Da Benevento i vescovi chiedono attenzione per le aree interne
“Riuniti a Benevento, com’è ormai tradizione, ringraziamo anzitutto Dio per il dono dell’esperienza che ci ha dato di vivere, fatta di comunione e sinodalità concreta: l’amicizia, lo scambio sereno e fecondo, i momenti di distesa fraternità condivisi sono il valore aggiunto, la cifra peculiare di questa esperienza che porteremo con noi. Giorni nei quali abbiamo sentito risuonare le parole rivolte al profeta: O figlio dell’uomo, io ti ho posto come sentinella per la casa d’Israele”.
Così inizia il messaggio conclusivo dell’incontro dei vescovi delle Aree interne riuniti a Benevento fino al 17 luglio, appuntamento che da cinque anni vede i vescovi delle zone interessate (quest’anno ben 30 da 14 regioni) confrontarsi sulle esigenze pastorali e sui risvolti sociali della Chiesa in zone in cui altre presenze istituzionali latitano, soprattutto per via dello spopolamento:
“Le Aree interne costituiscono la parte consistente e fragile di tutto il Paese (nord, centro, sud), pur custodendo esse potenzialità straordinarie. In un tempo in cui la distanza relazionale crea vere e proprie disconnessioni umane e lo spazio, quello verde soprattutto, va rarefacendosi, queste vaste porzioni di territorio, dotate di paesaggio e di un ricco patrimonio storico-artistico ed enogastronomico, dove le relazioni umane sono vissute in modo autentico, si rivelano infatti di una ricchezza sorprendente anche allo sguardo più distratto”.
Tale incontro nasce dal desiderio di una pastorale, che scaturisce dal battesimo: “Abbiamo in questi giorni riflettuto sul modo migliore per avviare una pastorale il più possibile idonea alle Aree interne, interrogandoci soprattutto sulla ministerialità che nasce dal battesimo; una ministerialità che coinvolge tutte le membra del Popolo di Dio e la molteplicità delle vocazioni, nella consapevolezza che non possiamo continuare a ripetere stereotipi ormai da tempo superati, ma aprirsi alla voce dello Spirito, che non fa tanto cose nuove, ma fa nuove tutte le cose”.
E’ un invito a superare il campanilismo: “E’ necessario, perciò, superare l’ottica ristretta del campanile, per aprirci a forme nuove, capaci di valorizzare al meglio le risorse a nostra disposizione. Esprimiamo viva e sincera gratitudine ai sacerdoti e agli operatori pastorali che con generosità lavorano nei territori interni affrontando non poche difficoltà: anche la formazione nei seminari dovrà tener conto di queste problematiche”.
Però l’impegno della Chiesa è quello di non abbandonare i territori, come ha ribadito in apertura dell’incontro il presidente della Cei, card. Matteo Zuppi: “Le aree interne del Nord e del Sud sono accomunate dalle stesse difficoltà con qualche variante in negativo per il Mezzogiorno, dove ci sono ulteriori mancanze di strutture e opportunità. Se non ci sono possibilità, infrastrutture, collegamenti, si vanno a cercare altrove. Ma tutte le comunità, anche le più piccole, sono importanti. Il grande vantaggio delle aree interne è che spesso c’è più comunità che altrove, luoghi dove i legami si rinsaldano e ci si ritrova”.
Quindi a conclusione dell’incontro il segretario generale della Cei, mons. Giuseppe Baturi, arcivescovo di Cagliari, ha ritenuto opportuno “un discernimento, una lettura dei fenomeni storici che riguardano le aree interne ed un’attenzione specifica all’uso di alcune categorie normative… A noi interessano i problemi di una marginalità della popolazione, del costituirsi di comunità, della modificazione dei ritmi di lavoro e dell’ambiente naturale”.
Al vescovo di Benevento, mons. Felice Accrocca, membro della Commissione Episcopale per l’Evangelizzazione dei Popoli e la Cooperazione tra le Chiese della Cei, abbiamo chiesto il motivo per cui tale convegno si è svolto in questa diocesi: “Si è svolto a Benevento, perché è a Benevento che esso si svolge sin dall’inizio: siamo ormai alla quarta edizione. Nel maggio 2019, infatti, i vescovi della Metropolia di Benevento sottoscrissero un documento (‘Mezzanotte del Mezzogiorno? Lettera agli Amministratori’) che metteva a fuoco il persistente e grave ritardo nello sviluppo delle cosiddette ‘aree interne’.
Non volevano arrogarsi compiti non propri, piuttosto proporre un metodo che, in politica come in economia, tenesse fermo il primato della comunione. Prese avvio allora un percorso che ha avuto i suoi sviluppi: cammin facendo, infatti, si è andata manifestando in maniera crescente l’esigenza di mettere a fuoco la questione anche da un punto di vista più strettamente pastorale, poiché le aree interne si trovano a fronteggiare problemi del tutto diversi da quelli con cui sono chiamate invece a misurarsi le aree urbane o metropolitane o turistiche. Nacquero così i convegni dei vescovi, che cominciarono a svolgersi nel 2021”.
Perché la Chiesa si interessa delle aree interne?
“Semplicemente perché essa si interessa dell’uomo, di tutto l’uomo e di ogni uomo. Prende parte, quindi, ai problemi dell’uomo là dove l’uomo vive: plagiando la ben nota affermazione di Terenzio, possiamo dire che la Chiesa non reputa da sé niente di estraneo di tutto ciò che è umano. La Chiesa che vive nei territori interni si fa quindi carico dei problemi che in quei territori sono pane quotidiano”.
Come evitare lo spopolamento delle interne?
“Anzitutto con una chiara politica da parte del Governo, tesa a promuovere un progetto globale per le cosiddette ‘Aree interne’, che costituiscono la parte maggiore del suolo italiano: quindi, diversi criteri nell’assegnazione delle risorse, una tassazione differenziata, non per Regioni, ma per fasce territoriali; inoltre, come ha detto il card. Zuppi, ‘politiche serie e stabili a sostegno della natalità e della famiglia’. Bisogna puntare sulle potenzialità di questi territori, perché sono questi i luoghi (come ha detto ancora il presidente della Cei) ‘che hanno la forza di essere comunità, luoghi dove i legami si rinsaldano e ci si ritrova’”.
Quale accoglienza può dare speranza alle aree interne?
“Non spetta certo a me definire criteri in proposito; ritengo però, rubando ancora una volta le parole a Zuppi, che ‘un’idea seria di accoglienza può dare futuro alle Aree interne e anche al nostro Paese’”.
Quale pastorale per le aree interne?
“E’ proprio su questo che nei nostri convegni stiamo interrogandoci, di anno in anno. Certo, in queste zone (soprattutto al Sud) sembra avere ancora una forte presa la religiosità popolare: come valorizzare l’esistente, purificando evidenti anomalie ed evitando, al tempo stesso, di gettare quanto vi è di buono assieme all’acqua sporca? Inoltre, i flussi migratori richiedono di pensare una pastorale attenta alle relazioni ecumeniche e interreligiose che, allo stato attuale, è in gran parte ancora sulla carta. Negli ultimi tre anni tre importanti relazioni, di mons. Mariano Crociata, mons. Roberto Repole, mons. Franco Giulio Brambilla hanno posto alcuni punti fermi. Si tratta ora di continuare il percorso, per giungere ad abbozzare una sintesi, anche se provvisoria”.
Come ripensare alla presenza sacerdotale nelle aree interne?
“Andrebbe intanto presa sul serio una proposta di Repole, secondo il quale la presidenza del presbitero è ‘da leggersi più nella logica della episcopé, ovvero della sorveglianza, che non dell’azione diretta e immediata su ogni questione’”.
(Foto: Diocesi di Benevento)