«Veritas, non auctoritas, facit legem». La rivolta dei canonisti contro la (in)giustizia vaticana

Incisione
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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 19.03.2024 – Ivo Pincara] – Socrate riteneva fondamentale mettere i cittadini in dialogo con la propria coscienza, con la “voce divina”, che in ognuno di noi pone un limite, dice cosa “non fare”, laddove i sofisti vedono nella legge solo l’utile del più forte. Sulla scia della tradizione filosofica classica, di Antigone e Cicerone, i Cristiani ritengono che «veritas, non auctoritas, facit legem» (la Verità, non l’autorità, fa la legge). Per Sant’Agostino e San Tommaso esiste una legge naturale, una morale naturale, che si esprime in una serie di principi etici minimi universalmente condivisibili che la ragione riconosce. Questa è la base del giusnaturalismo (veritas facit legem – la Verità fa la legge), contrapposto al giuspositivismo (auctoritas, non veritas, facit legem – l’autorità, non la Verità, fa la legge).

«Quando il diritto è solo il prodotto della volontà di alcuni che impongono ad altri la propria visione delle cose, esso coincide con l’arbitrio. Le radici di tutto ciò, comunque, sono profonde. Bisogna infatti avere ben presente che, in larga misura, gli ordini sociali moderni poggiano su logiche hobbesiane. Non soltanto è assai comune la convinzione, già centrale appunto nel pensiero di Thomas Hobbes, che affinché vi sia pace e convivenza ordinata sia necessario un potere egemone: il monopolio della forza, invece che la lotta di tutti contro tutti. Ancor più importante è il fatto che, come riteneva appunto il filosofo inglese del Seicento, si è progressivamente affermata l’idea che il diritto non sarebbe altro (non può e non deve essere altro) che la volontà del potere sovrano. La formula in latino che leggiamo nel Leviathan è appunto la seguente: “Auctoritas, non veritas, facit legem” (l’autorità, non la verità, fa la legge)» (Carlo Lottieri – Il Giornale, 16 maggio 2021).

Altro non servirebbe, per comprendere lo Stato della (in)giustizia Vaticano. E l’ultimo esempio viene fornito dal noto Promotore di (in)Giustizia vaticano, il Prof. Avv. Alessandro Diddi, che afferma falsità sul conto del Cardinale Angelo Becciu, che in una nota dichiara: «Le dichiarazioni del Promotore di Giustizia Alessandro Diddi nei miei confronti sono offensive. Secondo lui, avrei detto di essere “stato attenzionato da Striano”, addirittura allo scopo di delegittimare il lavoro delle procure: ebbene, questa affermazione è totalmente falsa e priva di fondamento. Non ho mai pronunciato queste o simili parole. È piuttosto vero, stando a quanto riferito dalla stampa italiana, che alcune persone imputate nel processo che mi ha visto coinvolto sarebbero state indebitamente spiate. Il Promotore può fare indagini sul mio conto, ma non ha il diritto di attribuire alla mia persona dichiarazioni che non ho mai fatto e posizioni che non ho mai assunto in merito ad attività di dossieraggio sospette raccontate dalla stampa».

Il Cardinal Becciu prosegue: «Diddi insinua persino che avrei “interesse ad inserirmi in questa situazione”, mentre il mio unico interesse è verso la Verità e l’affermazione della mia innocenza. Prendo atto comunque della certezza con cui il Promotore esclude che ci siano stati accessi specifici relativamente alla mia persona. Ma soprattutto stupisce come un funzionario dello Stato della Città del Vaticano possa pronunciare in maniera così disinvolta e pubblica affermazioni non vere ed offensive. Respingo pertanto fermamente e con sdegno le accuse rivoltemi».

Ieri 18 marzo 2024, su Stato, Chiese e pluralismo confessionale è stato pubblicato il saggio Il “processo del secolo” in Vaticano e le violazioni del diritto dei prominenti canonisti Geraldina Boni (Professore di diritto canonico ed ecclesiastico all’Università di Bologna e Consigliere dell’Ufficio legale dello Stato della Città del Vaticano), Manuel Ganarin (Professore associato presso il Dipartimento di Scienze Giuridiche dell’Università di Bologna) e Alberto Tomer (Assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Scienze Giuridiche dell’Università di Bologna) [QUI].

Di seguito riportiamo alcuni contributi sulle loro analisi, che seguono a quella di Paolo Cavana, Professore di diritto canonico ed ecclesiastico alla LUMSA, pubblicata precedentemente sullo stesso sito, dal titolo Osservazioni sul processo vaticano contro il cardinale Becciu e altri imputati:

  • Sono arrivate le prime analisi legali esterne del “processo del secolo” del Vaticano, e sono critiche di Nicole Winfield – The Associated Press, 19 marzo 2024
  • “Summa iniuria”. Il disastro della giustizia vaticana, regnante papa Francesco di Sandro Magister – Settimo Cielo, 18 marzo 2024
  • Vaticano, canonisti in rivolta: «Nel tribunale del Papa non c’è giusto processo». E si allunga lo spettro della Corte Europea. Per Geraldina Boni e altri canonisti persino i famosi quattro Rescripta del Papa sono “invalidi” di Franca Giansoldati – Il Messaggero, 18 marzo 2024

Le anomalie sono state così grave da aver “invalidato l’intera giustizia del processo, prospettando una violazione della legge divina a cui è soggetto anche il Papa” (Geraldina Boni).

Sono arrivate le prime analisi legali esterne del “processo del secolo” del Vaticano, e sono critiche
di Nicole Winfield
The Associated Press, 19 marzo 2024

(Nostra traduzione italiana dall’inglese)

Diversi eminenti avvocati hanno pubblicato pungenti critiche accademiche e pareri legali sul recentemente concluso “processo del secolo” vaticano, evidenziando violazioni dei diritti fondamentali della difesa e delle norme sullo Stato di diritto che, avvertono, potrebbero avere conseguenze per la Santa Sede in futuro. Le opinioni citano il ruolo di Papa Francesco nel processo, dal momento che ha cambiato segretamente quattro volte la legge vaticana durante le indagini a vantaggio dei pubblici ministeri. E mettono in discussione l’indipendenza e l’imparzialità del Tribunale poiché i suoi giudici giurano obbedienza a Francesco, che può assumerli e licenziarli a suo piacimento. Le critiche sottolineano i crescenti problemi sulla scena internazionale per il peculiare microstato che la Santa Sede chiama casa: una monarchia assoluta in cui Francesco esercita il supremo potere legislativo, esecutivo e giudiziario.

È probabile che le opinioni legali compariranno negli appelli all’interno del sistema giudiziario vaticano delle nove persone che sono state condannate a dicembre per diversi crimini finanziari legati al pasticciato investimento vaticano di 350 milioni di euro (380 milioni di dollari) in una proprietà londinese. E potrebbero anche essere sollevati durante l’attuale revisione del rispetto delle norme europee da parte della Santa Sede presso il Consiglio d’Europa.

Nel corso di due anni di udienze, gli avvocati della difesa hanno evidenziato molte delle stesse questioni ora sollevate da analisti esterni. Ma il Tribunale presieduto dal giudice Giuseppe Pignatone ha più volte respinto le loro istanze. Dopo l’emissione dei primi verdetti, il Direttore editoriale vaticano, Andrea Tornielli, ha insistito sul fatto che il processo è stato giusto, che i giudici hanno agito in modo indipendente e che il processo si è svolto “nel pieno rispetto delle garanzie per gli indagati”.

Geraldina Boni, un Professore di diritto canonico ed ecclesiastico all’Università di Bologna e Consigliere dell’ufficio legale del Vaticano, non è d’accordo in un articolo pubblicato lunedì sulla rivista giuridica peer-reviewed dell’Università di Milano. Scrivendo con gli esperti legali ecclesiastici Manuel Ganarin e Alberto Tomer, Boni ha scritto che i quattro decreti esecutivi segreti che Francesco ha scritto durante le indagini hanno dato ai pubblici ministeri “essenzialmente, e un po’ surrealistico, ‘carta bianca’” per portare avanti il loro caso senza che alcun giudice li supervisionasse.

I decreti, che non furono mai pubblicati, autorizzavano i pubblici ministeri a intercettare le comunicazioni dei sospettati e ad adottare “qualunque” misura precauzionale nei loro confronti fosse necessaria, inclusa la deviazione dalla vigente legge vaticana. La difesa venne a conoscenza della loro esistenza solo a processo in corso. Boni, che ha affermato che le è stato chiesto di fornire un parere legale per la difesa del Cardinale Angelo Becciu, condannato per appropriazione indebita, ha affermato che i decreti rappresentano una chiara violazione del diritto a un giusto processo, che richiede “la parità delle armi”. tra difesa e accusa. “È evidente che le persone indagate nel caso si sono trovate in una situazione di sostanziale e oneroso svantaggio, poiché erano del tutto ignare dei nuovi poteri investigativi dell’accusa e quindi incapaci di prevedere ragionevolmente gli effetti delle loro azioni”, ha scritto su Stato, Chiese e pluralismo confessionale.

A quanto pare, Francesco ha cercato di giustificare le misure adottate per far decollare il processo, dicendo al personale del Tribunale nel 2023 che avrebbero dovuto “evitare il rischio di confondere il dito con la luna” o permettere che ostacoli si frappongano sulla strada di un bene maggiore. Ma Boni sostiene che nel diritto penale e processuale i fini non possono giustificare i mezzi. Un simile atteggiamento, ha avvertito, “potrebbe finire per giustificare qualsiasi condotta e qualsiasi uso del potere sovrano nella ricerca a tutti i costi dei colpevoli”. Anche se il Tribunale ha cercato di compensare tali “abusi inaccettabili”, ha scritto, le anomalie sono stati così gravi da aver “invalidato l’intera giustizia del processo, prospettando una violazione della legge divina a cui è soggetto anche il Papa”.

Paolo Cavana, un Professore di diritto canonico ed ecclesiastico presso l’Università LUMSA, affiliata al Vaticano, ha sostenuto che la Santa Sede è vincolata alle norme europee che garantiscono un giusto processo “da parte di un tribunale indipendente e imparziale”, anche se tecnicamente non ha mai firmato la Convenzione Europea sui Diritti Umani. Scrivendo sulla stessa rivista di Boni, Cavana ha sostenuto che la Santa Sede si è impegnata a sostenere i principi fondamentali della Convenzione quando ha concluso un accordo monetario con l’Unione Europea nel 2009, consentendo al Vaticano di utilizzare l’euro come valuta ufficiale. Ma ha detto che è questione di dibattito se i giudici vaticani siano veramente indipendenti “dato il carattere pervasivo dei poteri del pontefice”. È chiaro che i decreti papali esercitarono sui giudici “una forte pressione sull’esito del processo stesso”, ha scritto.

Cavana, che dal 2019 è anche Consigliere del Premier italiano per le questioni ecclesiali e vaticane, ha avvertito che l’Italia e altri Stati potrebbero non riconoscere le sentenze pronunciate da un Tribunale se i giudici non sono considerati indipendenti e imparziali.

Rodney Dixon, un avvocato veterano britannico internazionale e dei diritti umani, ha affermato la stessa cosa in un parere legale redatto su richiesta dell’imputato Raffaele Mincione. Dixon ha affermato che i Paesi dovrebbero rifiutarsi di cooperare con il Tribunale vaticano e dovrebbero rifiutarsi di rispettare i suoi verdetti, dal momento che il processo è stato “guastato da violazioni sostanziali di obblighi giuridici internazionali consolidati applicabili a tutti i procedimenti penali”.

Dixon, che è stato avvocato alla Corte Penale Internazionale, alla Corte Internazionale di Giustizia e alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, ha citato i quattro decreti papali, il rifiuto del tribunale di consentire a Mincione di chiamare sette testimoni nonché il rifiuto dei pubblici ministeri di consegnare alla difesa tutte le prove.

Il capo del Tribunale Pignatone ha più volte respinto le affermazioni della difesa secondo cui gli indagati non avrebbero avuto un giusto processo, arrivando addirittura ad escludere la testimonianza dell’imputato Gianluigi Torzi, arrestato e detenuto per 10 giorni senza essere imputato a seguito dei poteri speciali conferiti dal papa ai Promotori di Giustizia. In un’ordinanza del 1° marzo 2022, Pignatone ha affermato che, sebbene il Vaticano non abbia aderito ad alcuna convenzione internazionale sui diritti umani, le sue stesse leggi ne incorporano pienamente i principi. Ha osservato che sia i Tribunali italiani che quelli svizzeri hanno precedentemente riconosciuto l’indipendenza e l’imparzialità dei giudici vaticani e ha ricordato che nell’esercizio concreto del loro lavoro, i giudici vaticani sono “soggetti solo alla legge”.

“Summa iniuria”. Il disastro della giustizia vaticana, regnante papa Francesco
di Sandro Magister
Settimo Cielo, 18 marzo 2024

“Bisogna avere coraggio mentre si è impegnati per assicurare il giusto svolgimento dei processi e si è sottoposti a critiche”, ha detto lo scorso 2 marzo papa Francesco nell’inaugurare il nuovo anno giudiziario del tribunale dello Stato della Città del Vaticano.

Perché le critiche davvero non sono mancate, anzi, in questi giorni di marzo sono piovute come un diluvio, e da parte di giuristi e canonisti dei più autorevoli, secondo i quali in quello che è stato denominato in Vaticano il “processo del secolo” – la cui prima tornata è finita a dicembre con una raffica di condanne tra cui per la prima volta quella di un cardinale – “non solo non è stato garantito il giusto processo, ma si sono perpetrate violazioni gravissime del diritto, persino di quello divino”.

L’ultimo di questi interventi critici è un imponente saggio di 180 pagine pubblicato oggi su “Stato, Chiese e pluralismo confessionale” (una rivista specialistica i cui singoli articoli sono previamente sottoposti alla valutazione di esperti) col titolo “Il ‘processo del secolo’ in Vaticano e le violazioni dei diritti”, a firma di Geraldina Boni, docente di diritto ecclesiastico e canonico all’Università di Bologna e dal 2011 consulente del pontificio consiglio per i testi legislativi.

Il saggio è offerto alla lettura di tutti nel sito della rivista. Ma per avvertirne fin da subito l’origine e la portata, è utile leggere la “Annotazione preliminare” con cui la professoressa Boni lo introduce, riprodotta qui di seguito: “Questo lavoro nasce come parere ‘pro veritate’ a sostegno dell’appello alla sentenza del Tribunale vaticano, datata 16 dicembre 2023, predisposto dagli avvocati Fabio Viglione e Maria Concetta Marzo, che patrocinano il cardinale Giovanni Angelo Becciu.
“È stata Sua Eminenza a contattarmi personalmente e a sollecitarmi affinché assumessi questo incarico. Ma, dopo aver letto tutti gli atti processuali, a spingermi a tale impegno non è stata la reverenza nei confronti del cardinale (che peraltro non ho mai incontrato), e neppure la convinzione progressivamente da me maturata della sua totale innocenza: ma la preoccupazione per la giustizia, quella stessa che mi spinge alla pubblicazione.
“Per questo dedico il presente lavoro – nella cui stesura mi hanno validamente affiancato Manuel Ganarin e Alberto Tomer – al mio maestro, il professor Giuseppe Dalla Torre e al caro professor Piero Antonio Bonnet, a lungo presidente, il primo, e giudice, il secondo, del Tribunale vaticano, colpiti entrambi da una morte precoce: che pur li ha preservati dall’assistere a vicende processuali che li avrebbero amareggiati.
“Non ci si inoltrerà in alcun modo in questioni sul merito delle accuse: la difesa predisposta dagli avvocati contesta dettagliatamente ed eccellentemente tutte le imputazioni addebitate al cardinale Becciu. Le ragioni di diritto sviluppate, tuttavia, presuppongono e si basano sugli atti processuali, come non può non essere: arrivando a conclusioni che inficiano radicalmente la validità di questo processo”.

Ma già un paio di settimane prima del saggio di Geraldina Boni è uscito, sempre su “Stato, Chiese e pluralismo confessionale”, un altro intervento critico, anch’esso molto severo, del sistema giudiziario vaticano visto all’opera nel cosiddetto “processo del secolo”.

Il titolo è “Osservazioni sul processo vaticano contro il cardinale Becciu e altri imputati”. E l’autore è Paolo Cavana, professore di diritto canonico ed ecclesiastico alla Libera Università Maria Santissima Assunta di Roma e anche lui discepolo di Giuseppe Dalla Torre. Il suo intento dichiarato è di esporre “alcune osservazioni del punto di vista strettamente giuridico” riguardanti i principi di diritto internazionale ai quali la Santa Sede ha aderito, ma risultati gravemente contraddetti nello svolgimento del processo.

L’esito finale dell’analisi è una bocciatura senza appello. E vale ripercorrerne qui i passaggi.

I principi di diritto internazionale assunti dal professor Cavana come misura della valutazione sono principalmente quelli della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, ai quali la Santa Sede ha aderito nel 2009 firmando con l’Unione europea la convenzione monetaria che l’autorizzava ad adottare l’euro come moneta ufficiale, e prima ancora quelli da essa fatti propri con la firma nel 1975 dell’Atto finale della conferenza di Helsinki, che a sua volta rimandava alla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo.

A chi obietta che “prima sedes a nemine iudicatur”, ossia che il papa “non è giudicato da nessuno” (canone 1404 del Codice di diritto canonico), Cavana replica che tale principio “è da ritenersi compiutamente vigente solo nell’ambito delle prerogative spirituali e disciplinari, divinamente fondate, proprie del pontefice in quanto capo della Chiesa cattolica”, ma non nella comunità internazionale, dove egli gode unicamente “delle immunità personali proprie di un capo di Stato come pure di quelle riconosciute alla Santa Sede”.

E nemmeno vale far leva sulla potestà assoluta di governo, sia legislativa che esecutiva che giudiziaria, attribuita al papa “in forza del ‘munus’ petrino anche sullo Stato della Città del Vaticano”, come recita il preambolo della Legge fondamentale di tale Stato, emanata da Francesco lo scorso 13 maggio.

Cavana obietta che “la pretesa di mantenere immutati anche in ambito temporale gli attributi e le potestà che al papa competono in forza della sua sovranità spirituale di origine divina, dando vita a una forma di Stato teocratico e assolutista, ha comportato nella storia un prezzo altissimo per la Chiesa e per la sua missione di evangelizzazione, che non a caso ha indotto i pontefici, dal Concilio Vaticano II in poi, a vedere nella fine del potere temporale dei papi un evento provvidenziale. […] In ogni caso, una simile concezione assolutista del potere del papa in ambito temporale, risalente a un contesto storico ed ecclesiale assai diverso dall’attuale, appare oggi incompatibile con i principi, sottoscritti anche dalla Santa Sede, dello stato di diritto o ‘rule of law’ e, in ambito giudiziario, con quelli del giusto processo”.

Sono due, in particolare, i punti del sistema giudiziario vaticano su cui più si concentra la critica del professor Cavana.

Il primo ha a che fare con l’indipendenza dei giudici, “a motivo del carattere pervasivo dei poteri del pontefice”.

Scrive Cavana: “Al riguardo la legislazione vigente dello Stato della Città del Vaticano prevede che i magistrati dipendono gerarchicamente dal sommo pontefice, che li nomina liberamente, designando ciascuno al proprio ufficio, e può revocarli ‘ad libitum’: non godono quindi della così detta inamovibilità, che costituisce una garanzia di indipendenza ampiamente recepita negli ordinamenti contemporanei.
“Inoltre, prima di assumere le loro funzioni, tutti i magistrati vaticani sono tenuti a prestare giuramento con la seguente formula: ‘Giuro di essere fedele e obbediente al sommo pontefice’. Infine, con disposizione risalente al 1929 e sempre confermata, la legislazione vaticana tuttora prevede che ‘il sommo pontefice, in qualunque causa civile o penale e in qualsiasi stato della medesima, può deferirne l’istruttoria e la decisione ad una particolare istanza’ (art. 21, secondo comma, Legge fondamentale dello Stato della Città del Vaticano), in potenziale contrasto con il principio del ‘tribunale indipendente e imparziale costituito per legge’ (art. 6, Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo).
“Sul piano normativo vi sono quindi una serie di elementi che potrebbero far dubitare dell’effettiva indipendenza dei giudici vaticani rispetto al potere sovrano. D’altra parte occorre riconoscere che fino al pontificato di Benedetto XVI, e per prassi costante, il soggetto sovrano, ossia il pontefice, non era mai intervenuto nell’ambito di processi in corso davanti ai giudici vaticani, né risulta abbia mai esercitato quelle facoltà speciali pur riconosciutegli astrattamente dalla legislazione vaticana”.

E siamo al secondo punto critico: i “plurimi interventi”, tecnicamente chiamati “rescripta”, con i quali papa Francesco ha modificato in corso d’opera lo svolgimento del processo, “ampliando le facoltà e i poteri del promotore di giustizia, organo dell’accusa, a scapito della sfera di libertà degli imputati”.

Cavana specifica che tali provvedimenti papali sono stati “adottati senza essere stati mai pubblicati, in contrasto con il principio di legalità, che impone la previa pubblicazione degli atti aventi forza di legge prima della loro entrata in vigore sia nell’ordinamento vaticano che in quello canonico, né comunicati alle parti e rimasti segreti fino alla loro produzione in giudizio da parte del promotore di giustizia, avvenuta – su esplicita richiesta del Tribunale – solo molto tempo dopo la loro emanazione e il loro utilizzo (quasi due anni dai primi rescritti e più di un anno dall’ultimo), e sottratti per tutto il corso del processo al vaglio di giurisdizioni esterne”.

L’emanazione da parte del papa di tali provvedimenti, aggiunge Cavana, “ha potenzialmente arrecato un grave ‘vulnus’ all’indipendenza e alla stessa imparzialità dei giudici. Infatti, tenendo conto del quadro normativo sopra richiamato, ovvero del giuramento di fedeltà che i magistrati vaticani sono tenuti a prestare al pontefice e dei poteri che a questi compete su di essi, tra cui quello di nomina e di revoca ‘ad libitum’, è evidente che tali ‘rescripta’ erano in grado non solo di condizionare fortemente la valutazione dei giudici circa la loro legittimità e quella dei poteri da essi conferiti al promotore di giustizia ma anche di esercitare su di essi una forte pressione in ordine allo stesso esito del processo”.

Non solo. La giustificazione data in aula a tali provvedimenti da parte dei giudici del tribunale vaticano ha teorizzato “una concezione assolutista del potere sovrano che non trova più alcun riscontro negli ordinamenti giuridici moderni e contemporanei, rispettosi dei diritti umani e di civiltà giuridica avanzata, in quanto annulla ogni divisione o separazione dei poteri e priva i giudici di ogni pretesa indipendenza rispetto al soggetto sovrano, al quale viene riconosciuto il potere incondizionato di modificare ‘ad libitum’ le norme del singolo processo in corso anche a scapito dei diritti degli imputati, annullando di fatto ogni garanzia stabilita per legge”.

Con in più la conseguenza di “incrinare la sostanziale affidabilità di cui ha goduto fino a oggi la giurisdizione dello Stato della Città del Vaticano a livello internazionale”.

In particolare, avverte Cavana, non è affatto sicuro che la sentenza penale emessa dal Tribunale vaticano al termine di un processo siffatto venga riconosciuta come valida in Italia, vista l’incompatibilità di tale processo con le garanzie che devono essere assicurate alla difesa, a norma della Costituzione italiana.

E altrettanto può accadere in campo internazionale. Cavana cita una passata sentenza della Corte europea di Strasburgo nella quale l’Italia è stata condannata per aver resa esecutiva una sentenza della Rota romana senza prima verificare “che nel quadro della procedura canonica la ricorrente avesse beneficiato di un giusto processo”. Il caso riguardava un processo canonico di nullità matrimoniale svolto in forma abbreviata come consentito da papa Francesco, nel quale la Corte europea aveva ravvisato carente “la tutela del fondamentale diritto alla difesa”.

Scrive Cavana in conclusione del suo saggio: “È chiaro che la posta in gioco nel processo contro il cardinale Becciu e altri non riguarda più soltanto la sorte degli imputati, la loro onorabilità e libertà, che meritano peraltro la massima attenzione e tutela, ma la stessa credibilità e coerenza della Santa Sede, cioè la sua capacità e volontà di attuare concretamente e in prima persona, ossia nell’ambito del piccolo Stato di cui il papa è sovrano, quei principi di civiltà cui essa non soltanto ha aderito sul piano internazionale, impegnandosi a osservarli, ma che proclama di difendere e di promuovere come parte della dottrina sociale della Chiesa”.

E ancora: “La sua stessa missione di pace rischierebbe di risultare indebolita e meno efficace se principi fondamentali, come quello dello stato di diritto o ‘rule of law’, che costituisce una condizione essenziale per assicurare la giustizia e la pace tra le persone e i popoli, risultassero disattesi o contraddetti nella pratica giudiziaria e di governo dello Stato vaticano”.

Nell’autobiografia di papa Francesco che uscirà domani, 19 marzo, in più lingue e in decine di paesi per i tipi di HarperCollins, egli lamenta che nella Chiesa c’è ancora “chi vorrebbe rimanere fermo ai tempi del papa re”.

Ma se l’indipendenza dei giudici – come ha messo in evidenza il professor Cavana – “è il principio fondativo dello stato di diritto o ‘rule of law’, riconosciuto anche dalla dottrina sociale della Chiesa”, proprio al monarca assoluto Francesco va addebitato di averla ridotta in macerie.

“Ne era ben consapevole – scrive ancora Cavana – Benedetto XVI, il quale, in relazione al processo promosso e già concluso nei confronti del suo cameriere personale, che aveva trafugato una gran quantità di documenti dalla sua abitazione nel palazzo apostolico, ebbe a dichiarare: ‘Per me era importante che proprio in Vaticano fosse garantita l’indipendenza della giustizia, che il monarca non dicesse: adesso me ne occupo io. In uno stato di diritto la giustizia deve fare il suo corso. Il monarca, poi, può concedere la grazia. Ma questa è un’altra storia’”.

Vaticano, canonisti in rivolta: «Nel tribunale del Papa non c’è giusto processo». E si allunga lo spettro della Corte Europea
Per Geraldina Boni e altri canonisti persino i famosi quattro Rescripta del Papa sono “invalidi”
di Franca Giansoldati
Il Messaggero, 18 marzo 2024

«Deriva giustizialista», «zone d’ombra», «bizzarre asserzioni frutto di incompetenza canonica» da parte dei magistrati del Papa che si ripercuotono poi drammaticamente sul modo di amministrare la giustizia nel piccolo Stato pontificio. Tutto questo mette in discussione «i principi del giusto processo» legati «direttamente al diritto divino naturale», complicando di conseguenza gli obblighi vaticani nella comunità internazionale con «rischi concreti per lo Stato pontificio stesso». Un terremoto di questa portata – mai visto in nessun pontificato moderno – viene denunciato dal mondo accademico, dai giuristi, dagli storici della Chiesa, dai canonisti. «Il monarca non è certamente legibus solutus sia in ragione della centralità dello ius canonicum nella economia giuridica italiana, sia per la natura e i fini del Vaticano in relazione alla Santa Sede». Il primo canonista a romprere gli argini è stato il professor Paolo Cavana della Lumsa. Ora lo seguono a ruota i canonisti dell’Alma Mater Studiorum di Bologna.

Si intitola “Il processo del secolo e le violazioni di diritto” il monumentale studio firmato dalla autorevole canonista, Geraldina Boni, professoressa ordinaria di Diritto ecclesiastico a Bologna e dal 2011 consulente del pontificio Consiglio per i testi legislativi, assieme a altri due professori di diritto ecclesiastico e canonico Manuel Ganarin e Alberto Tomer. Il testo integrale è stato pubblicato su “Stato, Chiese e pluralismo confessionale”, la rivista scientifica di riferimento a livello internazionale per tutti i canonisti, i giuristi, i professori delle maggiori università. Una sorta di ‘bibbia’ per chi si occupa di diritto canonico.

Al centro dell’analisi c’è il modo in cui è stato portato avanti il processo Becciu, partito dalla disgraziata compravendita del palazzo di Londra, e terminato – dopo vari colpi di scena, situazioni ingarbugliate e proteste continue da parte delle difese che non sarebbero state messe in condizioni di affrontare alla pari l’accusa – con la condanna di nove dei dieci imputati, lasciando dietro di sé una montagna di carta e tante perplessità di natura tecnica. «Una vicenda che potrebbe confinare la Santa Sede ai margini della comunità internazionale a motivo della violazione di precisi obblighi pattizi, fra tutti quelli sanciti dalla Convenzione monetaria per l’Unione del 2009 e comunque di quel nucleo di valori e princpi che accomunano le legislazioni e le prassi processuale degli Stati di diritto» si legge nello studio firmato Geraldina Boni-Ganarin-Tomer.

Il punto di rottura secondo gli esperti di diritto canonico interpellati sono stati i quattro Rescripta concessi da Papa Francesco in via riservata al Promotore di Giustizia, Alessandro Diddi in un arco temporale che va dal 2019 al febbraio 2020.

La notizia di questi atti straordinari che hanno permesso ai pm di agire in modo eccezionale e senza limiti, una sorta di «carta bianca», è arrivata solo a processo in corso, «a grave discapito della posizione processuale dei soggetti coinvolti». Intercettazioni, uso di tecnologie per svolgere le indagini, uso senza limiti dei documenti sequestrati. Gli accademici etichettano questa deriva come «giustizialista. E’ assai preoccupante perché finisce per giustificare qualsiasi condotta e qualsiasi uso del potere sovrano al fine della ricerca del colpevole a ogni costo (…) accentuando il divario tra le parti». Come dire che il giusto processo è andato a farsi benedire.

Non solo. «Le anomalie sono state così vistose da avere inficiato la giustizia complessiva del processo, prospettando una violazione del diritto divino, cui anche il Papa soggiace, in alcun modo rimediabile: violazione insanabile che preclude a priori l’apporto sanante di rimedi perequativi sopravvenuti, ancorché previsti nel codice di rito, in questo caso recessivo rispetto alla fonte normativa superiore» annota Boni, sottolineando l’uso arbitrario del potere.

I famosi Rescripta a detta dei canonisti, alla luce delle considerazioni fatte, vengono definiti «invalidi e privi di carattere normativo» per due ragioni, primo perché «“si sono rivelati ingiusti, irrazionali essendo stati posti in spregio della legalità processuale (…) del giusto processo, in secondo luogo perché (…) hanno favorito le attività d’indagine svolte dalla accusa in relazione a un solo iter penale nei confronti di persone determinate ledendo irrecuperabilmente i loro diritti».

Il lunghissimo studio analizza come il diritto canonico “sia stato strapazzato e manomesso” da numerose interpretazioni “stravaganti” con l’effetto di isolare ancora di più il piccolo stato pontificio. Non è stata solo la politica tesa a snaturare il diritto canonico ma pure il fatto che “in qualsiasi altro stato democratico, rivelando una eclatante anomalia, avrebbe azzerato l’intero procedimento penale” ma nello Stato della Città del Vaticano l’operato del promotore di Giustizia, Alessandro Diddi “non è stato scalfito neppure di un millimetro”. L’ombrello della “autorità pontificia in questa ottica è reputato magicamente in grado di legittimare tutto. Vengono anche passate in rassegna le decisioni di Papa Francesco di riformare la Cassazione vaticana con nomine che imporrebbero un cambiamento di rotta per gli evidenti conflitti di interessi. “Designazioni inappropriate” sia perchè i cardinali nominati non hanno un titolo di studio in materie giuridiche o il dottorato in diritto canonico (i cardinali Joseph Farrell, Matteo Zuppi, Paolo Lojudice, Mauro Gambetti), sia perchè per alcuni di loro (Farrell e Zuppi) hanno accumulato diversi incarichi “facendo profilare all’orizzonte ipetesi di inucompativit con conseguente obbligo di astenzione da parte del giudice interessato”. Una “plumbea coltre di sospetto pare aleggiare nel microsistema della giustizia del Papa”. Senza contare gli aumenti di stipendio e i trattamenti che sono stati riservati ai magistrati subito dopo il processo del secolo: “Ciò che sorprende è la tempistica”.

Foto di copertina: Gustave Doré, La distruzione del Leviatano, incisione del 1865. Raffigura una feroce battaglia, come descritto nel Libro di Isaia, tra Dio e il mostruoso serpente marino Leviatano, un potente simbolo del caos e del male nella tradizione giudaico-cristiana.

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