Rosario Livatino: esempio di santità

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Nei giorni scorsi sono ricorsi i 30 anni dalla morte del magistrato Rosario Livatino, ricordato come ‘il giudice ragazzino’: aveva 37 anni quando venne ucciso mentre andava al tribunale di Agrigento con l’automobile personale e senza scorta. Livatino lavorò come magistrato nel periodo detto della ‘mattanza mafiosa’ siciliana: il suo omicidio fu commesso dalla Stidda, un’organizzazione criminale mafiosa che si era formata nella Sicilia meridionale negli anni 80, in contrapposizione a Cosa Nostra, con il fine di ribellarsi al grande potere di quest’ultima.

E il presidente della Cei, card. Gualtiero Bassetti, lo ha ricordato nella celebrazione eucaristica come una persona dalle idee chiare: “Le idee erano chiare fin dal principio, dunque. Eppure possiamo ritenere che anche per lui, nella decina d’anni di esercizio della professione, la determinazione nel seguire quella che si stava sempre più prospettando come una specifica chiamata si sia fatta sempre più netta.

Forse anche al giudice Livatino la via che l’avrebbe portato ad assumersi fino in fondo (fino al sacrificio estremo) le proprie responsabilità si trovò confermata a poco a poco, mentre svolgeva il suo lavoro, mentre non ricusava gli incarichi più esposti, mentre assisteva alla morte violenta di altri giudici stimati, mentre conosceva ogni giorno di più il tessuto profondo e talvolta malato di territori che a uno sguardo meno attento di quello di un magistrato o di un operatore di polizia possono sembrare tranquilli e laboriosi”.

Riprendendo un discorso di papa Francesco al Centro ‘Livatino’ il card. Bassetti ha sottolineato la sua rettitudine di fede: “Per lui tutto questo era questione di vita o di morte, ma prima ancora di vita vera e di fede limpida. Livatino riuscì a ritrovare una sintesi tra religione e diritto che non appare scontata… Immagino che a Livatino, lettore attento del Nuovo Testamento, fossero note le espressioni di san Paolo che abbiamo ascoltato come prima lettura: ‘Vi esorto, comportatevi in maniera degna della chiamata che avete ricevuto, con ogni umiltà, dolcezza e magnanimità’.

Dove la prima parte della frase rimanda alla coerenza, alla fedeltà, alla dedizione, che nel caso del magistrato al Tribunale di Agrigento fu realizzata fino al sacrificio della vita. La seconda parte dell’affermazione paolina configura invece lo stile con cui vivere la dedizione al servizio che si è assunto, ovvero senza impancarsi a superuomini, senza ostentare una saldezza che non si possiede, senza inutili asprezze; in definitiva con semplicità e umanità”.

Eppoi ne ha descritto le caratteristiche umane: “No: questi tratti di penna, queste semplici confidenze, ce lo rendono ancora più umano, vero, vicino. Perché come dai peccatori possono originarsi (per grazia di Dio) i santi, così i coraggiosi nascono non dai temerari ma dai timorosi e i forti sorgono non dai presuntuosi bensì dai deboli che accolgono la propria debolezza e si lasciano mutare dal confronto con le situazioni, le persone e i valori”.

Ed ha invitato tutti a seguire le ‘orme’ lasciate dal ‘giudice ragazzino’: “Permettetemi di obiettare che abbiamo bisogno di tanti piccoli e grandi eroi del quotidiano, che si sentano chiamati mentre attendono al loro lavoro, che sappiano comportarsi in fedeltà alla missione ricevuta, che donino umilmente la vita giorno per giorno là dove si trovano a vivere e a operare, che abbiano il coraggio della fedeltà nonostante i limiti e le umane debolezze, che onorino il proprio mandato, qualunque esso sia, con estrema dignità”.

Anche il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha ricordato Livatino con un messaggio: “Consapevole del delicato ruolo del giudice in una società in evoluzione e della necessità che la magistratura sia e si mostri indipendente, egli ha svolto la sua attività con sobrietà, rigore morale, fermezza e instancabile impegno, convinto di rappresentare lo Stato nella speciale funzione di applicazione della legge. Ricordare la vile uccisione di Rosario Livatino richiama la necessità di resistere alle intimidazioni della mafia opponendosi a logiche compromissorie e all’indifferenza, che minano le fondamenta dello stato di diritto”.

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