CIF: la vicenda di Samam Abbas non sia occasione perduta

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“Saman doveva sparire per essere presente… Violata nel suo legittimo desidero di vivere e amare, Saman rimprovera le nostre esitazioni, i nostri dubbi, le nostre chiusure che l’hanno resa ostaggio di una cultura patriarcale impermeabile alla nostra”: così si è espressa nei giorni scorsi la presidente nazionale del Centro Italiano Femminile, Renata Natili Micheli, commentando la morte della ragazza della provincia di Reggio Emilia uccisa dalla sua famiglia islamica per essersi rifiutata di sottostare al matrimonio combinato con un cugino in Pakistan.

Nelle scorse settimane i carabinieri avevano diffuso tre frame relativi a un video del 29 aprile, in cui compaiono alcuni parenti della ragazza (tra cui il cugino fermato a Nimes, in Francia) che, secondo le ipotesi investigative, potrebbero essere stati ripresi mentre si dirigevano a scavare una fossa. Infatti, stando alle ricostruzioni degli investigatori, la sera del 30 aprile Samam Abbas aveva tentato di fuggire, preparando i suoi vestiti e li ha messi in uno zaino pronta per uscire di casa. Ma è nata una violenta discussione con i genitori durante la quale la ragazza ha preteso di avere i suoi documenti: è quanto risulta agli atti dell’inchiesta.

Una storia, quella di Samam Abbas, che pone molti interrogativi, non solo di integrazione, ma soprattutto di tutela da parte delle Istituzioni italiane, che non hanno saputo offrire adeguata protezione, come ha sottolineato la presidente nazionale del Cif, che ha parlato di occasione perduta, mentre nei media imperversa uno squallido dibattito:

“Da anni le nostre società non possono più definirsi chiuse e grazie alla globalizzazione, che ha reso il mondo ‘più ampio e intercomunicante’, hanno dovuto sperimentare le difficoltà connesse ad un mondo aperto nel quale, come spazio geografico ed umano si misurano culture, esperienze, visioni religiose diverse e a volte opposte.

Questa ‘promiscuità’ ha giustificato la teoria di Samuel Philips Huntington, secondo la quale la principale fonte di conflitti nel mondo sono le identità culturali e religiose. Se l’interdipendenza, con le difficoltà ad essa connessa sembra dare ragione a tale teoria, in realtà la storia dell’umanità parla un’altra lingua: grazie alle le sfide la civiltà si dimostra sempre più capace di inglobare le diversità, di sviluppare le capacità di empowerment, di garantire i diritti, grazie anche alla conoscenza che rende sempre più residuali e marginali le aree dove permane una condizione di emarginazione”.

Quanto è difficile raccogliere il grido di chi chiede aiuto?

“In questi due anni caratterizzati dall’esperienza dolorosa della pandemia ciascuno ha potuto toccare con mano quanto dolorosa e improvvida sia la solitudine, quanto sia necessario un approccio diverso per sentirsi comunità, quanto si renda urgente un cambiamento di mentalità tale da suscitare in ciascuno di noi sensibilità, convincimenti, passaggi di cultura in grado di modificare i nostri comportamenti.

Ma veniamo al punto: la vicenda di Samam Abbas è da considerarsi un’occasione perduta perché, la famiglia della porta accanto, non è un mondo a noi ostile, né una realtà chiusa nella sua diversità rispetto alla nostra. Saman frequentava la scuola dove vanno i nostri figli, è un’adolescente che sperava di mettere le ali per volare lontano verso il suo futuro, una ragazza che sognava di realizzarsi pienamente.

Magari l’abbiamo incontrata, abbiamo incrociato i suoi occhi, forse abbiamo anche pensato che essi ci chiedessero aiuto, ma  la vita, gli impegni, le necessità di ogni giorno ci hanno fatto distogliere lo sguardo e  allungare il passo”.

Sullo sfondo un matrimonio imposto: come prevenire?

“I cambiamenti delle civiltà si misurano in decine di anni e non possono essere imposti dall’esterno, eppure l’esempio, la vigilanza, il contatto, lo scambio, la conoscenza sono tutti strumenti che mettono in atto o accelerano processi di mutamento.

Il matrimonio imposto è solo una delle tante violazioni dei diritti umani, della violazione dell’uguaglianza di genere e del diritto a scegliere la propria felicità, ma non è il solo. Rimane ancora inevaso il tema delle gravidanze precoci delle adolescenti, il diritto alla salute, il diritto dei bambini a non essere sfruttati, il diritto a non essere violati nella loro innocenza”.

Problema di religione o problema di cultura?

“Se la problematica sopra descritta sia solo religiosa o di cultura è almeno a mio parere quasi impossibile decifrare. Perché religione e cultura si implementano vicendevolmente tanto che in alcuni stati sono i principi religiosi a costituirsi in principi giuridici e questi a determinare comportamenti che si stabilizzano nel tempo”.

In quale modo si può fare integrazione?

“Sembrerà ovvio affermare che è una sfida enorme quella che ci è dinanzi, ma il concetto va ribadito. Non si tratta soltanto di raccogliere in uno sguardo il mondo intero, piuttosto di raccogliere in uno sguardo tutte le ‘povertà’ del mondo.

E’ giunto il momento, questo è il momento nel quale gli Stati che si considerano democratici e perciò civili e più avanzati, modifichino i loro comportamenti riguardo al tema della povertà, della disuguaglianza, delle discriminazioni, dello sviluppo equo e solidale investendo nel capitale umano in base alla ovvia considerazione che la vulnerabilità di alcuni pezzi dell’umanità depone sulla qualità dello sviluppo dell’intera umanità”.

(Foto: AgoraVox)

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