Deontologia del fondamento

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È davvero un bel libro quello uscito presso Giappichelli Editore che riproduce una serie di conferenze tenute da un noto teologo italiano Pierangelo Sequeri, già Preside della Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale e attualmente Preside del Pontificio Istituto Giovanni Paolo II. Il titolo fa comprendere molto bene quale tema viene sviluppato in queste poche e fruibili pagine: tentare di elaborare un contrappunto all’ontologia del fondamento.

Purtroppo per secoli la filosofia ha pensato una metafisica sganciata dal problema della more e la teologia ha subito il fascino di questa ‘perversione’. Se è stato coltivato il problema della morale in ambito metafisico, lo si è fatto per pensare la questione del male, oggi dopo l’Olocausto neanche più dibattuta.

Per poter praticare una deontologia del fondamento occorre recuperare l’ordine degli affetti, l’ordo amoris, ovvero, per utilizzare un linguaggio caro a Sequeri, chiedersi e, dunque, pensare come deve essere l’ente/l’essere per essere come deve e non semplicemente per funzionare o per consistere, per vivere o per incrementarsi. Solo perseguendo questa via emerge con forza e con nitidezza un’idea di giustizia come sovratrascendentale della coscienza.

Detto in altri termini a me non interessa che il cielo è blu o che il panino mi serve per vivere o che la mela cade perché c’ la gravità: questo lo sa già. A me interessa sapere se c’è Qualcuno che mi ama e come mi ama. Ecco allora che la Bibbia dà una risposta precisa e chiara: esiste un Dio che è Padre e si è rivelato nella vicenda del Figlio mi ama incondizionatamente, cioè mi giustifica.

La giustizia non è dare a ciascuno il suo. Se questa è la giustizia, basta uno sbaglio e io sono punito, cioè sono finito, sono un fallito. La giustizia è avere ciò che è mio ma che io non posso darmi, ciò che ‘per forza’ un altro mi deve dare perché io sia. La giustizia è giustificazione, cioè perdono, misericordia.

Posta in questi termini la questione ontologica acquista tutto un altro sapore e viene ad essere operata una vera rivoluzione che la teologia non deve avere paura di proclamare

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