Uno scisma pragmatico in atto?

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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 25.12.2023 – Andrea Gagliarducci] – Già nel 2017, il sito Campari & De Maistre evidenziava la possibilità di uno scisma [QUI]. Osservava, tuttavia, che il pericolo di divisione non si riscontrava in Germania, nonostante tutte le pressioni già provenienti dalla Chiesa qui. Invece, il pericolo doveva essere cercato in America Latina [QUI].

L’America Latina – sosteneva il sito – stava vivendo una sostanziale evoluzione socio-politica, nella quale una fondazione territoriale omogenea si stava traducendo in un discorso teologico potenzialmente scismatico. Oggi, quel ragionamento sullo scisma della Chiesa in America Latina appare drammaticamente attuale. Me lo è venuto in mente all’improvviso, ripercorrendo l’incredibile attivismo del Dicastero per la Dottrina della Fede guidato dal Cardinale Víctor Manuel Fernández.

L’ultimo documento del Dicastero è Fiducia supplicans [QUI], in 45 punti con – come sempre – citazioni del magistero di Papa Francesco, ma raramente citazioni dei Padri della Chiesa o del Catechismo, si inerpica su un terreno accidentato: la benedizione delle coppie irregolari, siano esse divorziate risposate o quelle composte da persone dello stesso sesso. L’ultimo ragionamento è che, no, non si può benedire altro che un matrimonio, e nessuna unione diversa dal matrimonio tra un uomo e una donna aperti alla vita è accettata dalla Chiesa Cattolica. Sono però ammesse benedizioni individuali, perché chi chiede una benedizione, chiede la grazia di Dio. Non è l’unione ad essere benedetta, ma le persone, anche le persone in stato di peccato.

Tutto questo è, ovviamente, buon senso. Abitualmente, il buon senso è stato di evitare di dare benedizioni pubbliche ad unioni diverse dal matrimonio, di gestire nel privato alcune situazioni limite e di lasciare al discernimento del sacerdote la decisione su cosa fare e come farlo. Dopotutto, era dato per scontato, che il sacerdote agisse secondo retta dottrina e coscienza, rimanendo fedele al deposito della fede, senza venir meno ad accompagnare ogni situazione problematica.

La Dichiarazione del Dicastero per la Dottrina della Fede è scritto con argomentazioni poco chiare. Come ha detto il domenicano francese Thomas Michelet: “Manca di precisione” [QUI]. Non c’è mai la parola “conversione”; non c’è mai, nel testo, una descrizione di cosa sia il peccato. Alla fine non esiste alcuna idea di vocazione cristiana, secondo la quale si cerca di vivere secondo criteri specifici chiamati dottrina. È attraverso questa vocazione, che si evidenzia la possibilità del peccato. È per questa vocazione, che ci confessiamo. Ma la mancanza di precisione del testo risiede proprio nella diversa mentalità tra teologia classica e teologia latinoamericana.

Ecco due approcci diversi, il secondo sicuramente più pragmatico e meno basato sul pensiero filosofico. Tanto è vero, che le idee filosofiche impiegate dalla teologia latinoamericana sono sempre state prese in prestito dal mondo occidentale. La teologia della liberazione, ad esempio, è nata su categorie marxiste, che i teologi latinoamericani hanno imparato in Europa (Boff ha studiato in Germania, Gutierrez in Francia). Papa Francesco ha portato questa mentalità al centro della Chiesa Cattolica.

Fin dall’inizio, il Papa ha alternato un approccio populista (l’immagine del pastore in mezzo alla gente, che paga l’albergo anche se diventa Papa, che porta personalmente la sua borsa sull’aereo, che usa una croce d’argento e non d’oro) con la volontà di riportare al centro una serie di questioni che, viste dall’America Latina, sembravano sottovalutate.

«È dalla periferia che si vede meglio il centro», ha detto Papa Francesco spesso. In questo modo sosteneva, che esisteva un mondo che non solo non era compreso, ma era addirittura trascurato da Roma e che era Roma a non capire. In altri casi, Papa Francesco ha sottolineato che la teologia latinoamericana è chiamata a diventare “teologia fonte”. E anche questa è una pretesa importante, perché il pensiero teologico non è chiamato ad evolversi, ma ad essere un esempio.

In questo pontificato, il Papa ha poi attuato una sorta di rivoluzione culturale basata sul pragmatismo, come dimostra l’ultima riforma della Pontificia Accademia di Teologia [QUI], dove si dice chiaramente che non bisogna aver paura di prendere in prestito categorie da altre discipline. Con passi successivi – il Papa ha esordito, chiedendo la multidisciplinarietà e un approccio alla persona umana, non limitato solo a certi principi, ma aperto alle istanze sociali – Papa Francesco ha così riportato l’idea latinoamericana al centro della Chiesa.

Papa Francesco non ha riferimenti culturali solo latinoamericani. Eppure, in generale, sembra che il Papa sia stato sovra-interpretato nelle sue radici intellettuali. È un gesuita che non ha mai terminato il dottorato, che viene da studi tecnici, e che comunque ha vissuto una realtà complicata dove l’azione veniva prima della visione.

Non dovrebbe essere sottovalutato. Finora, però, la visione del Papa si è armonizzata, o almeno è entrata in dialogo, con una diversa visione istituzionale della Chiesa legata alla storia e alle tradizioni. Papa Francesco aveva cambiato qualcosa che lo riguardava personalmente, come il protocollo per l’accoglienza dei capi di Stato divorziati risposati, o, fin dall’inizio del suo pontificato, il rifiuto di indossare la mozzetta rossa, che fa parte del vestiario pontificio da sempre, e che è stato associato erroneamente ad un simbolo del potere temporale.

Dopo dieci anni di pontificato, però, il passaggio generazionale è terminato. Anche la morte di Benedetto XVI ha chiuso un’epoca. Papa Francesco, così, ha portato Víctor Manuel Fernández dalla periferia al centro, lo ha creato cardinale e lo ha messo a capo del Dicastero per la Dottrina della Fede, mettendo nero su bianco, che alcuni metodi utilizzati in passato dal Dicastero non dovrebbero essere utilizzati più. Il Papa non solo si è vendicato della Curia, che non approvava la sua scelta di Fernández come Rettore dell’Università Cattolica, ma ha anche rivendicato la necessità di rompere con la storia, salvo che anche il presente può essere visto con pregiudizio.

Fin dal suo arrivo, Fernández ha portato la lettura latinoamericana della situazione ecclesiale. Lo ha fatto con responsa ad dubia spesso pubblicati, rispondendo a domande che sembravano evidenti perché, in generale, tutto è sempre stato lasciato al discernimento di vescovi e sacerdoti. Potete fare un giro per le parrocchie: i casi di comunione negata alle ragazze madri sono pochissimi e rientrano in una situazione particolare, perché non si è mai pensato di negare semplicemente la comunione, anche quando le situazioni sono difficili; le benedizioni non sono mai state negate a nessuno; la rigidità di pensiero non è mai stata una vera discriminante, e va detto che riguardava i fedeli, più che i pastori. Poi, ci sono casi particolari e abusi. Tuttavia, queste situazioni non influiscono sul quadro generale della storia.

Del resto, prima non c’era bisogno di una risposta, perché queste domande rientravano in una mentalità tipica e in un linguaggio comune. Ma quello che si sta cercando di fare ora, è cambiare il linguaggio e, così facendo, cambiare la natura della Chiesa. Viene imposta una visione del mondo, mentre il Papa accusa tutti coloro che si oppongono a questa nuova visione del mondo di arretratezza, e addirittura complica la vita ai tradizionalisti.

Ci siamo spesso chiesti, perché molte scelte del Papa, pur logiche e nemmeno troppo devastanti, abbiano avuto un impatto così disastroso, almeno nella percezione della gente. E la risposta sta proprio nel linguaggio, nella visione imposta del mondo. Non è il fatto, ma la visione del mondo a determinare la paura per il futuro della Chiesa sotto Papa Francesco.

Non è antipapismo, ma incomprensione di un’invidia particolare, che si percepisce ogni volta che il Papa descrive situazioni che non condivide. E le descrizioni a volte sono ingiuste, perché alimentate dal pregiudizio della periferia, che si sente emarginata. In questo modo, si conferma uno scisma, e si porta al centro della Chiesa lo scisma pratico formatosi in America Latina. È uno scisma che nasce da una visione popolare e populista, dalla necessità di rispondere a una società che si è formata senza una struttura filosofica, con una mentalità neocoloniale e, allo stesso tempo, colonizzata. È una rivolta di coloro che si sentivano schiavi e che ora possono prendere le decisioni. Tuttavia, non hanno elevato il loro livello culturale, né imparato una nuova lingua. Hanno chiesto che le istituzioni si abituassero al loro linguaggio.

Solo che una lingua ha bisogno di profondità, per essere percepita e vissuta. Ha bisogno di storia. Ha bisogno di nutrirsi di sostanza. Non è un’idea astratta, né una teoria, ma vive nella storia della Chiesa. Si dirà, che il linguaggio del Papa è concreto, mentre quello della Chiesa è rimasto confinato in un empireo. Trovo che sia esattamente il contrario.

I testi del Papa, le risposte di Fernández, sono pieni di espressioni idiomatiche da spiegare, a volte anche vaghe. Papa Francesco, inoltre, ha condotto una vera e propria battaglia ideologica contro il neo-gnosticismo e il neo-pelagianesimo, anche se il modo in cui spiega questo ritorno alle antiche eresie è del tutto personale. In alcuni casi le questioni vengono decontestualizzate, come quando il Papa parla di mondanità spirituale [QUI].

Questioni per un dibattito intellettuale? Forse. Ma, quando parla il Papa, il dibattito intellettuale non può essere ignorato. Il linguaggio del Papa non segnala un nuovo modo di descrivere il mondo. Eppure, l’imposizione di una visione diversa, forse trascurata negli ultimi anni, non è certo centrale per comprendere le cose della Chiesa.

Finora, questo scisma pratico è stato sperimentato solo in America Latina, ma adesso è arrivato al centro della Chiesa. Lo stato sinodale permanente voluto da Papa Francesco alimenta la confusione, perché, da un lato, tutti si sentono in diritto di essere ascoltati, ma dall’altro la Chiesa ha bisogno di unità di intenti. Il fatto è, che questa unità non può esistere quando la lingua cambia in modo così improvviso e quasi brutale.

Sono tutti temi su cui riflettere, con serenità, cercando anche di trarre il buono da questo approccio del Papa, ma senza negare che ci sono dei problemi.

Dopo Fiducia supplicans, The New York Times ha immediatamente documentato Padre James Martin che benediceva una coppia gay, che ha poi pubblicato un articolo in cui lodava l’apertura della Chiesa e raccontava il suo matrimonio. E così, anche la battaglia al Sinodo dei Vescovi, dove i padri sinodali hanno eliminato ogni riferimento alle coppie LGBTQ+, per parlare in modo più cattolico di “orientamento sessuale”, è andata in qualche modo perduta.

Insomma, il cambiamento del linguaggio permette anche il perpetuarsi di un’ideologia, che vuole cambiare il modo in cui la Chiesa percepisce se stessa. Ma la Chiesa non è il pregiudizio che viene denunciato. La Chiesa non è mai stata così lontana come sembra. La Chiesa non è mai stata soltanto portatrice di pregiudizi. Ed è sorprendente che, all’interno della Chiesa, il pregiudizio sia accettato come un dato di fatto, e si lavori per scrollarlo di dosso utilizzando non la verità ma la pubblicità. O, come direbbe il Papa, offrendo un sacrificio “sull’altare dell’ipocrisia”.

Questo articolo nella nostra traduzione italiana è stato pubblicato dall’autore in inglese sul suo blog Monday Vatican [QUI].

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