Caritas Italiana presenta un’agenda per ricalibrare il Reddito di Cittadinanza

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Si è svolta nei giorni scorsi a Roma la presentazione del 6° Rapporto sulle Politiche contro la povertà, con un monitoraggio sul Reddito di Cittadinanza, a cura della Caritas italiana, dal titolo ‘Lotta alla povertà: imparare dall’esperienza, migliorare le risposte’, a cui hanno partecipato il Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, on. Andrea Orlando, il Presidente dell’INPS, Pasquale Tridico, Gianmario Gazzi, Presidente Cnoas, ed Edi Cicchi, Presidente Commissione Welfare dell’Anci e Assessore Comune di Perugia.

 Il volume si compone di sei parti: 1) il profilo dei beneficiari del RdC e le caratteristiche del trasferimento monetario; 2) i percorsi di inclusione; 3) il RdC e i beneficiari dei servizi Caritas; 4) il RdC nel contesto internazionale; 5) le misure emergenziali; 6) riflessioni conclusive.

Nello specifico dal monitoraggio emerge che il 55,2% di persone sostenute dalla Caritas ha beneficiato della misura fra il 2019 e il 2020; inoltre il 56% di chi lo riceve presenta contemporaneamente tre o più forme di vulnerabilità.

Se da un lato i gruppi più marginalizzati risultano essere in parte tutelati dal RdC, non altrettanto si può dire per i nuovi profili della povertà, che pure hanno risentito in misura maggiore della pandemia, ossia quei nuclei caratterizzati da un’età giovane, la presenza di figli minori, la presenza di un reddito, seppur minimo.

Nei saluti iniziali il direttore della Caritas italiana, don Francesco Soddu, ha invitato a guardare la realtà con gli occhi dei poveri: “D’altra parte oggi non siamo qui neanche per elaborare teorie sul Reddito di cittadinanza o per fare esercizi di stile, ma siamo qui piuttosto per ribadire con forza che il nostro paese ha bisogno di una misura di contrasto alla povertà, oggi più che mai, soprattutto dopo il disastro economico della pandemia.

Ci sono migliaia di persone nel nostro paese che non possono fare a meno di un sostegno economico, che non possono lavorare o che, pur lavorando, restano inchiodati a situazioni di profondo disagio economico”.

Per questo il RdC va mantenuto, in quanto se l’Italia ha retto finora, parte del merito va ad esso: “Per tutto questo una misura come quella del Reddito di cittadinanza va assolutamente tenuta e però va anche riordinata, come diciamo chiaramente nel rapporto. Proponiamo, a tal fine, interventi mirati nella logica della ragionevolezza”.

Va mantenuto, ma riordinato perché nel 2020 i percettori sono quasi raddoppiati e il 57% dei nuclei che lo ricevono, soprattutto famiglie composte da una o due persone, ha superato la soglia di povertà, includendo anche chi finora è rimasto escluso, ovvero i nuclei giovani soprattutto del nord con figli minori e un reddito seppur minimo.

Tra gli esclusi spiccano le famiglie straniere (quattro su 10) perché il requisito di 10 anni di residenza è troppo stringente. Ci sono invece inclusi che risultano meno poveri, i cosiddetti ‘falsi positivi’.

Quota che per la Banca d’Italia è stimabile nel 51% delle famiglie che lo ricevono. I beneficiari sono comunque ‘persone molto deboli dal punto di vista lavorativo e in grandi difficoltà economiche, psicologiche e sociali’, ha rimarcato la Caritas, sottolineando la bassa scolarità come causa di esclusione.

Il 72% dei percettori del Reddito ha al massimo la licenza media mentre solo il 3% ha ottenuto la laurea: “Spesso non hanno acquisito neppure il titolo di studio obbligatorio per legge o sono giovani che non studiano né lavorano o in evidente ritardo con gli studi. Sono tutti dotati di smartphone, ma non sanno usarlo per effettuare ricerche su internet, non sanno redigere un curriculum e, in alcuni casi, non parlano l’italiano”.

D’accordo con l’utilità dello strumento il ministro Orlando: “Se decidessimo di togliere il reddito di cittadinanza torneremmo tra i paesi che non dispongono di misure di contrasto alla povertà. Il rapporto ci dice che il target non è stato pienamente centrato, ne siamo consapevoli”.

Il prof. Cristiano Gori, docente all’Università di Trento e responsabile scientifico del Rapporto,  ha rimarcato che occorre riordinare e rafforzare questo strumento di contrasto alla povertà, perché “può essere ancora utile ai poveri”.

Il rapporto ha evidenziato che “lo stanziamento dedicato (nel 2020 oltre € 8.000.000.000, alla misura del RdC è notevole sia se paragonato a quello degli altri Stati europei che rispetto alla precedente prestazione, il Reddito d’Inclusione (Rei, intorno ad € 2.000.000.000).

Il tasso di take-up, cioè la percentuale di utenti effettivi rispetto alla popolazione che ne avrebbe diritto, si colloca intorno al 80%. Questo valore è elevato anche a livello internazionale.

Dunque, si tratta di un intervento ben finanziato ed erogato a un’alta quota degli aventi diritto. Una misura che ha protetto una rilevante fascia della popolazione dalle conseguenze economiche della pandemia (nel corso del 2020 l’aumento di nuclei percettori della misura è stato pari al 43%) e che permette, per la sua generosità, al 57% dei nuclei che lo ricevono, soprattutto famiglie composte da una o due persone, di superare la soglia di povertà”.

Il rapporto, inoltre, ha messo in risalto che “i dati su cui si è lavorato indicano che il 44% dei nuclei poveri fruisce della misura e il 56% – ovviamente – no. In altre parole, poco più della metà dei poveri non ha il RdC: seppure si registri sempre una percentuale significativa di loro che non riceve il reddito minimo, una simile quota è indubbiamente elevata.

Inoltre, i dati disponibili ci dicono che oltre un terzo dei beneficiari del RdC non è povero (i cosiddetti falsi positivi), quota questa che per la Banca d’Italia è stimabile nel 51% delle famiglie che ricevono il RdC…

I dati ci dicono anche che le famiglie povere escluse tendono più di frequente: a risiedere nel Nord, ad avere minori, ad avere un richiedente straniero ad avere un patrimonio mobiliare (risparmi) superiore alla soglia consentita.

Attualmente sono escluse dalla possibilità di richiedere il RdC 4 famiglie straniere su 10. Il requisito economico di accesso che più di tutti restringe l’accesso alla misura alle famiglie in povertà assoluta è quello del patrimonio mobiliare (solo due terzi di queste lo soddisfa)”.

Inoltre il RdC penalizza le famiglie numerose: “A causa di una scala di equivalenza ‘piatta’ che sfavorisce le famiglie numerose e con figli minori, il tasso di inclusione del RdC è decrescente all’aumentare del numero di componenti all’interno del nucleo. Rispetto alla dimensione geografica, nel Nord il numero delle famiglie che fruiscono del RdC è il 37% di quelle in povertà assoluta, nel Centro il 69% e nel Sud il 95%.

Con riguardo ai nuclei che percepiscono il RdC pur non essendo poveri (falsi positivi), questi si concentrano tra le famiglie di piccole dimensioni. Il 41% delle famiglie che riceve il RdC pur non essendo povera è monocomponente e il 21% è composto da due persone.

Sebbene uno schema logico ricorrente preveda che sia la mancanza di lavoro a determinare una condizione di povertà, i dati mostrano che la metà dei nuclei in povertà assoluta e di quelli beneficiari del Rdc ha già almeno un occupato al proprio interno”.

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