Dalla diocesi di Macerata mons. Marconi descrive la parrocchia che verrà
Durante l’omelia della messa crismale, a fine maggio, il vescovo della diocesi di Macerata, mons. Nazareno Marconi, aveva presentato lettera pastorale ‘La parrocchia che verrà’, per ripensare il futuro delle comunità parrocchiali diocesane e non semplicemente per riaprire le parrocchie del passato: “Questo tempo un vero esame per tutti noi… Le chiese sono sempre rimaste aperte, ma soltanto per chi voleva entrare da solo, solo per pregare, solo per incontrare il Signore e stare un po’ con Lui. Senza nessuno a dirti bravo, senza nessuno con cui fare gruppo, senza nessun divertimento o festa, solo Dio e la fede in Lui. Le case, per chi voleva, sono diventate Chiese domestiche, dove la famiglia si è ritrovata attorno alla Parola di Dio, con il rosario in mano, anche qui solo tra noi e con il Signore”.
Ed aveva spiegato l’origine di questa lettera: “Durante queste settimane mi sono riletto tante cose, ho riorganizzato le idee, ho raccolto anche i pensieri di chi ha voluto farmi arrivare le sue valutazioni e la sua lettura del tempo che abbiamo davanti. Cinque anni fa scrissi la mia prima lettera pastorale, che era una lettera programmatica soprattutto rivolta a voi preti e diaconi, l’avevo intitolata ‘Lettera ad un giovane parroco’ e vi dicevo che in un tempo di grandi cambiamenti bisogna tornare a ciò che è fondamentale: la Fede, la Speranza e la Carità…
Oggi vi riconsegno questo testo, che è insieme memoria del cammino e invito ad una nuova ripartenza. L’ho intitolato ‘La parrocchia che verrà’ perché vorrei fosse il mio contributo di sintesi per ripensare il futuro delle nostre parrocchie e non semplicemente per riaprire le parrocchie del passato”.
Nella lettera pastorale il vescovo ha evidenziato la ‘crisi’ della parrocchia, accentuata dal coronavirus: “A tutto questo si aggiunge oggi il fatto che una certa vita parrocchiale è stata fortemente ferita dall’epidemia. In particolare sono stati colpiti ‘i praticanti per abitudine’, che riducevano tutta la loro vita cristiana a venire a messa la domenica e nelle feste comandate, trascinati più dall’inerzia del ‘si è sempre fatto così’ che da convinzioni profonde. Quanti di questi, dopo la fine dell’abitudine protratta per alcuni mesi, riprenderanno a tornare a messa?”
Un’altra problematica rilevata dal vescovo riguarda un certo clima ‘festaiolo’ della parrocchia: “Una seconda categoria di fedeli che faticheranno a superare gli effetti della pandemia erano: i devoti delle feste e delle mangiate, coloro che seguivano la vita parrocchiale soprattutto perché attratti da tutta una serie di feste paesane o di quartiere in cui si sentivano parte di un gruppo di amici, confondendo spesso questo con l’idea di essere membra vive della comunità credente”.
Ed ha posto domande se questo ‘stile’ parrocchiale può ancora essere pensato in questo modo: “Questo stile paesano e festaiolo della vita parrocchiale, già in crisi per l’evoluzione negli anni delle leggi sanitarie e sull’intrattenimento, non riprenderà se non fra tanti mesi e certo con tantissime limitazioni e difficoltà aggiuntive.
A quel punto, i gruppi di pensionati che erano la vera anima operativa del volontariato festaiolo parrocchiale, saranno ancora più anziani e più stanchi e le norme sanitarie e fiscali ancora più complesse. Quante sagre e cene parrocchiali riprenderanno vita? Uno stile di vita parrocchiale basato su tali feste per famiglie, che già era in crisi per il disgregarsi della società contadina e familiare che lo aveva generato, potrà continuare? Che efficacia potrà avere per condurre alla fede le persone?”
A queste domande il vescovo ha risposto con la sfida ‘kerigmatica’: “Oggi ancora di più, questa concentrazione dell’Annuncio ecclesiale sul Kerigma sembra urgente. La fatica di seguire gli incontri in video, quando diventano astratti e prolissi, ci sta insegnando un linguaggio dell’annuncio sempre più sintetico, denso, evocatore. La sfida della comunicazione mediatica sta provvidenzialmente educando la Chiesa ad un nuovo linguaggio di annuncio, che è certo più adatto alla evangelizzazione dei nuovi cristiani. Stiamo imparando e credo potremo imparare molto di più”.
Ecco la sfida a cui è chiamata la parrocchia nel post pandemia: “La sfida della pandemia ci ha invitato a trovare nuovo mezzi di comunicazione e nuove modalità di incontro, ma ciò non significa che la gran parte di questo lavoro di iniziazione non si possa egualmente fare. La fatica più grande è motivarne l’accoglienza da parte della gente, ma questa è chiaramente legata alla qualità.
Le proposte di qualità, quanto a metodo e contenuto, hanno ‘bucato lo schermo’ nonostante le limitazioni imposte dalla pandemia: ‘La parrocchia è chiamata a impiegare le sue migliori energie in questa direzione, curando in maniera particolare la formazione degli evangelizzatori: catechisti, educatori, missionari’. Dove questo si era fatto, le famiglie, i vicinati, i gruppi e movimenti ecclesiali hanno continuato a vivere la vita di fede anche a distanza e via web”.
Il vescovo ha proposto un nuovo connubio tra diocesi e parrocchia per l’evangelizzazione: “E forse la maggiore disponibilità acquisita nell’accogliere la formazione a distanza potrà caratterizzare il lavoro degli uffici centrali della Diocesi su questo versante: la Diocesi forma a distanza puntando sulla qualità dell’offerta formativa e sul valore dei formatori.
La parrocchia completa la formazione offrendo quegli incontri in prossimità che possono attuarsi e che ambientano nel quotidiano e nel locale le proposte ricevute dalla formazione diocesana. Immagino sempre più un servizio centrale di offerta formativa via web, con una azione locale di confronto, chiarificazione, discussione e raccolta di proposte”.
Ed ha chiesto la sperimentazione di ‘semplici cammini di fede per ogni età’ per l’iniziazione alla vita cristiana, valorizzando ciò che nei mesi scorsi è stato vissuto nella famiglia come ‘piccola Chiesa domestica’. Ciò comporta anche una nuova cura della liturgia, facendo sentire la parrocchia come ‘piccola Chiesa domestica’:
“Più che di moltiplicare le messe si tratta di celebrarle dove è possibile garantire: un ambiente accogliente, una comunità numericamente significativa, una predicazione comprensibile ed evangelica, una cura e bellezza della celebrazione realizzata da una ministerialità diffusa”.
Ed infine una particolare attenzione all’azione caritativa: “Il tempo della pandemia e soprattutto quello che ci attende, con un’alta possibilità di crescita e diversificazione dei bisogni, rende questa impostazione delle Caritas basata sulla attenzione e sull’ascolto ancora più necessaria. L’interazione con i servizi sociali dei comuni, che sta crescendo in diocesi in questi anni, dovrà ulteriormente consolidarsi”.
Ed infine ha spiegato l’immagine creata dal vescovo stesso: “L’immagine che ho creato e posta in copertina di questa lettera mi sembra indicare bene le caratteristiche della Parrocchia che verrà. Un luogo ordinato ed accogliente, senza recinti o cancelli, ma anche chiaramente riconoscibile come la casa di Dio e della comunità. Con uno spazio verde per il gioco dei piccoli e due panchine per le chiacchiere dei nonni.
Infine con una ‘provocatoria’ presa USB3 di ultima generazione sul tetto. ‘Annunciate il Vangelo dai tetti’ diceva la mia Lettera pastorale sulla catechesi e l’annuncio. Non dobbiamo temere la modernità ed i suoi mezzi, ma saperla sapientemente connettere con la tradizione e gli immutabili contenuti della fede”.