostenibilità incentrato sulla fraternità e sull’alleanza tra l’essere umano e l’ambiente naturale. Da questi impegni sono nate migliaia di iniziative in tutto il mondo”.

E’ un invito ad avere coraggio di fronte a tali sfide: “L’umanità ha i mezzi per affrontare questa trasformazione che richiede una vera e propria conversione, individuale ma anche comunitaria, e la decisa volontà di intraprendere questo cammino.

Si tratta della transizione verso un modello di sviluppo più integrale e integrante, fondato sulla solidarietà e sulla responsabilità; una transizione durante la quale andranno considerati attentamente anche gli effetti che essa avrà sul mondo del lavoro”.

Il messaggio papale è un invito a promuovere lo sviluppo sostenibile: “Purtroppo dobbiamo constatare amaramente come siamo lontani dal raggiungere gli obiettivi desiderati per contrastare il cambiamento climatico. Va detto con onestà: non ce lo possiamo permettere! In vari momenti, in vista della COP26, è emerso con chiarezza che non c’è più tempo per aspettare; sono troppi, ormai, i volti umani sofferenti di questa crisi climatica:

oltre ai suoi sempre più frequenti e intensi impatti sulla vita quotidiana di numerose persone, soprattutto delle popolazioni più vulnerabili, ci si rende conto che essa è diventata anche una crisi dei diritti dei bambini e che, nel breve futuro, i migranti ambientali saranno più numerosi dei profughi dei conflitti. Bisogna agire con urgenza, coraggio e responsabilità. Agire anche per preparare un futuro nel quale l’umanità sia in grado di prendersi cura di sé stessa e della natura”.

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