Papa Francesco: l’amore è una relazione di speranza

Nella catechesi preparata per l’udienza generale, annullata per la convalescenza a Casa Santa Marta, dopo il ricovero di oltre un mese al Policlinico Gemelli, papa Francesco ha riflettuto sulla parabola del figlio prodigo e invita i fedeli a domandarsi in quale ‘posizione’ ci si trova nella parabola: “Partiamo dalla parabola più famosa, quella che tutti noi ricordiamo forse da quando eravamo piccoli: la parabola del padre e dei due figli. In essa troviamo il cuore del Vangelo di Gesù, cioè la misericordia di Dio.
L’evangelista Luca dice che Gesù racconta questa parabola per i farisei e gli scribi, i quali mormoravano per il fatto che Lui mangiava con i peccatori. Per questo si potrebbe dire che è una parabola rivolta a coloro che si sono persi, ma non lo sanno e giudicano gli altri”.
Nella catechesi il papa ha sottolineato il messaggio di speranza della parabola: “Il Vangelo vuole consegnarci un messaggio di speranza, perché ci dice che dovunque ci siamo persi, in qualunque modo ci siamo persi, Dio viene sempre a cercarci! Ci siamo persi forse come una pecora, uscita dal sentiero per brucare l’erba, o rimasta indietro per la stanchezza.
O forse ci siamo persi come una moneta, che magari è caduta per terra e non si trova più, oppure qualcuno l’ha messa da qualche parte e non ricorda dove. Oppure ci siamo persi come i due figli di questo padre: il più giovane perché si è stancato di stare dentro una relazione che sentiva come troppo esigente; ma anche il maggiore si è perso, perché non basta rimanere a casa se nel cuore ci sono orgoglio e rancore”.
Per questo il papa ha sottolineato che amare significa disporsi all’incontro: “L’amore è sempre un impegno, c’è sempre qualcosa che dobbiamo perdere per andare incontro all’altro. Ma il figlio minore della parabola pensa solo a sé stesso, come accade in certe fasi dell’infanzia e dell’adolescenza. In realtà, intorno a noi vediamo anche tanti adulti così, che non riescono a portare avanti una relazione perché sono egoisti. Si illudono di ritrovare sé stessi e invece si perdono, perché solo quando viviamo per qualcuno viviamo veramente”.
Quindi l’amore è una condizione relazionale: “Questo figlio più giovane, come tutti noi, ha fame di affetto, vuole essere voluto bene. Ma l’amore è un dono prezioso, va trattato con cura. Egli invece lo sperpera, si svende, non si rispetta. Se ne accorge nei tempi di carestia, quando nessuno si cura di lui. Il rischio è che in quei momenti ci mettiamo a elemosinare l’affetto e ci attacchiamo al primo padrone che capita.
Sono queste esperienze che fanno nascere dentro di noi la convinzione distorta di poter stare in una relazione solo da servi, come se dovessimo espiare una colpa o come se non potesse esistere l’amore vero. Il figlio minore, infatti, quando ha toccato il fondo, pensa di tornare a casa del padre per raccogliere da terra qualche briciola d’affetto”.
Ed ha richiamato un quadro di Rembrandt: “Solo chi ci vuole veramente bene può liberarci da questa visione falsa dell’amore. Nella relazione con Dio facciamo proprio questa esperienza. Il grande pittore Rembrandt, in un famoso dipinto, ha rappresentato in maniera meravigliosa il ritorno del figlio prodigo. Mi colpiscono soprattutto due particolari: la testa del giovane è rasata, come quella di un penitente, ma sembra anche la testa di un bambino, perché questo figlio sta nascendo di nuovo. E poi le mani del padre: una maschile e l’altra femminile, per descrivere la forza e la tenerezza nell’abbraccio del perdono”.
Inoltre la parabola focalizza l’attenzione anche sul figlio maggiore: “Ma è il figlio maggiore che rappresenta coloro per i quali la parabola viene raccontata: è il figlio che è sempre rimasto a casa con il padre, eppure era distante da lui, distante nel cuore. Questo figlio forse avrebbe voluto andarsene anche lui, ma per timore o per dovere è rimasto lì, in quella relazione. Quando però ti adatti contro voglia, cominci a covare rabbia dentro di te, e prima o poi questa rabbia esplode”.
Il ‘problema’ del figlio maggiore consiste nel non comprendere la misericordia come forma di giustizia, che è apertura alla speranza: “Paradossalmente, è proprio il figlio maggiore che alla fine rischia di rimanere fuori di casa, perché non condivide la gioia del padre. Il padre esce anche incontro a lui. Non lo rimprovera e non lo richiama al dovere. Vuole solo che senta il suo amore.
Lo invita a entrare e lascia la porta aperta. Quella porta rimane aperta anche per noi. E’ questo, infatti, il motivo della speranza: possiamo sperare perché sappiamo che il Padre ci aspetta, ci vede da lontano, e lascia sempre la porta aperta”.
Tale parabola può essere letta anche per noi: “Cari fratelli e sorelle, chiediamoci allora dove siamo noi in questo meraviglioso racconto. E chiediamo a Dio Padre la grazia di poter ritrovare anche noi la strada per tornare verso casa”.
Inoltre sul mensile ‘Piazza San Pietro’, diretto da p. Enzo Fortunato, il papa ha risposto ad una domanda sui costi eccessivi dei voli che impediscono a molte famiglie di celebrare le feste con i figli lontani: “Le famiglie vanno sostenute per stare insieme. In questo cambiamento d’epoca, molti giovani, molti figli hanno trovato lavoro lontano dai genitori e non possono trascorrere con loro nemmeno le feste di Natale e Pasqua.
A volte anche la distanza allenta i rapporti, crea incomprensioni e difficoltà. Sarebbe bello che le grandi compagnie potessero istituire dei bonus per il ricongiungimento familiare, almeno per le festività di Natale e Pasqua. Sarebbe un atto di umanità e di fraternità, a cui è chiamato anche il mondo dell’economia e delle imprese”.
Però ha suggerito alle famiglie anche l’uso della tecnologia: “Possiamo usare la videochiamata, durante la quale possiamo anche pregare insieme a distanza, confrontarci con la Parola di Dio, e crescere nella comunione. Non può essere la regola, ma in qualche caso possiamo far ricorso a questi nuovi strumenti, ad esempio anche attraverso l’uso di una chat familiare, nella quale ogni giorno si propone di condividere e meditare una frase del Vangelo, per supportarci anche a distanza nel cammino di fede”.