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Papa Leone XIV: siate santuario di Dio

“La Cattedrale della diocesi di Roma e la sede del successore di Pietro, come sappiamo, non è soltanto un’opera di straordinaria valenza storica, artistica e religiosa, ma rappresenta anche il centro propulsore della fede affidata e custodita dagli Apostoli e della sua trasmissione lungo il corso della storia. La grandezza di questo mistero rifulge anche nello splendore artistico dell’edificio, che proprio nella navata centrale accoglie le dodici grandi statue degli Apostoli, primi seguaci del Cristo e testimoni del Vangelo”: così papa Leone XIV prima della preghiera dell’Angelus ha proposto una riflessione sulla Dedicazione della Basilica Lateranense.

E’ stato un invito a cogliere il mistero della Chiesa: “Questo ci rimanda ad uno sguardo spirituale, che ci aiuta ad andare oltre l’aspetto esteriore, per cogliere nel mistero della Chiesa ben più di un semplice luogo, di uno spazio fisico, di una costruzione fatta di pietre; in realtà, come il Vangelo ci ricorda nell’episodio della purificazione del Tempio di Gerusalemme compiuta da Gesù, il vero santuario di Dio è il Cristo morto e risorto. Egli è l’unico mediatore della salvezza, l’unico redentore, Colui che legandosi alla nostra umanità e trasformandoci col suo amore, rappresenta la porta che si spalanca per noi e ci conduce al Padre”.

In questo ‘edificio’ spirituale il popolo è la Chiesa: “E, uniti a Lui, anche noi siamo pietre vive di questo edificio spirituale. Noi siamo la Chiesa di Cristo, il Suo corpo, le sue membra chiamate a diffondere nel mondo il Suo Vangelo di misericordia, di consolazione e di pace, attraverso quel culto spirituale che deve risplendere anzitutto nella nostra testimonianza di vita. Fratelli e sorelle, è in questo sguardo spirituale che dobbiamo allenare il cuore. Tante volte, le fragilità e gli errori dei cristiani, insieme a tanti luoghi comuni e pregiudizi, ci impediscono di cogliere la ricchezza del mistero della Chiesa”.

Mentre nella celebrazione eucaristica per la dedicazione della basilica lateranense papa Leone XIV h ricordato il motivo di questa costruzione: “La costruzione fu realizzata per volontà dell’imperatore Costantino, dopo che, nell’anno 313, egli aveva concesso ai cristiani la libertà di professare la propria fede e di esercitare il culto… Questa Basilica, infatti, ‘Madre di tutte le Chiese’, è molto più di un monumento e di una memoria storica: è ‘segno della Chiesa vivente, edificata con pietre scelte e preziose in Cristo Gesù, pietra angolare’, e come tale ci ricorda che noi pure, come ‘pietre viventi veniamo a formare su questa terra un tempio spirituale’.

Per questa ragione, come notava san Paolo VI, nella comunità cristiana è sorto ben presto l’uso di applicare il ‘nome di Chiesa, che significa l’assemblea dei fedeli, al tempio che li raccoglie’. E’ la comunità ecclesiale, ‘la Chiesa, società dei credenti, attesta al Laterano la sua più solida e evidente struttura esteriore’. Pertanto, aiutati dalla Parola di Dio, riflettiamo, guardando a questo edificio, sul nostro essere Chiesa”.

Ed ha giudicato essenziali le fondamenta: “La loro importanza è evidente, in modo per certi versi addirittura inquietante. Se chi lo ha costruito, infatti, non avesse scavato a fondo, fino a trovare una base sufficientemente solida su cui erigere tutto il resto, l’intera costruzione sarebbe crollata da tempo, o rischierebbe di cedere ad ogni istante, così che anche noi, stando qui, correremmo un serio pericolo. Chi ci ha preceduto, invece, per fortuna, ha dato alla nostra Cattedrale basi solide, scavando in profondità, con fatica, prima di iniziare ad innalzare le mura che ci accolgono, e questo ci fa sentire molto più tranquilli”.

Tali fondamenta sono importanti per la Chiesa: “Ci aiuta però anche a riflettere. Anche noi, infatti, operai della Chiesa vivente, prima di poter erigere strutture imponenti, dobbiamo scavare, in noi stessi e attorno a noi, per eliminare ogni materiale instabile che possa impedirci di raggiungere la nuda roccia di Cristo… E questo vuol dire tornare costantemente a Lui e al suo Vangelo, docili all’azione dello Spirito Santo. Il rischio, altrimenti, sarebbe di sovraccaricare di pesanti strutture un edificio dalle basi deboli”.

Commentando il Vangelo il papa ha evidenziato la chiamata di Gesù: “Gesù ci cambia, e ci chiama a lavorare nel grande cantiere di Dio, modellandoci sapientemente secondo i suoi disegni di salvezza. E’ stata usata spesso, in questi anni, l’immagine del ‘cantiere’ per descrivere il nostro cammino ecclesiale. E’ un’immagine bella, che parla di attività, creatività, impegno, ma anche di fatica, di problemi da risolvere, a volte complessi. Essa esprime lo sforzo reale, palpabile, con cui le nostre comunità crescono ogni giorno, nella condivisione dei carismi e sotto la guida dei Pastori”.

Ecco il motivo per cui occorre porre cura alla liturgia: “La sua cura, pertanto, nel luogo della Sede di Pietro, dev’essere tale da potersi proporre ad esempio per tutto il popolo di Dio, nel rispetto delle norme, nell’attenzione alle diverse sensibilità di chi partecipa, secondo il principio di una sapiente inculturazione ed al tempo stesso nella fedeltà a quello stile di solenne sobrietà tipico della tradizione romana, che tanto bene può fare alle anime di chi vi partecipa attivamente. Si ponga ogni attenzione affinché qui la bellezza semplice dei riti possa esprimere il valore del culto per la crescita armonica di tutto il Corpo del Signore”.

(Foto: Santa Sede)

Giuseppe Falanga: la liturgia nutre la speranza

Nel mese di agosto la 75^ Settimana Liturgica Nazionale è stata ospitata dall’arcidiocesi di Napoli con il titolo ‘Tu sei la nostra speranza. Liturgia: dalla contemplazione all’azione’, a cui hanno partecipato quasi 500 studiosi e religiosi, aperta dai Vespri presieduti dal card. Mimmo Battaglia, mentre il segretario di Stato vaticano, il card. Pietro Parolin, ha fatto la prolusione dal titolo: ‘La liturgia nutre e vivifica la speranza’, in quanto la contemplazione ‘è l’atteggiamento di colui che riconosce il dono di Dio nella liturgia, ossia il Mistero pasquale di Cristo. Ne riconosce la presenza nei sacramenti, in particolare nel sacrificio eucaristico, nella parola, nel ministro, nell’assemblea”.

Nell’omelia che ha iniziato la Settimana Liturgica il card. Mimmo Battaglia aveva sottolineato che il fulcro della liturgia è il silenzio: “Quanto è importante il silenzio, quel silenzio che come un varco misterioso si apre ogni volta che come popolo di Dio ci raduniamo, ogni volta che celebriamo, ogni volta che il tempo dell’uomo si lascia attraversare dalla bellezza dell’Eterno.

Una bellezza che resta dentro, che trasforma il cuore, che si traduce in gesti interiori ed esteriori capaci di dar vigore alla speranza. Quella vera. Quella che non delude. Si, se oggi siamo qui, nel cuore di questo giubileo della Speranza, è proprio perché crediamo che anche la Liturgia è e può esser sempre più culla di speranza! E questo perché la Liturgia non è un orpello antico, non roba da iniziati, non è un rito freddo. Anzi, è un incendio”.

Quindi la Settimana Liturgica ha messo al centro della vita liturgica la speranza, nutrita da essa; a distanza di un mese dalla conclusione di questa settimana ed a pochi mesi dalla conclusione del giubileo abbiamo chiesto al teologo Giuseppe Falanga, consigliere nazionale del CAL (Centro di Azione Liturgica), direttore responsabile della Rivista di Teologia ‘Asprenas’ e docente di Liturgia alla Pontificia Università della Santa Croce di Roma di raccontarci il motivo per cui la Settimana Liturgica ha riflettuto sulla speranza:

“La Settimana Liturgica Nazionale si è celebrata in quest’Anno Giubilare, e non poteva non trattare della speranza. Il tema, infatti, riprendeva l’espressione dell’antico inno ‘Te Deum’, che proclama ‘Cristo nostra speranza’. Così, lodando Gesù Cristo, riconosciamo che solo in lui ‘non saremo confusi in eterno’. Mi colpisce sempre questo passaggio conclusivo dell’inno, perché ci permette di comprendere che l’opposto della speranza non è la ‘disperazione’, come si potrebbe immaginare, ma la ‘confusione’. Sì, la confusione (ed il conseguente disorientamento) è il vero dramma, perché rappresenta la tendenza insidiosa a ritenere importanti e valevoli stili, atteggiamenti e comportamenti che non sono oggettivamente autentici; purtroppo, anche nelle azioni liturgiche!”

Allora, perché la liturgia ‘nutre’ la speranza?

“Noi cristiani crediamo che la liturgia è e può essere sempre più culla di speranza. E questo perché, come ha detto il mio arcivescovo, il card. Battaglia, all’omelia dei Vespri che hanno aperto i lavori, ‘la liturgia non è un orpello antico, non un rito freddo. Anzi, è un incendio. E’ la memoria viva di un Amore che ha attraversato la morte, che l’ha vinta, e che ogni giorno continua a risorgere nei frammenti della nostra vita’. Sì, la liturgia è il grembo in cui si genera la fede, la mensa su cui si nutre la carità, la casa dove abita la speranza”.

Quanto è importante la liturgia nella vita ecclesiale?

“Semplicemente si tratta di ricomprendere la liturgia come luogo in cui Dio dà forma al cristiano, mantenendo cioè salda la fede nella presenza, manifestazione e comunicazione di Dio nel rito e attraverso il rito. Senza questa fede radicale ogni discorso resterebbe su un piano meramente antropologico e, pur nella sua validità di sapere umano, ben poco aggiungerebbe alla nostra esperienza celebrativa”.

In quale modo la liturgia si fa vita?

“Partecipare alla liturgia significa partecipare alla vita, alla morte e alla risurrezione di Gesù, morire e risorgere veramente con lui, donare veramente la nostra vita. Partecipare significa lasciare che lo Spirito di Dio operi in noi per completare l’opera di Cristo sulla terra. Partecipare significa vivere la vita di Gesù: donarci completamente agli ultimi e ai sofferenti. Partecipare significa ‘non vivere più per noi stessi ma per Dio’. Altrimenti, come potremmo dire ‘Amen’ ad una preghiera?”

Come è possibile passare dalla contemplazione all’azione attraverso la liturgia?

“Il segreto è essere contempl-attivi, come amava dire don Tonino Bello. Il ‘contemplattivo’ unisce la preghiera all’azione e fa dell’azione la sua preghiera. Riesce a equilibrare le parti, perché è mosso dallo Spirito che tutto porta all’unità. Il dramma di oggi è fare sintesi: troppa analisi, poca sintesi personale e di gruppo”.

In quale modo si realizza una Chiesa eucaristica?

“La liturgia cristiana è scandita da parole fortemente orientate all’impegno: ‘Andate ed annunciate il Vangelo’, ‘Glorificate il Signore con la vostra vita’. Il ‘mandatum’ conclusivo della Messa non è un congedo, ma un invio missionario, perché l’Eucaristia plasma comunità di carità attiva. Dunque, la Celebrazione eucaristica, se vissuta autenticamente, educa alla carità effettiva verso tutti, specialmente verso i poveri, quelli che soffrono la fame nel mondo, i prigionieri, i carcerati e gli infermi”.

(Foto: CAL)

L’appello di papa Leone XIV ad aiutare il Medio Oriente cristiano

“So che per voi sostenere le Chiese Orientali non è anzitutto un lavoro, ma una missione esercitata in nome del Vangelo che, come indica la parola stessa, è annuncio di gioia, che rallegra anzitutto il cuore di Dio, il quale non si lascia mai vincere in generosità. Grazie perché, insieme ai vostri benefattori, seminate speranza nelle terre dell’Oriente cristiano, mai come ora sconvolte dalle guerre, prosciugate dagli interessi, avvolte da una cappa di odio che rende l’aria irrespirabile e tossica. Voi siete la bombola di ossigeno delle Chiese Orientali, sfinite dai conflitti. Per tante popolazioni, povere di mezzi ma ricche di fede, siete una luce che brilla nelle tenebre dell’odio. Vi prego, col cuore in mano, di fare sempre tutto il possibile per aiutare queste Chiese, così preziose e provate”: con queste parole papa Leone XIV ha incontrato il card. Claudio Gugerotti, gli altri Superiori del Dicastero, gli Officiali ed i membri delle Agenzie della ROACO (Riunione delle Opere per l’Aiuto alle Chiese Orientali).

Durante l’incontro ha ricordato le violenze subite ed anche compiute dalle Chiese orientali: “La storia delle Chiese cattoliche orientali è stata spesso segnata dalla violenza subita; purtroppo non sono mancate sopraffazioni e incomprensioni pure all’interno della stessa compagine cattolica, incapace di riconoscere e apprezzare il valore di tradizioni diverse da quella occidentale. Ma oggi la violenza bellica sembra abbattersi sui territori dell’Oriente cristiano con una veemenza diabolica mai vista prima”.

Ma anche quelle attuali: “Ne ha risentito pure la vostra sessione annuale, con l’assenza fisica di quanti sarebbero dovuti venire dalla Terra Santa, ma non hanno potuto intraprendere il viaggio. Il cuore sanguina pensando all’Ucraina, alla situazione tragica e disumana di Gaza, e al Medio Oriente, devastato dal dilagare della guerra. Siamo chiamati noi tutti, umanità, a valutare le cause di questi conflitti, a verificare quelle vere e a cercare di superarle, e a rigettare quelle spurie, frutto di simulazioni emotive e di retorica, smascherandole con decisione. La gente non può morire a causa di fake news”.

Ha tracciato anche una strada in cui anche i cristiani possono portare pace: “E mi chiedo: da cristiani, oltre a sdegnarci, ad alzare la voce e a rimboccarci le maniche per essere costruttori di pace e favorire il dialogo, che cosa possiamo fare? Credo che anzitutto occorra veramente pregare. Sta a noi fare di ogni tragica notizia e immagine che ci colpisce un grido di intercessione a Dio. E poi aiutare, come fate voi e come molti fanno, e possono fare, attraverso di voi.

Ma c’è di più, e lo dico pensando specialmente all’Oriente cristiano: c’è la testimonianza. E’ la chiamata a rimanere fedeli a Gesù, senza impigliarsi nei tentacoli del potere. E’ imitare Cristo, che ha vinto il male amando dalla croce, mostrando un modo di regnare diverso da quello di Erode e Pilato: uno, per paura di essere spodestato, aveva ammazzato i bambini, che oggi non cessano di essere dilaniati con le bombe; l’altro si è lavato le mani, come rischiamo di fare quotidianamente fino alle soglie dell’irreparabile”.

Quindi l’invito è lo sguardo a Gesù: “Guardiamo Gesù, che ci chiama a risanare le ferite della storia con la sola mitezza della sua croce gloriosa, da cui si sprigionano la forza del perdono, la speranza di ricominciare, il dovere di rimanere onesti e trasparenti nel mare della corruzione. Seguiamo Cristo, che ha liberato i cuori dall’odio, e diamo l’esempio perché si esca dalle logiche della divisione e della ritorsione. Vorrei ringraziare e idealmente abbracciare tutti i cristiani orientali che rispondono al male con il bene: grazie, fratelli e sorelle, per la testimonianza che date soprattutto quando restate nelle vostre terre come discepoli e come testimoni di Cristo”.

E la memoria ritorna all’attentato alla chiesa di Damasco: “Cari amici della ROACO, nel vostro lavoro voi vedete, oltre a molte miserie causate dalla guerra e dal terrorismo (penso al recente terribile attentato nella chiesa di sant’Elia a Damasco) anche fiorire germogli di Vangelo nel deserto. Scoprite il popolo di Dio che persevera volgendo lo sguardo al Cielo, pregando Dio e amando il prossimo. Toccate con mano la grazia e la bellezza delle tradizioni orientali, di liturgie che lasciano abitare a Dio il tempo e lo spazio, di canti secolari intrisi di lode, gloria e mistero, che innalzano un’incessante richiesta di perdono per l’umanità. Incontrate figure che, spesso nel nascondimento, vanno ad aggiungersi alle grandi schiere dei martiri e dei santi dell’Oriente cristiano. Nella notte dei conflitti siete testimoni della luce dell’Oriente”.

Infine l’invito a tutti i cristiani ad una maggiore conoscenza della ‘cultura’ delle Chiese orientali: “Vorrei che questa luce di sapienza e di salvezza sia più conosciuta nella Chiesa cattolica, nella quale sussiste ancora molta ignoranza al riguardo e dove, in alcuni luoghi, la fede rischia di diventare asfittica anche perché non si è realizzato il felice auspicio espresso più volte da san Giovanni Paolo II…E c’è bisogno pure di incontro e di condivisione dell’azione pastorale, perché i cattolici orientali oggi non sono più cugini lontani che celebrano riti ignoti, ma fratelli e sorelle che, a motivo delle migrazioni forzate, ci vivono accanto. Il loro senso del sacro, la loro fede cristallina, resa granitica dalle prove, e la loro spiritualità che profuma del mistero divino possono giovare alla sete di Dio latente ma presente in Occidente”.

La giornata ‘papale’ era stata aperta dall’incontro con i vescovi delle congregazioni redentoriste e scalabriniane: “Tutti e due furono fondatori, diventarono vescovi e seppero rispondere alle sfide di sistemi sociali ed economici che, se da una parte aprivano nuove frontiere a vari livelli, dall’altra si lasciavano alle spalle tanta miseria inascoltata e tanti problemi, creando sacche di degrado di cui nessuno sembrava volersi occupare…

Anche nel nostro mondo l’opera del Signore sempre ci precede: ad essa siamo chiamati a conformare le nostre menti e i nostri cuori attraverso un sapiente discernimento; e sono convinto che il confronto che avete promosso sarà molto utile a questo scopo. Vi incoraggio, perciò, a mantenere e a coltivare anche per il futuro questi rapporti di aiuto fraterno, con generosità e disinteresse, per il bene di tutto il Gregge di Cristo”.

(Foto: Santa Sede)

Don Simone Unere racconta l’Atelier Nardos, un luogo dove si crea bellezza, grazie all’8×1000

Si chiama Atelier Nardos ed è il laboratorio di sartoria liturgica nato nei locali di pertinenza del Santuario della Madonna del Portone nella diocesi di Asti, che nasce da un’idea che risale a molti anni fa, ma ha preso concretamente vita in occasione della visita di papa Francesco ad Asti nel 2022, quando la sarta del laboratorio, Marina Bergantin, realizzò il piviale che il papa indossò in cattedrale.

Il paramento piacque e l’Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche del papa ne ‘commissionò’ un altro, così la sartoria spiccò il volo e da questa singolare opportunità l’idea di sartoria liturgica diventa progetto di atelier che si dedica alla confezione di vesti liturgiche esclusive come casule, piviali, camici, stole, ma anche insegne episcopali e suppellettili liturgiche sempre ricercando la propria identità nel gesto nobile e semplice della sorella di Lazzaro che profumò i piedi di Gesù con olio di puro nardo.

Oltre all’esclusività della confezione delle vesti per la liturgia, uniche e interamente fatte a mano, c’è un’altra caratteristica importante dell’Atelier Nardos: utilizza solo tessuti naturali, innovativi e di alta qualità, scelti con particolare attenzione da filiere che ne garantiscono la tracciabilità, la trasparenza e l’eticità, ispirando le modalità operative alle lettere encicliche ‘Fratelli Tutti’ e ‘Laudato sì’.

Su questa strada, Atelier Nardos è anche luogo di promozione di legami comunitari; infatti accanto all’atelier sono nati i laboratori complementari: le diverse attività manuali che sono svolte convergono nell’obiettivo concreto della confezione del prodotto finito, ma il vero scopo è far incontrare volontari e soggetti con diverse fragilità, creare un punto di incontro, confronto, di tessitura di legami, che diventi sempre più per i partecipanti un punto di riferimento e di coesione sociale. L’Atelier Nardos è sorto grazie all’8×1000 della Chiesa Cattolica ed alla Fondazione CrTorino.

Da don Simone Unere, rettore del Santuario ‘Beata Vergine del Portone’ e direttore dell’Ufficio Liturgico della diocesi di Asti, ci facciamo raccontare la nascita dell’atelier: “Atelier Nardos nasce dalla partecipazione ad un bando della Fondazione della Cassa di Risparmio di Torino. Questo prevedeva un progetto di ristrutturazione, grazie al quale abbiamo rimodernato i locali di competenza del Santuario e un progetto sociale. Quest’ultimo, che consiste appunto nella sartoria liturgica, è stato pensato in collaborazione con la Caritas diocesana.

Tuttavia, la fase di studio e sperimentazione era già stata avviata da tempo e una prima ‘uscita’ vi è stata con la visita di papa Francesco ad Asti nel novembre 2022: in quanto direttore dell’ufficio liturgico diocesano, sono stato incaricato dell’organizzazione della celebrazione presieduta dal papa in Cattedrale. Così ho proposto che il Pontefice indossasse, per la liturgia, un piviale cucito dal futuro atelier, come poi è avvenuto.

Più a monte ancora, possiamo dire che Atelier Nardos nasce almeno 10 anni fa, dall’incontro di due passioni: quella mia, liturgica (ho concluso gli studi all’Istituto di Liturgia Pastorale di Padova), in particolare sui linguaggi non verbali della celebrazione, e quella sartoriale di Marina Bergantin, la sarta di Atelier Nardos. In quegli anni sono stati studiati i tessuti e sperimentati i modelli che oggi vengono utilizzati”.

Per quale motivo il richiamo al nardo?

“Atelier Nardos riconosce la propria identità nel gesto nobile e semplice della sorella di Lazzaro: Maria prese trecento grammi di profumo di puro nardo, assai prezioso, ne cosparse i piedi di Gesù, poi li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si riempì dell’aroma di quel profumo. Allora Giuda Iscariota, uno dei suoi discepoli, che stava per tradirlo, disse: ‘Perché non si è venduto questo profumo per trecento denari e non si sono dati ai poveri?’

L’olio di nardo, da cui il nome dell’Atelier, vuole essere un richiamo a quest’episodio. Quel gesto assolutamente nobile e semplice insieme, espressione di un amore squisito per il Signore, sarà ricordato per sempre. Nobile perché quell’olio non comune è diventato espressione del cuore di Maria; a Gesù vanno le cose più preziose, quel ‘di più’ non necessario, un sovrappiù straordinario, che un animo gretto ritiene uno spreco. Semplice, perché in quel gesto non vi è spazio per la vanità, o per la richiesta di un contraccambio, ma è tutto dono”.

Cosa è una sartoria ‘solidale’?

“Non so se possiamo definirci una sartoria solidale. Atelier Nardos ispira le sue modalità operative al magistero di papa Francesco, in particolare alle lettere encicliche ‘Fratelli Tutti’ e ‘Laudato Si’. Uno dei mali del nostro mondo è il ritenere sia le persone sia l’ambiente beni di consumo che vanno utilizzati finché servono a fare profitto e che poi possano essere buttati via: ‘Le persone non sono più sentite come un valore primario da rispettare e tutelare, specie se povere o disabili, se non servono ancora’ (come i nascituri), o ‘non servono più’ (come gli anziani). Oggetto di scarto non sono solo il cibo o i beni superflui, ma spesso gli stessi esseri umani’, aveva scritto papa Francesco nell’enciclica ‘Fratelli tutti’.

Atelier Nardos predilige un ambiente di lavoro che sia non soltanto un luogo dove si fa qualcosa in cambio di qualcos’altro, ma che contribuisca alla realizzazione della persona, dove lavorare sia un lavorare con gli altri e un lavorare per gli altri, offrendo occasione di scambi, di relazioni e d’incontro.

Per questo, in particolar modo nei Laboratori di Nardos le persone che si trovano insieme per crescere, acquisire capacità e autonomia. I laboratori di Nardos sono luoghi di promozione di legami comunitari, si costruisce la fraternità. Le diverse attività manuali che vengono svolte convergono in un obiettivo concreto da raggiungere insieme ma il vero scopo è far incontrare volontari e soggetti con diverse fragilità, creare un punto di incontro, confronto, di tessitura di legami che diventi sempre più per i partecipanti un punto di riferimento.

I laboratori di Nardos sono finalizzati alla realizzazione di percorsi di crescita personale, al potenziamento del livello di autonomia e allo sviluppo di capacità trasversali e pratico-manuali. Per questo motivo si svolgono in un contesto protetto che permette di rispondere in modo differenziato alle diverse esigenze e potenzialità dei partecipanti, costruendo per ognuno un possibile itinerario evolutivo, secondo tempi e modalità adeguate. Per ora è attivo soltanto un laboratorio, il ‘Telaio di Ouaffa’ (tessitura), ma ben presto partiranno i laboratori di piccola sartoria e ricamo”.

Come si fa a creare qualcosa di bello?

“L’argomento della bellezza trova immediatamente adesione e consenso. Tutti sono d’accordo nel desiderare, volere qualcosa di bello, e magari crearlo: ma a ben vedere questo argomento non è affatto tra i più semplici. Infatti: che cosa è bello? E dunque subito ci si potrebbe dividere in varie opinioni. La complessità aumenta se si tenta di articolare la bellezza in rapporto alla liturgia: in che modo la bellezza è costitutiva della celebrazione? Perché le è connaturale? Ancor di più se volessimo mettere a tema della bellezza della liturgia in chiave evangelizzante: ‘la Chiesa evangelizza con la bellezza della liturgia’, ha scritto papa Francesco nell’esortazione apostolica ‘Evangelii Gaudium’. Non è questo il luogo per affrontare questo tema.

Per Atelier Nardos è importante ritornare sempre all’icona del gesto di Maria, la sorella di Lazzaro: quel gesto assolutamente nobile e semplice insieme, e per questo assolutamente bello. ‘Nobile semplicità’ è la strada che il Concilio Vaticano II ha implicitamente indicato per ricercare la bellezza. In quella sede conciliare si diceva: ‘i riti splendano per nobile semplicità’. Due termini che paiono agli antipodi, ma che i padri conciliari hanno sapientemente cucito assieme anche per indicare due estremizzazioni errate: lo sfarzo e la banalità sciatta”.

Cosa significa confezionare abiti liturgici?

“Confezionare abiti liturgici significa anzitutto un lavoro meticoloso fatto di attenzione e cura, a partire dall’elaborazione di un’idea che diventa progetto, disegno, poi ricerca dei materiali più consoni alla sua realizzazione. Una veste liturgica, infatti, è nella sua radice un abito. Un abito arcaico, se vogliamo, ormai destinato solo all’uso rituale, ma pur sempre un abito. Pertanto, quello richiesto è un lavoro di abilità artigianale, creatività e conoscenza delle forme. Atelier Nardos progetta e confeziona vesti liturgiche esclusive, uniche ed interamente fatte a mano, utilizzando tessuti esclusivamente naturali e innovativi, provenienti da una filiera trasparente e sostenibile.

A proposito dei tessuti utilizzati, anche in questo campo ci si ispira al magistero di papa Francesco: ‘Esistono forme di inquinamento che colpiscono quotidianamente le persone. L’esposizione agli inquinanti atmosferici produce un ampio spettro di effetti sulla salute, in particolare dei più poveri.

Fra i poveri sono frequenti le malattie legate all’acqua, incluse quelle causate da microorganismi e da sostanze chimiche’, come ha scritto nell’enciclica ‘Laudato sì’. L’industria del tessile è tra le più inquinanti al mondo.

Per questo Atelier Nardos sceglie di utilizzare tessuti di alta qualità scelti con particolare attenzione da filiere che ne garantiscano la tracciabilità, trasparenti e certificate. Canapa, ortica, bamboo, lino, cotone biologico, seta certificata e burette, lana di yak, lane di pecora, e loto: sono al momento le fibre naturali e innovative che Atelier Nardos utilizza per confezionare le vesti liturgiche e suppellettili d’altare”.

Atelier Nardos ha luogo nel Santuario della Madonna del Portone: perché è stato nominato ‘Porta Paradisi’?

“Il nome Madonna del Portone è quello usato popolarmente da secoli. Si riferisce ad una delle porte della città, esistenti nelle mura di cui Asti medievale era cinta. Sull’architrave di una di queste venne affrescata l’immagine ad oggi ancora venerata. Da qui Madonna ‘del portone’. Posso poi segnalare che nel 1946 papa Pio XII costituiva compatrona di Asti la beata Vergine Maria con titolo Porta Paradisi”.

(Tratto da Aci Stampa)

Papa Leone XIV ribadisce la ‘dignità’ delle Chiese orientali

“Cristo è risorto. E’ veramente risorto! Vi saluto con le parole che, in molte regioni, l’Oriente cristiano in questo tempo pasquale non si stanca di ripetere, professando il nucleo centrale della fede e della speranza. Ed è bello vedervi qui proprio in occasione del Giubileo della speranza, della quale la risurrezione di Gesù è il fondamento indistruttibile. Benvenuti a Roma! Sono felice di incontrarvi e di dedicare ai fedeli orientali uno dei primi incontri del mio pontificato”: questo è stato il saluto di papa Leone XIV ricevendo in udienza i partecipanti al Giubileo delle Chiese orientali con un appello a far tornare nel mondo la ‘dignità della pace’.

Ripetendo le parole di papa Francesco nel discorso di qualche mese fa ai partecipanti all’Assemblea della ROACO, il papa ha sottolineato la preziosità delle Chiese orientali a conclusione del loro giubileo: “Siete preziosi. Guardando a voi, penso alla varietà delle vostre provenienze, alla storia gloriosa e alle aspre sofferenze che molte vostre comunità hanno patito o patiscono”.

Poi ha citato papa Leone XIII e papa san Giovanni Paolo II per ribadire la ‘dignità’ della liturgia delle Chiese orientali: “E’ significativo che alcune delle vostre Liturgie (in questi giorni le state celebrando solennemente a Roma secondo le varie tradizioni) utilizzano ancora la lingua del Signore Gesù.

Ma papa Leone XIII espresse un accorato appello… La sua preoccupazione di allora è molto attuale, perché ai nostri giorni tanti fratelli e sorelle orientali, tra cui diversi di voi, costretti a fuggire dai loro territori di origine a causa di guerra e persecuzioni, di instabilità e povertà, rischiano, arrivando in Occidente, di perdere, oltre alla patria, anche la propria identità religiosa. E così, con il passare delle generazioni, si smarrisce il patrimonio inestimabile delle Chiese Orientali”.

E’ stato un invito anche a sostenere i cattolici che devono fuggire dalle terre del Medio Oriente: “Accogliamo l’appello a custodire e promuovere l’Oriente cristiano, soprattutto nella diaspora; qui, oltre ad erigere, dove possibile e opportuno, delle circoscrizioni orientali, occorre sensibilizzare i latini. In questo senso chiedo al Dicastero per le Chiese Orientali, che ringrazio per il suo lavoro, di aiutarmi a definire principi, norme, linee-guida attraverso cui i Pastori latini possano concretamente sostenere i cattolici orientali della diaspora e a preservare le loro tradizioni viventi e ad arricchire con la loro specificità il contesto in cui vivono”.

Per questo ha sottolineato che la Chiesa ha bisogno di loro: “Quanto è grande l’apporto che può darci oggi l’Oriente cristiano! Quanto bisogno abbiamo di recuperare il senso del mistero, così vivo nelle vostre liturgie, che coinvolgono la persona umana nella sua totalità, cantano la bellezza della salvezza e suscitano lo stupore per la grandezza divina che abbraccia la piccolezza umana!”

Ed ha sottolineato che occorre riscoprire la spiritualità orientale: “E quanto è importante riscoprire, anche nell’Occidente cristiano, il senso del primato di Dio, il valore della mistagogia, dell’intercessione incessante, della penitenza, del digiuno, del pianto per i peccati propri e dell’intera umanità (penthos), così tipici delle spiritualità orientali! Perciò è fondamentale custodire le vostre tradizioni senza annacquarle, magari per praticità e comodità, così che non vengano corrotte da uno spirito consumistico e utilitarista”.

Il motivo di questo appello consiste nel fatto che la spiritualità orientale è come medicina, riprendendo le parole di sant’Efrem il Siro: “Le vostre spiritualità, antiche e sempre nuove, sono medicinali. In esse il senso drammatico della miseria umana si fonde con lo stupore per la misericordia divina, così che le nostre bassezze non provochino disperazione, ma invitino ad accogliere la grazia di essere creature risanate, divinizzate ed elevate alle altezze celesti. Abbiamo bisogno di lodare e ringraziare senza fine il Signore per questo…

E’ un dono da chiedere quello di saper vedere la certezza della Pasqua in ogni travaglio della vita e di non perderci d’animo ricordando, come scriveva un altro grande padre orientale, che ‘il più grande peccato è non credere nelle energie della Risurrezione’”.

Ciò è dovuto perché conoscono il male della guerra e ne sono martiri: “Chi dunque, più di voi, può cantare parole di speranza nell’abisso della violenza? Chi più di voi, che conoscete da vicino gli orrori della guerra, tanto che papa Francesco chiamò le vostre Chiese ‘martiriali’? E’ vero: dalla Terra Santa all’Ucraina, dal Libano alla Siria, dal Medio Oriente al Tigray e al Caucaso, quanta violenza!”

Per questo papa Leone XIV ha invitato a pregare per la pace: “E su tutto questo orrore, sui massacri di tante giovani vite, che dovrebbero provocare sdegno, perché, in nome della conquista militare, a morire sono le persone, si staglia un appello: non tanto quello del papa, ma di Cristo, che ripete: ‘Pace a voi!’… La pace di Cristo non è il silenzio tombale dopo il conflitto, non è il risultato della sopraffazione, ma è un dono che guarda alle persone e ne riattiva la vita. Preghiamo per questa pace, che è riconciliazione, perdono, coraggio di voltare pagina e ricominciare”.

Anzi, papa e Chiesa saranno in prima linea per la promozione della pace: “Perché questa pace si diffonda, io impiegherò ogni sforzo. La Santa Sede è a disposizione perché i nemici si incontrino e si guardino negli occhi, perché ai popoli sia restituita una speranza e sia ridata la dignità che meritano, la dignità della pace. I popoli vogliono la pace e io, col cuore in mano, dico ai responsabili dei popoli: incontriamoci, dialoghiamo, negoziamo!”

E’ stato un invito a non uccidere: “La guerra non è mai inevitabile, le armi possono e devono tacere, perché non risolvono i problemi ma li aumentano; perché passerà alla storia chi seminerà pace, non chi mieterà vittime; perché gli altri non sono anzitutto nemici, ma esseri umani: non cattivi da odiare, ma persone con cui parlare. Rifuggiamo le visioni manichee tipiche delle narrazioni violente, che dividono il mondo in buoni e cattivi”.

Quindi ha chiesto che i cristiani non siano cacciati dalla terra Santa: “La Chiesa non si stancherà di ripetere: tacciano le armi. E vorrei ringraziare Dio per quanti nel silenzio, nella preghiera, nell’offerta cuciono trame di pace; e i cristiani (orientali e latini) che, specialmente in Medio Oriente, perseverano e resistono nelle loro terre, più forti della tentazione di abbandonarle. Ai cristiani va data la possibilità, non solo a parole, di rimanere nelle loro terre con tutti i diritti necessari per un’esistenza sicura. Vi prego, ci si impegni per questo!”

Ha concluso l’udienza con la citazione di san Simeone il Nuovo Teologo, che invitava a non ‘spegnere’ il cuore: “Continuate a brillare per fede, speranza e carità, e per null’altro. Le vostre Chiese siano di esempio, e i Pastori promuovano con rettitudine la comunione, soprattutto nei Sinodi dei Vescovi, perché siano luoghi di collegialità e di corresponsabilità autentica. Si curi la trasparenza nella gestione dei beni, si dia testimonianza di dedizione umile e totale al santo popolo di Dio, senza attaccamenti agli onori, ai poteri del mondo e alla propria immagine”.

(Foto: Santa Sede)

Card. Gugerotti: Colletta pro Terra Santa tra le priorità pastorali

“Mentre vi scrivo, il nostro cuore è sollevato dalla tregua in atto. Sappiamo che è fragile e che, per natura sua, non basterà da sola a risolvere i problemi e ad estinguere l’odio in quell’area. Ma almeno gli occhi non vedono ulteriori esplosioni e non perpetuano l’angoscia dell’irreparabile. Abbiamo visto pianti, disperazione, distruzione ovunque. Ora la nostra speranza è che il trionfo della morte inferta non sia la sua eterna vittoria. E ci torna la speranza di vedere il Risorto, Gesù Cristo nostro Signore, che proprio in quella terra mostrò, vivo, le piaghe della sua passione”.

Con queste parole, firmate dal card. Claudio Gugerotti, prefetto del Dicastero per le Chiese Orientali e da mons. Michel Jalakh, segretario della stessa istituzione, comincia l’Appello per la Colletta dei Cristiani in Terra Santa, in cui si ribadisce la necessità della pace in Terra Santa con le parole del profeta Ezechiele:

“Subito torna alla mente il nostro dovere (e uso questo termine con trepidazione, ma con decisione) di correre per aiutare, appena concretamente possibile, la vita a rinascere… Tutti, a partire dai bambini, hanno diritto a vivere in pace e a riavere case e scuole, a giocare insieme senza la paura di rivedere il ghigno satanico della morte. E’ vero. Per noi cristiani i Luoghi Santi hanno un valore particolare, sono incarnazione dell’Incarnazione. Essi sono stati custoditi fin dagli inizi dalle comunità cristiane, nella varietà delle loro tradizioni, e da secoli i Frati minori della Custodia li curano con fedeltà mirabile”.

Quindi hanno ricordato le opere di carità che la Chiesa promuove in Terra Santa: “Intorno a quei luoghi sono sbocciate iniziative di grande valore pastorale: parrocchie, scuole, ospedali, case per anziani, centri di assistenza a migranti, sfollati, rifugiati. Proprio per aiutare a sostenere tutto questo il Santo Papa Paolo VI ha istituito la Colletta per i Luoghi Santi, nella forma che da allora viene annualmente ripetuta il venerdì santo o in altra data localmente fissata”.

Per questo la Colletta diventa un sostegno essenziale: “Quest’anno la Colletta diventa una risorsa imprescindibile: dopo la pandemia, la quasi completa interruzione dei pellegrinaggi e delle piccole attività che soprattutto i cristiani hanno creato a lato di essi, molti sono stati costretti all’esilio. Se vogliamo rinforzare la Terra Santa e assicurare il contatto vivo con i Luoghi Santi, occorre sostenere comunità cristiane che, nella loro varietà, offrano al Dio-con-noi la loro lode perenne, anche a nome nostro. Ma perché questo avvenga, abbiamo assoluto bisogno del dono generoso delle vostre comunità”.

In questo senso la Colletta è una ‘priorità’ pastorale’: “Vorrei che voi, Fratelli vescovi, facendo memoria delle immagini di distruzione e di morte che sono passate costantemente sotto i vostri occhi in questi tempi di nuovo Calvario, vi faceste apostoli persuasivi di questo impegno. La Terra Santa, i Luoghi Santi, il Popolo Santo di Dio sono la vostra famiglia, perché sono patrimonio di tutti noi.

Sentite, vi prego, la Colletta come una delle vostre priorità pastorali: qui è in gioco la sopravvivenza di questa nostra preziosa presenza, che risale direttamente ai tempi di Gesù. Sono certo che il vostro entusiasmo e la vostra cura affettuosa si trasmetteranno alle comunità che vi sono affidate”.

L’appello si conclude con l’invito a rendere tale gesto come ‘liturgia’: “Per cortesia, evitate che le nostre Chiese promuovano collette parallele per lo stesso scopo, perché non siano compromessi il significato e l’efficacia della vostra carità, iniziativa universale del Successore di Pietro, il Vescovo di Roma. Quanto avrete raccolto potrà essere rimesso direttamente a questo Dicastero dai Commissariati di Terra Santa del vostro Paese. Ci aspettiamo che nessuna comunità consideri questa ‘liturgia’, come veniva chiamata in antico, quale cosa che non la riguarda”.

La ‘Colletta per la Terra Santa’ nasce dalla volontà dei papi di mantenere saldo il legame tra tutti i Cristiani del mondo e i Luoghi Santi. Essa rappresenta una fonte principale di sostentamento per la vita che si svolge attorno ai Luoghi Santi e costituisce lo strumento con cui la Chiesa si pone accanto alle comunità ecclesiali del Medio Oriente. Con l’Esortazione Apostolica ‘Nobis in Animo’ (25 marzo 1974), il Santo Papa Paolo VI ha dato un impulso decisivo a favore della Terra Santa, che aveva visitato nel suo storico pellegrinaggio del 1964.

Attraverso la Colletta, la Custodia Francescana può portare avanti la sua missione fondamentale: custodire i Luoghi Santi, le pietre della memoria, e favorire la presenza cristiana, le pietre vive della Terra Santa. Questo avviene mediante numerose attività di solidarietà, come il mantenimento delle strutture pastorali, educative, assistenziali, sanitarie e sociali. Di norma, la Custodia di Terra Santa riceve il 65% dei proventi della Colletta, mentre il restante 35% viene destinato al Dicastero per le Chiese Orientali, che provvede a distribuirlo.

Liturgia virale per vivere l’Eucarestia

Negli ultimi anni, la pandemia ha scosso le fondamenta della nostra società, mettendo alla prova non solo la salute pubblica, ma anche la dimensione spirituale delle nostre vite. In particolare, il modo in cui viviamo la liturgia ha subito trasformazioni drastiche, ponendo interrogativi profondi sul suo ruolo in tempi di emergenza. Il libro Liturgia Virale di don Enrico Finotti affronta proprio questi temi, proponendo una riflessione lucida e documentata sulle difficoltà incontrate e sulle risposte che la Chiesa ha cercato di dare.

Quale posto ha la liturgia nelle nostre vite? Possiamo davvero celebrare l’Eucaristia senza il popolo? La Messa trasmessa online è una soluzione sufficiente? Quali conseguenze ha avuto la pratica della Comunione nelle mani? E soprattutto: cosa ci ha insegnato questo periodo sulla centralità della liturgia nella vita cristiana?

Liturgia Virale ripercorre le problematiche liturgiche emerse durante la pandemia, offrendo risposte chiare e fondate sulla Tradizione della Chiesa. Un testo che non solo aiuta a comprendere il passato recente, ma che diventa un monito per il futuro, affinché la celebrazione dei Sacramenti non venga mai più relegata a semplice optional nella vita dei fedeli.

Il libro si struttura in una serie di capitoli che affrontano, con precisione e rigore, questioni di grande attualità: la Messa senza il popolo: riflessioni sulla sua legittimità e sul valore della celebrazione comunitaria. Il diritto liturgico: quali sono le norme fondamentali che regolano la celebrazione dei Sacramenti? La sanificazione delle chiese e la santificazione delle anime: un confronto tra sicurezza sanitaria e necessità spirituali.

Gli audiovisivi nella liturgia: un’opportunità o un rischio di desacralizzazione? La crisi dei novissimi: perché la pandemia ha fatto emergere una crisi profonda nella predicazione su morte, giudizio, inferno e paradiso?

Don Enrico Finotti non si limita a un’analisi teorica, ma invita il lettore a interrogarsi sulla propria vita spirituale. La liturgia non è un semplice rituale, ma il cuore pulsante della fede cristiana. Come possiamo riscoprirne il valore autentico?

In tempi di crisi, la tentazione è quella di trovare soluzioni pratiche immediate, ma senza una vera riflessione sul significato profondo della liturgia. Liturgia Virale ci aiuta a prendere coscienza di quanto sia importante custodire e vivere con fedeltà il culto divino, indipendentemente dalle difficoltà contingenti.

Un libro per tutti i fedeli e gli operatori pastorali; per chi vuole comprendere meglio le sfide liturgiche emerse durante la pandemia; per sacerdoti e catechisti che desiderano approfondire il diritto liturgico e la pastorale sacramentale; per i fedeli che si chiedono quale sia il vero posto della liturgia nella loro vita e come affrontare le crisi con una fede più salda.

Con la presentazione di Aurelio Porfiri, ‘Liturgia Virale’ si propone come un testo di grande valore per chi desidera capire e difendere il vero significato della liturgia in tempi difficili. Un libro che non solo illumina il passato recente, ma che offre anche strumenti concreti per affrontare il futuro con una fede più consapevole e radicata.

Papa Francesco invita a celebrare bene la liturgia

Finestre del Gemelli con statua Giovanni Paolo II e foto di Papa Francesco

‘Come nei giorni scorsi, la notte è trascorsa tranquilla e il Papa ora sta riposando’: lo ha reso noto la Sala Stampa Vaticana nell’aggiornamento di stamani, 28 febbraio, sullo stato di salute del Pontefice ricoverato dal 14 febbraio al Policlinico Gemelli. Anzi nei giorni scorsi ha inviato anche un messaggio ai partecipanti al ‘Corso internazionale di formazione per responsabili delle celebrazioni liturgiche del vescovo’ svoltosi a Roma in cui ha invitato a studiare la liturgia:

“Tale dimensione tocca la vita del popolo di Dio e gli rivela la sua vera natura spirituale. Perciò il responsabile delle celebrazioni liturgiche non è soltanto un docente di teologia; non è un rubricista, che applica le norme; non è un sacrestano, che prepara ciò che serve per la celebrazione. Egli è un maestro posto al servizio della preghiera della comunità. Mentre insegna umilmente l’arte liturgica, deve guidare tutti coloro che celebrano, scandendo il ritmo rituale e accompagnando i fedeli nell’evento sacramentale”.

E’ stato un invito alla cura liturgica delle celebrazioni: “Come mistagogo, predispone ogni celebrazione con saggezza, per il bene dell’assemblea; traduce in prassi celebrativa i principi teologici espressi nei libri liturgici; affianca e sostiene il Vescovo nel ruolo di promotore e custode della vita liturgica. Così coadiuvato, il pastore può condurre dolcemente tutta la comunità diocesana nell’offerta di sé al Padre, a imitazione di Cristo Signore”.

Per questo è importante la cura della preghiera: “In ogni vostra mansione, non dimenticate che la cura per la liturgia è anzitutto cura per la preghiera, cioè per l’incontro con il Signore. Proclamando Santa Teresa d’Avila dottore della Chiesa, san Paolo VI ne definiva l’esperienza mistica come un amore che diventa luce e sapienza: sapienza delle cose divine e delle cose umane.

Questa grande maestra della vita spirituale vi sia di esempio: infatti, preparare e guidare le celebrazioni liturgiche significa coniugare tra loro sapienza divina e sapienza umana. La prima si acquisisce pregando, meditando, contemplando; la seconda viene dallo studio, dall’impegno di approfondire, dalla capacità di mettersi in ascolto”.

E’ stato un invito a ‘guardare’ i fedeli: “Per riuscire in questi compiti, vi consiglio di tenere lo sguardo rivolto al popolo, del quale il Vescovo è pastore e padre: questo vi aiuterà a capire le esigenze dei fedeli, come pure le forme e le modalità per favorire la loro partecipazione all’azione liturgica”.

Per celebrare bene occorre coniugare dottrina e pastorale: “Poiché il culto è opera di tutta l’assemblea, l’incontro tra dottrina e pastorale non è una tecnica opzionale, bensì un aspetto costitutivo della liturgia, che deve sempre essere incarnata, inculturata, esprimendo la fede della Chiesa. Di conseguenza, le gioie e le sofferenze, i sogni e le preoccupazioni del popolo di Dio possiedono un valore ermeneutico che non possiamo ignorare.

Mi piace richiamare, a riguardo, quanto scriveva il primo preside del Pontificio Istituto Liturgico, l’Abate benedettino Salvatore Marsili. Era il 1964: con lungimiranza egli invitava a prendere coscienza del messaggio del Concilio Vaticano II, alla luce del quale non è possibile una vera pastorale senza liturgia, perché la liturgia è il culmine a cui tende tutta l’azione della Chiesa”.

Però per il mercoledì delle Ceneri le celebrazioni saranno presiedute dal Penitenziere Maggiore il Cardinale Angelo De Donatis, e in prospettiva si attendono gli esercizi spirituali della Curia Romana che iniziano la prima domenica di Quaresima.

Papa Francesco: speranza è Dio fattosi uomo

Questa mattina papa Francesco ha ricevuto in udienza i vescovi, formatori e seminaristi della Provincia Ecclesiastica di Valencia, regione colpita nello scorso ottobre dalle alluvioni, mettendolo subito in evidenza: “Non mi è facile esprimervi i miei sentimenti, pensando ai Natali sicuramente atipici con quell’esperienza che ‘Dio si è fatto argilla’ in voi”.

Però, ha sottolineato che il dolore apre alla speranza: “Un dolore e un lutto che, pur nella sua durezza, ci apre alla speranza perché, costringendoci a toccare il fondo e a lasciare alle spalle tutto ciò che sembrava sostenerci, ci permette di andare oltre. Non è qualcosa che possiamo fare da soli, è un’immensa oscurità che avete sperimentato e state vivendo. E penso all’aiuto disinteressato di tante persone, gli occhi pieni di dedizione della gente, hanno saputo illuminarci con la tenerezza di Dio”.

E’ stato un invito ad essere in ogni situazione, in quanto tali fenomeni meteorologici (DANA) si possono ripetere, ed il compito dei cristiani si concretizza nella presenza e nella vicinanza: “Sei chiamato a lavorare in questo campo. DANA non è un fenomeno atipico che semplicemente speriamo non si ripeta, è l’estrapolazione di ciò che sperimenta ogni essere umano che affronta una perdita e si sente solo, fuori posto e bisognoso di sostegno per poter continuare.

Gesù lo dice molto chiaramente: ‘Per questo sono stato unto (per questo siete unti voi) per fasciare i cuori spezzati e proclamare l’anno di grazia del Signore’. Siamo già in quest’Anno di Grazia, che ho voluto dedicare alla speranza e che vivrete in tutta la sua forza meditando queste parole”.

Quindi ha concluso l’incontro ribandendo che la speranza non è ottimismo: “Una volta ho detto che ‘speranza’ non è ‘ottimismo’. ‘Ottimismo’ è un’espressione leggera, la speranza è un’altra cosa. Non possiamo prendere alla leggera la sofferenza delle persone e cercare di consolarle con frasi di circostanza e di bontà”.

La speranza è Gesù, con l’invito a donarsi: “La nostra speranza ha un nome, Gesù, quel Dio che non si è sentito disgustato dal nostro fango e che, invece di salvarci dal fango, si è fatto fango per noi. Ed essere prete è essere un altro Cristo, è diventare fango nelle lacrime della gente, e quando vedi la gente distrutta, perché a Valencia c’è gente distrutta, che ha perso la vita a pezzi, dai pezzi di voi stessi, come fa Cristo nell’Eucaristia. Per favore donatevi gratuitamente, perché tutto ciò che avete è stato ricevuto gratuitamente, non dimenticatevi della gratuità”.

Inoltre ha inviato un messaggio a p. Geoffroy Kemlin, abate di Saint-Pierre di Solesmes e presidente della Congregazione di Solesmes in occasione del 150° anniversario della morte di dom Prosper Guéranger: “Desidero esprimere il mio incoraggiamento e la mia affettuosa vicinanza a quanti hanno impegnato la loro vita sulla scia di questo servitore della Chiesa, o si adoperano per far conoscere la sua vita e la sua opera. Benedico anima mea Domino. Questo versetto del Salmo 102 fu una delle ultime parole che pronunciò prima di rimettere la sua anima nelle mani del Padre il 30 gennaio 1875”.

Nel messaggio il papa ha sottolineato alcune caratteristiche di questo fondatore: “Evocando dom Guéranger, i miei predecessori hanno sottolineato le diverse espressioni del suo carisma ricevute per l’edificazione di tutta la Chiesa: il suo ruolo di restauratore della vita monastica benedettina in Francia, la sua scienza liturgica posta al servizio del popolo di Dio, la sua ardente pietà verso il Sacro Cuore di Gesù e della Vergine Maria, la sua opera a favore della definizione del dogma dell’Immacolata Concezione e di quello dell’infallibilità pontificio, i suoi scritti in difesa della libertà della Chiesa”.

Per questo ha sottolineato due aspetti particolari, soffermandosi sulla liturgia: “Vorrei, a mia volta, evidenziare due aspetti di questo carisma che corrispondono a due esigenze attuali della Chiesa: la fedeltà alla Santa Sede e al Successore di Pietro, particolarmente nell’ambito della liturgia, e la paternità spirituale.

Dom Guéranger è stato senza dubbio uno dei primi artefici del Movimento Liturgico, il cui bel frutto è stata la Costituzione ‘Sacrosanctum Concilium’ del Concilio Vaticano II. La riscoperta storica, teologica ed ecclesiologica della liturgia, come linguaggio della Chiesa ed espressione della sua fede, fu al centro della sua opera, prima come sacerdote diocesano poi come monaco benedettino.

Questa riscoperta ispirò in particolare le sue pubblicazioni a favore del ritorno delle diocesi di Francia all’unità della liturgia romana, e fu ciò che lo spinse a scrivere i volumi de ‘L’Anno liturgico’ per mettere alla portata dei sacerdoti e dei laici la bellezza e la ricchezza della liturgia”.

 L’altro aspetto del suo carisma consiste nella paternità spirituale: “Attento allo Spirito Santo operante nelle anime, dom Guéranger desiderava una sola cosa: aiutarle nella ricerca di Dio. Plasmato dalla Regola benedettina e dalla lode divina, la sua dolce e gioiosa fiducia in Dio toccava il cuore dei monaci che si stringevano attorno a lui, delle monache che beneficiavano dei suoi insegnamenti, ma anche degli uomini e delle donne con responsabilità Chiesa e società, e soprattutto padri e madri, figli, piccoli e umili che ricorrevano ai suoi consigli spirituali. Nei tempi di pace come nei giorni di avversità, tutti trovavano in Lui il rafforzamento o il rinnovamento della fede, il gusto della preghiera e l’amore della Chiesa”.

Ecco il motivo per cui il papa prega perché la sua opera porti ‘frutto’: “Prego affinché l’opera del servo di Dio, dom Guéranger, continui a produrre frutti di santità in tutto il popolo fedele, e rimanga anche una testimonianza viva della fecondità della vita monastica, nel cuore della Chiesa”.

Infine ha inviato un messaggio al metropolita di Korça Locum Tenens della Chiesa Ortodossa, sua eminenza Giovanni, per la scomparsa di sua beatitudine Anastas, arcivescovo di Tirana, Durrës e di tutta l’Albania, deceduto a 95 anni il 25 gennaio: “La fede della comunità ortodossa albanese è stata certamente incarnata nella vita del nostro caro fratello, il cui zelante servizio pastorale ha aiutato la gente a riscoprirne la ricchezza e la bellezza dopo gli anni di ateismo e persecuzione imposti dallo Stato. A questo proposito, ho cari ricordi del mio incontro con Sua Beatitudine durante il mio primo viaggio apostolico fuori dall’Italia, e custodisco gelosamente l’abbraccio fraterno e le parole scambiate in quell’occasione”.

Ed ha ricordato il suo ‘fervente’ ministero: “Nel corso della sua lunga vita e del suo ministero come sacerdote e come vescovo, ha sempre manifestato una profonda dedizione al Vangelo, servendo e annunciando il Signore in vari contesti geografici e culturali, in Grecia, Africa e Albania…

Quando ha assunto la responsabilità di guidare la Chiesa ortodossa in Albania, ha desiderato entrare profondamente nei cuori di coloro che gli erano stati affidati, in particolare nelle loro tradizioni e identità, senza mai perdere la comunione con le altre Chiese ortodosse. Allo stesso tempo, si è anche impegnato volentieri nel dialogo e ha promosso la pacifica convivenza con altre Chiese e religioni”.

(Foto: Santa Sede)

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