(In)giusto processo in Vaticano. Chi aiuta il Papa? Cosa significa stare con il Papa? Chi sono gli amici del Papa?

[Korazym.org/Blog dell’Editore, 10.07.2024 – Ivo Pincara] – Due delle domande nel titolo sono state poste tempo fa da Andrea Paganini, che cura la Rassegna Stampa sul “Caso Becciu” [QUI], il caso di (in)giustizia vaticano in violazione della verità e della carità evangelica, di cui anche noi ci siamo occupati dall’inizio [QUI], e continuiamo ad occuparci. Lo facciamo in primis per amore della giustizia nella verità (ambedue assenti nello Stato della Città del Vaticano) e in secundis per amore del Papa, perché i cattolici stanno sempre con il Papa e pregano per lui, anche se trovano discutibili alcune sue azioni. Alla terza domanda ha risposto il Prefetto emerito della Congregazione per la Dottrina della Fede, il Cardinale Gerhard Ludwig Müller, nell’intervista con Riccardo Cascioli su La Nuova Bussola Quotidiana del 3 febbraio 2019 [QUI]: «Un cattolico è sempre a fianco del Papa, anche quando può avere opinioni diverse sulle quali è possibile discutere. I veri amici del Papa sono quelli che dicono la verità, che lo aiutano a trovare il cammino giusto, e non quelli che vogliono spingerlo nella propria direzione».
Nello spirito delle risposte alle tre domande, volendo stare a fianco del Papa, per aiutarlo a ritrovare il cammino giusto nel nome delle verità, della giustizia e della carità, riportiamo di seguito – preceduti da due contributi di Andrea Paganini su quanto detto prima – alcuni articoli recenti sulla questione della (in)giustizia vaticana:
- Il procuratore capo difende il sistema legale del Vaticano dopo le recenti critiche al potere assoluto del Papa di Nicole Winfield su The Associated Press del 9 luglio 2024
- Il procuratore vaticano che ha vinto il “processo del secolo” intrappolato in un film slasher di John L. Allen Jr. su Crux del 7 luglio 2024
- Vaticano, scontro a distanza coi magistrati del Papa. Geraldina Boni: «I rescritti di Francesco un vulnus al giusto processo». L’affondo di Geraldina Boni, ordinaria di Diritto ecclesiastico all’Alma Mater di Bologna di Franca Giansoldati su Il Messaggero del 4 luglio 2024
- La giustizia del Papa e il diritto internazionale: è tempo di cambiare di Cataldo Intrieri [*] su Domani dell’8 luglio 2024
[*] L’Avv. Cataldo Intrieri è uno dei difensori di Fabrizio Tirabassi, dottore commercialista, ex funzionario dell’Ufficio amministrativo della Segreteria di Stato (di cui Mons. Alberto Perlasca era il capo), tra i principali imputati nel processo 60SA vaticano, sempre partecipe nella gestione degli investimenti della Segreteria di Stato, rinviato a giudizio per il suo ruolo nella compravendita dell’ex magazzino Harrod’s al numero 60 di Sloane Avenue a Londra e condannato in primo grado dal Tribunale vaticano.
Si tratta di questioni di cui abbiamo parlato in una Postilla il 1° luglio 2024 [QUI].
Chi aiuta il Papa?
di Andrea Paganini
Rassegna Stampa sul “Caso Becciu”, 17 aprile 2024
Il 24 settembre 2020 Papa Francesco ha punito severamente – come nessun altro prima era mai stato punito – il Cardinal Becciu, suo stretto collaboratore, senza nemmeno che lui potesse conoscere le accuse e quindi difendersi.
Secondo me, perché quella punizione – impulsiva, comminata sull’onda di un articolo de L’Espresso – risultasse anche in futuro motivata, o se non altro giustificabile, era necessario dimostrare che il Papa avesse agito avendo in mano quantomeno una prova schiacciante, certa, verificabile, atta a dimostrare incontrovertibilmente la colpevolezza di Becciu.
Ora, dopo tre anni e mezzo di brutale accanimento mediatico e giudiziario e un processo interminabile, non solo non s’è vista la “pistola fumante”, ma non è emersa nemmeno l’ombra di una prova che possa dirsi tale. Solo insinuazioni, congetture, calunnie, e leggi modificate a procedimento in corso, e testimoni manipolati, e pregiudicati artefici di montature costruite ad arte, e trame oscure dei servizi segreti italiani. Insomma, il ventaglio di accuse scagliate simultaneamente e concentricamente contro Becciu si è sbriciolato al confronto con la realtà dei fatti.
Cosa vuol dire?
Vuol dire che la punizione del 24 settembre 2020 era infondata, totalmente arbitraria. Becciu è stato sacrificato «sull’altare dell’ipocrisia» (come ha detto il Papa a proposito di Mons. Aupetit [QUI]).
Tutto questo però, cozzando contro i fondamenti inalienabili dei diritti umani, mette a rischio la credibilità stessa dello Stato della Città del Vaticano (dove il Capo dello Stato incorpora in sé tutti e tre i poteri dello Stato). E questo non è sostenibile.
E quindi? E quindi – per la ragion di Stato e per non perdere la faccia – per affermare che il bianco è nero, per sostenere che il freddo è caldo, per dimostrare l’indimostrabile insomma, i magistrati vaticani (sottoposti al Sommo Magistrato) si permettono di tutto, fino a sacrificare i principi basilari del giusto processo.
In sintesi: perché la punizione del 24 settembre 2020 fosse razionalmente accettabile, era necessario che emergesse una prova indiscutibile (non certo un sospetto o una mera insinuazione o un teorema alla Diddi). Non essendo emersa tale prova, quella punizione risulta abusiva ed eticamente illecita.
Orbene: essere stati ingannati non è cosa disonorevole, come non lo è sbagliarsi. Anzi è umano. Disonorevole è non ammettere di essersi sbagliati.
I lusingatori e gli adulatori del Papa – che spesso vanno a braccetto con i calunniatori – non lo aiutano a fare il passo necessario. Necessario per lui e per la Chiesa.
Chi, allora, aiuta il Papa?
La verità ci farà liberi.
Cosa significa stare con il Papa?
In risposta a una certa visione di Chiesa
di Andrea Paganini
Rassegna Stampa sul “Caso Becciu”, 10 gennaio 2024
Io sto con il Papa, sempre! Ma ciò non vuol dire che il Papa abbia sempre ragione. Il Magistero della Chiesa chiarisce che sono rarissime le volte in cui il Papa è considerato infallibile. Il concetto stesso di infallibilità assoluta è filosoficamente estremamente problematico se riferito a esseri umani. Stare con il Papa significa – fra l’altro – volergli bene, amarlo, essere misericordiosi anche con lui: vuol dire concedergli la possibilità di sbagliarsi, tanto più nelle cose che non riguardano la religione, ma il governo temporale della Città del Vaticano. Lo sa bene chi conosce ciò che Dante ha definito «lo maggior don che Dio per sua larghezza / fesse creando, e a la sua bontate / più conformato, e quel ch’e’ più apprezza», vale a dire il dono divino della libertà, il libero arbitrio, la possibilità di scegliere. O qualcuno – volendo imporre al Papa un cappello che non gli spetta e che lui non ha mai preteso di possedere (quello dell’infallibilità assoluta) – vuole forse privare il Papa del dono più grande che Dio gli ha fatto? Il Papa, al pari di qualunque essere umano, può sbagliare, come ha sbagliato Pietro, e può ovviamente essere ingannato, come con ogni evidenza è avvenuto nel cosiddetto “caso Becciu”. Amare il Papa significa anche dire la verità, rispettosamente, non in modo ideologico, significa anche non lusingarlo o adularlo, aiutarlo a capire se è stato ingannato e quindi a riconoscere l’errore, aiutarlo a rimediare, possibilmente al più presto, prima che sia troppo tardi. Chi non concede a una persona la possibilità di essersi sbagliata, la rende disumana, una sorta di computer (inesistente), un essere freddo, un idolo; e chi non la concede al Papa – un po’ come è avvenuto in passato con l’apparente sacralizzazione di certi pontefici ieratici e come papa Francesco ci ha insegnato a non fare – rischia di diventare un papolatra. Sono sicuro che a papa Francesco – il quale invita tutti alla parresia e alla sinodalità – non farebbe piacere. L’esempio insuperabile ce l’ha offerto Gesù stesso, al momento della sua passione e morte: Gesù sentiva che perfino il Padre Gli si allontanava, sentiva che la Sua volontà non coincideva con quella del Padre e Gliel’ha detto, Gli ha perfino gridato un fortissimo “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” che rimase senza risposta, ma immediatamente dopo al Padre ha affidato il Suo Spirito. Così dev’essere il nostro rapporto tra fratelli e perfino con le autorità: dire la verità, essere franchi, gridare anche “perché?” finché abbiamo fiato quando la realtà ci risulta incomprensibile, per affidarci infine con Fede a Dio. Nessuno è più obbediente a Dio di Gesù, crocifisso e abbandonato. Nessuno è più unito al Padre del Figlio che Lo sente così lontano. Amiamo il Papa, come ameremmo un vero grande amico, un maestro o un genitore: aiutiamolo sempre seriamente, non privandolo mai dell’amore e della verità che lo Spirito Santo ci fa capire in coscienza. «Noi sappiamo che tutto concorre al bene, per quelli che amano Dio» (Rm 8,28).

Il procuratore capo difende il sistema legale del Vaticano dopo le recenti critiche al potere assoluto del Papa
di Nicole Winfield
The Associated Press, 9 luglio 2024
(Nostra traduzione italiana dall’inglese)
Il procuratore capo del Vaticano ha difeso con forza l’integrità e l’equità del sistema giudiziario della città-stato in seguito alle critiche secondo cui il potere assoluto di Papa Francesco e i suoi interventi nel cosiddetto “processo del secolo” dello scorso anno hanno violato i diritti fondamentali degli imputati. (…)
Diddi il mese scorso ha pubblicato un saggio su una rivista italiana peer-reviewed, Diritto e religione, sebbene non sia stato identificato come il principale procuratore penale del Vaticano, in linea con la pratica della rivista. Esperti legali hanno affermato che una simile pubblicazione in una rivista accademica è insolita, dal momento che Diddi è parte in un processo che sta entrando nella fase di appello.
Stava essenzialmente rispondendo a due accademici – e avvocati che rappresentano alcuni dei 10 imputati – che hanno sollevato dubbi sull’equità del processo durato due anni e delle indagini precedenti [QUI]. Le loro critiche hanno sollevato preoccupazioni più fondamentali sulla possibilità di un giusto processo in una monarchia assoluta in cui il Papa esercita il supremo potere legislativo, esecutivo e giudiziario – e lo ha utilizzato in questo caso. Questi critici hanno citato il ruolo di Papa Francesco nel processo, dal momento che ha emesso segretamente quattro decreti durante le indagini, che hanno modificato le procedure vaticane a vantaggio dei pubblici ministeri. E hanno messo in discussione l’indipendenza e l’imparzialità del Tribunale stesso dal momento che i suoi giudici giurano obbedienza a Papa Francesco, che può assumerli e licenziarli a suo piacimento. Papa Francesco ha recentemente nominato alcuni dei suoi più stretti alleati – cardinali senza esperienza nel diritto vaticano – a sedere come giudici nella più alta corte d’appello del Vaticano e ha emanato nuove regole sullo stipendio e sui benefici pensionistici dei giudici.
Nel suo saggio, Diddi ha sostenuto che il processo e lo stesso sistema vaticano sono certamente equi. Ha insistito sul fatto che il Tribunale e i suoi giudici sono pienamente indipendenti e che la difesa aveva tutte le opportunità di presentare il proprio caso. Ha affermato che i quattro decreti del Papa hanno semplicemente riempito le lacune normative nel peculiare codice legale del Vaticano e non hanno avuto alcun impatto sull’esito del processo o sui diritti degli imputati. “Anche se la Santa Sede non è firmataria della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, non si pone al di fuori della comunità internazionale e non rinnega i principi che la ispirano”, ha scritto Diddi.
I quattro decreti segreti sono stati firmati dal Papa nel 2019 e nel 2020, conferendo ai pubblici ministeri vaticani ampi poteri di indagine, anche tramite intercettazioni telefoniche incontrollate, e di deviare dalle leggi esistenti consentendo loro di detenere sospetti senza il mandato di un giudice. I decreti sono venuti alla luce solo alla vigilia del processo, non sono mai stati pubblicati ufficialmente e non hanno fornito motivazioni o tempistiche per la sorveglianza o la detenzione, o il controllo da parte di un giudice indipendente.
Diddi ha negato che i decreti abbiano avuto un impatto sui diritti dei sospettati. Ha detto che hanno semplicemente fornito una “interpretazione autentica” da parte del Papa delle norme vaticane. Sostiene che, comunque, i decreti “disciplinano solo alcuni aspetti particolari dell’indagine” e “non determinano alcuna mancanza nelle garanzie offerte agli indagati”.
Geraldina Boni, una canonista che ha fornito un parere legale per la difesa del Cardinale Angelo Becciu, ha scritto che i decreti rappresentano una chiara violazione del diritto a un giusto processo poiché gli indagati non erano a conoscenza degli ampi poteri concessi ai pubblici ministeri fino a quando non erano sotto processo. Un imputato che è stato interrogato è stato incarcerato per 10 giorni dai pubblici ministeri.
Diddi ha osservato che i tribunali svizzeri e italiani hanno precedentemente riconosciuto l’indipendenza e l’imparzialità dell’ordinamento giuridico dello Stato della Città del Vaticano accettando di fornire assistenza giudiziaria nel congelamento dei beni dei sospettati. Tali sentenze, tuttavia, sono state emesse prima che si concludesse il processo in corso e si conoscesse l’esistenza dei decreti. Inoltre, un giudice britannico ha ordinato il rilascio dei beni di uno dei sospettati perché ha riscontrato false dichiarazioni e omissioni “spaventose” nel caso di Diddi.
Le domande sull’equità e l’imparzialità del sistema legale dello Stato della Città del Vaticano potrebbero avere implicazioni per la Santa Sede in futuro, dal momento che il Vaticano fa affidamento su altri Paesi per cooperare nelle indagini delle forze dell’ordine e attuare le sue sentenze. Questi Paesi potrebbero essere meno disposti a cooperare se dubitano dell’equità del sistema.
Inoltre, ogni volta che la Santa Sede firma contratti commerciali con enti non vaticani, insiste affinché qualsiasi controversia contrattuale sia gestita dal proprio tribunale. Quella clausola contrattuale potrebbe diventare difficile da negoziare se ci fossero dubbi sul fatto che la controparte sarà trattata equamente dal Tribunale vaticano.
Meno ipoteticamente, la Santa Sede è soggetta a revisione periodica da parte della Commissione Moneyval del Consiglio d’Europa, i cui valutatori analizzano l’efficacia del sistema giudiziario nella lotta al riciclaggio di denaro e al finanziamento del terrorismo.
In uno sviluppo correlato, lunedì il funzionario N. 3 della Santa Sede ha concluso tre giorni di testimonianza in un tribunale di Londra nell’ambito di una contro-querela spin-off intentata da uno degli imputati nel processo vaticano. Raffaele Mincione, un finanziere londinese, chiede all’Alta Corte britannica di dichiarare di aver agito “in buona fede” nei suoi rapporti con il Vaticano in riferimento alla proprietà londinese. Spera di riabilitare il suo nome e riparare il danno reputazionale che dice che lui e la sua azienda hanno subito a seguito del processo vaticano.
Mincione ha anche presentato una denuncia all’Ufficio per i diritti umani delle Nazioni Unite a Ginevra, sostenendo che il Papa ha violato i suoi diritti autorizzando la sorveglianza tramite i decreti. Il Vaticano ha respinto l’accusa, affermando in un comunicato stampa che l’indagine ha seguito tutte le leggi pertinenti e gli accordi internazionali e che per Mincione non è stata effettivamente ordinata alcuna sorveglianza. (,,,)
Il procuratore vaticano che ha vinto il “processo del secolo” intrappolato in un film slasher
di John L. Allen Jr.
Crux, 7 luglio 2024
(Nostra traduzione italiana dall’inglese)
I classici film slasher [*] sono noti per il colpo di scena in cui il cattivo, creduto morto, ritorna per un ultimo colpo di coltello o un affondo di motosega. La conclusione è che proprio quando pensi che la parte spaventosa sia finita, preparati per un’altra scossa. È una lezione che, in una veste diversa, il procuratore capo vaticano Alessandro Diddi sta imparando a proprie spese proprio adesso. (…)
Diddi ha dovuto affrontare dure critiche per la sua conduzione del processo. Eppure, per quanto nominale potesse essere, è stata in ogni caso una vittoria e, comunque, la dura prova sembrava almeno finita.
Ora, tuttavia, la domanda è se la migliore qualificazione per la vittoria apparente non sia tanto “nominale” quanto “pirrico”. Almeno quattro ulteriori sentenze, alcuni reali e altri metaforici, sono attualmente pendenti sul caso di Londra, che, nel complesso, potrebbero ancora strappare la sconfitta dalle fauci della vittoria.
Il primo è una causa civile attualmente in corso dinanzi all’Alta Corte di Giustizia di Londra, intentata dal finanziere italiano Raffaele Mincione, uno degli imputati condannati nel processo vaticano. (…)
Il caso si è già rivelato imbarazzante per il Vaticano, poiché lo scorso novembre l’Alta Corte ha ordinato di consegnare i messaggi riservati tra il Cardinale italiano Pietro Parolin, Segretario di Stato, e l’Arcivescovo venezuelano Edgar Peña Parra, Sostituto, massimo vice di Parolin, nonostante le affermazioni da parte degli avvocati della Santa Sede che tali rivelazioni rappresenterebbero un “peccato grave”.
Questa settimana, Peña Parra era a Londra per testimoniare (…) sull’affare londinese nel periodo in cui sostituì come sostituto l’allora Arcivescovo Angelo Becciu, anch’egli condannato nel processo di Londra.
Va ricordato che i tribunali britannici in passato non sono stati esattamente amichevoli con il Vaticano per quanto riguarda l’affare di Londra. Nel marzo 2021, il giudice Tony Baumgartner della Southwark Crown Court ha annullato un ordine di sequestro dei beni appartenenti a Torzi, concludendo che i fascicoli del Vaticano erano pieni di “mancate divulgazioni e false dichiarazioni” che Baumgartner ha definito “spaventose” e constatando che il Vaticano non era riuscito a dimostrare una base ragionevole per ritenere che Torzi fosse colpevole di condotta criminale [QUI].
Mentre Diddi attende l’esito del caso di Londra, sta anche affrontando una sfida su un altro fronte, questo più intellettuale e accademico, anche se potrebbe avere conseguenze anche nel mondo reale. Dall’inizio del processo vaticano nel 2021, numerosi giuristi e studiosi di diritto ne hanno messo in discussione la legittimità, sostenendo anche che le tutele fondamentali del giusto processo erano state violate. Tra le altre cose, hanno sostenuto che quattro famosi “rescritti”, cioè decreti, di Papa Francesco all’inizio del processo hanno cambiato le carte in favore dell’accusa.
Tali critiche sono state sufficientemente persistenti che Diddi si è recentemente sentito obbligato a montare una lunga difesa sulle pagine di Diritto e religione. Le sue argomentazioni hanno suscitato questa settimana un severo rimprovero da parte di Geraldina Boni, esperta di diritto canonico e civile presso l’Università di Bologna, nonché consulente del Pontificio Consiglio per i testi legislativi e Presidente di una commissione governativa italiana sulla libertà religiosa e accordi con gruppi religiosi.
In un’intervista rilasciata giovedì al quotidiano romano Il Messaggero, Boni ha criticato la tesi di Diddi secondo cui i rescritti non mettevano in discussione l’integrità del processo, poiché riguardavano solo l’indagine preliminare. “Istruttoria e processo sono tra loro strettamente legati e le attività compiute nella fase d’indagine non possono comunque violare le garanzie fondamentali delle persone coinvolte”, ha affermato, sostenendo che questo principio trova fondamento sia nel diritto naturale che in quello canonico. Boni ha avvertito che, se non si porranno rimedio ai difetti del sistema di giustizia penale del Vaticano, il rischio è che i suoi verdetti non vengano riconosciuti dallo Stato italiano e che potrebbe anche essere sanzionato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo.
La terza sentenza che potrebbe pesare su Diddi è quello di una revisione delle condanne nel “processo del secolo” attualmente all’esame della Corte d’appello vaticana. Non solo gli imputati hanno contestato le loro condanne, ma anche lo stesso Diddi ha presentato ricorso contro la sentenza, sostenendo che il Tribunale non ha sufficientemente sostenuto le sue affermazioni secondo cui gli imputati hanno agito in modo coordinato e consapevole per portare a termine la loro frode. (I giudici hanno presentato una sintesi delle loro conclusioni a dicembre, anche se la versione completa del verdetto non dovrebbe essere completata prima dell’autunno.)
In questo caso, il rischio per Diddi non è tanto che le condanne vengano ribaltate, anche se Becciu continua a esprimere speranza in un simile risultato, da ultimo in un’intervista di maggio al quotidiano tedesco Die Zeit [QUI]. In realtà, è raro che la Corte d’appello vaticana annulli le conclusioni di un tribunale in qualsiasi circostanza, per non parlare di un caso di così alto profilo.
Tuttavia, Diddi potrebbe finire per pentirsi di aver preteso una valutazione della sua teoria giuridica, che potrebbe concludersi con un rimprovero per esagerazione della pubblica accusa, anche se le sentenze stesse rimangono intatte.
Infine, c’è anche la curiosa vicenda di Libero Milone [QUI], ex Revisore generale del Vaticano, che chiede quasi 10 milioni di dollari di danni per quelle che definisce le sue dimissioni forzate nel 2017 sotto la pressione di Becciu e dell’allora Capo della Gendarmeria vaticana, un laico italiano Domenico Giani. Milone ha perso una prima causa davanti al Tribunale vaticano a gennaio, e giovedì scorso la Corte d’appello vaticana ha tenuto una breve udienza per valutare se accogliere il suo appello. Se i giudici rifiutassero di procedere, Milone avrebbe la possibilità di ricorrere alla Corte di Cassazione, di fatto la corte suprema del Vaticano, composta da un collegio cardinalizio attualmente guidato dal Cardinale americano Kevin Farrell. (…)
Diddi si è opposto alla richiesta di Milone quando è stata inizialmente depositata, sostenendo che dovrebbe essere vietata dalla prescrizione, e ha anche minacciato di perseguire accuse contro Milone per presunto spionaggio su altro personale vaticano durante il suo mandato come Revisore generale. (Milone sostiene di aver semplicemente assunto una società investigativa italiana, Falco, per aiutare il suo ufficio a rivedere i documenti pubblici in Italia relativi ai contratti del Vaticano e alle pratiche di assunzione, e che ciò non aveva nulla a che fare con la sorveglianza illegale.)
Anche se è improbabile che Milone ottenga qualche soddisfazione dai Tribunali vaticani, il coinvolgimento di Diddi nel caso potrebbe aprire ancora un altro fronte in cui le motivazioni e le tattiche di Diddi vengono messe in discussione.
Per essere onesti, Diddi, un veterano avvocato romano, avrebbe dovuto sapere che questo lavoro era pericoloso quando lo ha accettato. Tuttavia, è probabile che nemmeno lui avrebbe immaginato di poter prevalere nel più grande processo penale mai organizzato dal Vaticano, e tuttavia, in qualche modo, correre il rischio di vincere la battaglia ma perdere la guerra.
[*] Lo slasher (dall’inglese to slash, “ferire profondamente con un’arma affilata”) è un sottogenere di film horror in cui l’antagonista principale è un maniaco omicida (spesso mascherato) che dà la caccia a un gruppo di persone (spesso giovani) in uno spazio più o meno delimitato, utilizzando in genere armi da taglio per ucciderli in modo cruento.
Vaticano, scontro a distanza coi magistrati del Papa. Geraldina Boni: «I rescritti di Francesco un vulnus al giusto processo»
L’affondo di Geraldina Boni, ordinaria di Diritto ecclesiastico all’Alma Mater di Bologna
di Franca Giansoldati
Il Messaggero, 4 luglio 2024
Né giusto processo, né indipendenza effettiva dei magistrati del Papa. E persino certe «nomine che sembrano compromettere la credibilità e l’affidabilità dei Tribunali vaticani (si veda per esempio l’attuale composizione della Corte di Cassazione vaticana, con la designazione di cardinali incompetenti in materia di diritto». L’affondo di Geraldina Boni, ordinaria di Diritto ecclesiastico all’Alma Mater di Bologna e dal 2011 Consulente del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi e netto. E la giurista torna sull’argomento rispondendo a distanza al Promotore di giustizia, Alessandro Diddi, il quale in un lungo articolo uscito su Diritto e Religioni ha difeso a spada tratta il suo operato. Il tema resta scottante e riporta alla luce le anomalie che erano state sollevate ciclicamente durante il maxi processo per l’immobile di Londra da molti canonisti, oltre che dalle difese di coloro che sono stati condannati in primo grado, tra cui il Cardinale Angelo Becciu.
In una intervista al Messaggero, la Professoressa Boni confuta la tesi del Promotore secondo cui i famosi quattro rescritti segreti, con i quali Francesco – a processo in corso – ha riscritto alcune regole processuali (dando maggiori poteri ai pm) «non hanno in alcun modo intaccato le regole del processo» né le garanzie per gli imputati.
«Il Promotore di Giustizia Diddi sostiene che i rescritti non avrebbero esercitato un impatto sull’indipendenza e l’imparzialità dei giudici del Tribunale vaticano. Ma in realtà il problema è un altro, poiché in questa vicenda è stato recato un vulnus ad altri “pilastri” del giusto processo che – va ribadito con forza – trovano il loro fondamento nell’ordinamento canonico e in particolare nel diritto divino naturale. Lo stesso Diddi ammette che con i rescritti, concessi “all’inizio delle indagini”, sono stati “disciplinati alcuni profili di carattere processuale destinati ad incidere solo ed esclusivamente nel corso dell’istruttoria senza alcuna ricaduta sullo svolgimento del processo”. Si tratta a mio parere di un’affermazione discutibile, posto che istruttoria e processo sono tra loro strettamente legati e le attività compiute nella fase d’indagine non possono comunque violare le garanzie fondamentali delle persone coinvolte. Di conseguenza, i principi del giusto processo devono essere salvaguardati anche nella fase prodromica a quella strettamente processuale».
Diddi spiega però che con il primo rescritto del 2 luglio 2019 il Papa avrebbe reso un chiarimento per risolvere un dubbio interpretativo alla legislazione processuale in vigore…
«Sorprende come Diddi ometta di rilevare che tale rescritto – come gli altri, del resto – sia stato concesso riservatamente, all’insaputa delle parti e dei loro difensori, che ne sono venuti a conoscenza solamente a inizio dibattimento: violando così palesemente il principio di legalità in materia processuale che vincola i pubblici poteri e protegge il diritto di difesa delle parti. Inoltre, ancora, si tace la rilevanza nell’ordinamento vaticano dell’ordinamento canonico quale prima fonte normativa e primo criterio di riferimento interpretativo: infatti, il Codice di Diritto Canonico stabilisce espressamente che spetta al legislatore interpretare autenticamente le leggi e le interpretazioni autentiche devono essere presentate a modo di legge (§ 2), ribadendo appunto come pure in questi casi debba essere osservato il principio di legalità».
Lei si riferisce al fatto che in questi rescritti è stato concesso ai pm vaticani di disporre di misure cautelari e intercettazioni telefoniche, telematiche e ambientali?
«Qui, anzi, è ancora più stringente la necessità di osservare il principio di legalità, atteso che il Promotore di giustizia ha potuto adottare decisioni limitative della libertà personale. E certamente non si può controdedurre che le garanzie processuali sarebbero comunque rimaste intatte poiché l’interessato avrebbe potuto impugnare i provvedimenti cautelari. Sempre in tale prospettiva, sono ancora più sorprendenti le dichiarazioni circa un altro rescritto, quello del 5 luglio 2019 relativo alle intercettazioni. Dunque, secondo lo stesso Promotore di giustizia – tra l’altro il plausibile ʻsollecitatoreʼ dei rescritti medesimi –, è stato del tutto legittimo attribuire nuovi poteri investigativi alla pubblica accusa all’insaputa di indagati e difensori; ma anche in questo caso è stato gravemente violato il principio di legalità, profilo che Diddi nel suo scritto non affronta, contraddicendosi peraltro quando fa un raffronto con l’esperienza italiana: in essa, infatti, vi sono stati interventi in materia processuale “in corso d’opera” ma da parte dei “legislatori” dunque con la promulgazione di norme generali ed astratte».
Quindi lei pensa che l’affaire Becciu si ripercuoterà sulla credibilità dello Stato della Città del Vaticano, e dunque della Santa Sede, in ambito internazionale?
«Temo di sì, a meno che non si rimedi in sede di appello alle reiterate e manifeste violazioni dei principi del giusto processo. Le ripercussioni negative potrebbero investire il riconoscimento in Italia delle pronunce degli organi di giustizia vaticani, la cui richiesta potrebbe essere respinta (ipotesi che peraltro Diddi tende a congedare in maniera sbrigativa, ritenendola scarsamente pertinente al caso di specie, per concentrare piuttosto la propria attenzione sulla già citata collaborazione tra autorità giudiziarie: senza considerare tuttavia le plurime ragioni, illustrate nel nostro parere, che prospettano proprio il riconoscimento della sentenza come un nodo da sciogliere), o il possibile intervento della Corte europea dei diritti dell’uomo sino ad approdare all’eventuale contestazione della violazione della Convenzione monetaria del 2009 conclusa tra l’Unione europea e lo Stato della Città del Vaticano. Ma si può ancora confidare nella giustizia dello Stato della Città del Vaticano e del suo ordinamento giuridico, all’interno del quale deve essere ribadito il primato del diritto canonico per la salvaguardia delle spettanze intrasgredibili della persona umana».
L’ordinamento giudiziario del Vaticano non assicura l’indipendenza e l’imparzialità del giudice?
«Così come astrattamente strutturato assicura l’indipendenza e l’imparzialità dei magistrati ordinari: l’ho dimostrato nel parere scritto con Manuel Ganarin e Alberto Tomer, anche richiamando l’autorevole voce del Professor Giuseppe Dalla Torre. Non si possono certo ignorare le peculiarità del piccolo Stato d’Oltretevere, dove il Romano Pontefice quale sovrano dello Stato concentra nelle sue mani il potere legislativo, esecutivo e giudiziario. E proprio per evitare degenerazioni assolutiste, negli ultimi decenni il Vaticano è stato sempre più configurato come Stato di diritto mediante la costituzione di organismi giudiziari che hanno potestà vicaria, cioè agiscono nel nome e con l’autorità del Papa. Sussiste peraltro un delicato equilibrio che può essere infranto laddove il Papa non osservi la ‘regola aurea’ in questo ambito, cioè quella di astenersi da qualsiasi intervento nei procedimenti penali in corso, finendo per favorire l’una o l’altra parte: rischio che nel caso di specie si è realizzato sia con i quattro rescritti, sia con alcune recentissime riforme che hanno inciso su procedimenti penali ancora pendenti (ad esempio, la sostanziale ‘unificazione’ dell’ufficio del promotore di giustizia, la modifica della Cassazione vaticana e la possibilità che i cardinali siano giudicati dal Tribunale vaticano), oltre che con certe nomine che sembrano compromettere la credibilità e l’affidabilità dei tribunali vaticani (si veda l’attuale composizione della Corte di Cassazione vaticana, con la designazione di cardinali incompetenti in materia di diritto); per non parlare poi delle, quanto meno inopportune, modifiche in melius circa il trattamento economico dei magistrati ordinari e dell’ufficio del Promotore di giustizia di prima istanza, che hanno preceduto di poco la sentenza di primo grado nel ‘caso Becciu’ e, più di recente, ritoccate con un ulteriore Motu Proprio del 2024».
Lei non fa parte della Cassazione Vaticana?
«Ne approfitto per precisare che ho recentemente appreso con meraviglia, dall’Annuario pontificio del 2024, della mia presunta nomina come giudice applicato presso la Corte di Cassazione vaticana: nomina di cui non sono stata assolutamente informata (altrimenti non avrei scritto pareri su processi in corso) e che non posso accettare per incompatibilità con altre mie funzioni».
La giustizia del Papa e il diritto internazionale: è tempo di cambiare
di Cataldo Intrieri
Domani, 8 luglio 2024
Nelle vicende giudiziarie legate al processo Becciu, è entrato a gamba tesa il Promotore di giustizia, Alessandro Diddi con argomentazioni sorprendenti. Il Vaticano sottoponga la propria amministrazione giudiziaria al controllo di legalità delle corti internazionali. Garantisca agli imputati ciò che le democrazie concedono a tutti i cittadini. Ne guadagneranno la credibilità del sistema e la causa dei diritti
Le vicende giudiziarie legate al processo Becciu sono tornate all’attenzione della stampa internazionale. (…) Ha fatto clamore l’iniziativa giudiziaria di uno degli accusati, il finanziere Raffaele Mincione che ha richiesto alla sezione commerciale dell’Alta Corte di Giustizia di Londra un accertamento incidentale di totale estraneità e di aver agito correttamente nella trattativa che aveva ad oggetto l’acquisto da parte del Vaticano di un palazzo in Sloane Avenue. Una procedura destinata a ottenere un pronunciamento favorevole di un’autorità giudiziaria straniera per incidere su di un processo ormai divenuto, contro la volontà della Santa Sede, un grave incidente di diritto internazionale. Parallelamente, il finanziere ha denunciato all’ONU il Vaticano per violazione dei suoi diritti.
Tale situazione impone una riflessione in un’epoca in cui il tema dei diritti umani e delle corti internazionali è di stretta attualità. La vicenda dell’ex palazzo di Harrod’s ha costituito l’oggetto principale del processo vaticano per oltre due anni, ma va subito detto, giacché in molti non hanno capito o fingono di non capire, che la famosa truffa immobiliare è crollata: il tribunale non ha ritenuto configurabile alcun reato nella trattativa. I sette imputati sono stati condannati per altre ipotesi di reato alcune delle quali addirittura non comprese nel capo d’imputazione e messe su frettolosamente in chiusura del dibattimento dal promotore Diddi per mantenere in piedi una costruzione accusatoria traballante ed evitare una storica figuraccia.
Il processo ha suscitato polemiche e prese di posizione anche nell’ambiente accademico con articoli critici di alcuni eminenti canonisti come i Professori Geraldina Boni e Paolo Cavana.
L’intervento di Diddi
Nella polemica è entrato a gamba tesa anche il Promotore di giustizia, Alessandro Diddi, che ha ritenuto con prassi inusuale di dover replicare a Cavana e Boni sulle pagine della rivista che li aveva ospitati. Due i temi centrali della replica: l’indipendenza dei magistrati vaticani (per i quali non è previsto concorso ma solo la chiamata diretta del Pontefice) e la lamentata invalidità di 4 provvedimenti amministrativi emessi dal Papa (Rescripta ex audentia) dietro richiesta del Promotore, con cui sono stati concessi pieni poteri d’indagine e di arresto per l’accusa in deroga alle norme ordinarie. In base a essi, egli ha disposto l’arresto di due imputati e l’intercettazione a tappeto della Segreteria di Stato, il governo vaticano, la cui sorte e contenuto non è dato conoscere (le captazioni non utilizzate, la maggior parte, sono state distrutte o sono in mano alla gendarmeria e per che uso?).
Le argomentazioni sono sorprendenti: quanto al primo punto Diddi rivendica la legittimità della scelta diretta dei propri magistrati da parte del Papa impropriamente evocando la scelta di giudici costituzionali delegata al Presidente della Repubblica. Dimentica che tale facoltà è condivisa dal Presidente con il parlamento e la Corte di cassazione che invece i giudici li eleggono e che esiste una qualche differenza tra i poteri del Presidente e quelli assai più vasti concentrati nel Pontefice, capo dell’esecutivo, del giudiziario e del legislativo.
L’assunzione dei magistrati per concorso pubblico è la regola degli Stati di diritto e consentirebbe una scelta più ampia del ristretto ambito accademico-forense romano cui sino ad oggi il Vaticano ha attinto in via esclusiva per tali delicati incarichi.
Quanto ai rescripta Diddi minimizza assumendo che con essi si sia semplicemente posto riparo ad alcuni buchi legislativi e che comunque non abbiano inciso sul processo. Anche qui egli commette un grave peccato di omissione per un giurista: dimentica che ciò che rende inaccettabili i provvedimenti di pieni poteri concessi a lui (compresi arresti ed intercettazioni) è il fatto che sono stati disposti dal Pontefice solo per questo procedimento e solo per questi imputati. Una violazione gravissima del principio di legalità ed uguaglianza: come può parlare di pure “correzioni di legge” se la legge è stata modificata solo per sette individui? E come può essere valido un processo all’interno di un sistema non imparziale, garantista?
Tuttavia va colto il segnale che il Promotore lancia in conclusione dello scritto: è importante che tramite lui il Vaticano esprima la volontà di elevare il proprio ordinamento agli standard più alti degli stati di diritto. Ma vi è una sola strada: l’adesione piena alla Convenzione europea dei diritti umani. Il Vaticano ha aderito, e Diddi lo ricorda a diverse convenzioni in tema di diritto finanziario e contro la corruzione, faccia l’ultimo passo e sottoponga la propria amministrazione giudiziaria al controllo di legalità delle corti internazionali. Garantisca agli imputati ciò che le democrazie concedono a tutti i cittadini. Ne guadagnerà la credibilità del sistema e la causa dei diritti così a rischio oggi.
Foto di copertina: Prof. Avv. Alessandro Diddi, Promotore di giustizia vaticano.