Migrazioni: il papa richiama la Santa Famiglia in esilio
Domenica 27 settembre si celebra la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato ed il tema scelto da Papa Francesco per questa 106° edizione è: ‘Come Gesù Cristo, costretti a fuggire. Accogliere, proteggere, promuovere e integrare gli sfollati interni’. Ad ospitare le celebrazioni principali sono le diocesi di Piemonte e Valle d’Aosta, terre di forte emigrazione tra ‘800 e ‘900, e di immigrazione, prima interna (proveniente dal Sud Italia, durante il boom economico degli anni ’50/’70 del secolo scorso) e poi dai Paesi del Sud del mondo.
La Santa Messa, presieduta dall’arcivescovo di Torino, Mons. Cesare Nosiglia, Presidente della Conferenza Episcopale del Piemonte e Valle d’Aosta, sarà trasmessa in diretta su RaiUno dalla Cattedrale di Torino alle ore 11. Inoltre alla Giornata, istituita in Italia da san Pio X dietro sollecitazione dei vescovi Scalabrini e Bonomelli, è dedicato il volume di Simone Varisco ‘Il giorno di chi è in cammino’, che evidenzia come il fenomeno della mobilità umana sia stato costantemente al centro della sollecitudine pastorale della Chiesa: “un impegno costante – ha scritto nella presentazione il card. Gualtiero Bassetti, presidente della Cei – per l’integrazione dei migranti e per la promozione della pace”.
Nel messaggio papa Francesco, richiamando il suo discorso al Corpo Diplomatico, si sofferma sugli ‘sfollati’: “Per tali ragioni ho deciso di dedicare questo Messaggio al dramma degli sfollati interni, un dramma spesso invisibile, che la crisi mondiale causata dalla pandemia COVID-19 ha esasperato.
Questa crisi, infatti, per la sua veemenza, gravità ed estensione geografica, ha ridimensionato tante altre emergenze umanitarie che affliggono milioni di persone, relegando iniziative e aiuti internazionali, essenziali e urgenti per salvare vite umane, in fondo alle agende politiche nazionali”.
Richiamando la Costituzione Apostolica di papa Pio XII, ‘Exul Familia’ il papa ha sottolineato che anche Gesù è stato esule: “Nella fuga in Egitto il piccolo Gesù sperimenta, assieme ai suoi genitori, la tragica condizione di sfollato e profugo «segnata da paura, incertezza, disagi.
Purtroppo, ai nostri giorni, milioni di famiglie possono riconoscersi in questa triste realtà… In ciascuno di loro è presente Gesù, costretto, come ai tempi di Erode, a fuggire per salvarsi. Nei loro volti siamo chiamati a riconoscere il volto del Cristo affamato, assetato, nudo, malato, forestiero e carcerato che ci interpella. Se lo riconosciamo, saremo noi a ringraziarlo per averlo potuto incontrare, amare e servire”.
Il messaggio del papa afferma che è necessario farsi prossimo per servire, come ha fatto il samaritano: “Le paure e i pregiudizi (tanti pregiudizi) ci fanno mantenere le distanze dagli altri e spesso ci impediscono di ‘farci prossimi’ a loro e di servirli con amore.
Avvicinarsi al prossimo spesso significa essere disposti a correre dei rischi, come ci hanno insegnato tanti dottori e infermieri negli ultimi mesi. Questo stare vicini per servire va oltre il puro senso del dovere; l’esempio più grande ce lo ha lasciato Gesù quando ha lavato i piedi dei suoi discepoli: si è spogliato, si è inginocchiato e si è sporcato le mani”.
Inoltre occorre condividere, come è avvenuto nella prima comunità cristiana: “La prima comunità cristiana ha avuto nella condivisione uno dei suoi elementi fondanti… Dobbiamo imparare a condividere per crescere insieme, senza lasciare fuori nessuno. La pandemia ci ha ricordato come siamo tutti sulla stessa barca.
Ritrovarci ad avere preoccupazioni e timori comuni ci ha dimostrato ancora una volta che nessuno si salva da solo. Per crescere davvero dobbiamo crescere insieme, condividendo quello che abbiamo, come quel ragazzo che offrì a Gesù cinque pani d’orzo e due pesci… E bastarono per cinquemila persone”.
La promozione quindi ha bisogno del coinvolgimento: “Così infatti ha fatto Gesù con la donna samaritana… A volte, lo slancio di servire gli altri ci impedisce di vedere le loro ricchezze. Se vogliamo davvero promuovere le persone alle quali offriamo assistenza, dobbiamo coinvolgerle e renderle protagoniste del proprio riscatto.
La pandemia ci ha ricordato quanto sia essenziale la corresponsabilità e che solo con il contributo di tutti, anche di categorie spesso sottovalutate, è possibile affrontare la crisi”.
Infine è necessaria la collaborazione per costruire insieme: “Costruire il Regno di Dio è un impegno comune a tutti i cristiani e per questo è necessario che impariamo a collaborare, senza lasciarci tentare da gelosie, discordie e divisioni…
Per preservare la casa comune e farla somigliare sempre più al progetto originale di Dio, dobbiamo impegnarci a garantire la cooperazione internazionale, la solidarietà globale e l’impegno locale, senza lasciare fuori nessuno”.