Colorati il volto di Speranza… 60° viaggio di solidarietà e speranza in Kenya. Non una bella vita, ma una buona vita

Don Gigi e Padre Rolando
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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 22.03.2024 – Vik van Brantegem] – Il 14 marzo scorso, Mons. Luigi (Don Gigi) Ginami ha iniziato – come abbiamo annunciato [QUI] – il nuovo viaggio di solidarietà e speranza, che si svolge fino a domani 23 marzo 2024 in Kenya dal tema Togliti la paura. Colorati il volto di Speranza e sfida il futuro con il Cuore! Il 17 marzo abbiamo riportato il Report 60/1 – Il sessantesimo viaggio celebrando volti di speranza nel mondo [QUI] di Don Gigi, ieri il suo Report 60/2 – Ramadan [QUI] e oggi proseguiamo con il Report 60/3 – Rolando #VoltiDiSperanza n.46.

Report 60/3 – Rolando #VoltiDiSperanza 46

“La notte insegue il giorno… Sto sentendo il vuoto e sento tanta nostalgia e tristezza. È una notte infinita tutto sembra un banale sacrificio: si soffre, si vive, si lavora senza mai concludere nulla. A volte mi chiedo perché sono nato? L’unica verità è mio figlio, se non ci fosse lui, questa vita non la voglio, non ha un senso concreto. Cosa sto facendo? Ho voglia di andare via, di sparire” (Messaggio WhatsApp – Domenica, 17 marzo 2024 ore 02.48).

Questo messaggio pieno di sconforto mi giunge nel cuore della notte in Africa da un amico in Italia… e mi interroga profondamente sul senso del vivere, del vivere una vita autentica e piena di significato. Questo messaggio ha il potere di andare giù nel cuore e di chiedere a me stesso il motivo profondo della mia vita, non legato a quanto faccio, ma a quello che sono: un sacerdote.

E qui in Kenya un sacerdote lo trovo, non è un sacerdote che finisce sulle pagine dei giornali, sui social, non scrive libri, ne appare in televisione, non parla a convegni, o alla radio, ma è un sacerdote che semplicemente e totalmente “scompare”.

Oggi vi è una comune e formidabile malattia mentale, una sorta di “social-patia”: tutti malati di rivelare in Facebook o in X o in YouTube il colore dei miei pantaloncini rossi che indosso ancora bagnato dalla nuotata nell’oceano all’alba di una notte in cui non ho chiuso occhio per il latrare dei cani e le urla di un muezzin particolarmente devoto in questo Ramadan.

Avete visto? Mentre descrivo cosa sia la “socialpatia” io stesso mi rendo conto di esserne malato e di doverla tenere ben a bada, anche se i soldi per fare il bene vengono spesso da tale “socialpatia”. Lui no, lui non è così non appare nei social anche perché a Lango Baya forse Facebook lo usano le magre capre o i baobab.

Rolando è un missionario di una congregazione, meglio di una Fraternità del Guatemala ed è in Kenya con altri confratelli nei luoghi più dimenticati e nei quali i preti locali non ci vanno volentieri. Loro occupano i posti che nessuno vuole occupare e che sfortunatamente rimangono sempre liberi. Spesso è difficile fare i preti così. In questa diocesi spesso la corruzione devasta preti ed autorità religiose e i soldi prendono posto in casa. Padre Rolando no! Lui non vive così, vive in pura perdita una vita spesso scomoda, dura e desolante: Lui è il nostro quarantaseiesimo volto di speranza.

Don Gigi e Padre Rolando

Ieri mattina presto partiamo per Lango Baya con una jeep che ben conosco da 10 anni e mi sembra un miracolo che quello scassone cammini ancora. Curiosissimo saluto l’amico e guardo il contachilometri e con la biro annoto il numero: 487.054! Sono i chilometri che quel fuoristrada arrugginito ha fatto in tutti questi anni. “Rolando, sei certo che arriviamo alla missione?” L’ amico scoppia a ridere e mi dice: “Zitto ho un problema con il cambio e si potrebbe fermare…”.

Accende il motore e rombando parte. Rolando mette il cambio alcune volte, ma… dopo un paio di chilometri la macchina si ferma. Scoppio a ridere: lo sapevo che andava a finire così. Anche Jimmy ride: “Ti ricordi Gigi quando con Emanuele, Marzia, Caterina e Doreen stavamo andando ad inaugurare la chiesa in onore dei martiri di Garissa, che si fermò? È stato Padre Julio a farla ripartire con quattro botte allo scassato motore…”. Scopriamo a ridere tutti e tre nel caldo infernale della strada.

Padre Rolando chiama una specie di “soccorso stradale” che dopo mezz’ora… arriva in bicicletta, sono tre ragazzini. Ispezionando il motore ci dicono che devono andare a prendere il pezzo di ricambio. Ripartono in bici, il tempo passa, ma dopo più di due ore ripartiamo sulla nostra Jeep. Giungiamo a Lango Baya e dopo un momento di riposo mi siedo fuori nel portico della missione per il mio colloquio con Padre Rolando. Jimmy prende un momento libero. In serata sarà lui a guidare nella lunga strada di ritorno.

Scende la sera ed il caldo scende leggermente, pur lasciando in regalo una terribile umidità. Il nostro bellissimo colloquio ha inizio. “Rolando, avevo nel cuore di scrivere uno dei nostri libretti su di te da tanto tempo. Se ti ricordi nel libretto dal titolo Anastasia [QUI, QUI e QUI] un capitolo era su di te, ma questa volta vorrei conoscerti più approfonditamente.

Iniziamo dalla tua data di nascita. In che anno sei nato? “Gigi, sono nato l’8 maggio 1980 e dunque compirò tra poco 44 anni”. “Hai la stessa età di Jimmy…”. “Si si, più o meno abbiamo la stessa età. Sono diventato prete in Guatemala il 28 agosto 2010. Mio padre si chiama Pedro ed oggi ha 85 anni, mentre mia madre si chiama Maria ed ha 80 anni. In famiglia siamo sei fratelli. Dopo l’ordinazione sacerdotale sono rimasto in Guatemala 10 mesi circa e poi un bel giorno il Superiore Generale mi chiama e mi dice: “Rolando, abbiamo stabilito la tua destinazione: tu andrai in Kenya e precisamente nella diocesi di Malindi e sarai parroco di un villaggio di nome Mere. Sono uscito da quell’ incontro con la gioia nel cuore e sul volto. Ero così felice, Don Gigi! Mi ero preparato, avevo desiderato la missione ed andare in Africa mi riempiva il cuore di allegria. Sono partito con tanto entusiasmo e giunto a Mere non vi era nulla, come ti ho ben descritto nel libretto Anastasia. Ho portato tutto e la missione è cominciata a fiorire”.

Nel cuore ho ancora il formidabile messaggio della notte che mi interroga… e passo all’amico le domande che mi trapassano il cuore. “Senti Rolando, tu abiti qui a Lango Baya, sei fuori dal mondo in una terra desolata e piena di “nulla”. Non senti forte la solitudine… la sera dopo le cinque cosa fai quando tutto piomba nel buio e gli ultimi pastori hanno ricoverato le magre capre negli ovuli? Cosa fai in una terra dove la maggioranza degli abitanti è Musulmana integralista? Cosa fai quando i contadini chiudono i loro attrezzi di lavoro e fanno ritorno alle loro povere capanne? Cosa fai quando la luce dei fuochi su cui pastori e contadini cucinano le loro magre cene… tu qui non hai nessuno? Cosa fai quando il generatore si spegne e la carica del cellulare deve bastare per eventuali emergenze… per chiamare chi poi? Nel vuoto del nulla di queste aride campagne dove il primo centro abitato dista più di una ora? Ed infine, cosa fai qui, tu muzungo del Guatemala, con la carnagione chiara e visibilmente diversa dai locali? Molta gente emigra dal Guatemala, ma in Europa e per cercare il meglio, ma tu, mi sembri un pazzo: sei un emigrato, naturalizzato ma non in un posto migliore del tuo amato Guatemala, ma molto peggio? Devi essere pazzo!”

Lo stimolo bonariamente a raccontarmi il suo cuore come nella notte passata l’amico italiano raccontava a me il suo cuore con il messaggio dilaniante nella ricerca di senso del vivere. E Rolando lentamente risponde. “Don Gigi hai definito molto bene questa missione, è da molti anni che vieni qui. Il panorama desolante che hai descritto è tutto vero ed in questo tempo in cui vivo da solo qui in missione è davvero così. Alle cinque del pomeriggio saluto i 230 piccolini che vengono qui a scuola. Chiudo i cancelli, scende la sera e… il silenzio. Quel silenzio così assordante che chiede significato e senso alla vita. Il silenzio qui in Africa è un despota assoluto. Lui diventa il padrone dello spazio e del tempo ed ha il potere di creare nell’ anima depressione profonda o redenzione della vita: è una situazione radicale nella quale, come in uno specchio rivedi te stesso e così nelle eterne ore di silenzio della sera intraprendi un viaggio in te stesso e ti chiedi: oggi perché sono qui? Cosa ho fatto di buono… ed allora le piccole nascoste cose della giornata riemergono con il loro nascosto valore: sei stato a trovare un moribondo e con lui hai pregato, poi sei corso al dispensario con un bimbo caduto da una pianta sulla quale si era arrampicato, hai consolato un uomo tradito dalla moglie e tutte queste piccole cose ti accendono il cuore di serenità. Nessuno le verrà a conoscere e domani anche io le avrò scordate, ma tutte queste cose rendono la vita di un missionario, non una bella vita, ma una buona vita! E la gioia viene dal vivere una buona vita, non una bella vita. Vedi tutto il mondo dell’immigrazione in Guatemala, ma anche in America Latina ed in Africa si muove alla ricerca di una vita più bella e non necessariamente buona. Si va in Europa per guadagnare di più, per avere soldi e comprarsi una casa… per superarsi e migliorarsi diciamo in Guatemala. La mia emigrazione invece è stata alla ricerca di una vita più buona, non più bella e qui ho trovato esattamente quello che cercavo”.

Guardo con ammirazione il missionario e metto nel ripostiglio del cuore ogni sua parola. “Poi, Don Gigi, ci sono altre cose importanti in questa solitudine e povertà, sono le cose semplici e banali che disprezziamo quando cerchiamo la bella vita. Ti sembrerà stupido, ma lo spirito autenticamente missionario parte dalle mansioni umili ed umilianti di ogni giorno: nel silenzio mi trovo a tirare lo straccion ed a pulire una delle sei aule che Fondazione Santina qui ha costruito. Mi trovo a raccogliere carte lasciate per terra, a lavare le stoviglie, a lavare la mia biancheria. Spesso in Europa questi servizi sono ritenuti umilianti e delegate alle persone del Guatemala che puliscono… perché voi avete tempo per pulire senza vergogna la merda dei vostri cani, ma per pulire vostra madre, o un vostro parente avete la donna di servizio o la badante. Ho io una domanda diretta da fare ai tuoi lettori: ma non vi vergognate a dare mezz’ora di tempo la mattina e mezz’ora di tempo la sera al cane, ed ai vostri parenti anziani invece non date un bel nulla? Ma con che coraggio vi presentate poi al funerale con false lacrime nell’intento di scoprire se vi è una eredità a vostro nome? Bellissimi quanto falsi necrologi appaiono sui vostri inutili quotidiani. Ed ancora, scusa Don Gigi, ma mi dicono che in Italia voi vestite i cani ed i gatti, gli date cibo prelibato e dietetico, li portate dal dottore e poi se sono piccoli e stanchi li mettete nelle carrozzine adatte a un bambino? Ma è verrò tutto questo? È vero che la gente si arrabbia se non fai una carezza al suo cane e che il modo migliore per stringere amicizia con qualcuno è lodare il suo cane e il suo gatto?”

Rolando mi guarda negli occhi ed io arrossisco, abbasso il capo e sottovoce rispondo: “Sì è vero ed hai ragione!” Tento di stemperare la polemica ma peggioro senza volere il discorso: “Vedi, molta gente è sola ed un animale è di compagnia, riempie la solitudine”. Padre Rolando mi guarda in modo ghiacciato e mi dice in tono secco: “Cosa hai detto? Che riempite le vostre solitudini con animali? Ma non ti vergogni? Ma chiedi ad una vecchia perché è sola…e ti risponderà che i figli sono sposati e che hanno la loro vita e la loro famiglia… e quindi? Si regala un bel canarino, un pesciolino rosso, un cane ed un gatto, ma gli animali non possono sostituire un figlio o una sorella o un fratello! Gigi, ma non ti chiedi perché in Europa e nel mondo che insegue la bella vita e non la buona vita, vi sia un numero tanto alto di suicidi e di depressioni? Qui non è così. Se entri in una capanna trovi il clan, con nonni, bisnonni, nipoti, marito e moglie. Le capanne sono piene di gente e gli animali, stanno al loro posto fuori, rispettati perché utili e non incarnano alcun affetto mancante, perché vivono tutti insieme”.

Scrivo tutte queste note nel caldo della sera e chiedo: “Rolando, mi hai raccontato del giorno più bello della tua  vita, puoi ora raccontarmi il giorno peggiore?” Rolando si fa triste e mi dice: “Non faccio fatica a ricordare. Il giorno peggiore è stato quando il vescovo mi ha detto di lasciare Mere, dove avevo lavorato per undici anni e mi ha detto di andare a Chakama. Sapevo che non potevo stare tutta la mia vita lì, ma il modo improvviso e con motivazioni opache mi ha sconcertato. Avevo con entusiasmo costruito dal nulla la parrocchia e mi sono ritrovato in un luogo dove non vi era nulla. E dopo poco meno di un anno di nuovo spostato a Lango Baya, dove mi trovo bene anche se in questo tempo vivo da solo”.

Lo guardo con affetto e mi dico, ma guarda che grande uomo incontro a Lango Baya. Curioso lo interrogo: “Dimmi Padre Rolando, come hai superato e come superi i momenti difficili? “Vedi Don Gigi, la mia emigrazione in questa terra non era alla ricerca di una bella vita, ma di una buona vita e ci sono tre elementi che rendono buona la vita per me: la solitudine, come ti ho raccontato, la vita fraterna e la preghiera. Noi siamo una Fraternità missionaria e questo è per noi di grande forza. Oggi ad esempio, quando la macchina era da riparare, non avevo uno scellino in tasca. Ho chiamato il confratello della missione vicina e lui è passato a saldare il debito al mio posto. Noi ci troviamo insieme una volta al mese e questi incontri sono la nostra forza. Ma… ma… ma la vera ed autentica forza mi viene dalla preghiera e dalla Messa quotidiana. Questo è il centro di una buona vita: riempire il silenzio e la solitudine di larghi spazi e tempi di orazione”. Allora – mentre parla con la mano mi mostra la rigogliosa natura attorno a noi, proseguendo: “E solo allora tutto questo diventerà il tuo paradiso terrestre: ricordati silenzio e solitudine, fraternità e preghiera”.

Il nostro lungo colloquio nella sera africana si conclude. Salto in jeep con Jimmy e mentre l’auto percorre strade serrate prego per il mio amico di Bergamo e proprio in questo momento dico a lui: “Amico, non ti preoccupare il mio Cuore è la tua casa: coraggio ti sono vicino in questo momento!” e mentre dico questo ripeto come mantra il segreto di Padre Rolando: silenzio e solitudine, fraternità, preghiera.

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