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A Roma l’apertura del sepolcro del primo Beato del Giubileo
In vista della prossima Beatificazione di don Giovanni Merlini, giovedì 12 dicembre nella Chiesa di Santa Maria in Trivio a Roma, si è assistito all’apertura del sepolcro e all’accoglienza dell’urna con i resti mortali di don Giovanni Merlini. L’evento è stato celebrato alla presenza del Vicario Giudiziale del Tribunale Diocesano di Roma con la sua equipe giuridica, della postulatrice, suor Nicla Spezzati, e dei membri della Postulazione, del procuratore generale della Congregazione dei Missionari del Preziosissimo Sangue, di una rappresentanza della Curia Generale e Regionale delle suore Adoratrici del Sangue di Cristo, del Rettore della Chiesa, dei Missionari, del Seminario, di alcuni fedeli appartenenti alla Unione Sanguis Christi e del popolo di Dio.
Don Giovanni Francilia, vice provinciale della Congregazione dei Missionari del Preziosissimo Sangue e Presidente della Commissione per la Beatificazione, ha affermato: “Abbiamo partecipato all’apertura del sepolcro del venerabile don Giovanni Merlini e alla traslazione dell’urna con i suoi resti mortali dal luogo dove è stato tumulato nel 1946, dopo essere stato prima sepolto nella cappella del Preziosissimo Sangue al cimitero monumentale del Verano in Roma.
La celebrazione dell’ora media è stata presieduta da don Benedetto Labate, Direttore della Provincia Italiana dei Missionari del Preziosissimo Sangue. Concluso il momento di preghiera, il tribunale diocesano ecclesiastico con il medico hanno proceduto, privatamente, alla ricognizione del contenuto della cassa con i resti mortali del venerabile don Giovanni Merlini. Abbiamo vissuto questo evento come un momento di grande fede, di intenso affetto e profonda commozione per questo nostro grande uomo Santo che il Signore chiama con la beatificazione alla gloria degli altari”.
Durante l’apertura del sepolcro il Segretario provinciale, don Emanuele Ruggeri, ha dato lettura della cronologia del venerabile don Giovanni Merlini, che sarà beatificato il 12 gennaio 2025 alle ore 11:00 presso l’Arcibasilica Papale San Giovanni in Laterano a Roma. A presiedere il rito sarà il card. Marcello Semeraro, prefetto del Dicastero delle Cause dei Santi.
La Resurrezione spirituale dell’umanità è l’unica risposta, non più rimandabile all’ideologia della morte
Se Gesù non fosse risorto davvero…
Se siamo cristiani dobbiamo porci seriamente una domanda: io credo che Gesù sia risorto dai morti? Di conseguenza… credo che sia più forte del male, delle tenebre e del Maligno stesso, che lo ha messo su quella croce? Credo che la vittoria finale sarà di Cristo, non di Satana, nonostante il mondo – in questo momento – sia ancora agonizzante?
L’esarca p. Nin invita a vivere Natale
“…Tu che sei saggio, vieni a vedere il neonato avvolto nei panni, rifletti come tutta la creazione è sottomessa ai suoi ordini, meravigliati di vederlo in una mangiatoia… lui che col suo Padre regge cielo e terra. Guarda Colui che siede sul carro nei cieli, e la Vergine lo porta nel suo grembo, Lui davanti a cui si prostrano le schiere di Gabriele, e quelli della casa di Giuseppe lo portano nelle loro braccia…. Il cielo è troppo stretto se lui vi si poggia, ma il grembo di Maria è assai vasto per contenerlo… Che i figli di Adamo facciano salire con tutto il cuore il ringraziamento; che il cielo e la terra ed il mare innalzino la lode al giorno della tua nascita che ha loro ringiovanito”.
Mons. Pizzaballa: Gesù invita a fare esperienza
La meditazione del patriarca di Gerusalemme, mons. Giambattista Pizzaballa, è tratta dal sito del Patriarcato latino di Gerusalemme.
“Nel brano di Vangelo di oggi troviamo i discepoli chiusi nel cenacolo. L’evangelista Giovanni sottolinea chiaramente, per ben due volte (Gv 20,19.26), che le porte del luogo dove i discepoli si trovano sono chiuse. Al versetto 19 aveva anche chiarito il motivo di questa chiusura: la paura.
I discepoli, dunque, hanno paura, e sappiamo che la paura fa chiudere, blocca. Ma la paura non è l’unico motivo. Ce n’è un altro: i discepoli, in realtà, si sono chiusi nel cenacolo perché non aspettano nessuno. Dopo la morte di Gesù, tutto per loro era finito e non c’era più niente da attendere. In qualche modo, erano chiusi in un sepolcro, proprio come, qualche giorno prima, lo era stato Gesù.
Proprio lì, invece, Gesù viene, Gesù entra. Abbiamo detto, la Domenica delle Palme, che lo stile di Dio è quello di visitare, di entrare nella vita, di portare vita nuova. Ecco, il Risorto continua a visitare, proprio come aveva fatto infinite volte prima della sua passione e morte. E visita anche quando l’uomo non si aspetta più nulla, quando pensa che non può più accadere niente di nuovo. Lì il Signore viene.
Visita i suoi, chiusi nel sepolcro delle loro paure e ristabilisce una relazione, riapre un rapporto che si era interrotto. Lo fa, in modo particolare, con l’apostolo Tommaso. Potremmo dire che l’amore del Signore per i suoi discepoli conosce modi e attenzioni diverse, a secondo del bisogno di ciascuno.
E siccome Tommaso era assente alla sua prima venuta, e siccome non riesce a credere, Gesù si rivolge a Lui. Di questo incontro sottolineiamo due aspetti. Il primo è che avviene attraverso il corpo: mani, piedi, costato, piaghe…
Proprio come prima della sua passione Gesù era solito incontrare le persone nella concretezza del proprio corpo – toccando e facendosi toccare, accarezzando, abbracciando…- così a Tommaso incredulo Gesù offre il proprio corpo da toccare, da vedere, da amare. Come attraverso il proprio corpo guariva le ferite della malattia, così guarisce le ferite di Tommaso, la sua incredulità.
Il secondo aspetto riguarda il fatto che Gesù inviti Tommaso ad andare al di là dell’elemento fisico. Dopo che Gesù ha mostrato le sue ferite e chiesto di toccarle, non ci viene detto quale gesto Tommaso compia realmente (Gv 20,27); pochi versetti prima, nell’incontro con Maria di Magdala, Gesù aveva chiesto di non trattenere, di non fermarsi a toccare (Gv 20,17).
In tutti e due i casi si tratta di un ‘toccare’ nuovo, di fare esperienza dell’incontro con Gesù in un modo diverso rispetto a quanto erano abituati prima della Pasqua. Gesù chiede di partire da una fede rinnovata, capace di non fermarsi al Suo corpo crocifisso, di imparare a toccare il Corpo ecclesiale e spirituale del Signore.
Potremmo dire che questa chiamata ad un rapporto di fede ha lo scopo di far uscire gli apostoli dal loro sepolcro, dal loro guscio, dalle loro paure, dalla loro disperazione.
Saranno così capaci a loro volta di visitare, di raggiungere gli uomini là dove sono, nelle loro situazioni, e fare quello che Gesù ha fatto con loro, ovvero aprire gli occhi ad una nuova esperienza, far entrare un po’ di luce.
La prima comunità cristiana è nata da quell’esperienza di incontro con il Risorto, che ha donato loro lo Spirito e li ha inviati fuori dal cenacolo. E in questo modo quella piccola Chiesa è stata capace di toccare, a sua volta, le piaghe dei poveri e dei crocifissi di quel tempo e di tutti i tempi, di guarire, così, tanti corpi ammalati di solitudine, di isolamento, di paura.
Questo Vangelo, quest’anno, è quanto mai attuale. Perché da una parte siamo segnati dalla pesante esperienza di non poterci toccare, stringere la mano, abbracciare. Dall’altra, siamo forse chiamati a ‘toccare’ in modo nuovo, più profondo, a partire dalla comune esperienza del Signore che ci visita dentro le nostre situazioni di vita, tocca le nostre ferite, ci apre ad una coscienza di noi stessi come parte di un unico Corpo”.