Oboedientia et pax sì. Sudditanza, cieca sottomissione e eresia epocale papolatria no

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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 24.10.2022 – Vik van Brantegem] – Dopo le recenti dichiarazioni del Cardinale Pietro Parolin, Segreteria di Stato di Sua Santità, sulle “critiche al Papa”, il sito Silere non possum spiega cosa sia l’obbedienza e la differenza con la sudditanza/cieca sottomissione (che troviamo riassunto nell’eresia epocale, la papolatria [1]), con l’articolo Parolin si scaglia contro la libera stampa, che riportiamo di seguito.

Questo intervento, sottolinea Silere non possum, «deve far riflettere e deve far comprendere, anche al Papa, che chi critica determinate scelte e prese di posizione, lo fa solo per il bene della Chiesa», ricordando che «con questo fine è nato Silere non possum, ormai un anno e mezzo fa».

Oboedientia et pax (Ubbidienza e pace) – la frase che fu scelto da Angelo Giuseppe Roncalli, che divenne Papa Giovanni XXIII, come motto episcopale e che divenne il simbolo del suo operato – è una frase di uno dei discepoli prediletti di San Filippo Neri, il Cardinale Cesare Baronio, che San Filippo approvava e sosteneva in tutte le discussioni che faceva: «Oboedientia et pax». Baronio andava tutti i giorni in Vaticano a metter la testa sui piedi della statua di San Pietro, ripetendo: «Oboedientia et pax».

In un intervento agli esercizi spirituali dei novizi e dei Memores Domini, secondo un appunto pubblicato da 30 Giorni il 28 settembre 2003 [QUI], Don Luigi Giussani ha illustrato «il significato notevole di questa frase latina. Ma questa obbedienza, da cui fluisce una pace che è un desiderio – anche quando è inconscio, è un desiderio del cuore dell’uomo, sempre –, questa «obbedienza e pace» implica comunque una casa in cui stare, implica una condizione di vita per cui sia fatta passare, implica qualcosa attraverso cui Dio si riserva di penetrare la tua percezione della vita, la tua coscienza del vivere, senza che tu te ne accorga, magari; anzi, sempre senza che tu te ne accorga».

Il bene della Chiesa, che viene opportunatamente sottolineato da Silere non possum, trova il suo compimento nel rispetto del principio salus animarum suprema lex. Questa affermazione, che chiude il Codice di Diritto Canonico, trova la sua fonte nella Prima Lettera di San Pietro, laddove si legge: «Perciò esultate di gioia indicibile e gloriosa, mentre raggiungete la meta della vostra fede: la salvezza delle anime» (1Pt 1,3).

Scrive Silere non possum: «Noi, ma con noi tanti cattolici nel mondo, abbiamo sollevato critiche puntuali per aiutare il Papa a compiere un lavoro serio su questioni importanti per la vita della Chiesa. Chi oggi critica il Papa, EWTN in particolare, lo fa con questo spirito. Sarebbe utile ad un padre che il figlio non gli dicesse che è sbagliato mangiare dolci se ha il diabete? Certo, non contraddirebbe il padre e sarebbe un figlio modello, ai suoi occhi. Ma non farebbe il suo bene. Il padre potrebbe pensare che è sottomesso, ma in realtà ha solo paura. Oggi il rischio è che il governo della Chiesa venga esercitato in nome dell’obbedienza ma in realtà c’è solo il terrore».

Molti altri Papi sono stati contestati prima del Papa attualmente regnante. Anche San Paolo è stato contestato. Anche Gesù è stato contestato. «Guai se il Romano Pontefice si spaventasse per le critiche e le incomprensioni», avvertiva Papa Giovanni Paolo II – che fu contestato anche virulentemente, non dimentichiamolo, come il suo successore, il mite Papa Benedetto XVI – nell’Udienza Generale di mercoledì, 10 marzo 1993:

«Possiamo dire che il contenuto dell’insegnamento del successore di Pietro (come degli altri vescovi), nella sua essenza, è una testimonianza a Cristo, all’Evento dell’Incarnazione e della Redenzione, alla presenza e all’azione dello Spirito Santo nella Chiesa e nella storia. Nella sua forma espressiva, può variare a seconda delle persone che lo esercitano, delle loro interpretazioni circa le necessità dei tempi, dei loro stili di pensiero e di comunicazione. Ma il rapporto con la Verità vivente, Cristo, ne è stato, ne è e ne sarà sempre la forza vitale.
Proprio in questo rapporto a Cristo è la definitiva spiegazione delle difficoltà e delle opposizioni che il magistero della Chiesa ha sempre incontrato dai tempi di Pietro ad oggi. Per tutti i vescovi e pastori della Chiesa, e specialmente per il successore di Pietro, valgono le parole di Gesù: “Un discepolo non è da più del maestro” (Mt 10, 24; Lc 6, 40). Gesù stesso svolse il suo magistero in mezzo alla lotta fra le tenebre e la luce, che costituisce l’ambiente dell’incarnazione del Verbo (cf. Gv 1, 1-14). Quella lotta era viva nei tempi apostolici, come il Maestro aveva avvisato: “Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi” (Gv 15, 20). Essa purtroppo si svolgeva anche nell’ambito di qualche comunità cristiana, tanto che San Paolo sentì il bisogno di esortare Timoteo, suo discepolo: “Annunzia la parola, insisti in ogni occasione opportuna e non opportuna, ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità e dottrina… (anche se) non si sopporterà più la sana dottrina” (2 Tm 4, 2-3).
Ciò che Paolo raccomandava a Timoteo vale anche per i vescovi d’oggi, e specialmente per il Romano Pontefice, che ha la missione di proteggere il popolo cristiano contro gli errori nel campo della fede e della morale, e il dovere di custodire il deposito della fede (cf. 2 Tm 4, 7). Guai se si spaventasse delle critiche e delle incomprensioni. La sua consegna è di rendere testimonianza a Cristo, alla sua parola, alla sua legge, al suo amore. Ma alla coscienza della propria responsabilità nel campo dottrinale e morale, il Romano Pontefice deve aggiungere l’impegno di essere, come Gesù, “mite e umile di cuore” (Mt 11, 29). Pregate perché lo sia, e lo diventi sempre più».

Questo Blog dell’Editore è ospitato sul quotidiano non profit online Korazym.org, nato qualche anno prima di Silere non possum, vent’anni fa nel 2003 come frutto delle Giornate Mondiali della Gioventù. Lo scopo, in sostanza, era dare voce ai senza voce, a quanti – perché giovani o socialmente “deboli” – non godono della possibilità di un’informazione che li veda protagonisti, soggetti attivi e consapevoli. In questi anni, il gruppo iniziale di giovani è cresciuto sia sul piano professionale (alcuni sono diventati giornalisti professionisti) che anagrafico. E allo stesso modo era cresciuto il sito, sviluppatosi da semplice spazio web a testata giornalistica, con l’obiettivo di offrire un’informazione puntuale e corretta, lontana da un approccio confessionale, ma al tempo stesso capace di esprimere una visione non fluido, ma chiara, fondato sul Vangelo e il Magistero della Chiesa. Il tutto, costruito su base volontaria e gratuita, attraverso il contributo di giornalisti. «Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» (Mt 10,8b). Con questo proposito Korazym.org è nato e continua ad operare, in totale gratuità evangelica.

Lo scopo della testata è espresso nella copertina della pagina Facebook collegata: Testimonium perhibere veritate (Rendere testimonia alla verità), che fa riferimento alle parole di Gesù: «Allora Pilato gli disse: “Dunque tu sei re?”. Rispose Gesù: “Tu lo dici; io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce”» (Gv 18,37).

Il favor veritatis
e la salus animarum suprema lex
sono i valori imprescindibili
dai quali nessuna norma potrà mai derogare,
neanche un Papa.

Dell’argomento esposto da Silere non possum abbiamo trattato già il 7 febbraio 2022 in modo approfondito: I Pastori possono sbagliare, possono essere criticati? Una risposta alla luce del “favor veritatis et salus animarum suprema lex”. Abbiamo sottolineato e lo ripetiamo, che non era un “attacco” al Papa, non un “attacco” a Papa Francesco, non un “attacco” al Papato, non un “attacco” al Pontificato. E meno ancora rappresentava un “attacco” alla Chiesa di Cristo, anzi. Quanto scritto allora – e di cui oggi citiamo quanto segue – era offerto come pro memoria delle fonti su quanto scritto nel titolo e come sussidio per la riflessione sul tema indicato.

La Nota dottrinale illustrativa della formula conclusiva della Professio fidei [QUI] della Congregazione per la Dottrina della Fede, firmata il 29 giugno 1998 dall’allora Prefetto, il Cardinale Joseph Ratzinger, ha delimitato in modo chiaro ed esplicito le modalità e i campi, nell’osservanza di precise condizioni in cui è impegnata unicamente l’infallibilità del Sommo Pontefice; dunque i relativi asserti che sono assolutamente vincolanti per tutti i Cattolici e non criticabili perché in tali assunti non ci può essere nascosto nessun errore dottrinale. Va da sé che al di fuori di queste materie e condizioni il Papa non è infallibile e dunque può sbagliare.

Quindi, il Papa – qualsiasi Papa e non solo l’attualmente regnante o i suoi immediati predecessori – non deve essere sempre ascoltato senza batter ciglio e senza essere criticato, visto che può sbagliare se non è impegnata l’infallibilità. Ciò naturalmente non significa che tutto quello che dice e fa sia opinabile. Ad esempio, ciò che dice un Papa in un’intervista non impegna la sua infallibilità. Lo stesso Papa attualmente regnante ha affermato: «Non è peccato criticare il Papa qui! Non è peccato, si può fare» (Discorso all’Assemblea Generale della Conferenza Episcopale Italiana, 21 maggio 2018 [QUI]).

Il Catechismo della Chiesa Cattolica impone obbedienza al Papa perché seguendo la sua volontà si aderisce a quella di Dio. Ma laddove questa volontà fosse in conflitto con quella divina, l’auctoritas pontificia verrebbe meno, perché ogni potestas – insegna San Tommaso d’Aquino – riceve validità dall’ossequio al bene.

Nel Can. 1752, quello che conclude il Codice di Diritto Canonico, si legge che la salvezza delle anime deve sempre essere nella Chiesa legge suprema. Salus animarum suprema lex, perché la salvezza delle anime è il sommo bene. E il primo balsamo per le anime è il favor veritatis. Al favore della verità è sottomesso lo stesso Vicario di Cristo (che non è un titolo semplicemente storico, ma su cui si base l’autorità del Papa regnante, indifferentemente da dove decide di rilegare “graficamente” questo titolo [“Vicario di Cristo” da primo e sostanziale titolo, rilegato “graficamente” a solo “titolo storico”. Cardinale Müller: “Una barbarie teologica” – 4 aprile 2020]).

Nell’epoca dei falsi profeti – che notoriamente diffondono il falso, la menzogna, la zizzania, la discordia – e di coloro che mettono in dubbio ormai tutto quanto accade nella Chiesa Cattolica Romana. che attaccano la dottrina Cattolica e la Tradizione, è opportuno ricordare con forza i due principi fondamentali su cui la Chiesa Cattolica Romana stessa si regge e che nel tempo hanno significato il suo radicamento nell’insegnamento del suo Fondatore, il Figlio di Dio Gesù Cristo, morto sulla Croce, disceso negli inferi, resuscitato e salito al Cielo e che un giorno ritornerà per giudicare i vivi e i morti: il principio del favor veritatis e il principio della salus animarum suprema lex, fondamento del diritto canonico. Questi due principi offrono la chiave di lettura, ovvero l’interpretazione di tutte le norme canoniche, nell’ottica di un’antropologia teologica rinnovata e riletta dal Concilio Ecumenico Vaticano II. Questi due concetti sono stati posti a compimento e a sintesi di tutto il diritto canonico, significando quei valori imprescindibili dai quali nessuna norma potrà mai derogare, neanche un Papa.

Quindi, sì obbedienza al Papa, ma non sudditanza, non cieca sottomissione, non papolatria (eresia epocale di una deviazione teologica, di natura psico-sociale-sentimentalista, che consiste nel posporre – al contrario di quanto chiaramente detto nel Vangelo – il Padrone al servo) [1] e tanto meno papismo (l’intransigente difesa della legittimità del potere temporale supremo del Papa).

Parolin si scaglia contro la libera stampa
Silere non possum, 22 ottobre 2022


Guai a criticare il Papa o si viene bacchettati. Questo è il clima che vige in Vaticano e oltre le mura leonine dal 2013. Inutile negarlo, qualunque soggetto dotato di una minima porzione di materia grigia si è reso conto che le voci critiche che si elevano contro Papa Francesco vengono messe a tacere.

Non si tratta solo dei giornalisti che non trovano spazio sulle testate giornalistiche, ma è una questione generale che oggi vogliamo approfondire a seguito delle parole pronunciate dal Segretario di Stato, Cardinale Pietro Parolin durante un incontro organizzato da EWTN e gli affiliati europei.

Parolin contro EWTN

La massima carica della Santa Sede ha deciso, nelle scorse ore, di pronunciare un discorso molto duro e sottile. Il tema centrale è l’informazione. Parolin dice: “I media cattolici, come ben sapete, hanno un ruolo importante nel compito della nuova evangelizzazione. Per questo è bene che si sentano parte attiva della vita della Chiesa, innanzitutto vivendo in uno spirito di comunione con il Vescovo di Roma. Ciò è tanto più urgente oggi, in un tempo segnato da dibattiti troppo drammatici, anche all’interno della Chiesa, che non risparmiano nemmeno la persona e il magistero del Pontefice. Quando Madre Angelica fondò EWTN con enorme coraggio e straordinaria creatività, lo fece innanzitutto per fornire uno strumento di bene al servizio della Chiesa e del Papa. Questa continua ad essere la vostra più grande missione e ricompensa: essere e sperimentare voi stessi al servizio della Chiesa e del Successore di Pietro. Come ha affermato San Giovanni Paolo II, ricordando la preghiera di Gesù per Pietro (Lc 22,31), la missione affidatagli da Gesù riguarda la Chiesa che si estende attraverso i secoli e le generazioni umane (cfr. Udienza generale del 2 dicembre 1992). Il diavolo cerca sempre di setacciarci come il grano, ma la preghiera di Gesù per Pietro e i suoi successori è la nostra ancora di salvezza. Che questo spirito di comunione con il Papa sia il segno distintivo del vostro lavoro. Che sia “sentito” e “toccato” nelle vostre trasmissioni televisive, così come nei vostri articoli e nei vostri programmi multimediali. Che ogni vostro spettatore o lettore riconosca EWTN come un’opera di Dio al servizio della verità, della comunione ecclesiale e del bene dell’umanità”.

L’emittente americana è particolarmente “cara” alla Santa Sede perché con il Pontificato di Francesco la Chiesa americana si è posizionata chiaramente su una posizione critica. Non può essere altrimenti, visto che il Papa si scaglia contro l’aborto sostenendo che questo è “come ingaggiare un sicario” ma allo stesso tempo fa intendere che il Presidente degli Stati Uniti d’America può accostarsi al sacramento dell’Eucarestia nonostante le sue posizioni abortiste.

Non vogliamo però entrare nello specifico ma trattare di un argomento che deve stare a cuore a tutti i cattolici, oggi più che mai.

Obbedienza o sottomissione?

Oggi la Chiesa deve fare i conti con un problema assai grave di cui poco si parla: gli abusi psicologici e di potere. Troppo spesso nelle comunità, nei presbiteri e dentro le parrocchie si vivono abusi di potere commessi in nome di Dio. “Dovete obbedire”, si sente dire da chi detiene il potere. Oggi si parla molto degli abusi sessuali i quali sono semplicemente l’espressione massima e terminale di un problema che inizia con l’abuso psicologico. La maggior parte degli abusi, infatti, viene commessa proprio in forza di una sudditanza psicologica che si è instillata nel soggetto abusato. Allora la questione va affrontata anche per quanto riguarda il Papa, i vescovi e tutta la gerarchia ecclesiastica. Sudditanza, sottomissione cieca o obbedienza?

Oggi è impossibile rivolgere critiche al Pontefice senza sentirsi dire: “Ah ma sei lefebvriano, sei scismatico”. Molti allora si chiedono: ma nella Chiesa c’è spazio per tutti, tranne che per chi osa dissentire? Ai tempi di Gesù non c’erano forse discussioni fra i discepoli? Non discutevano forse gli apostoli? La differenza quindi deve essere nelle modalità. Cosa intendiamo? Innanzitutto la consapevolezza, non in tutti presente, che il Papa è validamente eletto ed è successore di Pietro. In secondo luogo, che il Papa è il Papa, sempre. Pertanto gli si deve filiale rispetto e obbedienza. Obbedienza, non sottomissione cieca. Chiariti questi due pilastri, il Papa non è sempre infallibile e pertanto è criticabile. La critica deve essere volta al bene della Chiesa, ovvero domandare (come hanno fatto alcuni cardinali che sono morti con i dubia) al Pontefice determinate questioni, e dissentire per ciò che si ritiene giusto dissentire.

Quando ci sono soggetti che muovono critiche alla Chiesa, fra gli altri Eugenio Scalfari e Piergiorgio Odifreddi i quali si sono arricchiti citando le loro discussioni con i Papi, tutto va bene. Se la critica arriva dai cattolici, guai!

Questo è emblematico, si vuole a tutti i costi apparire aperti, si è addirittura fatto un Sinodo dove tutti possono dire la loro ma chi dissente sulle tematiche di sempre, guai. Appare alquanto contraddittorio ed è risibile che Pietro Parolin parli di verità. Verità che, a differenza di quanto afferma Parolin, è una ed una sola.

Due pesi e due misure

Risulta anche incredibile sentire queste persone scagliarsi contro chi osa criticare il Pontefice, il quale è trattato davvero come un Re, a momenti si rischia di essere imputati per lesa maestà; quando negli anni scorsi abbiamo dovuto leggere le peggiori insinuazioni, anche personali contro il Pontefice. Non dimentichiamo che ci sono anche delle condanne penali contro alcuni soggetti che insultarono Joseph Ratzinger. Nessuno, in quel momento osava lamentare che il Papa era il Papa. Nessuno osava parlare di comunione.

È chiaro che la Chiesa americana ha preso una netta posizione contro quelle che sono delle derive pericolose. Se la Chiesa scende a compromessi sulle questioni fondamentali della fede, ha perso la sua identità. Identità che oggi è nebulosa, e si ha paura a riaffermare.

Abbiamo passato otto anni di Pontificato con giornalisti che scrivevano, dalla mattina alla sera, titoli e articoletti contro Benedetto XVI. Persone spietate che cercavano in tutti i modi di ledere l’immagine di un Pontificato che, chiaramente, non piaceva. Oggi il Papa del dialogo ha portato indietro la Chiesa al 1988, tagliando completamente le competenze della Ecclesia Dei e pubblicando il Motu proprio Traditions custodes. Questo non è dialogo? Con le altre confessioni bisogna dialogare, con chi contesta alcune scelte del Concilio Vaticano II no? In sostanza si arriva a ritenere il Concilio Vaticano II più importante della persona stessa di Gesù Cristo? Più importante della divina rivelazione?

Questo è ciò che appare. Con alcuni siamo aperti, con altri assolutamente chiusi. Non si possono certamente utilizzare due pesi e due misure. Il dialogo con tutti. È chiaro che chi non riconosce il Concilio sbaglia, ma sarebbe anche il momento di fare un esame di coscienza. C’è chi sostiene che addirittura abbiamo da imparare da Lutero, e riteniamo di non dover imparare nulla da chi dice che forse la Celebrazione Eucaristica oggi ha perso il suo valore in molte delle nostre parrocchie? Non è forse il momento di chiederci: non è che siamo stati anche noi a propinare un Concilio che in realtà nei testi è tutt’altra cosa?

Una Chiesa in cammino

Questo intervento del Cardinale Parolin ci deve far riflettere e deve far comprendere, anche al Papa, che chi critica determinate scelte e prese di posizione, lo fa solo per il bene della Chiesa. Con questo fine è nato Silere non possum, ormai un anno e mezzo fa. La storia è piena di siti, giornali, blog ed altro, creati per soli fini scandalistici e che hanno il solo fine di attaccare la Chiesa. Questo è ciò che fanno molti giornali ancora oggi, i quali in nome della trasparenza non perdono occasione per fare falsa informazione e colpire la Chiesa. Noi, ma con noi tanti cattolici nel mondo, abbiamo sollevato critiche puntuali per aiutare il Papa a compiere un lavoro serio su questioni importanti per la vita della Chiesa.

Chi oggi critica il Papa, EWTN in particolare, lo fa con questo spirito. Sarebbe utile ad un padre che il figlio non gli dicesse che è sbagliato mangiare dolci se ha il diabete? Certo, non contraddirebbe il padre e sarebbe un figlio modello, ai suoi occhi. Ma non farebbe il suo bene. Il padre potrebbe pensare che è sottomesso, ma in realtà ha solo paura. Oggi il rischio è che il governo della Chiesa venga esercitato in nome dell’obbedienza ma in realtà c’è solo il terrore. Sono tantissimi i presbiteri e i vescovi che per qualche critica sono stati allontanati da Roma. Si pensi a Mons. Gian Paolo Montini [2], il quale mosse qualche critica al Motu proprio Mitis Iudex Dominus Iesus [3]. Il Papa lo ha allontanato chiedendo addirittura che venisse rispedito in diocesi. Per fortuna dall’Università Gregoriana sono andati a perorare la sua causa, facendo presente al Papa che se lui se ne fosse andato da Roma l’ateneo avrebbe perso uno dei suoi migliori canonisti. Questa non è obbedienza, questa è sottomissione. Francesco sta rischiando di alimentare questo clima di terrore che non farà altro che portare ad una esplosione interna. Qui in Vaticano questo clima è esasperato perché si ha a che fare ogni giorno con queste problematiche che sono prettamente caratteriali e non riguardano il ministero, l’autorità Pontificia o chissà quale altro dogma. Francesco è stato formato in questo modo. Da gesuita ha una concezione dell’obbedienza che è militare. L’obbedienza, però, non è questa.

La vera obbedienza

Come chiaramente dice San Benedetto nella Regola: “Ogni volta che in monastero bisogna trattare qualche questione importante, l’abate convochi tutta la comunità ed esponga personalmente l’affare in oggetto. Poi, dopo aver ascoltato il parere dei monaci, ci rifletta per proprio conto e faccia quel che gli sembra più opportuno”.

Questo è ciò che spesso viene contestato a Francesco: “fa tutto da solo e vuole fare tutto”, riferirono i porporati al termine del Concistoro di agosto 2022.

Non è umanamente possibile fare tutto e quindi è necessario affidarsi ad altri, ammettendo, peraltro, che certe competenze non le si ha. Si veda la questione canonistica. Oggi Francesco non si lascia consigliare dagli esperti in questa materia. Eppure il confronto per il Papa è fondamentale.  Inoltre, come continua Benedetto nella Regola, l’obbedienza non deve essere solo esercitata nei confronti dell’abate ma anche dall’abate nei confronti dei fratelli. Parafrasando quindi gli insegnamenti del Padre del monachesimo, bisogna qui sottolineare come sia importante per il Papa affidarsi alle scelte dei capi dicastero, dei vescovi delle diocesi, dei suoi collaboratori per ciò che gli compete. Il rischio è questo: sulla dottrina voglio fare come dico io? Cambio il prefetto e lo mando a casa. Sulla liturgia voglio fare come dico io? Cambio il prefetto e lo mando a casa.

Diversa questione è quando il Papa parla ex cathedra, ma non sono questi i casi. Il confronto, quindi, è ricchezza ma lo si deve avere con tutti, non solo con chi ci fa comodo. Addirittura San Benedetto dice: “abbiamo detto di consultare tutta la comunità, perché spesso è proprio al più giovane che il Signore rivela la soluzione migliore”. E di questo se ne ha sempre più conferma non solo nei monasteri.

S.I.
Silere non possum


[1] «L’eresia epocale. La Papolatria è una deviazione teologica, di natura psico-sociale-sentimentalista, che consiste nel posporre – al contrario di quanto chiaramente detto nel Vangelo – il Padrone al servo.
E normalmente chi ne è affetto esprime tale deviazione con toni aggressivi e accusatori assolutamente chiusi al confronto teologico e perfino razionale.
La papolatria, fenomeno di massa che colpisce non solo milioni di semplici credenti poco propensi ad elevarsi alla razionalità della fede e vittime del sistema mediatico, ma anche le migliori intelligenze, è per tal ragione da considerarsi l’eresia epocale dei nostri tempi.
La causa immediata e umana risale a due pontefici in particolare, Roncalli e soprattutto Wojtyla; la causa “media” nel sistema dell’informazione e del controllo di massa delle coscienze dei decenni del dopoguerra, in special maniera con la Chiesa conciliare; la causa remota è nella storia della Chiesa moderna, come una radice che, lontanissima, raggiunge, a ritroso, addirittura la Controriforma.
Il papolatria, tanto per fare un paragone esplicativo, può essere considerato colui che, qualora si fosse trovato presente nel cortile di Caifa la notte della Passione, dinanzi al triplice tradimento di Pietro, qualora qualcuno avesse rimproverato Pietro, si sarebbe preoccupato di scagliarsi scandalizzato contro costui in quanto offensivo di Pietro. Mentre Cristo agonizzava per tutti noi, anche a causa del tradimento di Pietro.
Il rimedio è solo uno: la liberazione teologica e psicologica da tale male ereticale con la conoscenza piena, serena e oggettiva della reale storia dei papi del Medioevo, sia di quelli meno presentabili e meno conosciuti, sia di quelli colossali e celebri dei secoli XI-XIV. La conoscenza della storia della Chiesa medievale, insomma, che tutti dicono di sapere ma di cui molto pochi hanno cognizione esatta e particolare. Perché… “Contra factum non valet argumentum”.
E soprattutto con l’adesione piena alla spiritualità e teologia medievale.
La soluzione sta nel rimettere il servo – specie se indegno – al suo posto, e il Padrone, Verbo Incarnato, al suo posto. Perché è il Papa che deve essere al servizio della Verità, di cui è mero custode e non la Verità a servizio del Papa.
Il Papa è al servizio del Papato, che è parte costitutiva e imprescindibile della Chiesa, che è creazione di Cristo, che è Dio.
P.S. Il Papa non lo “elegge” Dio. Lo eleggono gli uomini. Nel passato, per secoli e secoli, addirittura il popolo romano (figuriamoci), o le famiglie aristocratiche romane (te le raccomando), o gli imperatori. Lo spirito Santo ispira l’elezione. Ma la “misura” effettuale di questa ispirazione… per ogni Papa, la conosce solo lo Spirito Santo. Per questo San Vincenzo di Lérins poté affermare genialmente: “Alcuni Papi Dio li dona, altri li tollera, altri ancora li infligge”» (Prof. Massimo Viglione – Ricognizioni.it, 22 agosto 2016).

[2] Mons. Gian Paolo Montini, nato a Gussago (Brescia) il 30 novembre 1955, ordinato sacerdote per la Diocesi di Brescia il 9 giugno 1979, Prelato d’Onore di Sua Santità. Ha conseguito presso la Facoltà di Diritto Canonico della Pontificia Università Gregoriana il Baccalaureato, la Licenza e il Dottorato in Diritto Canonico, e la Specializzazione in Giurisprudenza presso la Facoltà di Diritto Canonico della Pontificia Università Gregoriana.

Dal 2001 insegna alla Facoltà di Diritto Canonico della Pontificia Università Gregoriana, attualmente come Professore Incaricato Associato. È Direttore della rivista Periodica De Re Canonica; Membro della Redazione della rivista Quaderni di diritto ecclesiale; Membro dei Comitati Scientifici dei Corsi Residenziali di Diritto Canonico Applicato: Cause Matrimoniali, La Curia, I beni ecclesiastici: diritto e prassi; Membro del Comitato Scientifico della Cattedra Velasio.

Il 12 aprile 2008 Il Santo Padre lo ha nominato Promotore di Giustizia del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, dove era fino allora Promotore di Giustizia Sostituto e dal 2009 era Promotore di Giustizia della Corte di Cassazione dello Stato Città del Vaticano, cessando i suoi incarichi dal 31 agosto 2019.

La notizia si apprese da un post Facebook dello Studio Rotale Gullo del 3 settembre 2019: «Dal 31 agosto mons. Gianpaolo Montini ha cessato il suo incarico di Promotore di Giustizia presso il Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, di cui era l’ultima memoria storica. Ha svolto il suo delicatissimo ruolo con grande competenza, professionalità e rispetto della Giustizia. Nel suo rigore è sempre stato molto disponibile a condividere idee, informazioni, dottrina e giurisprudenza, di cui ha una conoscenza oggi ineguagliabile. La sua partenza è quindi una dolorosa perdita per i tribunali ecclesiastici e per noi avvocati. A lui vanno pertanto i nostri migliori auguri affinché porti nei suoi nuovi impegni tutto il suo sapere e la sua umana disponibilità».

Sulla questione è ritornato il 29 agosto 2019 Marco Tosatti sul suo blog Stilum Curiae [QUI]:

«VATICANO. PICCOLE EPURAZIONI CRESCONO…IL REGIME LICENZIA D’ESTATE
Gian Paolo Montini, Promotore di Giustizia alla Segnatura Apostolica, docente invitato all’Università Gregoriana (Diritto canonico), nei prossimi giorni – a 64 anni! – verrà congedato dalla sua carica, senza peraltro che gli venga assegnato un nuovo ufficio. Semplicemente, è messo a disposizione. Una decisione a dir poco sorprendente, vista l’età, le caratteristiche professionali, e la competenza dell’interessato. C’è da dire che Mons. Gian Paolo Montini si era espresso – con garbo ma con chiarezza – in diversi articoli criticando la riforma dei tribunali ecclesiastici voluta e ideata da Mons. Pio Vito Pinto, Decano della Rota Romana, devotissimo e anche di più al Pontefice regnante, che lo ascolta e ne segue i consigli. Tanto devoto che a 78 anni compiuti resta ancora a capo della Rota, e anzi, andrebbe dicendo che “sarà Decano fino alla morte”. Chi conosce quel mondo sostiene che privare la Segnatura, le cui ali sono state già tarpate più di una volta da decisioni autocratiche contro ogni giustizia di una persona dotata di un profilo tecnico quale è quello d Gian Paolo Montini significa certamente un impoverimento. Ma c’è qualcuno a cui questo genere di argomenti sta a cuore, nell’attuale regime? Non pare.
Questo singolare spostamento, – fra l’altro, a quanto pare, deciso senza che il vescovo della diocesi in cui è incardinato Mons. Montini sia stato consultato preventivamente, come è buona regola, se non altro di educazione, se come pensiamo verrà confermato, rappresenta l’ultimo episodio di una serie di mosse con cui il gruppo al potere sembra voler impadronirsi anche delle leve mediane e basse  della macchina, eliminando persone che senza essere contrarie al regime attuale evidentemente non davano abbastanza garanzie di fedeltà cieca, pronta ed assoluta.
Lo spostamento più interessante è avvenuto a luglio, e riguarda uno dei punti più delicati, segreti e sensibili della Santa Sede. Cioè la Sezione Economica della Segreteria di Stato; il forziere del Papa, più ricco – secondo quello che dicono fonti molto buone – dello stesso IOR, ma privo di qualsiasi controllo esterno (o anche interno…). Il Cardinale George Pell incaricato dal Pontefice di non guardare in faccia nessuno, e di portare ad unum tutto ciò che era soldi e finanze, provò a metterci naso e mani, e con quali risultati lo sappiamo. Mons. Alberto Perlasca, un prelato comasco estremamente serio, pignolo e formale, è stato mandato a fare il Promotore di Giustizia aggiunto proprio alla Segnatura. Al suo posto è stato nominato un monsignore lituano che prenderà servizio nei prossimi mesi. Perlasca è stato congedato senza nomina episcopale; il che non suona come una promozione. Forse il serissimo prelato comasco ha eccepito un po’ troppo, di fronte a richieste disinvolte, per quanto legittime, promananti dall’Alto? In quel mondo si marcia a sussurri, e anche quelli sono pericolosi…
Poi c’è stato lo spostamento di un altro carattere spigoloso, Carlo Maria Polvani, che dal 2007 guidava l’UID, l’Ufficio Informazione e Documentazione della Segreteria di Stato, la struttura in costante contatto con il Dicastero per la Comunicazione e quindi con tutti i media della Santa Sede, in particolare con la Sala Stampa. Polvani è nipote dell’ex Nunzio Apostolico negli Stati Uniti, Carlo Maria Viganò. Non sembra però che i rapporti zio-nipote, a quanto ci risulta, siano buoni; anzi potremmo dire tutt’altro. E questo da parecchio tempo. Ci sentiremmo di sospettare che lo spostamento di Polvani sia originato da motivi interni. Il monsignore è stato trasferito a sorpresa al Pontificio Consiglio per la Cultura, con l’incarico di sotto-segretario aggiunto, uscendo di fatto dal servizio diplomatico della Santa Sede. Anche per lui non c’è stata nessuna nomina episcopale ad addolcire quella che difficilmente potrebbe passare come una promozione.
Infine, oltre a Perlasca e Polvani un altro trasferimento misterioso: anche il Capo ufficio dell’Ufficio giuridico della Segreteria di Stato, Monsignor Sergio Aumenta ha dovuto lasciare il posto in Curia, ed è stato trasferito nella sua diocesi d’appartenenza, Asti. Anche in questo caso non è dato di sapere perché il prelato, che è anche Commendatore all’Ordine della Repubblica Italiana, abbia visto la fine repentina del suo percorso all’ombra delle Mura… Sarà necessario vedere chi sarà il suo successore, per vedere di dipanare questi fili di potere e poteri».
Sul caso ricordiamo l’analisi di Sandro Magister, a margine del caso Bose, che abbiamo riportato il 5 marzo 2021 [QUI]:

«È il ruolo giudicante del papa, soprattutto, a inquietare. Anche i sostenitori più accesi di Bianchi – dallo storico della Chiesa Alberto Melloni allo psicoanalista Massimo Recalcati –, nonostante a parole assolvano Francesco e incolpino una imprecisata “faida vaticana” d’aver ordito la trama, di fatto sanno che alla fin fine tutto è disceso da lui, dal papa.
E a Francesco neppure si può fare ricorso contro la condanna, né tanto meno al Supremo tribunale della segnatura apostolica, semplicemente perché il decreto del 13 maggio 2020 che ha condannato Bianchi a “separarsi” in spirito e corpo da Bose, firmato dal segretario di Stato cardinale Pietro Parolin, ha la struttura canonica del “decreto singolare” approvato dal papa “in forma specifica”, che lo rende per ciò stesso definitivo e inappellabile.
Sull’assolutismo monocratico che caratterizza il pontificato di Jorge Mario Bergoglio già molto si è scritto, anche su Settimo Cielo. Pochi però hanno richiamato l’attenzione su quegli strumenti particolari di comando che sono appunto i decreti vaticani approvati dal papa “in forma specifica”.
Lo ha fatto, a livello scientifico, un docente di diritto processuale alla Pontificia Università Gregoriana, il professor Gian Paolo Montini, in un saggio del 2018 su “Periodica de Re Canonica”, la rivista specialistica di cui è direttore.
Dal 2008 Montini era promotore di giustizia presso il Supremo tribunale della segnatura apostolica, l’alta corte della Santa Sede. Ma nell’estate del 2019, a 64 anni, è stato improvvisamente esautorato dall’incarico e restituito alla sua diocesi d’origine, Brescia, senza alcuna spiegazione, ma forse proprio per quell’articolo da lui pubblicato l’anno prima. Che vale qui ripercorrere per sommi capi.
A cominciare dalla citazione di Joseph Ratzinger messa con forte evidenza in testa all’articolo: “La denigrazione del diritto non è mai ed in nessun modo al servizio della libertà, ma è sempre uno strumento della dittatura. La eliminazione del diritto è disprezzo dell’uomo: ove non vi è diritto, non vi è libertà”.
A piè di pagina, in nota, Montini riporta anche le altre parole che Ratzinger aveva immediatamente premesso a quelle sopra citate: “L’ironizzazione [dal tedesco ‘Ironisierung’, il farsi beffe – ndr] del diritto apparteneva ai fondamenti del nazionalsocialismo (non conosco sufficientemente la situazione per quanto riguarda il fascismo italiano). Nei cosiddetti ‘anni della lotta’ il diritto fu molto consapevolmente calpestato e contrapposto al cosiddetto sano sentimento popolare. Successivamente il Führer fu dichiarato come l’unica fonte del diritto e così l’arbitrio fu messo al posto del diritto”.
Ebbene, che cosa ha indotto Montini ad associare queste tremende parole di Ratzinger, tratte da una sua “Lectio doctoralis” del 2000 in omaggio al giurista Sergio Cotta, ai decreti vaticani approvati dal papa “in forma specifica” e quindi inappellabili?
Per capirlo basta seguire il filo della sua analisi.
Per cominciare, Montini ricostruisce la genesi di questa procedura, introdotta per la prima volta nel 1999 nel Regolamento generale della curia romana, all’articolo 126.
In questo articolo 126, tra l’altro, si stabilisce che la richiesta di approvazione “in forma specifica” deve essere presentata al papa “per iscritto, adducendone i motivi” e accompagnandola a un fascicolo che “deve essere lasciato al Sommo Pontefice, in modo che Egli lo possa esaminare personalmente” e decidere di conseguenza a ragion veduta.
Poi Montini passa in rassegna tutte le volte in cui un ricorso presentato al Supremo tribunale della segnatura apostolica contro un decreto vaticano non ha potuto essere accolto perché quel decreto godeva, appunto, dell’approvazione del papa “in forma specifica”, ottenuta anche dopo la presentazione del ricorso alla segnatura. E scopre che mentre all’inizio questi casi erano molto rari, dopo il 2013 si moltiplicano a dismisura.
Il 2013 è l’anno dell’elezione di Bergoglio al soglio pontificio.
Non solo. Risulta che tra gli atti approvati “in forma specifica” da papa Francesco appaiono spesso “palesi e plateali violazioni della procedura di cui all’art. 126 del Regolamento generale della curia romana”, violazioni che “possono legittimamente far supporre una nullità dell’approvazione in forma specifica da parte del Sommo Pontefice”.
Purtroppo, però, l’ordinamento vaticano non assegna a nessun giudice la competenza a “giudicare della nullità o illegittimità della medesima approvazione in forma specifica”. Con la conseguenza che il papa davvero può fare ciò che vuole, anche “contra legem”, e lo fa.
Nel concludere il suo saggio, Montini cita dapprima un canonista francese secondo cui “un ricorso troppo frequente a questa via sbrigativa […] può indurre nel fedele sottoposto a giudizio un sentimento di ingiustizia e di incomprensione dell’esercizio dell’autorità”.
Poi auspica che le approvazioni del papa “in forma specifica” siano almeno richieste e ottenute “a norma del diritto”.
Insiste però sul fatto che “l’attuale tendenza alla moltiplicazione delle richieste di approvazioni in forma specifica è coerente con il progressivo esautoramento della Segnatura Apostolica”, sempre più impedita a giudicare “per le materie di sua (ormai residua) competenza”.
Certo – obietta Montini –, “si dirà che la funzione di deterrenza verso gli abusi del diritto nell’esercizio della potestà esecutiva rimane ugualmente efficace e valida, anche solo per la mera esistenza della Segnatura Apostolica”.
Ma anche se fosse vero, conclude, ciò “farebbe pensare un po’ – per analogia – alla singolare teoria che l’inferno, sì, esiste, ma sarebbe vuoto”».

[3] Lettera apostolica in forma di Motu proprio del Sommo Pontefice Francesco Mitis Iudex Dominus Iesus sulla riforma del processo canonico per le cause di dichiarazione di nullità del matrimonio nel codice di diritto canonico, 15 agosto 2015 [QUI].

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