Zuppi: l’Anno di Nicodemo per passare dal buio alla luce

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Attenzione primaria all’evangelizzazione e ri-evangelizzazione degli adulti, sulla scia di un cammino già iniziato e solo rallentato, ma non fermato, anzi in un certo senso favorito dalla pandemia; e inserimento nel cammino sinodale della Chiesa italiana e anche universale, che culminerà nel Sinodo generale dei vescovi del 2023.

Queste sono le due indicazioni principali della Nota pastorale ‘Come può nascere un uomo quando è vecchio? (Gv 3,4). La Chiesa di Bologna nel cammino sinodale della Chiesa italiana. Annunciare il Vangelo in un tempo di rigenerazione’, che il card. Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna, ha presentato alla diocesi.

Il richiamo della Nota fin dal titolo è alla figura evangelica di Nicodemo, l’ ‘adulto vecchio’ che desidera rinascere nello Spirito Santo: “E’ dalla docilità allo Spirito e quindi da un atteggiamento anzitutto di preghiera e di ascolto interiore, personale e comunitario, che maturiamo il motivo per cui metterci in cammino, l’intelligenza per orientarci, per comprendere le sfide cui siamo chiamati, per cogliere le opportunità indicate dai segni dei tempi, per trasmettere la fede e comunicare il Vangelo a tutti”.

Il card. Zuppi precisa che il cammino sinodale ha origine dall’incontro di Firenze nel 2015: “In realtà Papa Francesco ne aveva iniziato a parlare proprio a Firenze, nel suo discorso da alcuni definito ‘l’Evangelii Gaudium per la Chiesa in Italia’ nel novembre 2015. La preoccupazione principale non era affatto organizzativa o programmatica.

Il mondo, aveva detto, ha bisogno dell’umanesimo che può venire ‘solamente a partire dalla centralità di Gesù, scoprendo in Lui i tratti del volto autentico dell’uomo’. All’inizio di ogni tratto di questo cammino abbiamo sempre bisogno di invocare lo Spirito per farci rinnovare e condurre, perché è lo Spirito che ci aiuta a contemplare il volto di Gesù e a comprendere la sua volontà oggi”.

In questo cammino sinodale il posto centrale è occupato dalla domenica: “La nostra relazione, che deve essere comunione umana ma è anzitutto spirituale, si rivela piena intorno a Gesù che cerca con pazienza di entrare e sedersi a tavola con noi e per questo sta alla porta e bussa.

La relazione per noi è fraternità, perché a questo siamo chiamati e la contempliamo particolarmente la domenica, quando siamo invitati, peccatori come siamo, alla mensa della sua Parola e del suo corpo spezzato”.

Per il card. Zuppi è responsabilità della Chiesa: “Qui c’è tutta la responsabilità sinodale della Chiesa, popolo di battezzati, che vive la sua chiamata sacerdotale nutrendosi del Pane della vita eterna e del suo corpo spezzato per noi.

Ecco, nella celebrazione domenicale vediamo la nostra povera umanità trasfigurata dallo Spirito che rivela proprio nella e per la nostra debolezza la sua presenza e la grandezza della nostra chiamata. Per questo non dobbiamo mancare alla celebrazione e dobbiamo curarla come ciò che abbiamo di più caro”.

Il ritrovarsi in comunione dà la forza per affrontare la pandemia: “In questi mesi abbiamo scoperto che siamo tutti fragili, tutti connessi gli uni agli altri. Questa connessione, però, deve diventare di fatto una scelta spirituale e sociale, una fraternità ‘effettiva’ che deve diventare ‘affettiva’, piena di compassione, che aiuta l’io a trovare se stesso nell’incontro con l’altro.

‘Fratelli tutti’ è la vera risposta alla pandemia. Per questo non possiamo mai rassegnarci al dolore degli altri, che la tempesta della pandemia ha rivelato e generato. Il mondo anestetizza la sofferenza, la rimuove, fugge dal senso del limite, dalla vulnerabilità, dalla morte.

Il benessere non sopporta questa fragilità e la vuole cancellare: ci sentiamo traditi, a volte la sentiamo come fosse una vergogna da nascondere, diventa ossessione e isolamento, invece di moltiplicare la vicinanza e la solidarietà. La Parola che ascoltiamo, l’Eucarestia, la preghiera, ci rendono partecipi al dolore degli altri. Ci ha insegnato anche che i nostri comportamenti incidono su tutti, che siamo responsabili della nostra libertà”.

Ed ha delineato una Chiesa di ‘vicinanza’, come disse il papa a Firenze: “Vogliamo andare verso ‘una Chiesa lieta col volto di mamma, che comprende, accompagna, accarezza’…

Queste parole coincisero per me con l’inizio del servizio pastorale nella chiesa di Bologna, avvenuto a distanza di solo un mese. Mi sembra che le assemblee di zona, gli ambiti, il cammino di cambiamento che identifica a mano a mano le sue espressioni formali, l’assemblea cittadina, gli organismi di partecipazione, siano stati, con tutti i limiti, alcuni dei momenti della conversione pastorale e missionaria di questi anni, perché desideriamo una Chiesa vicina a noi e perché sia così deve essere vicina alla gente”.

Per rendere questa Chiesa ‘vicina’ c’è bisogno di ‘artigiani’: “Diventiamo artigiani di comunità per spendere il nostro dono, anzitutto con la presenza, mettendolo a servizio, vincendo le paure e l’egocentrismo.

Artigiani di comunità significa ricordarci che abbiamo una casa, con tante dimore come quella del cielo. In questa casa nessuno vive da ospite, perché è la nostra casa.

Rendiamola bella con la presenza (quando manchi tu, qualcosa manca), la preghiera, la generosità, la fraternità che inizia dal timore, non dimentichiamolo. Quanto ne abbiamo bisogno, noi e quanto ne hanno bisogno tanti che cercano proprio un luogo amichevole, luminoso, semplice, aperto, umano, insomma pieno dello Spirito di Cristo”.

Ed infine in questa Chiesa si inserisce il cammino sinodale: “La consultazione del Popolo di Dio non comporta affatto l’assunzione all’interno della Chiesa dei dinamismi della democrazia imperniati sul principio di maggioranza, perché alla base della partecipazione al processo sinodale vi è la passione condivisa per la comune missione di evangelizzazione e non la rappresentanza di interessi in conflitto. Non dobbiamo avere mai paura della comunione, perché è dono dello Spirito e se al centro c’è Lui ci porterà sempre alla verità tutta intera”.

La Chiesa rinasce se è docile allo Spirito Santo: “Il mondo vede conservatori e progressisti; lo Spirito vede figli di Dio. Lo sguardo mondano vede strutture da rendere più efficienti; lo sguardo spirituale vede fratelli e sorelle mendicanti di misericordia…

Lo Spirito ci porterà alla sorpresa di frutti inaspettati, che superano le nostre decisioni o programmazioni. «Il Paraclito spinge all’unità, alla concordia, all’armonia delle diversità. Ci fa vedere parti dello stesso Corpo, fratelli e sorelle tra noi. Cerchiamo l’insieme! E il nemico vuole che la diversità si trasformi in opposizione e per questo le fa diventare ideologie…

Dobbiamo essere docili allo Spirito. Significa mettere Dio sempre prima del nostro io, non per cancellarlo, ma per trovarlo! A Firenze papa Francesco aveva chiesto a tutti ‘capacità di dialogo e di incontro’, distinguendo che dialogare non è negoziare, ma cercare il bene comune per tutti, altrimenti, sarebbe sempre come restare sulla rotonda, girando intorno a noi stessi, senza andare in tutte le direzioni come ci chiede lo Spirito!”.

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