Per essere ‘tolleranti’ dobbiamo dire che una fede vale l’altra?

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Giusto ieri mi è capitato di leggere un commento, su un social network, in cui una persona diceva: “Tutte le religioni sono uguali, tutte sono valide, altrimenti una prevale sull’altra e ci sono dei conflitti. Non dobbiamo pretendere che la nostra religione sia vera e quella degli altri sia falsa. Dobbiamo accettare tutte le religioni e i diversi credo”.

Questa premura per l’accettazione dell’altro è non solo comprensibile, ma anche sacrosanta. Molte, anzi troppe, volte l’umanità ha assistito ad atti di prepotenza e sopraffazione ‘in nome della religione’. Quanti omicidi giustificati ‘per liberare il mondo dagli infedeli’!

La tentazione di imporre sull’altro o su un popolo intero un credo, una filosofia politica o un’ideologia è un pericolo certamente reale e non ne è esente la nostra epoca. La pretesa di ‘colonizzare’ le coscienze altrui è un fenomeno per nulla superato: dobbiamo veramente stare attenti tutti (cristiani, ebrei, musulmani, atei…) a non cadere in questo atteggiamento.

Pensare che il problema sia ‘nella religione’, però, è riduttivo. Quanti totalitarismi abbiamo visto lo scorso secolo (e la religione non c’entrava assolutamente nulla)? In realtà, sono l’egoismo, la superbia, la pretesa di dominare sul prossimo le vere cause. E queste si trovano nel cuore dell’uomo. O meglio, sono tentazioni che all’uomo si presentano.

Dire che ‘tutte le religioni sono uguali’ o che ‘una vale l’altra’ non può essere la soluzione ad un problema che di ‘religioso’ ha ben poco. Il problema, infatti, non è tanto cosa ‘penso’ su Dio, cosa ‘vivo’, cosa ‘sento’, ma l’eventuale pretesa che gli altri pensino, vivano e sentano le medesime cose.

Il problema, per fare un esempio, non è se sono convinto che il cristianesimo sia la strada della vera felicità per l’uomo, bensì quando ‘pretendo’ che tutti seguano quella strada e, perché ciò avvenga, sono disposto ad usare la coercizione e la violenza.

Il cristiano, a maggior ragione perché segue un Dio-amore, che accetta la libertà altrui fino al punto di essere crocifisso, è chiamato a dare testimonianza di questo amore che tutto si dona, senza nulla pretendere.

La vera tolleranza, tuttavia, non appiattisce le differenze. Non pretende che le persone non abbiano più convinzioni solide. Questo si chiama relativismo etico o indifferentismo religioso. La tolleranza è molto di più: preserva la nostra libertà di ragionare, di pensare, di aderire a dei principi, in un contesto dove ciascuno può seguire la propria coscienza, senza invadere lo spazio dell’altro.

Possiamo continuare a credere fermamente in qualcosa o in qualcuno, senza per questo denigrare, offendere, uccidere chi non ha il nostro medesimo sentire.

Togliendo alla religione, ad ogni religione, la sua ambizione di spiegare il senso della vita, non si favorisce il confronto e la crescita, bensì si sminuisce il problema della ricerca della verità (che pure è insito nel cuore umano), sia appiattisce la differenza (che invece si voleva salvaguardare) e soprattutto si annienta il motivo stesso per cui la religione esiste: dare un orizzonte, una meta, che dia senso al nostro cammino.

Per paura di vivere la religione in modo fanatico, allora si svuota del suo senso la religione stessa, che di per sé richiede un’adesione profonda nel proprio intimo.

E’ facile capire che l’indifferentismo annacqua la religione, invece di tutelare le diverse religioni, facendo esempi su altri campi: se in politica sono sia di destra sia di sinistra, non avrò un pensiero politico coerente; se sono tifoso di tutte le squadre, nessuna mi scalderà veramente il cuore; se mi sposo con quattro, cinque, dieci uomini in realtà non ne sto sposando nessuno… Dire che una religione vale l’altra significa non prendere seriamente il problema di Dio.

Posso professare che Cristo è ‘Via, Verità, Vita’. Posso non voler vedere Gesù, che per me è il figlio di Dio fatto uomo, al pari di un altro pensatore o fondatore religioso, senza per questo denigrare chi ha un credo diverso, senza dimenticare che l’altro ha la mia stessa dignità e mi è fratello o sorella, per il semplice fatto che condivide la mia condizione umana. Posso amare l’altro indipendentemente da cosa pensa, da cosa vive, da cosa crede.

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