Novara ha beatificato don Giuseppe Rossi, martire della carità cristiana

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Più di 1.300 pellegrini, 150 sacerdoti concelebranti, numerosi rappresentanti della società civile nella Cattedrale di Novara, avvenuto domenica 26 maggio per il rito di beatificazione di don Giuseppe Rossi, processo iniziato nel 2002 da mons. Renato Corti, ucciso ‘in odio alla fede’, come ha sottolineato a conclusione del rito di beatificazione il vescovo diocesano, mons. Franco Giulio Brambilla:

“La beatificazione di don Giuseppe Rossi è quella di un martire. Vi chiedo di fermarvi tutti un momento a pensare a queste parole che don Giuseppe ha scritto: ‘Gesù non lo si segue fino ai piedi della croce, ma occorre salire con Lui sulla croce!’

Sono le parole più semplici e più radicali che leggiamo nei suoi quaderni. Il giovane parroco di Castiglione era sicuro nell’indicare che il segreto della sua fedeltà, cioè il motivo per cui non ha abbandonato il suo gregge, non era anzitutto la battaglia per la liberazione, ma la fedeltà all’ideale cristiano, alla legge morale, umana e sociale. Egli ha voluto stare tra la sua gente per consolare, aiutare, educare, animare quel barlume di vita ancora possibile nel travaglio dell’ultima guerra mondiale”.

Per l’occasione il presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella, ha inviato un messaggio, in cui ha sottolineato il clima d’odio contro la Chiesa: “Parroco in un piccolo comune della Val d’Ossola, venne massacrato dai fascisti in una rappresaglia della Brigata nera ‘Muti’, nel 1945, a due mesi dalla Liberazione, costretto a scavarsi con le mani la fossa in cui sarebbe stato frettolosamente sepolto. Nessuna pietà accompagnò quell’assassinio: il luogo della sepoltura venne indicato solo giorni dopo da uno dei carnefici.

I valori di solidarietà, di rispetto dei diritti dei più umili ebbero in don Giuseppe Rossi espressione esemplare, con la manifestazione della virtù del dono supremo per la sua gente. Alla sua figura, così significativa per la comunità civile, rivolgo un pensiero commosso e riconoscente, unendomi a quanti oggi onoreranno il ricordo del giovane parroco di Castiglione d’Ossola, vittima del clima di odio nei confronti della Chiesa e dei sacerdoti da parte del regime fascista”.

La celebrazione di beatificazione è stata officiata dal card. Marcello Semeraro, prefetto del Dicastero delle cause dei santi, con il vescovo di Novara, mons. Franco Giulio Brambilla, il metropolita di Vercelli, mons. Marco Arnolfo, e il vescovo emerito di Biella, Gabriele Mana; il quale prefetto ha sottolineato il significato di ‘immolazione’:

“C’è, in questa ‘immolazione’, la sua propria e personale imitazione di Cristo, al quale già era stato incorporato con il Santo Battesimo e poi configurato con il sacramento dell’Ordine Sacro. Una volta papa Francesco ha detto che i santi sono ‘persone attraversate da Dio’ alla maniera delle ‘vetrate delle chiese, che fanno entrare la luce in diverse tonalità di colore’… Il beato Giuseppe Rossi lo ha fatto come trasparenza del Christus patiens”.

Nella solennità della Santa Trinità il card. Semeraro ha invitato alla somiglianza di Gesù nell’amore: “Il nostro somigliare a Cristo, donatoci nel Battesimo, non può essere qualcosa di parziale o di provvisorio, ma deve essere totale. Nel martire, poi, questa imitazione diventa perfino corporale. Ma è proprio l’accettazione delle sofferenze per amore di Cristo, al fine di somigliargli in tutto che fa il martire.

San Tommaso d’Aquino insegna che, inverando le parole di Gesù: ‘Nessuno ha amore più grande di questo, dare la vita per i propri amici’, il martirio è nel suo genere il più perfetto tra gli atti umani ed è il segno della più ardente carità”.

Ricordando le parole del suo vescovo nel giorno dell’ordinazione sacerdotale del nuovo beato (‘sacerdote e vittima’) il prefetto del dicastero ha sottolineato lo stile attraverso gli scritti della sua agenda (‘Allora soffro con gioia perché unito al mio Dio sulla croce. Così io rivivo alla nuova vita che è nella morte del corpo. Comprendo le eroiche pazzie dei Santi nel cercare la croce, la sofferenza: erano anime assetate di vita, quella vita sgorgata dal sangue versato sul Golgota che è lavacro di tutte le colpe, che è un farmaco di tutte le ferite’):

“Sono parole da inquadrare, certo, nelle iniziali difficoltà d’impostare una azione pastorale nel nuovo contesto; al tempo stesso, però, esse ci rivelano una disposizione di fondo che maturerà fino alla notte del 26 febbraio 1945, facendo di lui, giorno dopo giorno, un parroco per tutti, un  parroco per ciascuno e un parroco per i poveri, come ha scritto il vostro Vescovo. Questa via lo ha condotto a essere un parroco martire”.

Entrato nel 1925 in seminario, don Rossi fu ordinato sacerdote il 29 giugno 1937, diventando parroco a Castiglione Ossola, in cui si dedicò alla formazione dei giovani, alla direzione spirituale dell’Azione Cattolica femminile e delle Conferenze di San Vincenzo, all’assistenza dei poveri e malati. Il 26 febbraio 1945 i militi della ‘Brigata Nera Ravenna’ ebbero uno scontro con i partigiani accanto a Castiglione, riportando due morti e una ventina di feriti.

Questo provocò un’immediata rappresaglia contro la popolazione, in cui furono bruciate delle case e vennero presi degli ostaggi, tra cui don Rossi, che però vennero rilasciati lo stesso giorno. Ritornato a casa, durante la cena, fu ripreso dai fascisti che lo portarono fuori il paese. Dopo essere stato costretto a scavarsi la fossa a mani nude, fu percosso, colpito alla testa con un masso che gli provocò lo sfondamento del cranio, quindi finito con una coltellata e un colpo di arma da fuoco.

(Foto: Diocesi di Novara)

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