La fine dell’era dei tre Papi

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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 19.02.2024 – Andrea Gagliarducci] – C’erano una volta tre Papi. Uno era il Papa Bianco, il Pontifex Maximus, Capo della Chiesa Cattolica e il Vicario di Cristo soprattutto. Poi c’era il Papa Nero, il Generale dei Gesuiti, che aveva tra l’altro un voto speciale di obbedienza al Papa. Infine c’era il Papa Rosso: il Prefetto di Propaganda Fide, poi denominata Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli. Perché erano tutti “Papi”?

Sul Papa Bianco non c’è niente da dire, perché tutti sanno che è il Papa di Roma. Il Papa Nero prese questo soprannome perché il suo incarico era a vita e i suoi poteri nell’Ordine erano assoluti. Il Papa Rosso si chiamava così perché Propaganda Fide era un dicastero sui generis, con autonomia finanziaria e terre di missione in cui poteva nominare vescovi – unico caso in cui non è il Dicastero per i Vescovi ad occuparsi della scelta dei candidati all’episcopato.
Con Papa Francesco, però, i tre Papi sono diventati uno solo, il Papa Bianco. Cioè, in parole povere, lui.
Lo stesso Papa Francesco è un Gesuita ed è evidente che per i Gesuiti rappresenta un punto di riferimento più significativo del Generale effettivo [QUI], anche se Francesco è attento ad evitare di sembrare di influenzare direttamente l’Ordine dei Gesuiti da cui proviene. Papa Francesco, tra l’altro, ha sottolineato la sua appartenenza incontrando i gesuiti locali ogni volta che ce n’erano in ogni viaggio che ha fatto, comportandosi, del resto, un po’ come un superiore della Congregazione.
Per quanto riguarda il Papa Rosso, la situazione rispecchia un po’ quella che è stata la riforma della Curia con Papa Francesco fino ad oggi. Il Prefetto di Propaganda Fide è stato declassato e ora si chiama Pro-Prefetto, perché il Papa è idealmente il capo del dicastero. Il dicastero stesso è il risultato della fusione di due diversi dicasteri, vale a dire l’antica Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli e il Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione. Ciò significa che ci sono altri ambiti di competenza, più sfumati, perché la sezione sulla nuova evangelizzazione certamente non c’entra nelle scelte delle nomine episcopali, per le quali ha ancora competenza la sezione per l’evangelizzazione dei popoli, almeno in terra di missione.
Soprattutto, la riforma della Curia ha privato Propaganda Fide della sua autonomia finanziaria. Tutto, ormai, è sotto il controllo dei revisori della Segreteria per l’Economia, e la nuova parola d’ordine sembra essere quella di affittare gli immobili, professionalizzare tutto, e perdere così i clienti più importanti, o piuttosto gli utenti primari del dicastero: i poveri e i religiosi.
Il crollo del Papa Rosso racconta di una centralizzazione vaticana che galoppa senza sosta e che vede Francesco impegnato in una grande lotta per un cambio di mentalità, un rinnovamento dello spirito che è stato poi rappresentato nel Sinodo dei Vescovi, che si celebra su comunione, partecipazione e missione.
“Sinodo” diventa ora un’espressione di rinnovamento perché l’idea che un Sinodo possa portare a decisioni controverse, spaventò assai i padri sinodali da tutte le parti.
Tuttavia, il cambio di mentalità sotto Papa Francesco sembra vedere la Santa Sede trattata come qualsiasi altra azienda, di cui il Papa è amministratore delegato. Fin dall’inizio, il pontificato fu caratterizzato dall’avvento di commissari, commissioni e consulenti esterni che, oltre a gravare sulle finanze della Santa Sede, non avevano altra soluzione da proporre se non quella di trattare la Santa Sede e la Città Stato del Vaticano in effetti come imprese del mercato finanziario.
Così, nella ricerca di un rinnovamento che dovrebbe essere spirituale, Papa Francesco accetta la secolarizzazione della Santa Sede, in un processo che va di pari passo con quello della vaticanizzazione della Santa Sede [QUI].
Prima della Santa Sede c’è lo Stato della Città del Vaticano, che sembra controllare tutto, decidere tutto e avere un potere praticamente illimitato. Basti notare come Papa Francesco abbia concesso poteri speciali ai magistrati vaticani, con quattro Rescritti nel corso delle indagini che hanno portato al processo per la gestione dei fondi della Segreteria di Stato della Santa Sede [QUI].
Questa vaticanizzazione è connessa con un altro tema poco esplorato: l’italianizzazione – o re-italianizzazione – del Vaticano e della Santa Sede sotto Francesco [QUI]. Si tratta di un ritorno al passato, perché tutto il lavoro svolto in precedenza mirava proprio a liberare la Santa Sede dall’influenza del suo ingombrante vicino italiano. Quando venne istituita l’Autorità di Informazione Finanziaria, fu immediatamente affidata ad ex funzionari della Banca d’Italia. Però, poi la direzione cambiò e si creò un organismo più internazionale e meno dipendente dalle idee che caratterizzavano la struttura dello Stato.
Se ci pensate, tutti i recenti scandali finanziari vaticani hanno origine e si muovono nel contesto italiano. Anche il recente processo vaticano, che ha riguardato soprattutto l’investimento in un immobile a Londra, ha coinvolto soprattutto intermediari italiani, ha visto indagini che hanno evidenziato collegamenti con politici, manager o addirittura servizi segreti italiani, ed è stato gestito da magistrati italiani che lavorano in Vaticano solo part-time – e questo è un segno di debolezza del sistema giudiziario vaticano, tra altre cose evidenziata dal comitato MONEYVAL del Consiglio d’Europa.
I segnali sono tanti.
Lo scorso 15 febbraio, Papa Francesco ha nominato a capo della Direzione Infrastrutture e Servizi dello Stato della Città del Vaticano il generale in pensione Salvatore Farina. È interessante notare come il Generale Farina prenda il posto di un sacerdote e come, in pratica, un ex massimo dirigente dell’Esercito italiano sia chiamato a gestire la direzione Infrastrutture e Servizi, che, tra l’altro, ha un ruolo di controllo degli appalti secondo l’ultima legge vaticana sugli appalti.
Nel 2020, Papa Francesco ha nominato cinque Gentiluomini di Sua Santità [QUI] – coloro che partecipano a e gestiscono le visite a Papa Francesco di Capi di Stato e personalità – prendendoli dalle fila degli uffici cerimoniali italiani. In un certo senso, è un segno di debolezza, perché la Santa Sede ha un proprio linguaggio cerimoniale, che precede quello italiano ed è sempre più frainteso.
L’accentramento del potere nel Papa, con la fine dell’era dei tre Papi e la pervasività dell’intervento del Papa nelle scelte, porta paradossalmente ad una visione opposta a quella portata avanti da Papa Francesco: la struttura dello Stato prevale su quella Santa Sede, e quindi la burocrazia diventa più importante della missione – cosa certificata anche quando il Papa ha trasformato l’Elemosineria Apostolica in Dicastero per il Servizio della Carità, eliminando un membro della Famiglia Pontificia per burocratizzare e nazionalizzare la carità del Papa.
Ma se è lo Stato ad essere autentico, e se lo Stato vive in un “ospedale da campo” normativo perché non c’è stata una vera formazione sul diritto vaticano, allora è necessario prendere dei punti di riferimento. E il primo punto di riferimento è sempre stata l’Italia.
Così, un percorso di crescita e di indipendenza si è in qualche modo fermato. Nel nome di riforme necessarie, oggi ci troviamo con una rottura sostanziale rispetto al passato più recente, puntando a cambiare tutto e a mostrare cambiamento. In molti casi, manca l’ascolto di richieste diverse. Si impone una visione, con l’idea – cfr. il dibattito sulla Fiducia supplicans, la Dichiarazione del Dicastero per la Dottrina della Fede sulle benedizioni delle coppie irregolari [QUI] – che coloro che criticano la riforma o ne evidenzia i lati critici, semplicemente non capiscono cosa sta succedendo [QUI].
In definitiva, questo può essere letto come una paradossale e brutale colonizzazione ideologica portata avanti mentre il Papa la denuncia.

Questo articolo nella nostra traduzione italiana è stato pubblicato dall’autore in inglese sul suo blog Monday Vatican [QUI].

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