Papa Francesco racconta la sua giornata al tempo del coronavirus

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Ieri papa Francesco ha concesso un’intervista sulla crisi mondiale causata dalla pandemia di coronavirus allo scrittore e giornalista britannico Austen Ivereigh, autore della biografia ‘Tempo di misericordia’, pubblicata simultaneamente in The Tablet (Londra) e Commonweal (New York), mentre ABC ha offerto il testo originale in spagnolo e La Civiltà Cattolica in italiano.

Sul sito de La Civiltà Cattolica l’intervista è introdotta da una nota del suo direttore, p. Antonio Spadaro, sottolineando l’importanza di questa intervista: “Questa intervista è importante e va letta con cura perché ci aiuta ad andare avanti in questo tempo faticoso, ma anche pieno di sfide.

Papa Francesco ha parlato di come sta vivendo e contemplando la crisi del coronavirus (in un mondo in isolamento e in prossimità della Pasqua) preparandosi praticamente e spiritualmente alle sue conseguenze, e invitando l’umanità a convertirsi a un modo di essere diverso e migliore. Il Papa è profondamente turbato, e addolorato da tanta sofferenza e sacrificio. Ma ciò che traspare è la sua fiducia nella possibilità di trasformazione che ci viene ora offerta”.

Molte le domande poste nella prima l’interlocutore ha chiesto di raccontare la sua giornata: “Prego di più, perché credo di doverlo fare, e penso alla gente. Mi preoccupa questo: la gente. Pensare alla gente mi unge, mi fa bene, mi sottrae all’egoismo. Ovviamente ho i miei egoismi: il martedì viene il confessore, ed è allora che metto a posto quel genere di cose…

La mia preoccupazione più grande (almeno, quella che avverto nella preghiera) è come accompagnare il popolo di Dio e stargli più vicino. Questo è il significato della Messa delle sette di mattina in live streaming, seguita da molti che si sentono accompagnati; come pure di alcuni miei interventi e del rito del 27 marzo in piazza S. Pietro.

E di un lavoro piuttosto intenso di presenza, attraverso l’Elemosineria apostolica, per accompagnare le situazioni di fame e di malattia. Sto vivendo questo momento con molta incertezza. E’ un momento di molta inventiva, di creatività”.

Nella seconda domanda, facendo riferimento al romanzo ‘I promessi sposi’ di Alessandro Manzoni, molto amato dal papa, il giornalista ha chiesto di spiegare la missione della Chiesa durante il Covid-19:

“Il card. Federigo è un vero eroe di quella peste a Milano. In un capitolo, tuttavia, si dice che passava salutando la gente, ma chiuso nella lettiga, forse da dietro il finestrino, per proteggersi. Il popolo non ci era rimasto bene. Il popolo di Dio ha bisogno che il pastore gli stia accanto, che non si protegga troppo. Oggi il popolo di Dio ha bisogno di avere il pastore molto vicino, con l’abnegazione di quei cappuccini, che facevano così”.

Ed ha spiegato in cosa consiste la ‘creatività’ del cristiano, invitando a prepararsi a momenti ‘migliori’: “La creatività del cristiano deve manifestarsi nell’aprire orizzonti nuovi, nell’aprire finestre, nell’aprire trascendenza verso Dio e verso gli uomini, e deve ridimensionarsi in casa. Non è facile stare chiusi in casa…

Avere cura dell’ora, ma per il domani. Tutto questo con creatività. Una creatività semplice, che tutti i giorni inventa qualcosa. In famiglia non è difficile scoprirla. Ma non bisogna fuggire, cercare evasioni alienanti, che in questo momento non sono utili”.

La terza domanda riguardava le politiche dei Governi in risposta alla crisi ed il papa ha sottolineato che la politica debba difendere i più deboli: “Penso per esempio alla selettività prenatale. Oggi è molto difficile incontrare per strada persone con la sindrome di Down. Quando la si vede nelle ecografie, li rispediscono al mittente. Una cultura dell’eutanasia, legale o occulta, in cui all’anziano le medicine si danno fino a un certo punto.

Penso all’enciclica di papa Paolo VI, ‘Humanae vitae’. La grande problematica su cui all’epoca si concentravano i pastoralisti era la pillola. E non si resero conto della forza profetica di quell’enciclica, anticipatoria del neomalthusianismo che stava preparandosi in tutto il mondo.

E’ un avvertimento di Paolo VI riguardo all’ondata di neomalthusianismo che oggi vediamo nella selezione delle persone secondo la possibilità di produrre, di essere utili: la cultura dello scarto”.

Un’altra domanda sottolineava se in tale crisi si potesse scorgere un’opportunità di conversione ecologica ed il papa ha sottolineato la necessità di una ‘conversione con la memoria’: “Negli Esercizi di sant’Ignazio, tutta la prima settimana e poi la contemplazione per raggiungere l’amore nella quarta settimana seguono interamente il segno della memoria. E’ una conversione con la memoria…

Lei mi chiede della conversione. Ogni crisi è un pericolo, ma è anche un’opportunità. Ed è l’opportunità di uscire dal pericolo. Oggi credo che dobbiamo rallentare un determinato ritmo di consumo e di produzione ed imparare a comprendere e a contemplare la natura. E a riconnetterci con il nostro ambiente reale. Questa è un’opportunità di conversione”.

Poi il papa ha evidenziato che occorre ‘vedere il povero’ come ha fatto santa Teresa di Calcutta: “Vedere i poveri significa restituire loro l’umanità. Non sono cose, non sono scarti, sono persone. Non possiamo fare una politica assistenzialistica come con gli animali abbandonati. E invece molte volte i poveri vengono trattati come animali abbandonati. Non possiamo fare una politica assistenzialistica e parziale.

Mi permetto di dare un consiglio: è ora di scendere nel sottosuolo. E’ celebre il romanzo di Dostoevskij, ‘Memorie del sottosuolo’. E ce n’è un altro più breve, ‘Memorie di una casa morta’, in cui le guardie di un ospedale carcerario trattavano i poveri prigionieri come oggetti…

Noi depotenziamo i poveri, non diamo loro il diritto di sognare la loro madre. Non sanno che cosa sia l’affetto, molti vivono nella dipendenza dalla droga. E vederlo può aiutarci a scoprire la pietà, quella pietas che è una dimensione rivolta verso Dio e verso il prossimo.

Scendere nel sottosuolo, e passare dalla società ipervirtualizzata, disincarnata, alla carne sofferente del povero, è una conversione doverosa. E se non cominciamo da lì, la conversione non avrà futuro. Penso ai santi della porta accanto in questo momento difficile.

Sono eroi! Medici, volontari, religiose, sacerdoti, operatori che svolgono i loro doveri affinché questa società funzioni. Quanti medici e infermieri sono morti! Quanti sacerdoti sono morti! Quante religiose sono morte! In servizio, servendo”.

A proposito dei santi il papa ha citato una frase, sempre nel romanzo manzoniano, pronunciata dal sarto (‘Non ho mai trovato che il Signore abbia cominciato un miracolo senza finirlo bene’):

“Se riconosciamo questo miracolo dei santi accanto a noi, di questi uomini e donne eroici, se sappiamo seguirne le orme, questo miracolo finirà bene, sarà per il bene di tutti. Dio non lascia le cose a metà strada. Siamo noi che le lasciamo e ce ne andiamo. Quello che stiamo vivendo è un luogo di metanoia, di conversione, e ne abbiamo l’opportunità. Quindi facciamocene carico e andiamo avanti”.

La quinta domanda riguardava la necessità, in questi mesi, di ripensare il modo di essere della Chiesa: “…la Chiesa è istituzione. Esiste la tentazione di sognare una Chiesa deistituzionalizzata, per esempio una Chiesa gnostica, senza istituzioni, o soggetta a istituzioni fisse, per proteggersi, ed è una Chiesa pelagiana.

A rendere la Chiesa istituzione è lo Spirito Santo. Che non è gnostico né pelagiano. E’ lui a istituzionalizzare la Chiesa. E’ una dinamica alternativa e complementare, perché lo Spirito Santo provoca disordine con i carismi, ma in quel disordine crea armonia. Chiesa libera non vuol dire una Chiesa anarchica, perché la libertà è dono di Dio. Chiesa istituzionalizzata vuol dire Chiesa istituzionalizzata dallo Spirito Santo.

Una tensione tra disordine e armonia: è questa la Chiesa che deve uscire dalla crisi. Dobbiamo imparare a vivere in una Chiesa in tensione tra il disordine e l’armonia provocati dallo Spirito Santo.

Se mi chiede un libro di teologia che possa aiutarla a comprenderlo, sono gli Atti degli apostoli. Ci troverà il modo in cui lo Spirito Santo deistituzionalizza quello che non serve più e istituzionalizza il futuro della Chiesa. Questa è la Chiesa che deve uscire dalla crisi”.

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