Dal Giubileo della comunicazione un invito a sanare le divisioni

“Volevo soltanto dire una parola sulla comunicazione. Comunicare è uscire un po’ da sé stessi per dare del mio all’altro. E la comunicazione non solo è l’uscita, ma anche l’incontro con l’altro. Saper comunicare è una grande saggezza, una grande saggezza!.. Comunicare quello che fa Dio con il Figlio, e la comunicazione di Dio con il Figlio e lo Spirito Santo. Comunicare una cosa divina. Grazie di quello che voi fate, grazie tante! Sono contento”: con queste brevi parole papa Francesco ha accolto i giornalisti ed i comunicatori in occasione del Giubileo della Comunicazione, che ha visto la partecipazione della giornalista filippina, che è stato Premio Nobel per la pace, Maria Ress, e dello scrittore americano Colum McCann, autore di ‘Apeirogon’, che ha sottolineato che ‘il mondo è fatto dalle storie degli altri’, raccontato attraverso l’epistolario tra Sigmund Freud ed Albert Einstein:
“Stiamo vivendo un’epoca straordinariamente umana e al contempo profondamente disumana. Da un lato, abbiamo raggiunto traguardi spettacolari nella scienza, nella medicina, nell’arte e nella tecnologia. Siamo in grado di connetterci istantaneamente gli uni con gli altri, di cogliere le sfumature delle vite altrui anche a grandi distanze. I nostri telefoni funzionano, i nostri interruttori rispondono, dai nostri rubinetti scorre l’acqua. I nostri satelliti orbitano. Le nostre medicine curano. Le macchine della nostra esistenza pulsano a un ritmo ininterrotto”.
A distanza di 100 anni da questo epistolario le domande fondamentali restano le stesse: “Come possiamo prevenire le guerre che minacciano di annientarci? Come possiamo contrastare gli effetti devastanti del cambiamento climatico? Come possiamo gestire le immense pressioni geografiche e sociali legate alla migrazione? Come possiamo affrontare le complesse questioni di identità e appartenenza? Come possiamo imparare a riconoscerci e comprenderci l’un l’altro, nonostante le crescenti divisioni? E, soprattutto, come possiamo mettere al servizio della comunicazione e della comprensione reciproca la nostra indiscutibile genialità: la tecnologia, la medicina, l’intelligenza artificiale, la fede?”
A tali domande lo scrittore ha invitato a rispondere con le storie: “Se il mondo è fatto di molecole e atomi, è anche fatto di storie. La distanza più breve tra noi non si misura in millimetri né in centimetri: è una storia. E’ attraverso le storie che ci connettiamo davvero. Le nostre vite si intrecciano. Le nostre idee risuonano. Ci alimentiamo reciprocamente. Creiamo nuova energia. I quark delle nostre esperienze si combinano fra loro per formare nuovi mattoni della realtà. Lanciamo una rete che abbraccia una comprensione molto più ampia, dando al mondo una struttura più profonda”.
Quindi le storie possono salvare solo se siamo in grado di narrarle e di ascoltarle: “La triste e brutale verità è che, nel mondo di oggi, un numero sempre maggiore di noi può farlo. L’essenza del nostro attuale dilemma non risiede tanto nel silenzio, quanto nell’atto di zittire. Quando ci rifiutiamo di ascoltare le storie degli altri o, più dolorosamente, quando impediamo loro di raccontarle, o ancora peggio, quando cancelliamo del tutto quelle loro storie, il mondo si riduce a uno spettacolo di meschinità. Il nostro rifiuto di andare oltre noi stessi ̶o almeno oltre chi non ci somiglia, chi non parla come noi, chi non vota come noi ̶è il nucleo della nostra possibile rovina”.
La chiusura alla narrazione è pericolosa: “Questa chiusura pericolosa ha il potere di annientarci. Come un’arteria ostruita, blocca il flusso vitale della nostra umanità. Il cuore si ferma. Non ci resta che confinarci nella prigione del nostro ego. Non riusciamo più ad amare il prossimo, perché abbiamo ridotto il concetto di ‘prossimo’ alla nostra immagine riflessa. E quando non vediamo altro prossimo che noi stessi, perdiamo ogni significato che vada oltre il nostro sguardo solipsistico”.
Ecco il punto centrale della narrazione, per cui senza essa gli altri si dissolvono: “Senza una storia, la presenza e persino l’esistenza degli altri si dissolvono. Questo accade in modo evidente in molti luoghi: Ucraina, Gaza, Sudan. Ma accade anche vicino a noi, nel profondo dei nostri cuori. L’annientamento delle storie di coloro che percepiamo come nemici (che in realtà non sono altro che il nostro prossimo) rappresenta una delle armi più insidiose al mondo. La nostra incapacità di accedere alle storie degli altri, ricche di sfumature e di significato, unita al rifiuto di creare spazi di ascolto e di dialogo, costituisce uno dei pericoli più gravi della nostra epoca”.
Il racconto è un modo di salvezza: “Anche il racconto di storie possiede qualità emergenti e, in questi tempi turbolenti, condividere le nostre storie e ascoltare quelle degli altri, potrebbe essere una delle poche cose in grado di salvarci. Raccontare storie è un invito all’azione. Ascoltare storie è una forma di preghiera”.
E’ l’esempio di ‘Narrative4’, network in cui si raccontano i cambiamenti: “In Narrative 4, un’organizzazione globale no-profit che dà ai giovani il potere di creare cambiamenti attraverso il racconto e l’ascolto delle storie, abbiamo scoperto una formula semplice ma potente per avviare una trasformazione. Tu racconti la mia storia, io racconto la tua. In prima persona. Faccia a faccia.
Non una storia didattica, ma una storia profondamente personale. Non qualcosa per dominare in una discussione, ma qualcosa capace di scuotere l’anima. Una parabola, se volete. Qualcosa che accede alla verità senza bisogno di fare dichiarazioni. Qualcosa che è umile. Qualcosa che abbassa la testa”.
Partendo dal suo racconto, ‘Apeirogon’, in cui narra la storia di amicizia tra un padre israeliano ed un padre palestinese, l’autore sprona a raccontare storie: “Viviamo tempi pericolosi. Non possiamo permetterci di ignorare le esperienze degli altri. Raccontare e ascoltare storie salverà il mondo? Forse sì, forse no… ma sicuramente offrirà, se non altro, uno spiraglio di luce e di comprensione. E dove c’è uno spiraglio di luce, c’è la possibilità che se ne presentino molti altri, agendo e collaborando insieme, fino a quando almeno una parte delle tenebre non verrà squarciata”.
Tali racconti offrono spunti per la reciproca comprensione: “Alla base, anche il solo fatto di essere interessati gli uni agli altri è già un trionfo. Immaginate quanti trionfi si verificano quando impariamo a comprenderci, a piacerci o, magari, anche ad amarci. Persone ordinarie, con le nostre storie straordinarie, e la nostra capacità di entrare in connessione. La distanza più breve tra il nemico e il prossimo è una storia”.
Attraverso il racconto di storie è possibile riconnettere il mondo e ciò non è sentimentalismo: “La distanza più breve tra il nemico e il prossimo è una storia. I cinici diranno che stiamo sbagliando. Che siamo degli ingenui sentimentali. Ma è davvero ingenuo e sentimentale rifiutare la speranza? I cinici sono intrappolati nelle loro convinzioni. Non sono disposti a intraprendere un cammino altrove. Restano immobili. Chiudono le tende. Spengono il GPS della loro immaginazione”.
Per un vero cambiamento il compito consiste nell’ascoltare le loro storie per approfondire la conoscenza: “Significa forse che dovremmo isolare i cinici e lasciarli dove sono? No, certamente no. Al contrario: dobbiamo abbracciarli con fiducia, ascoltarli, chinare la testa. Condividere le nostre storie e ascoltare le loro. Trovare un terreno comune. E poi andare avanti, con la speranza di aver lasciato dietro di noi un’impronta di guarigione.
In questa era esponenziale, mentre la frattura continua ad ampliarsi, l’essenza stessa della riparazione risiede nella necessità di imparare a conoscerci. E per conoscerci davvero, dobbiamo ascoltarci e comunicare. E dopo aver ascoltato, dobbiamo cercare di comprendere. Solo allora, con rispetto, gioia e coraggio, potremo cominciare a innescare il cambiamento”.
Mentre il Premio Nobel, Maria Ress, ha affermato l’importanza di tale momento giubilare: “Questo arriva proprio al momento giusto, mentre stiamo vivendo una profonda trasformazione del nostro mondo. L’ultima volta che è successo qualcosa di simile a ciò che stiamo vivendo oggi, quando le nuove tecnologie hanno permesso l’ascesa del fascismo, è stato 80 anni fa.
E’ stato più o meno l’ultima volta che un giornalista ha ricevuto il premio Nobel per la pace, tranne per il fatto che Carl von Ossietzky non è stato fortunato come me. Languiva in una prigione nazista e non poteva accettare il premio. Da molti anni ormai, ho lanciato l’allarme: proprio come a Hiroshima, una bomba atomica è esplosa nel nostro ecosistema informativo”.
Ed ha raccontato la sua storia: “Sono stato arrestato e per la prima volta ho pagato la cauzione, non posso dimenticarlo, perché è stato il regalo che il mio governo mi ha fatto per San Valentino nel 2019. In poco più di un anno, il mio governo ha presentato 10 mandati di arresto contro di me. Ho iniziato a fare un flusso di lavoro per pagare la cauzione. Non sapevo cosa sarebbe successo, ma Rappler e io abbiamo solo cercato di fare ciò che era giusto.
Ed ora 8 anni, quasi un decennio dopo, quelle 10 accuse penali sono scese a 2. Due, ancora due. Per essere qui di fronte a voi oggi, devo chiedere alla Corte Suprema delle Filippine l’autorizzazione a viaggiare. Quindi, perdi i tuoi diritti. La parte triste? Scherzo sempre dicendo che le Filippine sono passate dall’inferno al purgatorio, ma la parte triste è che vedo quello che è successo a noi nelle Filippine accadere in paesi molto più sviluppati in tutto il mondo”.
Per questo ha parlato di un ‘capitalismo della sorveglianza’, che consiste in un progetto per creare profitto: “Il capitalismo della sorveglianza, quel modello di business, è costruito su un tradimento fondamentale della dignità umana, dove la privacy dei dati è diventata un mito e l’intelligenza artificiale e gli algoritmi ci hanno clonato e manipolato.
Tre cose: ha creato camere di risonanza che esacerbano i pregiudizi esistenti; ha dato priorità al conflitto rispetto alla comprensione; ha monetizzato l’attenzione umana, ognuno di noi, a scapito della coesione sociale. Questo non è un incidente. E’ un progetto deliberato, un’architettura per il profitto che porta centinaia di miliardi di dollari all’anno a queste aziende”.
E’ una denuncia contro questa guerra dell’informazione: “A livello globale, ci sono due principali linee di frattura della società aperte, indipendentemente dal paese o dalla cultura. Sono genere e razza, e gli attacchi sono spesso alimentati dalla religione. Il sessismo che si trasforma in misoginia; e il razzismo che trova la sua strada in costituzioni come quella ungherese, dove è chiamato ‘teoria della sostituzione bianca’. Lo senti nelle notizie come immigrazione o inflazione, ma se scavi più a fondo vedrai genere e razza.
Ed ha sottolineato che la tecnologia alimenta le fake news: “Poiché siamo in Vaticano, voglio sottolineare tre cose: primo, la tecnologia premia le bugie. Pensateci. La prima volta che ho incontrato papa Francesco, gli ho detto: questo è contro i Dieci Comandamenti; gli uomini che controllano questa tecnologia trasformativa esercitano un potere divino, ma non sono Dio. Sono solo uomini, la cui arroganza, mancanza di saggezza e umiltà sta portando il mondo su un sentiero oscuro. Sempre più spesso, secondo le loro stesse definizioni e parole, il loro potere incontrollato e incontrollabile assomiglia a una setta”.
Ha concluso l’intervento con una frase di Thomas Stearns Eliot, affermando che è possibile rimarginare le divisioni: “C’è questa citazione di T. S. Eliot che adoro sul ‘momento presente del passato’. Questo momento in cui viviamo. Dico sempre ai Rappler: questo momento, vogliamo fare la cosa giusta, perché tra un decennio, quando guarderemo indietro, vorremo dire di aver fatto tutto il possibile…
In questo momento presente del nostro passato condiviso, abbiamo una scelta, e creerà il nostro futuro tanto quanto cambierà il modo in cui guardiamo al nostro passato. Possiamo permettere alle linee di frattura nella nostra società di rompersi. Oppure possiamo lavorare per sanare queste crescenti divisioni. Perché è questo. Questo momento è importante. Ciò che scegli di fare è importante… Immaginate se lavorassimo tutti insieme. Potremmo semplicemente arginare la marea, impedire che la diga crolli e guarire il nostro mondo”.
(Foto: Santa Sede)