A Milano mons. Delpini invita ad una visione condivisa

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“Il discorso si intitola ‘Tocca a noi, tutti insieme’: adesso tocca a noi, tocca ancora a noi, sempre. Tocca a noi, non nel senso che abbiamo la presunzione di occupare tutta la scena, di imporci come maestri che devono indottrinare altri, di prenderci momenti di potere o di gloria. Tocca a noi, piuttosto, nel senso di un dovere da compiere, di un servizio da rendere, di un contributo da offrire con discrezione e rispetto, di intraprendere un cammino che nessuno può compiere al nostro posto. Un cammino che siamo chiamati a percorrere insieme”.

Nel tradizionale Discorso alla città di Milano nella basilica di Sant’Ambrogio venerdì 4 dicembre, mons. Mario Delpini ha letto i segni di un tempo pesante che tutti stanno vivendo, invitando a guardare alla speranza.

Mons. Delpini ha sottolineato che Milano sta vivendo anche un’emergenza spirituale: “Mi sembra che oggi sia diffuso un atteggiamento più incline alla rinuncia che alla speranza. Ho l’impressione che, insieme alla prudenza, alla doverosa attenzione a evitare pericoli per sé e per gli altri e danni al bene comune, ci siano anche segni di una sorta di inaridimento degli animi, un lasciarsi travolgere dal diluvio di aggiornamenti, di fatti di cronaca, di rivelazioni scandalose, di strategie del malumore, di logoranti battibecchi”.

Però l’arcivescovo di Milano ha mostrato gratitudine verso coloro  che stanno resistendo e mandando avanti la società: “Vorrei riconoscermi nel popolo delle donne e degli uomini di buona volontà, di quelli che sono rimasti al loro posto, che hanno sentito in questo momento la responsabilità di far fronte comune, di moltiplicare l’impegno.

Trovo pertanto giusto fare l’elogio di quelli che rimangono al loro posto: grazie a loro la città funziona anche sotto la pressione della pandemia. Rimangono dove sono, come una scelta ovvia; affrontano fatiche più logoranti del solito, come una conseguenza naturale della loro responsabilità.

Rimangono al loro posto e fanno andare avanti il mondo: gli ospedali funzionano, i trasporti, i mercati, i comuni, le scuole, le parrocchie, i cimiteri, gli uffici funzionano. Dietro ogni cosa che funziona c’è il popolo, che nessuno può conteggiare, di coloro che rimangono al proprio posto”.

A questi l’arcivescovo ha tributato un giusto riconoscimento: “Non pretendono di fare notizia, non cercano occasioni per esibirsi in pubblico, non si aspettano riconoscimenti: stanno al proprio posto. Sono infastiditi dalle chiacchiere non riescono a capire come ci sia gente che ha tanto tempo per discutere, litigare, ripetere banalità. Rimangono dove sono e perciò la società continua a funzionare. Nei disagi e nelle complicazioni, con attenzione e prudenza, restano lì”.

Per questo l’arcivescovo ha proposto una visione nuova: “Tocca a noi apprezzare come realistico, desiderabile e doveroso vivere insieme, con rapporti di buon vicinato: tocca a noi tutti contribuire, secondo le responsabilità e le possibilità di ciascuno, a costruire quella trama di rapporti che fanno funzionare il mondo e camminare come popolo verso il futuro. Tocca a noi incoraggiare chi mette mano all’impresa e ne fa programma di governo, di organizzazione, di investimento”.

Per questo occorre anche una visione condivisa, richiamando lo sprone del card. Martini: “Quello che può dare fondamento a una società, anche nel mutare dei suoi governi, quello che può dare motivazione a una economia, anche nelle diverse congiunture, quello che può mantenere l’identità di un popolo, anche nella molteplicità delle sue componenti, è la visione condivisa, una interpretazione pregiudiziale della storia, del presente, del futuro.

In un certo senso è quel ‘sognare insieme’ che rende partecipi di un pellegrinaggio convincente. Trovo ispirazione in quello che alcuni anni fa, proprio da questo stesso ambone, ci insegnava il cardinale Martini: per entrare nel nuovo millennio che ora abitiamo non si può non condividere un sogno”.

Ed ecco che alla visione si aggiunge la condivisione: “L’interpretazione della vita e della società come promettenti per la libertà è una visione che diventa speranza se è ‘sogno condiviso’. Il senso di appartenenza alla città, al popolo, è alimentato dalla condivisione di quello che tiene uniti e si rivela capace di ospitare le differenze, le singolarità, i punti di vista e le sensibilità. Il sogno esprime la ricchezza della nostra immaginazione a servizio del desiderio di bene e di amore che non possono mai mancare in una convivenza civile”.

Tutto ciò deve avvenire con uno stile nuovo: “Lo stile saggio che i tempi richiedono è caratterizzato dalla modestia. La visione condivisa non è una ricetta, non è un sistema in cui tutto è al suo posto, non è una carta di intenti come un proclama retorico, non è una prescrizione autoritaria.

La modestia è la consapevolezza del limite. Non tutto è chiaro. Nessuno può presumere d’essere maestro e di considerare gli altri scolari da indottrinare. Questo è tempo di costruzione paziente, non di opere compiute. Non ci sono opere perfette, piuttosto tentativi. Eppure vale la pena. Eppure l’opera ben fatta è già premio”.

Tutto ciò deve avvenire senza scorciatoie: “L’autoritarismo decisionista, la seduzione di personaggi carismatici, le scelte ‘facili’ del populismo non rispettano la dignità delle persone e spesso conducono a disastri. Gli uomini e le donne di buona volontà sono chiamati ai percorsi lunghi della formazione, della riflessione, del dialogo costruttivo, della tessitura di alleanze convincenti”.

Ed i cattolici possono apportare un prezioso contributo: “Mi faccio voce della comunità della Chiesa ambrosiana per dichiarare la disponibilità a partecipare a tutti i livelli ai processi che si ispirano alla visione che diventa sogno condiviso e può dare forma alla comunità plurale. La comunità cattolica ambrosiana è composta da uomini e donne che sentono iscritta nella loro identità la persuasione che ‘tocca a noi!’, perciò è in cammino”.

(Foto: Diocesi di Milano)

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