Le conseguenze del processo del secolo vaticano

[Korazym.org/Blog dell’Editore, 08.07.2024 – Andrea Gagliarducci] – Non capita tutti i giorni che il Capo di gabinetto del Papa testimoni in un importante procedimento legale. È ancora più raro che il Capo di gabinetto papale testimoni in un procedimento condotto da uno Stato diverso dallo Stato della Città del Vaticano. Però, questo è quello che è successo la scorsa settimana, ed è stato davvero una questione grossa [QUI]. Mons. Edgar Peña Parra, Sostituto della Segreteria di Stato, ha testimoniato nel procedimento avviato da Raffaele Mincione, uno degli imputati nel cosiddetto “processo del secolo” in Vaticano.
Mincione aveva gestito le quote del palazzo londinese per la Segreteria di Stato e poi le aveva vendute a un nuovo manager, Gianluigi Torzi. Il Tribunale vaticano ha condannato Mincione e Torzi [QUI] per alcune delle accuse, ma deve ancora pubblicare la motivazione completa. Sembra che ciò avverrà il 20 luglio, e sarà interessante osservare come i giudici vaticani hanno delineato accuse e colpe.
Nei giorni scorsi si è tenuta al Tribunale vaticano anche un’udienza sulla causa intentata da Libero Milone, l’ex Revisore generale vaticano che, secondo la sua ricostruzione, sarebbe stato – secondo lui – costretto a dimettersi insieme al suo vice Panicco sotto le fortissime pressioni dell’allora Sostituto Arcivescovo Angelo Becciu, oggi cardinale, anch’egli accusato e condannato nel cosiddetto “processo del secolo” [1].
Inoltre, questo è il periodo dell’anno in cui vengono pubblicati uno alla volta i bilanci e le relazioni degli enti finanziari vaticani e dei loro organi di vigilanza. I dati di questi bilanci sono essenziali per comprendere come ha preso forma il processo del secolo, le sue conseguenze e chi erano gli attori in gioco. Esistono, infatti, due modi di guardare al processo.
Il primo è puntare il dito sui dettagli. C’era corruzione oppure no? Come hanno reagito le persone coinvolte? Il loro modo di agire era corretto e ortodosso? Queste sono domande che non hanno risposte semplici. La Memoria che Mons. Peña Parra ha consegnato nel processo vaticano parla di un naturale “sistema Perlasca”. A capo dell’Amministrazione della Segreteria di Stato fu Mons. Alberto Perlasca, che agì in nome della Segreteria di Stato durante tutte fasi dell’investimento e affidò gli investimenti prima a Mincione e Torzi.
Nelle dichiarazioni depositate nel processo di Londra si nota che molte decisioni erano discrezionali, e anche che i contratti stipulati non andavano a vantaggio della Santa Sede. Perché, però, Perlasca non venne nemmeno indagato? E perché, dopo il processo, Perlasca è tornato al suo incarico di pubblico ministero – Sostituto Promotore di giustizia nel linguaggio vaticano – presso il Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica (incarico, tra l’altro, che gli era stato assegnato proprio per farlo uscire dalla Segreteria di Stato, in difficoltà a causa degli investimenti autorizzati dallo stesso Perlasca)?
E poi, ancora. La Segreteria di Stato ha lamentato una condotta fraudolenta nei confronti dell’investimento londinese e che Mincione e Torzi sembravano concorrenti. Invece – nota la Segreteria di Stato – avevano affari insieme e hanno concordato di trarre il massimo profitto dall’operazione perché non avevano liquidità dopo il fallimento di un’operazione con una banca italiana, la CARIGE. Ma Mincione e Torzi avevano degli accordi, che sfruttarono al massimo delle loro possibilità, e una forza contrattuale che sfruttarono per massimizzare i profitti. Sono uomini d’affari, non uomini di Chiesa; in definitiva, la Santa Sede non è altro che un partner commerciale. Un partner prestigioso, ovviamente, e fare affari con la Santa Sede aumenta sicuramente la credibilità dei partner commerciali della Santa Sede, ma la Santa Sede ha le sue regole, rapporti di fiducia e “buchi” nel sistema che possono essere sfruttati.
Da qui la posizione del Cardinale Angelo Becciu. Becciu era in grado di approvare gli investimenti? Sì, lo era. Era in grado di comprendere appieno gli investimenti proposti? No, o almeno in alcune circostanze, doveva fidarsi. Becciu si è imbattuto per primo nella possibilità di un investimento in azioni petrolifere della Falcon Oil dell’imprenditore angolano Mosquito, da lui conosciuto. Quindi, dopo due anni in cui si era già lavorato su questa possibilità, l’investimento fu considerato non redditizio. Sarà Mincione, chiamato a curare l’investimento, a proporre l’investimento nel famoso palazzo londinese.
Questo sistema di fare le cose basato sulla fiducia, sulla discrezione personale e persino sulla disponibilità economica aveva i suoi limiti. Funziona quando tutti sono competenti e condividono uno scopo comune. Quando ciò non accade, quando ci si trova di fronte ad una gestione eccessiva per le proprie capacità, è necessario apportare degli aggiustamenti. Ma era il sistema. È sufficiente dire che c’era una corruzione diffusa? Oppure si parla soprattutto di generale incompetenza, (in)discrezione e (forse) delirio di onnipotenza da parte delle persone coinvolte? Ma questo è solo il dito che punta alla luna.
Il problema generale del processo del secolo è la testimonianza di Peña Parra a Londra. Il sistema della Santa Sede era peculiare e funzionava proprio per la sua peculiarità. Anche l’apertura internazionale della Santa Sede – inclusa l’accettazione di sottoporsi alla valutazione reciproca del Comitato MONEYVAL del Consiglio d’Europa – è stata coerente con la sua missione [QUI]. La legge antiriciclaggio era stata progettata per soddisfare gli standard internazionali, prendendo le distanze anche dai criteri italiani che avevano dominato la prima bozza della legge antiriciclaggio – e dalla presenza di ex uomini della Banca d’Italia nel consiglio della prima Autorità di Informazione Finanziaria è stato un chiaro segnale in questo senso.
Questa apertura internazionale, però, doveva essere gestita. Il sistema ha funzionato solo parzialmente. I magistrati vaticani non hanno dato seguito alle segnalazioni di operazioni sospette provenienti dall’Autorità di Informazione Finanziaria e MONEYVAL non ha mancato di notarlo [QUI]. Un sistema che si chiudeva agli standard internazionali, per poi aprirsi quando in realtà lo scandalo sfociava nel delitto perfetto: eliminare tutti coloro che avevano consentito la svolta internazionale della Santa Sede.
Un ex funzionario della Banca d’Italia è tornato alla presidenza dell’AIF, i magistrati vaticani hanno potuto continuare la loro attività in Italia e Papa Francesco ha addirittura concesso loro di restare nell’incarico vaticano part-time, quando MONEYVAL aveva invece chiesto che almeno uno dei giudici e dei promotori di giustizia (i pubblici ministeri) fossero impiegati a tempo pieno in Vaticano.
Si parla molto della sovranità della Santa Sede, ma la verità è che la sovranità si è indebolita. Lo Stato della Città del Vaticano ne uscì rafforzato con la predominanza dei gendarmi e dei magistrati vaticani. Papa Francesco è intervenuto personalmente nel processo con quattro rescritti che hanno cambiato le regole delle indagini in corso – o hanno coperto una lacuna normativa nell’interpretazione del Promotore di giustizia vaticano.
Il fatto è che, al di là degli episodi che hanno portato la Santa Sede a perdere ingenti somme di denaro, questo processo ha causato danni al sistema stesso della Santa Sede. La Segreteria di Stato sostiene di essere parte lesa. Non è solo economico. Ha perso centralità tra gli organi della Curia, ma questo non significa che non ci sarà più corruzione: la gestione è passata a un altro organismo centrale, ad altri pesi e contrappesi, che però sono tutti da definire.
Piuttosto che una riforma sistemica, ci troviamo di fronte allo smantellamento di una revisione in corso, uno smantellamento alimentato da procedimenti legali su scandali reali o presunti e da un feroce spoils system [2]. Sono diversi gli esempi di dimissioni spontanee e di malattie dovute a processi. Tuttavia, queste dimissioni non hanno consentito di apportare modifiche. Demonizzarono ciò che c’era prima.
Eppure, resoconti alla mano, solo alcune cose andavano male. Nel 2012 lo IOR ha registrato un utile record di 86,6 milioni, mai replicato. L’Obolo di San Pietro aveva una riscossione maggiore, e il 90 per cento era stato destinato sempre alle spese della Curia [QUI]. Solo che, in questa situazione, l’Obolo di San Pietro è stato chiamato a dare di più perché non c’erano contributi da parte dello IOR, e così l’anno scorso ha raddoppiato il suo patrimonio con la vendita di immobili [QUI]. L’APSA, recentemente entrata nella gestione di tutti gli investimenti vaticani come fondo sovrano, è ora chiamata a cercare di monetizzare le sue proprietà, ristrutturando, disinvestendo o affittando in modo più vantaggioso – e, a volte, affittando a organizzazioni secolari, più redditizie, più che alle persone religiose [QUI]. Da questo punto di vista il processo del secolo vaticano, qualunque sia la sentenza, può considerarsi un fallimento.
Da un certo punto di vista, il processo ha esposto la Santa Sede a livello internazionale, il che ha minato la reputazione dell’istituzione. Ha creato riforme con solo una parziale approvazione internazionale. Ha portato criteri di laicità alla Santa Sede, che è sempre stata nel concerto delle nazioni pur mantenendo la propria peculiarità.
Tra l’altro, va notato che il processo del secolo nasce da un cortocircuito interno: la Segreteria di Stato aveva un problema, ha provato a risolverlo, ha coinvolto in questa soluzione l’Autorità di Informazione Finanziaria, e ha chiesto un prestito allo IOR. Lo IOR non è una banca, ma può concedere prestiti a determinate condizioni e in alcune situazioni. Ma lo IOR prima dice di sì, poi denuncia la Segreteria di Stato. Pertanto, un ente governativo fa causa al governo stesso. Invece di risolvere questo cortocircuito, il Sovrano si accorda con l’organo di governo, che dovrebbe aiutare e collaborare con il governo.
È necessaria una lotta alla corruzione. Ci sono riforme essenziali. La storia giudicherà il modo in cui sono state realizzate e solo talvolta il giudizio sarà positivo. Tra l’altro è venuto meno il principio di reciproca collaborazione all’interno della Santa Sede. La Curia sembra essere diventata un insieme di uffici e nulla più.
Questo articolo nella nostra traduzione italiana è stato pubblicato dall’autore in inglese sul suo blog Monday Vatican [QUI].
[1] Becciu risponde a Milone: “Contro di me infami insinuazioni”
Contattato da IlGiornale.it, in una dichiarazione esclusiva il cardinale sardo contesta le illazioni sulla morte di George Pell e contrattacca: “Interverranno gli avvocati”
di Nico Spuntoni
IlGiornale.it, 8 luglio 2024
I punti chiave
Il Cardinale Angelo Becciu, da noi contattato, rompe il silenzio e lo fa in una dichiarazione rilasciata in esclusiva a IlGiornale.it per rispondere alle accuse di Libero Milone, l’ex Revisore dei conti vaticano allontanato dal suo ruolo nel 2017. Su nostra richiesta, l’ex Sostituto della Segreteria di Stato interviene per la prima volta a proposito dei sospetti sulla morte del Cardinale George Pell, già Prefetto della Segreteria per l’economia, lanciati nei giorni scorsi in un articolo del The Australian a firma Paola Totaro con le dichiarazioni di Milone secondo cui “la sua morte rimane tuttavia avvolta nel mistero” e i riferimenti alla presunta opposizione dell’allora monsignore sardo contro le riforme finanziarie caldeggiate dal porporato australiano e dall’ex Revisore.
Parla Becciu
Becciu non ci sta ad essere tirato in mezzo alle accuse di Milone. Nella dichiarazione a IlGiornale.it contesta quelle che definisce le “fantasiose e macabre ricostruzioni ad insinuare persino che il sottoscritto – ormai descritto abitualmente come il corrotto per antonomasia della Curia romana – possa essere in qualche modo coinvolto nella morte, da loro evidentemente giudicata non naturale, del Cardinale George Pell” riportate da “alcuni giornali e diversi siti, soprattutto anglofoni”. L’articolo australiano, a cui ne sono seguiti altri nel mondo anglosassone, ha parlato delle voci sullo stato del corpo dell’ex Arcivescovo di Sydney dopo la morte avvenuta per arresto cardiaco nel gennaio 2023 e dei presunti misteri che aleggerebbero sul tragico evento, ma anche dei suoi contrasti con Becciu ai tempi della loro coabitazione in Curia e del ruolo che l’ex Sostituto avrebbe avuto nell’allontanamento di Milone. A IlGiornale.it, Becciu dice che “in questi giorni è partita una nuova e squallida campagna mediatica di demonizzazione della mia persona”. Nella dichiarazione, il porporato di Pattada afferma: “Addolora poi, che tra queste testate vi siano anche taluni siti cattolici ad avvalorare simile nefandezza”.
Il presule sardo, inoltre, sottolinea le parole di sabato, sempre sul The Australian, del fratello del defunto cardinale secondo cui, per i suoi problemi cardiaci, Pell sarebbe stato “una bomba ad orologeria”. Becciu ci scrive che le parole del “signor David Pell, richiamano al buon senso i sostenitori di questa tesi assurda ed offensiva”, ricordando che “già all’inizio del mio ‘calvario’ ero stato additato quale responsabile delle accuse in suo danno almeno fino a quando il processo in Vaticano ha documentalmente dimostrato che erano frutto di fantasia. Evidentemente non è bastato”. Il riferimento è alle accuse di un suo presunto ruolo nel pagamento di un testimone nel processo australiano per abusi contro il suo confratello cardinale che si concluse con il proscioglimento da parte dell’Alta Corte nel 2020. Questa tesi, diffusa nel 2020 da diversi giornali, si concentrava sull’esistenza di alcune somme inviate dalla Segreteria di Stato in Australia e che in realtà, come poi confermato nel processo vaticano dal cardinale Segretario di Stato Parolin, servirono per la registrazione di un dominio internet.
Violenza mediatica
Becciu lamenta di essere vittima di una vera e propria “violenza mediatica” da “ormai quattro anni” e chiama in causa “il dovere di uomo – e ancor di più di Cristiano – di rendere testimonianza alla verità e il rispetto per la memoria del Cardinale Pell” che “mi impongono di ribellarmi e respingere con sdegno queste insulse e infami insinuazioni e strumentalizzazioni”. “Non solo – aggiunge il cardinale – ma ho già dato mandato ai miei avvocati di intervenire, avvalendosi delle norme di legge, a tutela del mio buon nome a chiunque continuerà a dar corpo a queste scoperte menzogne”.
Non è la prima volta che Milone, promotore anche di una causa civile in Vaticano per richiedere un risarcimento per il suo allontanamento del 2017, punta il dito contro l’ex Sostituto, individuandolo come l’oppositore delle riforme che lui e l’allora Prefetto australiano stavano portando avanti nelle finanze vaticane. Una versione respinta da Becciu che, da noi interpellato sul punto, afferma che “nel merito di quanto dichiarato per l’ennesima volta dal Dott. Milone ho l’obbligo di respingere con fermezza tutte le accuse che da vari anni ripete fino alla noia nei miei riguardi”. Nella sua dichiarazione a IlGiornale.it, il cardinale entra nel dettaglio delle accuse mossegli dall’ex Revisore: “è falso che io nel 2017 abbia fatto pressione su di lui e sul Dott. Ferruccio Panico, suo antico collaboratore, per dimettersi dai loro incarichi”. L’ex Sostituto sostiene di aver solo dato comunicazione al diretto interessato di una decisione del Papa e nega anche, come invece sostiene Milone, di essere il responsabile dell’annullamento dell’accordo con la società PricewaterhouseCoopers per la revisione esterna dei conti della Santa Sede. Scrive il cardinale: “Io, su espresso e preciso mandato, ho ricevuto il Dott. Milone da solo e non con altri e mi sono limitato a comunicargli, con gentilezza e pacatezza, che il Santo Padre non aveva più fiducia in lui”. Per quanto riguarda la revoca dell’incarico a PwC che in un comunicato della Sala Stampa della Santa Sede del 26 aprile 2016 veniva attribuita a dubbi circa “alcune clausole del contratto e le sue modalità di esecuzione'”, Becciu contesta la versione riportata nell’articolo del The Australian e scrive che “è falso (…) che vi sia io dietro la revoca dell’incarico alla PricewaterhouseCoopers (PwC). Se il Dott. Milone ne è convinto mi mostri la lettera di disdetta di quegli accordi e soprattutto la firma in essa apposta. Se non è in grado di farlo, perché non fui io ad interrompere il rapporto, le sue affermazioni, vere e proprie illazioni ingiustificate, si rilevano false e diffamatorie”.
Per Becciu, inoltre, “è falso e grottesco (…) affermare” che le “reiterate richieste” di Milone “di udienza con il Papa fallirono a causa della mia opposizione”. “Il Dott. Milone – sostiene il porporato sardo – dovrebbe sapere bene che il Santo Padre non ha bisogno del permesso di nessuno per dare udienza a chiunque Egli voglia incontrare”.
Il rispetto per Pell
La dichiarazione di Becciu riflette l’insofferenza per quelle che, non a caso, chiama le “accuse che da vari anni ripete fino alla noia nei miei riguardi” l’ex Revisore. Di altro registro, invece, è il tono nei confronti del suo confratello Pell: il cardinale sardo, infatti, pur ammettendo “contrasti con lui” ai tempi del comune lavoro in Curia, sostiene che “non riguardavano le riforme”. Al contrario, Becciu sembra infastidito da chi esaspera l’antica differenza di vedute con l’ex Arcivescovo di Sydney e ci scrive che “le mie cosiddette opposizioni alle riforme sono assolute falsità costruite ad arte da chi in questi ultimi quattro anni ha avuto interesse a dipingermi come nemico del Cardinale Pell”.
Rispondendo a IlGiornale.it, il cardinale sembra voler chiarire una volta per tutte la natura dei rapporti con il porporato australiano. Scrive, infatti, che “è falsa l’asserzione di una mia presunta opposizione alle riforme propugnate dal Cardinale George Pell” e spiega le sue ragioni: “Non ne avevo titolo né potere. Come Sostituto dipendevo direttamente dal Cardinale Segretario di Stato e dal Papa. Solo da Loro potevo ricevere istruzioni sulle modalità di governo della Prima Sezione della Segreteria di Stato di cui ero il Responsabile. Solo Loro potevano autorizzarmi a fare cambiamenti di gestione dell’Ufficio, ma mai ricevetti alcunché in tal senso”. E per avvalorare quest’affermazione, Becciu ricorda che “anzi, con Rescritto del 5 dicembre 2016, il Santo Padre confermò la prassi fino ad allora seguita”. Dunque, il cardinale sardo smentisce di esser stato contrario alle riforme di Pell, pur ammettendo: “Non mancai di far presente che, malgrado le nuove riforme, le uscite di spesa della Santa Sede non accennavano a diminuire” ma aggiungendo che “se qualcuno si opponeva alle riforme non ero certo io!”.
Parole di rispetto nei confronti dell’ex Prefetto della Segreteria per l’Economia si notano anche quando il cardinale ricorda: “Ad onor del vero devo riconoscere che il Cardinale Pell, qualche mese prima di morire, prese le mie difese giudicando il procedimento giudiziario a mio carico non un ‘giusto processo'”. Questa posizione venne sostenuta da Pell in un documento pubblicato da Sandro Magister nel suo blog a firma Demos. Solo dopo la morte venne rivelato che dietro al nome “Demos” si celava proprio il porporato australiano. Nella dichiarazione in risposta alla richiesta de IlGiornale.it, Becciu afferma di aver voluto replicare agli articoli e alle dichiarazioni di Milone anche in “rispetto per la memoria del Cardinale Pell”. Si vedrà se ora l’ex Revisore, di fronte alla posizione del porporato sardo, rilancerà le accuse riproposte questi giorni.
[2] Il termine spoils system, di derivazione statunitense, caratterizza una parte del personale burocratico come di stretta estrazione fiduciaria, legandone ingresso e uscita dall’amministrazione all’avvicendamento dei diversi esecutivi.
Indice – Caso 60SA [QUI]