Da Crema e Cremona la Pasqua segna una nuova strada

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Pasqua diversa, ma gioiosa, nelle diocesi di Crema e di Cremona, che hanno avuto molti morti; nonostante tutto riecheggiano le parole di speranza di papa Francesco durante il messaggio ‘Urbe et Orbi’: “Il mio pensiero quest’oggi va soprattutto a quanti sono stati colpiti direttamente dal coronavirus: ai malati, a coloro che sono morti e ai familiari che piangono per la scomparsa dei loro cari, ai quali a volte non sono riusciti a dare neanche l’estremo saluto. Il Signore della vita accolga con sé nel suo regno i defunti e doni conforto e speranza a chi è ancora nella prova, specialmente agli anziani e alle persone sole”.

Pensiero che è stato l’augurio che mons. Antonio Napolioni,  vescovo di Cremona, da poco dimesso dall’ospedale per coronavirus. ha voluto esprimere alla diocesi: “Davvero il saluto del Signore risorto, la sera di Pasqua nel Cenacolo ai discepoli impauriti, giunga anche nelle vostre case che ospitano, in maniera costretta, la nostra attesa di salute, di salvezza, di libertà, la pace di Cristo, la pienezza della carità, l’amore di Dio che diventa attenzione reciproca, come i fratelli sanno usarsi”.

‘Non sembra Pasqua!’, ha esordito nell’omelia, riferendosi alla particolare situazione che si sta vivendo a motivo del Coronavirus; ma la Pasqua è: “Certo desideriamo tornare a lavorare e a muoverci, e dovremo riuscire a farlo in una maniera nuova!

Come dovremmo non stare a piangere una primavera sprecata: dovremmo creare, con l’aiuto di Dio e con tutte le nostre capacità migliori, una lunga primavera di risveglio della coscienza, della dignità, della fiducia, della laboriosità, nella solidarietà, facendo tesoro di ciò che questa esperienza così dolorosa ci ha insegnato. E dunque realizzando quella novità che è il vero frutto della Pasqua”.

Infatti la Pasqua invita ad un nuovo ‘ritmo di rigenerazione’, riferendosi all’antica ‘Sequenza di Pasqua’: “Questo duello continua tutti i giorni, tanto è vero che tutti noi siamo un po’ morti e un po’ risorti. Ci stavo pensando per me e per tutti quelli che hanno avuto un impatto più diretto con la malattia: siamo stati tutti un po’ lì vicini al rischio di morire, nella fragilità, con il bisogno di tutto; ma siamo anche un po’ risorti, e non solo quando possiamo dire ‘ce l’ho fatta!’, ma perché tanti ci hanno aiutato a farcela”.

Da qui un invito chiaro: “Scorgere in questi giorni le ferite, ma anche le luci che si sono accese: la riscoperta dei vicini di casa, la riscoperta della possibilità di contare su qualcuno quando si è soli, la riscoperta di una maggiore unità cittadina, regionale, nazionale, mondiale, al di là delle litigiosità che fanno rumore sui media. Sta a noi far crescere tutto il positivo e, da lì, fare professione di fede, nella rigenerazione possibile di un tessuto umano, sociale e spirituale che ha ricevuto uno strappo per essere rinnovato all’altezza dei tempi, all’altezza delle sfide che abbiamo davanti”.

Ecco dunque il compito per il tempo Pasquale: “Vivere nella coscienza di essere un po’ più morti al peccato, all’egoismo, alla paura, alla solitudine; ed essere già un po’ più risorti in Cristo, cercando di vedere le cose come le vede Lui e di farle secondo la Sua volontà, mettendoci davvero a servizio del Suo progetto del regno di Dio.

Le cose di lassù quaggiù oggi più che mai ci sono necessarie. La Pasqua che stiamo celebrando ce le riconsegna come vocazione e missione, ciascuno di noi secondo il ruolo che ha nella comunità e tutti insieme in quella fraternità umile e potente che Gesù in queste circostanze sta ricostruendo tra noi”.

Mentre nella veglia pasquale mons. Napolioni ha incentrato l’omelia sull’annuncio dell’Angelo alle donne: “Forse questa è la condizione prevalente nel nostro spirito: siamo ancora alla ricerca del Crocifisso, smarriti di fronte alla potenza del male. E che la ricorrenza della Pasqua arrivi comunque, forse a qualcuno dà fastidio, perché abbiamo ancora da stare lì di fronte a tanti crocifissi: morti, crocifissi, soli, disperati…

‘Ma Gesù venne loro incontro’. Mentre noi ci ripieghiamo sui noi stessi, lui vivente non ci guarda da lontano, ma è risorto per comunicarci la vita, la potenza della risurrezione, la gioia della Pasqua”.

Anche dalla vicina diocesi di Crema mons. Daniele Gianotti nell’omelia ha sottolineato la mancanza di qualcosa: “Ciò che inaspettatamente ci manca è fonte di turbamento, di destabilizzazione: credo che sia stata anche la prima percezione che abbiamo avuto quando, nelle settimane scorse, a causa dell’emergenza sanitaria, sono venute a mancare molte cose abituali della nostra vita…

Anche per noi cristiani sono venute meno cose importantissime, a cominciare dal nostro ritrovarci alla domenica con il Signore Gesù presente nella Parola e nell’Eucaristia; sono venute a mancare le cose che ruotano intorno alla parrocchia, l’oratorio, il catechismo, la visita dei preti alle famiglie e agli ammalati… Sono venute meno le celebrazioni pasquali, la gioia fisicamente condivisa di questa festa tra le feste, che è la Pasqua del Signore”.

Il vescovo ha detto che questa mancanza destabilizza e si cerca un altro possibile adattamento; ma la Pasqua apre alla novità: “Ma questa perdita apre la porta a qualcosa di nuovo, che è appunto la risurrezione e la vita. E allora, forse, varrebbe la pena di riconsiderare anche le nostre perdite, anche tutto ciò che ci manca, e chiederci: che cosa Dio ci vuole donare, attraverso queste perdite? Anche nella perdita dolorosa (e temporanea) delle nostre Eucaristie, quale dono Dio vuole farci?..

Forse, quest’anno, la sfida che viene dalla nostra celebrazione così strana della Pasqua non consiste tanto nel fare la conta delle cose che ci mancano, ma nel provare a scorgere la promessa di Dio, e ciò che il suo amore fedele ci vuole donare. Magari non lo scopriremo subito… Ma anche a noi il Risorto non tarderà a manifestarsi, a farci sentire la sua presenza, ad aprire i nostri occhi per scoprire tutto ciò che l’amore fedele di Dio ha in serbo per noi, anche se per ora non riusciamo a vederlo”.

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