Mons. Camisasca: la liturgia ‘abilita’ alla missione

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Partendo dal vangelo di san Giovanni il vescovo di Reggio Emilia e Guastalla, mons. Massimo Camisasca ha scritto una lettera pastorale sulla liturgia, ricordando la propria vita sacerdotale: “Ho cercato, lungo il corso di tutto il mio ministero sacerdotale ed episcopale, una definizione della liturgia contemplata in rapporto alla vita cristiana nella sua completezza. Ho scoperto che essa, in analogia all’evento dell’Incarnazione, alla vita stessa di Gesù e al mistero della Chiesa, è tutta l’esistenza vissuta come lode, supplica, offerta di sé, domanda di perdono che il popolo di Dio rivolge al Padre, unendosi alla vita che il Figlio ha vissuto e vive nello Spirito”.

Per il vescovo la liturgia è un continuo dialogo tra Padre e Figlio attraverso lo Spirito Santo: “Quando penso alla liturgia, quando vivo l’esperienza di essa nella mia giornata, si affacciano alla mia mente molte immagini. Negli anni della maturità della mia esistenza ho privilegiato una fra esse: la liturgia, dialogo storico tra gli uomini e il Padre, trova la sua primissima origine nel canto di lode e di ringraziamento che il Figlio rivolge al Padre nello Spirito Santo. La prima liturgia è il dialogo fra il Padre e il Figlio. Dialogo eterno a cui, dal momento della creazione in poi, assistono gli angeli, i santi e l’infinità del creato…

Tra Dio e l’uomo avviene un colloquio di verità e d’amore, di conoscenza e di affetti, che è luce e fuoco, in cui viene bruciata ogni impurità. Allo stesso tempo questo rapporto dona un godimento che nessun piacere terreno può eguagliare, neppure da lontano. La liturgia racchiude tutto ciò che noi possiamo vivere di fronte a Dio”.

La liturgia della Chiesa rivive quindi la vita di Gesù: “La liturgia della Chiesa, preghiera del Figlio al Padre, e nel Figlio di tutto il popolo cristiano, anzi di tutta l’umanità, non può che rivivere la vita e le parole di Gesù. Per questo la Chiesa, Corpo di Cristo nella storia, lungo tutti i secoli, pur nel rinnovamento inevitabile e necessario delle formule e dei riti, ha sempre difeso il fatto che la liturgia non si strutturi su parole e gesti inventati dall’uomo, ma sulle parole e i gesti dell’Uomo-Dio, gelosamente custodite dalla Tradizione e tramandate ad ogni generazione successiva, come dice san Paolo”.

La liturgia è il memoriale della storia della salvezza: “La liturgia non è semplicemente un ricordo della storia della salvezza. Essa è il momento della sua attuazione. Non è una ripetizione della morte e resurrezione di Cristo, ma piuttosto il riaccadere dell’evento unico e indivisibile della consegna di sé del Figlio al Padre, che porta con sé il popolo santo. La liturgia è la perenne contemporaneità della morte, resurrezione e ascensione di Cristo ad ogni istante della vita e ad ogni luogo della storia. Ogni uomo, sempre e dovunque, può essere partecipe del Mistero Pasquale, grazie alle celebrazioni liturgiche, il cui compito è proprio di farci vivere gli eventi della storia della salvezza”.

Ed ha spiegato i significati dei ‘segni’ nella liturgia: “Il segno, nella liturgia cristiana, è molto più di un indicatore. Non è un segnale che serve ad indicare qualcosa che si trova da un’altra parte. Esso contiene in sé ciò che significa. Pensiamo per analogia alla bandiera di una Nazione, all’unità di storia e di cultura di cui essa parla e che veicola immediatamente. Ma il segno liturgico-sacramentale è ancora di più: è una realtà ‘efficace’, che porta cioè in sé, in ogni istante e in ogni luogo in cui esso viene celebrato, la persona di Cristo”.

Quindi “la liturgia ha un andamento simile alla croce: verticale e orizzontale. I due legni, inchiodati l’uno all’altro, formano un’unica realtà. Allo stesso modo, la liturgia è sempre ascesa del Figlio al Padre e di noi con lui, ed è sempre discesa del Figlio sulla terra, nel suo abbassamento fino alla morte di croce. E, nello stesso tempo, è sempre evento ecclesiale, comunionale, cosmico, di relazione con gli altri e con tutte le cose. Essa non è mai un evento individuale. Certo, ciascuno di noi deve essere presente con la propria mente, con il proprio cuore, con la propria libertà, corpo, voce e movimenti. Ma sempre in unità e in relazione con tutta la Chiesa”.

Infine la liturgia ‘abilita’ il cristiano alla missione: “A nulla varrebbe la nostra partecipazione ai gesti liturgici, se essa non iniziasse a trasformare la nostra vita quotidiana. Qualunque sia il significato dell’Ite missa est con cui si conclude la messa in latino, ripresa nell’Andate in pace dell’attuale in italiano, in queste parole è contenuto l’invito cordiale e deciso a portare nel mondo ciò che si è vissuto e ricevuto nell’assemblea liturgica.

Cosa riceviamo durante la santa messa? Dio stesso. La liturgia è perciò fonte della missione cristiana nel mondo. E non soltanto fonte, ma anche forma: tutto ciò che possiamo vivere andando incontro agli uomini non è nient’altro che un prolungamento dell’esperienza che viviamo nella liturgia.

Questo non deve essere inteso in senso moralistico o doveristico. Il cambiamento che la liturgia porta nella nostra vita è certamente un cambiamento reale, ma esso accade nella misura in cui la nostra intelligenza e il nostro cuore si aprono all’opera di Dio. Egli, che ci ha creato senza di noi, non ci salva senza la partecipazione della nostra libertà”.

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