Green economy tutta cattolica alla Lateranense: intervista al Professor Buonomo

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Una riflessione tout court sull’ambiente guardando alla prossima Conferenza delle Nazioni Unite sullo sviluppo sostenibile che si terrà a Rio de Janeiro il prossimo giugno. È questo il senso di “La Green Economy tra sostenibilità e solidarietà”, giornata di studi internazionalistica organizzata dalla Pontificia Università Lateranense il 29 marzo. A promuoverla Vincenzo Buonomo ordinario di Diritto internazionale e decano della Facoltà di Diritto Civile della Pontificia Università Lateranense che ha coordinato i lavori introdotti dalla relazione di Ettore Balestrero, Sotto-Segretario per i Rapporti con gli Stati della Segreteria di Stato. Il contributo di Balestrero ha illustrato l’impegno della Santa Sede all’interno del processo di Rio+20. Un processo in vista della Conferenza delle Nazioni Uniti che ha visto la Santa Sede coinvolta nel non slegare le necessarie soluzioni tecniche dalla fondamentale «comprensione dell’essere umano e delle sue relazioni con le altre persone, con l’intera creazione di Dio». Propria la «responsabilità dell’uomo nei confronti della Creazione» è stata una delle questioni su cui ha insistito Vincenzo Buonomo a cui abbiamo chiesto di spiegare il senso dell’iniziativa.

Prof. Buonomo che cosa si intende per “economia verde”?

Una visione e una realtà economica in cui sia prioritaria la salvaguardia dei differenti ecosistemi (acqua, terreni, aria, foreste, biodiversità…) rispetto al primato dello sfruttamento senza limiti e ai conseguenti livelli elevati di consumo delle risorse e quindi del pianeta. Situazioni a cui si contrappongono povertà, sottosviluppo e mancata valutazione dei danni provocati sull’ambiente. Una visione dell’economia in cui sia prevalente l’attenzione alla sostenibilità, ovvero l’impegno a preservare l’ordine della creazione a tutto vantaggio non solo delle presenti generazioni, ma anche di quelle future. Non si tratta di un rigido sistema di regole ma di un quadro decisionale in cui sia prevalente la responsabilità capace di far interagire il profilo economico, quello sociale e quello ambientale. Mettere in atto comportamenti e attività capaci di includere e non di escludere ogni persona e ogni Paese.

Perché quella che, a titolo speciale, è l’Università del Papa decide di riflettere su un tema così “laico”?

Che la questione sia centrale per la vita interna degli Stati e dell’intera Comunità internazionale è facile intuirlo, purtroppo sempre più attraverso segnali negativi. Modificarli significa puntare su un progetto di formazione che renda consapevoli delle responsabilità che abbiamo verso la Creazione. Anche una coscienza ecologica formata è un obiettivo da raggiungere nell’attuale fase di emergenza educativa e questo spiega ampiamente la scelta operata che nel Seminario è per altro di tipo interdisciplinare: filosofia, teologia, economia sociologia e diritto. Questo perché l’Università è chiamata ad approfondire studi e ad avviare dibattiti partendo dal dato scientifico che le singole discipline presentano, m anche a favorire un dibattito interdisciplinare tentando quella reductio ad unum che può rappresentare la vera unità dei saperi.

La salvaguardia del creato è una delle istanze principali della Dottrina sociale della Chiesa. Quale è la posizione della Chiesa sull’Ambiente?

È la scelta della persona umana, posta al centro delle preoccupazioni per la tutela dell’ambiente, per la formazione di una coscienza ecologica, per la salvaguardia dei beni posti a disposizione dalla Creazione. Una persona che nel pieno rispetto dell’autonomia delle realtà temporali è capace di operare dal di dentro per orientarle e modificarle. Solo così è dato di concorrere a una protezione dell’ambiente che non sia ambientalismo, a una coscienza ecologica che non sia ecologismo. “Rio+20, giugno 2012”.

Cosa si aspetta possa emergere da questo appuntamento 20 anni dopo la celebre conferenza sull’ambiente nella metropoli brasiliana e la conseguente stesura della dichiarazione finale?

Dopo 20 anni la situazione non appare migliore, anche se non mancano indicazioni forti che fanno capire come nonostante gli impedimenti posti dalla logica del profitto e dell’uso indiscriminato delle risorse, abbiamo preso coscienza della necessità di “governare” l’ambiente. La risposta in termini giuridici e istituzionali alla questione ecologica è oggi di tipo “extraterritoriale”, nel senso che nessun Paese – o anche gruppi di Paesi – può pensare di dare risposte formulare proposte autonomamente. La governance ambientale è necessariamente comune come comuni debbono essere le istituzioni che operano a livello di Comunità internazionale, ma con effettiva attribuzione di competenze. Non basta pensare a strutture e crearle, occorre che siano realmente funzionali e cioè capaci di dare risposte, indicare obiettivi e, soprattutto di valutare i comportamenti messi in atto in ragione delle risposte date e degli obiettivi indicati. Questo ci si aspetta da Rio+20, per dare a ogni singola persona e alla famiglia umana nella sua unità una risposta in termini di solidarietà, equità, partecipazione, sostenibilità, diritti fondamentali (a iniziare da quello al cibo e quello all’acqua), trasparenza. Risposta in termini di responsabilità di proteggere non astrattamente l’ambiente, ma la persona e il suo ambiente.

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