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Lorenzo Zardi: narrare le esperienze della cultura del ‘noi’
“Siamo qui per rinnovare la nostra fedeltà al Vangelo in questo cambiamento di epoca che ci chiede una creativa e lungimirante lettura dei segni dei tempi… I punti di riferimento essenziali per l’Ac si riscontrano nel magistero della Chiesa, nella storia e nell’oggi associativo, nella rinnovata capacità di ‘leggere i segni dei tempi’. Consapevoli che il momento storico presente mostra elementi di forte complessità. Quando pensiamo alla pace, alla democrazia, allo sviluppo integrale della persona e alla cura della casa comune, ai diritti umani e alle disuguaglianze: abbiamo però innanzi, allo stesso tempo, un periodo favorevole a costruire nuovi cammini di fede e nuovi percorsi di santità popolare”: così il presidente nazionale Ac, Giuseppe Notarstefano, ha chiuso i lavori del Convegno dei presidenti e assistenti unitari diocesani e delle delegazioni regionali di Azione Cattolica Italiana svoltosi nel penultimo fine settimana di ottobre a Sacrofano, vicino Roma.
A questo invito alla lettura dei ‘segni dei tempi’ ha risposto con convinzione il vicepresidente nazionale dell’Azione Cattolica Italiana, Lorenzo Sardi, che ha ribadito l’impegno dei giovani nella custodia della vita democratica: “Vogliamo impegnarci a custodire la democrazia nella bellezza di un confronto paziente e a promuovere la partecipazione in ogni sua forma. Come Azione Cattolica siamo convinti della bellezza che può nascere dal contribuire a realizzare un Paese che vive nelle braccia aperte del confronto e dell’approfondimento, della discussione e della ricerca comune del bene.
Ci impegniamo a custodire la democrazia perché siamo profondamente convinti che il bene comune non sia altro che la ricerca comune del bene e che l’esperienza della democrazia, che noi sperimentiamo ed esercitiamo in associazione, scoprendone la fatica e la bellezza fin da adolescenti, insegna costantemente che non è vero che nessuno è indispensabile. Semmai è vero il contrario: tutti siamo indispensabili ma nessuno è la soluzione”.
In quale modo è possibile vivere da protagonisti nella complessità di questo tempo?
“Non con ricette preconfezionate, ma nella disponibilità a un cambio di rotta che parta dall’ascolto della vita e dalla fedeltà al Vangelo… Farsi coinvolgere vuol dire sicuramente farsi cambiare. E cambiare non è snaturare, ma servire meglio. Il nostro compito, come diceva Bachelet, è aiutare tutti i giovani ‘ad amare Dio e ad amare i fratelli’ mettendo al centro l’ascolto della vita. Farsi prossimi significa assumersi la responsabilità di non lasciare soli i giovani nel cammino verso il diventare adulti”.
Quali conseguenze ha la parola ‘noi’ nella società?
“In questo tempo su questa parola c’è bisogno di un investimento, che non significa porlo in contrapposizione con la parola ‘io’. Investire sul ‘noi’ significa, da un lato, dedicarsi ad un tempo di riflessione personale ed all’approfondimento culturale, sapendo fare un passo indietro nel confronto con la comunità. Tenendo insieme l’approfondimento culturale ed il confronto comunitario si può costruire una società, che vada oltre le polarizzazioni e riesca a riconoscere che la costruzione del bene comune è la ricerca comune del bene”.
Quali implicazioni ha nella cultura e nella fede questo pronome di prima persona plurale?
“Sempre più abbiamo bisogno di vivere esperienze comunitarie di fede, nelle quali possiamo condividere non solo dubbi ma anche esperienze di festa. Il cammino di fede non è un cammino per solitari, ma è sempre un cammino condiviso, che passa attraverso il convertirsi tramite le persone che ci pone accanto. Quindi in una società sempre più liberalista è liberante che nessuno ha verità ‘in tasca’ per risolvere i problemi del nostro tempo ed occorre, da un lato, l’approfondimento personale ed un riposo ‘contemplativo’; dall’altro, occorre far risuonare il riposo ‘contemplativo’ nella cassa di risonanza della comunità, che aiuta a trovare le armonie giuste attraverso suoni differenti, in modo da rendere il ‘mosaico’ della società interessante”.
Oggi la parola ‘comunità’ è stata sostituita dalla parola ‘comunity’: in quale modo è possibile non confondere il significato delle due parole?
“Abbiamo bisogno di comunità incarnate e non solo quelle digitali, oppure comunità all’interno delle quali abbiamo un solo pensiero. Questa è la comunity, un gruppo di persone tra uguali. La comunità, invece, permette l’ascolto delle voci differenti ed è fatta di volti e di relazioni”.
L’Azione Cattolica Italiana ha capacità di narrare la comunità?
“L’Azione Cattolica Italiana è una grande palestra di comunità, all’interno della quale si trova tante esperienze differenti e tanti cammini diversi, ma condivisi. Da sempre l’Azione Cattolica Italiana è attraente. Tutti dobbiamo crescere nella capacità di narrare meglio la bellezza di vivere in comunità. Nello stesso tempo ognuno di noi è nella comunità cristiana, perché ha incontrato una narrazione bella ed entusiasmante della comunità. Quindi l’Azione Cattolica ha la capacità di narrare”.
(Foto: Azione Cattolica Italiana)
Alcide De Gasperi: un profeta non moderato
“A settant’anni dalla sua morte, la Repubblica rende omaggio ad Alcide De Gasperi, uno dei suoi Padri fondatori, onorandone lo straordinario contributo alla causa della libertà, alla costruzione della democrazia e di un ordine internazionale pacifico e più giusto”: lo ha dichiarato in un messaggio il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in occasione del 70^ anniversario della scomparsa di Alcide De Gasperi.
Nel messaggio il presidente della Repubblica italiana ha sottolineato la sua fermezza negli ideali: “Pagò con la carcerazione la sua opposizione nei confronti dell’affermazione del regime fascista, e non rinunciò mai a perseguire quegli ideali volti a pervenire a un ordinamento statale basato sul rispetto delle libertà fondamentali che lo portarono in seguito ad essere riconosciuto come ricostruttore della Patria”.
Ideali corroborati dalla sua abilità di statista: “Le sue abilità di statista si rivelarono impareggiabili all’indomani della Seconda Guerra Mondiale, dove in seno a complessi negoziati internazionali, seppe raggiungere equilibri che affermarono nuovamente la dignità dell’Italia gravemente compromessa dalla dittatura, con l’attenuazione delle conseguenze di trattati imposti a una Nazione i cui destini il fascismo aveva voluto unire a quelli del Terzo Reich nazista”.
E nella lectio degasperiana tenuta a Pieve Tesino, l’arcivescovo di Perugia-Città della Pieve, mons. Ivan Maffeis, ha sottolineato che De Gasperi guidò l’Italia verso una nuova stagione della democrazia: “La sua grandezza non si misura solo con quello che ha fatto come statista, ma soprattutto per la testimonianza che ci ha offerto. Come gli antichi profeti, ha indicato una strada e un metodo politico che vanno oltre la sua stessa esistenza.
Ha accettato di mettersi alla guida del suo popolo, senza garanzie e senza esitazioni. Prima è stata la volta del popolo trentino, orfano e disperso durante la Prima guerra mondiale, poi quella del popolo italiano che imparò a conoscere. Quando nel 1945 assunse il compito di guidare l’Italia fuori dal deserto in cui la democrazia si era smarrita, De Gasperi aveva 64 anni”.
Ha sottolineato il valore della sua profezia non ‘moderata’: “Come tutti i profeti, non era un moderato. Senza mai tirarsi indietro nelle battaglie elettorali, ha contribuito a riscattare la politica dai suoi aspetti più materiali e duri. Voleva fornirle un’anima, fare in modo che avesse sentimenti e principi. Ha praticato l’arte di comporre le differenze in modo tale che esse non diventassero opposizioni preconcette, ma si integrassero in quell’amicizia politica che è l’anima della democrazia. Non si trattò di una concordia oltre la discordia, ma di una concordia nella discordia. Sapeva che sarebbe venuto il tempo delle scelte di campo”.
La sua profezia non è ‘idealistica’: “Ha delle caratteristiche peculiari e memorabili. Basterebbe riprendere le sue pagine contro l’idealismo astratto della politica e contro le manipolazioni della sofferenza e della disperazione dei poveri. Con la medesima forza, anche all’interno del suo partito ha combattuto ogni forma di messianismo e ogni pulsione utopistica. Non amava le cosiddette terze vie: sapeva che cosa significhi operare dentro e non contro la storia.
Era consapevole che il destino dell’Italia solo in minima parte è nelle mani dei suoi governanti. Conosceva bene, fin dai tempi in cui da giovane giornalista scriveva di politica estera, le dinamiche delle alleanze. Non le subiva come limitazioni, ma anzi le valutava come opportunità. Era davvero entrato nello spirito europeo. Lo guidava un acuto senso della realtà e della fragilità umana. Sapeva che non c’era futuro per chi inganna le masse”.
Ed ha concluso la ‘lectio con un discorso che Alcide De Gasperi tenne a Bruxelles nel 1948: “In democrazia non bisogna scoraggiarsi: lo scoraggiamento è il pericolo principale delle democrazie. Non occorrono mezzi artificiosi, promesse mirabolanti, per infondere coraggio, questi sono mezzi degli assolutismi. Basta la coscienza profonda e la certezza di attuare il proprio proposito. La pazienza è la virtù dei riformatori; riformare vuol dire superare il passato e la pazienza è virtù dei forti, virtù di chi ha fede, di chi ha coscienza dei problemi e li segue con tutta l’attenzione”.
Per non dimenticare Marcinelle
“Da ventitré anni la data del disastro minerario di Marcinelle del 1956 ha dato vita alla Giornata nazionale del sacrificio del lavoro italiano nel mondo. La portata della tragedia che sessantotto anni fa sconvolse 262 famiglie (di cui 136 italiane) le ha fatto assumere una fortissima carica simbolica. Quanto accadde al Bois du Cazier è dunque un richiamo alla memoria del sacrificio di tutti lavoratori italiani deceduti all’estero nello svolgimento delle proprie attività professionali e a quanti hanno recato il contributo della propria industriosità a Paesi anche lontani”.
Con un messaggio il presidente della Repubblica Italiana, Sergio Mattarella, ha ricordato il 68° anniversario della tragedia di Marcinelle, in Belgio, in occasione della 23ª Giornata nazionale del sacrificio del lavoro italiano nel mondo, sottolineando il connubio tra democrazia e lavoro:
“Fin dal suo primo articolo la Costituzione della Repubblica stabilisce un vincolo ideale inscindibile tra democrazia e lavoro. Il pieno rispetto della dignità dei lavoratori ne è un principio fondamentale, affermato anche al livello internazionale; un obiettivo che, tuttavia, non è stato ancora pienamente raggiunto. Svolgere la propria attività lavorativa in sicurezza è la prima elementare condizione”.
Rinnovando la solidarietà a chi ha perso amici e familiari per lavoro il presidente della Repubblica italiana ha sottolineato la necessità di promuovere la dignità del lavoro: “Marcinelle e le altre tragedie che hanno coinvolto migranti italiani nei cinque continenti costituiscono ancora oggi un monito ineludibile a promuovere la dignità del lavoro, valore irrinunciabile della identità della nostra comunità”.
Anche il Consiglio Generale degli Italiani all’Estero (CGIE) ha rinnovato la vicinanza alle famiglie dei discendenti dei 262 lavoratori europei, di cui 136 italiani, definendo ciò che è accaduto a Marcinelle l’8 agosto 1956 un ‘disastro’, che è diventato simbolo di tutte le morti sul lavoro:
“In questo senso, il Bois du Cazier oggi più che mai simboleggia anche l’importanza della dignità del lavoro e della necessità di garantirne la sicurezza. La memoria di quella tragedia deve inoltre servire a formare la consapevolezza negli italiani in patria del grande contributo fornito al Paese, ieri come oggi, dalla nostra diaspora”.
Inoltre, grazie ad un’iniziativa del consigliere del CGIE Vincenzo Arcobelli, con il patrocinio del Consiglio Generale degli italiani all’estero e con il supporto del Consolato Generale d’Italia a Filadelfia e di CTIM, NIAF, Sons of Italy, città di Monongah, in questo giorno si è celebrato a Monongah, negli USA, anche il ricordo della più grave tragedia che ha colpito gli emigrati italiani:
il 6 dicembre 1907, infatti, nella catastrofe mineraria di quella località del West Virginia perirono 361 lavoratori, di cui 171 italiani (secondo una stima per difetto poiché non fu possibile recuperare tutti i corpi). Nel 2007 il Consiglio Generale degli Italiani all’Estero partecipò ufficialmente, con la vicesegretaria generale Silvana Mangione, il viceministro agli Affari esteri Franco Danieli e l’ambasciatore d’Italia in USA Giovanni Castellaneta, alla commemorazione del centenario della disgrazia, nel cimitero appositamente riordinato con l’aiuto di molti volontari, per inaugurare un cippo con i nomi dei caduti di ogni nazionalità.
Inoltre nel pomeriggio è stato presentato a Charleroi, in Belgio, il libro della prof.ssa Maria Laura Franciosi, ‘Per un sacco di carbone’, che racconta attraverso interviste la tragedia alla miniera Bois du Cazier, a Marcinelle: “Un evento che non possiamo permetterci di lasciare nel dimenticatoio: la tutela del lavoro e dei lavoratori è purtroppo ancora un tema di scottante attualità”.
A distanza di anni dall’incidente, l’autrice ha intervistato i sopravvissuti e le loro famiglie, ma anche tanti altri minatori emigrati in seguito all’accordo uomo-carbone con l’Italia, e confeziona un volume che parla di miniere e lavoro, di sacrificio, amore, integrazione, razzismo, malattia, speranze, passato e presente.
Le vicende narrate nel libro si intrecciano a più riprese con la storia delle ACLI, le Associazioni Cristiane dei Lavoratori Italiani che, prima e dopo la tragedia, sono state sempre al fianco degli italiani emigrati, sostenendoli in ogni aspetto della vita professionale e quotidiana.
L’Italia, in quegli anni, stava rialzandosi dai crimini e dai disastri del fascismo e dalle immani distruzioni della Seconda guerra mondiale. Per far ripartire l’industria e per sopperire alla dilagante disoccupazione, pochi giorni dopo la nascita della Repubblica, il 26 giugno del 1946, l’allora Governo di unità nazionale guidato da Alcide De Gasperi, stipulò un accordo bilaterale con il Belgio nei seguenti termini:
manodopera, in cambio di carbone. Fu concordata formalmente con il Belgio l’assunzione di migliaia di lavoratori italiani nelle miniere della Vallonia francofona e del Limburgo germanofono, al fine di assicurare all’Italia un’importante fornitura di carbone ‘proporzionale al numero di minatori inviati’, indispensabile per alimentare il fabbisogno della nascente industria italiana.
Il Presidente della Repubblica richiama la libertà di stampa
Nei giorni scorsi si è svolta al Quirinale la cerimonia di consegna del ‘Ventaglio’ da parte del presidente dell’Associazione Stampa Parlamentare, Adalberto Signore, al presidente della Repubblica Italiana, Sergio Mattarella, che ha rivolto un appello agli italiani e alla responsabilità di chiunque abbia ruoli nella politica e nelle istituzioni sul rispetto della libertà di opinione, di informazione, di critica: ‘Ogni atto rivolto contro la libera informazione, ogni sua riduzione a fake news , è un atto eversivo rivolto contro la Repubblica’.
Infatti il Presidente della Repubblica ha ribadito la massima vigilanza sul rispetto dei principi della Costituzione Italiana da parte dei cittadini, del governo e delle forze politiche per il diritto dei cittadini ad essere informati ed il diritto-dovere dei giornalisti ad informare seriamente contro il rischio delle fake news, come sottolinea l’articolo 21 della Carta costituzionale, ribadendo la necessità della libertà di informazione:
“Nella società dell’informazione globale è del tutto superfluo richiamare l’importanza che l’informazione riveste per il funzionamento della democrazia, per un’efficace tutela del sistema delle libertà. La democrazia, infatti è, anzitutto, conoscenza. E’ contesto nel quale avviene il confronto fra le idee e si esercita il diritto a manifestarle e testimoniarle. Alla libertà di opinione si affianca la libertà di informazione, cioè di critica, di illustrazione di fatti e di realtà. Si affianca, in democrazia, anche il diritto a essere informati, in maniera corretta. Informazione, cioè, come anticorpo contro le adulterazioni della realtà”.
Richiamando la legge ‘Gonella’, che nel 1963 istituì l’ordine dei giornalisti, ha richiamato alle responsabilità di ciascuno: “Operare contro le adulterazioni della realtà costituisce una responsabilità, e un dovere, affidati anzitutto ai giornalisti… Va sempre rammentato che i giornalisti si trovano a esercitare una funzione di carattere costituzionale che si collega all’art.21 della Carta fondamentale, con un ruolo democratico decisivo. Si vanno, negli ultimi tempi, infittendo contestazioni, intimidazioni, quando non aggressioni, nei confronti di giornalisti, che si trovano a documentare fatti. Ma l’informazione è esattamente questo. Come anche a Torino, nei giorni scorsi. Documentazione di quel che avviene, senza obbligo di sconti. Luce gettata su fatti sin lì trascurati”.
Citando Tocqueville (‘democrazia è il potere di un popolo informato’) ha sottolineato che la limitazione dell’informazione è ‘atto eversivo’: “Ecco perché ogni atto rivolto contro la libera informazione, ogni sua riduzione a fake news, è un atto eversivo rivolto contro la Repubblica. Garanzia di democrazia è, naturalmente, il pluralismo dell’informazione. A questo valore le istituzioni della Repubblica devono rivolgere la massima attenzione e sostegno”.
Per questo ha citato l’approvazione, da parte del Parlamento Europeo, del regolamento sulla libertà dei media, che entrerà in vigore il prossimo 8 novembre: “In sintesi: promozione del pluralismo e dell’indipendenza dei media in tutta l’Unione, con protezione dei giornalisti e delle loro fonti da ingerenze politiche; pubblicità sui fondi statali destinati a media o a piattaforme; garanzia del diritto dei cittadini alla gratuità e pubblicità delle informazioni; indipendenza editoriale dei media pubblici; protezione della libertà dei media dalle grandi piattaforme; istituzione di un nuovo Comitato europeo per i servizi di media per promuovere una applicazione coerente di queste norme. Come si vede, un cantiere e un percorso impegnativo per l’Unione e per gli Stati membri, coscienti del valore che questo tema riveste per la libertà del nostro continente”.
Riprendendo il tema sulla guerra in Ucraina il presidente Mattarella ha richiamato all’invasione della Cecoslovacchia da parte di Hitler: “Uno dei momenti, che fa più riflettere (anche oggi) sugli errori gravidi di conseguenze, si identifica con le parole che Neville Chamberlain, Primo Ministro britannico, pronunziò, a Londra, al ritorno dalla conferenza di Monaco nel 1938: ‘Sono tornato dalla Germania con la pace per il nostro tempo’.
Come tutti ricordiamo, Hitler pretendeva di annettere al Reich la parte della Cecoslovacchia che confinava con la Germania (i Sudeti) dove viveva anche una minoranza di lingua tedesca. La Cecoslovacchia, che aveva fortificato quel confine temendo aggressioni, ovviamente rifiutava.
Le cosiddette potenze europee del tempo (Gran Bretagna, Francia, Italia) anziché difendere il diritto internazionale e sostenere la Cecoslovacchia, a Monaco, senza neppure consultarla, diedero a Hitler via libera. La Germania nazista occupò i Sudeti.
Dopo neppure sei mesi occupò l’intera Cecoslovacchia. E, visto che il gioco non incontrava ostacoli, dopo altri sei mesi provò con la Polonia (previo accordo con Stalin). Ma, a quel punto, scoppiò la tragedia dei tanti anni della Seconda guerra mondiale. Che, verosimilmente, non sarebbe scoppiata senza quel cedimento per i Sudeti”.
Ritornando agli episodi attuali di violenza il presidente Mattarella ha richiamato gli attentati degli ultimi mesi ad alcuni politici: “E’ fondamentale e doveroso ribadire la condanna ferma ed intransigente nei confronti di questa drammatica deriva di violenza contro esponenti politici di schieramenti avversi trasformati in nemici. Occorre adoperarsi sul piano culturale contro la pretesa di elevare l’odio a ingrediente, a elemento legittimo della vita: una spinta a retrocedere nell’inciviltà”.
Contro tale violenza, manifestatasi anche con un aumento dell’intolleranza religiosa e razziale, il presidente Mattarella ha invitato a diffidare degli ‘apprendisti stregoni’, che alimentano paure: “Vi sono molte persone che vivono in uno stato di tensione di fronte ai grandi cambiamenti in corso sempre più velocemente. Come ben sappiamo, registriamo condizioni nuove: di vita quotidiana, di modelli sociali, di lavoro, di formule di lavoro, di strumenti di cui avvalersi, di prospettive…
Tutto questo genera, forse comprensibilmente, allarme in tanti, che si sentono disorientati, forse indifesi. E che rischiano di cadere nella rete ingannevole di chi fa credere che la soluzione sia semplice: tornare a un’epoca dorata che non c’è più (se pur mai c’è stata). E che non ci sarà più. Perché la storia cammina, i cambiamenti non si possono fermare, il tempo non torna indietro”.
Ed ha concluso il discorso intervenendo sulla situazione delle carceri: “Il carcere non può essere il luogo in cui si perde ogni speranza, Non va trasformato, in questo modo, in palestra criminale. Vi sono, in atto, alcune, proficue e importanti, attività di recupero attraverso il lavoro. Dimostrano che, in molti casi, è possibile un diverso modello carcerario. E’ un dovere perseguirlo. Subito, ovunque”.
(Foto: Quirinale)