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Papa Francesco all’Università Gregoriana: non cocalizzare la cultura
Questa mattina papa Francesco ha incontrato docenti e studenti dell’Università Gregoriana di Roma, la più antica tra le università pontificie romane, in quanto le sue origini risalgono all’iniziativa diretta di sant’Ignazio di Loyola, fondatore della Compagnia di Gesù, che nell’anno 1551 pose le basi del Collegio Romano, conosciuto anche come ‘Universitas omnium Nationum, a servizio della Chiesa universale. Nel 1873 papa Pio IX dispose che l’ateneo assumesse la nuova denominazione di Pontificia Università Gregoriana. Nel 1930 fu inaugurata la nuova e attuale sede in Piazza della Pilotta.
Un lungo applauso ha accolto il papa nell’atrio dell’Università, dove, sotto la statua di Cristo benedicente è allestita una scrivania dalla quale Francesco ha pronunciato la lectio magistralis scandita da moniti e raccomandazioni, aneddoti e neologismi, citazioni dell’Iliade, di Shakespeare e Dostoevskij, di san Basilio e san Francesco Saverio, san John Henry Newman e san Tommaso Moro, ma anche padre Arrupe e padre Kolvenbach.
Nel saluto inziale p. Arturo Sosa, vice gran cancelliere della Gregoriana e preposito generale della Compagnia di Gesù, ha sottolineato come “la ricerca scientifica nei diversi campi della scienza, della filosofia e della teologia porta alla comprensione più profonda della creazione e contribuisce ad aprire nuovi cammini alla fede che si impegna nella trasformazione della società umana per renderla più giusta, più solidale, e più rispettosa della creazione”.
Mentre il rettore p. Mark Lewis ha evidenziato che la missione della Gregoriana, ‘università di tanti Papi’, rimane sempre quella di “fornire una solida formazione intellettuale ai futuri ministri della Chiesa, con particolare attenzione a dignità umana, dimensione sociale della fede, cura della casa comune, ‘apertura’ a scienza e cultura, dialogo ecumenico e relazioni con le altre religioni, tutto in un ambiente internazionale e interculturale che riflette la nostra Chiesa di oggi”.
Nella lectio magistralis il papa ha sottolineato poi di aver voluto la nuova configurazione dell’Università “confidando che non si trattasse di una semplice ristrutturazione amministrativa, ma una riqualificazione della missione che i Vescovi di Roma nel tempo hanno continuato ad affidare alla Compagnia di Gesù…
Quando si cammina preoccupati solo di non inciampare si finisce per andare a sbattere. Ma vi siete posti la domanda su dove state andando e perché fate le cose che state realizzando? E’ necessario sapere dove si sta andando, non perdendo di vista l’orizzonte che unisce la strada di ciascuno sul fine attuale e ultimo”.
Ugualmente ha rimarcato la necessità di non fare una banalizzazione della cultura: “In un’università la visione e la consapevolezza del fine impediscono la coca-colizzazione della ricerca e dell’insegnamento che porterebbe alla coca-colizzazione spirituale. Sono tanti, purtroppo, i discepoli della coca-cola spirituale!”
Ed è ecco la necessità della missione: “E’ il Signore che la ispira e la sostiene… Non si tratta di prendere il suo posto con le nostre pretese che rendono burocratico, prepotente, rigido e senza calore il progetto di Dio, spesso sovrapponendo agende e ambizioni ai piani della Provvidenza”.
Per il papa l’istruzione non è un privilegio sottolineando le parole di un’iscrizione su una porta: “Scuola di grammatica, di umanità e dottrina cristiana, gratis”, si leggeva. Era un tempo in cui “l’istruzione era un privilegio, condizione che non si è ancora estinta, e che rende attuali le parole di don Lorenzo Milani sulla scuola ospedale che cura i sani e respinge i malati. Ma perdendo i poveri, si perderebbe la scuola”. Quella iscrizione è oggi “un invito a umanizzare i saperi della fede, e ad accendere e rianimare la scintilla della grazia nell’umano, curando la transdisciplinarità nella ricerca e nell’insegnamento”.
Perciò ha insistito ad “attualizzare quel gratis nelle relazioni, nei metodi e negli obiettivi, perché è la gratuità che rende tutti i servitori senza padroni. Gli uni servi degli altri, tutti riconoscenti la dignità di ciascuno, nessuno escluso… E’ la gratuità che ci apre alle sorprese di Dio, che è misericordia, liberando la libertà dalle bramosie. La gratuità rende virtuosi i sapienti e i maestri ed educa senza manipolare e legare a sé: serve un’università che abbia l’odore di carne del popolo e che non calpesti le differenze nell’illusione di una unità che solo è omogeneità, che non tema la contaminazione virtuosa e la fantasia che rianima quanto è morente”.
Però all’educazione si deve affiancare il discernimento: “Quanta tristezza quando si vede che si confida soprattutto nei mezzi umani e si affida ogni cosa oggi al management di turno!”. Da qui un invito ad un “discernimento costante… cercando quanto unisce e mai operando per quello che ci separa dall’amore di Cristo e dall’unità del sentire con la Chiesa. Che non dobbiamo limitare alle sole parole della dottrina, afferrandoci alle norme. Il modo in cui usiamo la dottrina non poche volte la riduce ad essere senza tempo, prigioniera dentro un museo, mentre essa va, è viva”.
Ed infine ha sottolineato l’importanza della preghiera, fondamentale per ogni missione, citando la preghiera di san Tommaso Moro: “Signore, dammi una buona digestione e qualcosa per digerire… Da più di 40 anni io la prego tutti i giorni, e mi fa bene!”
(Foto: Santa Sede)
Il papa in Belgio per l’Università Cattolica: in dialogo con Isabelle Decoster
Dopo il viaggio apostolico in Asia ed in Oceania, dal 26 settembre al 29 settembre papa Francesco si recherà in Lussemburgo ed in Belgio, accogliendo l’invito dei rispettivi Capi di Stato e delle autorità ecclesiastiche; un viaggio apostolico scandito da molti incontri. La prima tappa sarà in Lussemburgo, dove il papa incontrerà il Granduca del Lussemburgo e le autorità civili. Prima di partire per il Belgio incontrerà la comunità religiosa.
In Belgio incontrerà il re, le autorità civili, i giovani ed i sacerdoti, ma soprattutto i docenti universitari della ‘Katholieke Universiteit Leuven’, l’università cattolica di Lovanio, una delle più antiche d’Europa, che nel 2025 celebra il 600^ anniversario di fondazione. Il motto della prima tappa in Lussemburgo del viaggio apostolico papale è ‘Pour servir’, che si riferisce a Cristo, che è venuto ‘non per essere servito ma per servire’; mentre il motto di quello in Belgio si intitola ‘En route, avec Espérance’, che, come spiega la nota della Conferenza episcopale belga “risuona come una chiamata a camminare insieme, sulla strada che è la storia del Paese, ma è anche il Vangelo, la via di Gesù Cristo, nostra Speranza”.
Nei mesi scorsi l’arcivescovo di Bruxelles, mons. Luc Terlinden, ex allievo dell’Università Cattolica di Lovanio, aveva espresso gratitudine al papa per questa visita apostolica: “La Chiesa cattolica del Belgio è molto grata a papa Francesco per questa visita eccezionale… In effetti, il papa conobbe diversi belgi nei suoi anni giovanili in Argentina. Penso che sia stato soprattutto il suo cuore a parlare. Ma soprattutto, non dimentichiamo che questa visita rientra nella celebrazione del 600° anniversario delle nostre due università di Lovanio. Si tratta quindi di un’occasione molto speciale, poiché il papa viene ad incontrare anche il mondo intellettuale e scientifico del nostro Paese e, per estensione, la società belga e le sue diverse componenti”.
Quindi l’occasione della visita del papa è il 600° anniversario della KU Leuven e dell’UC Louvain che si celebrerà nel 2025. In origine l’Università Cattolica di Lovanio era un’università belga fondata nel 1834 a Mechelen dai vescovi del Belgio con il nome di Università Cattolica di Mechelen, che l’anno successivo fu trasferita a Lovanio, prendendo il nome di Università Cattolica di Lovanio (1835), città in cui già esistevano la Vecchia Università (1425-1797) e l’Università statale di Lovanio (1817-1835). Nel 1968 l’ateneo è stato diviso in due diverse istituzioni, dando vita alla Katholieke Universiteit Leuven, di lingua olandese (situata a Lovanio) ed all’Université catholique de Louvain, di lingua francese (situata a Louvain-la-Neuve e Bruxelles).
Oggi, l’università propone formazioni universitarie in oltre sei città: a Louvain-la-Neuve e a Wolluwe-Saint-Lambert, le due principali, ma anche a Mons, Tournai, Charleroi e Saint-Gilles. Con 40 000 studenti ed è la prima università francofona del Paese, classificata tra le migliori università al mondo e vanta tra i suoi ex-alunni Christian de Duve e Albert Claude, entrambi premi Nobel di medicina nel 1974.
Alla responsabile dell’Ufficio stampa dell’Università, Isabelle Decoster, abbiamo chiesto di raccontarci la missione di un’università cattolica: “ Ogni secolo di storia, ogni decennio, beneficia dell’impatto sociale delle università. L’Università di Lovanio (UCLouvain) ha, come prima ragione d’essere dell’Università, quello di sostenere i giovani, che presto avranno la responsabilità del futuro; cura e salute; sicurezza alimentare; giustizia sociale e solidarietà; lo sviluppo delle conoscenze e lo sviluppo di nuove tecniche e terapie; infine, i mille mattoni della transizione da costruire per preservare e riparare il sistema ‘Terra’ e la convivenza dell’umanità.
Oggi l’UCLouvain conta 40.000 studenti, 8.000 dei quali provengono da contesti internazionali. Università globale, l’UCLouvain organizza le sue attività didattiche in 20 facoltà. L’Università può contare anche su 3.600 ricercatori e 2.500 dottorandi per ampliare le frontiere della conoscenza nelle discipline delle scienze umane e sociali, delle scienze sanitarie e delle scienze e tecnologie. Oltre agli istituti, l’UCLouvain ha creato 10 consorzi multidisciplinari, i ‘Louvain4’, che riuniscono ricercatori di tutti i settori dell’Università attorno a temi di interesse sociale (acqua, migrazione, istruzione, energia….)”.
Quindi è anche un contributo al ‘progresso’ della società?
“Centro di eccellenza scientifica, l’UCLouvain contribuisce allo sviluppo della società attraverso le sue radici regionali, i suoi due ospedali universitari, l’impatto della sua ricerca e insegnamento, la creazione di spin-off e lo sviluppo di parchi scientifici e incubatori. L’università è la forza trainante del parco scientifico più grande d’Europa, contribuendo a rendere la regione meridionale di Bruxelles una delle aree più innovative d’Europa, un motore economico per la regione”.
600 anni dell’Università Cattolica: qual è il peso della cultura cattolica?
“600 anni fa, una bolla di papa Martino V fondava l’Università di Lovanio. La visione di questa nuova università del 1425 era quella di essere responsabili delle proprie radici locali e della propria vocazione universale. 600 anni dopo, nel 2025, l’obiettivo rimane lo stesso, perché l’UCLouvain conferma il suo desiderio di essere un’università aperta. Fin dai primi corsi, suddivisi in cinque facoltà (lettere, diritto civile, diritto canonico, medicina e, dal 1432, teologia), l’Università di Lovanio fu una delle rare università medievali complete.
Orgogliosa del suo passato, l’UCLouvain è ancorata al presente e rivolta al futuro. Il desiderio dell’UCLouvain è quello di amplificare il proprio ruolo di attore sociale impegnato, con l’obiettivo di ascoltare i bisogni ed in costante dialogo con la società, al fine di fornire risposte concrete, frutto della ricerca e del dibattito accademico e scientifico. Il futuro coinvolge anche le nuove generazioni di studenti che fanno sentire la propria voce e spingono le università ad essere maggiormente coinvolte. L’Istituzione sta aumentando il numero di luoghi di scambio al fine di ampliare le loro voci e rendere l’UCLouvain un’università del dialogo”.
Questo viaggio può essere considerato anche attenzione particolare del papa verso l’Europa: in quale modo l’Università contribuisce alla costruzione dell’Europa?
“Consapevole della ricchezza dell’incontro tra culture, sin dalla sua creazione ha riunito professori e studenti provenienti da tutta Europa, con diplomi riconosciuti ovunque. 600 anni dopo, l’UCLouvain continua le sue missioni in Europa, in particolare attraverso il suo coinvolgimento nell’alleanza europea ‘Circle U (Alleanza Universitaria Europea)’. Quest’alleanza di 9 prestigiose università europee mira a creare opportunità di mobilità per i suoi studenti, scienziati e personale in tutta Europa”.
(Tratto da Aci Stampa)
Don Maurizio Girolamo è il nuovo preside della Facoltà teologica del Triveneto
Don Maurizio Girolami è il nuovo Preside della Facoltà teologica del Triveneto. Il Dicastero per la Cultura e l’Educazione lo ha nominato per il quadriennio 2024-2028. Il primo settembre don Girolami succede a don Andrea Toniolo, giunto al termine del suo mandato. A don Andrea Toniolo la Facoltà esprime un grazie sincero per il servizio svolto con grande dedizione e competenza in questi anni. A don Maurizio Girolami esprime vivissime congratulazioni e porge l’augurio di un proficuo lavoro a favore della comunità accademica.
Don Maurizio Girolami, 52 anni, presbitero della Diocesi di Concordia-Pordenone, ha conseguito la licenza in Scienze bibliche al Pontificio Istituto Biblico di Roma; il diploma di magistero in Scienze per la formazione all’Istituto di Psicologia della Pontificia Università Gregoriana di Roma; il diploma di archivista presso la Scuola vaticana di Paleografia, Diplomatica e Archivistica; il dottorato in Teologia e Scienze patristiche all’Istituto Patristico Augustinianum di Roma.
Dal 2013 insegna Patristica al ciclo istituzionale della Facoltà teologica del Triveneto, dove dal 2021 è titolare di cattedra come docente stabile straordinario nella sede di Padova e dal 2024 è docente congiunto con lo Studio teologico “Card. Celso Costantini” di Concordia-Pordenone. Insegna inoltre all’Istituto di Studi ecumenici di Venezia; è docente invitato di Ermeneutica e Teologia del Nuovo Testamento allo Studium Biblicum Franciscanum di Gerusalemme.
È vicepreside (dal 2023) e direttore della Biblioteca (dal 2021) della Facoltà teologica del Triveneto.
Dal 2023 è vicepresidente dell’Associazione Biblica Italiana. E’ membro dei comitati scientifici di Rivista Biblica ed Ephemerides Liturgicae; del comitato di redazione di Augustinianum. Numerose le pubblicazioni di articoli e contributi in riviste e miscellanee. Fra le pubblicazioni: Il giorno degli inizi. Un percorso biblico e storico per riscoprire la domenica, San Paolo 2022; Le prime vie per seguire Gesù. Introduzione alla Patrologia (I-III secolo), Emp-Fttr 2021. Ha curato ‘Il cristianesimo in Anatolia tra Marco Aurelio e Diocleziano. Tradizione asiatica e tradizione alessandrina a confronto. Atti del XVI Convegno Internazionale di Studi’, promosso dalla Facoltà Teologica del Triveneto e dal Gruppo Italiano di Ricerca su Origene e la Tradizione Alessandrina (Portogruaro, 27 – 28 aprile 2018). Studi in onore di mons. Luigi Padovese (1947-2010), Morcelliana 2019; L’Oriente in Occidente. L’opera di Rufino di Concordia. Atti del convegno internazionale promosso dalla Facoltà teologica del Triveneto e dal Gruppo italiano di ricerca su Origene e la tradizione alessandrina (Portogruaro, 6-7 dicembre 2013), con Omaggio a Maria Ignazia Danieli per il suo 75 genetliaco, Morcelliana 2014.
Un’intervista al nuovo preside è pubblicata nel sito della Facoltà teologica www.fttr.it, di cui si riporta una parte. Partiamo dalla comunione, dunque: “Nata dalla volontà dei quindici vescovi del Friuli Venezia Giulia, Veneto e Trentino Alto Adige, ritengo che oggi la Facoltà sia non solo una realtà accademica che offre il suo specifico contributo alla ricerca universitaria, ma anche un laboratorio di vita ecclesiale, capace non solo di incidere nella vita delle nostre chiese, ma anche di diventare promotrice di rinnovamento sociale. L’impegno formativo di docenti e studenti è opera di comunione, perché lo studio della teologia è un gettare ponti nel tempo e nello spazio per conoscere meglio i cammini di fede di donne e uomini che prima di noi, accanto o lontano da noi, hanno imparato a seguire Cristo”.
Lo studio della teologia è anche uno spazio di partecipazione?
“È partecipazione innanzitutto come voglia di esserci e di stare nella storia e nella vita delle persone in questo nostro tempo; in modo particolare, lo studio della teologia è uno spazio perché i giovani, che si affacciano alla vita con i loro desideri, mettano a frutto il dono dell’intelligenza ricevuta per dare un senso pieno alla storia personale in un contesto di legami ecclesiali che valorizzano il dono di ciascuno. Studiare teologia non significa solo accostare la Bibbia e i documenti della fede cattolica, ma volgersi alla vita delle persone nella loro concretezza”.
Ed in ambito ecclesiale?
“La Facoltà vuole partecipare in modo sempre più intenso alla vita delle nostre chiese locali, perché è per esse che esiste: i progetti di ricerca che in questi anni si sono avviati, e quelli che verranno aperti nel prossimo futuro, vogliono essere un luogo di riflessione sulla vita delle comunità cristiane, perché si possa pensare la fede con ogni intelligenza possibile, in un continuo dialogo con il tesoro della tradizione e in una inesausta ricerca di sapienza nei molti ambiti in cui si spiega la storia umana.
Lo studio della teologia non è un tempo dedicato a una qualche teoria da applicare alla prassi, ma – ben radicati alla fonte della rivelazione e guidati da acuto spirito critico – un imparare modelli e criteri per capire, per discernere e per agire, affinché ogni generazione possa vivere la gioia del vangelo dando il proprio specifico apporto a creare un mondo più giusto e fraterno”.
Alessandra Vitez presenta le mostre del Meeting: l’arte è sempre alla ricerca dell’essenziale
Ormai aperto il Meeting dell’Amicizia fra i Popoli, giunto alla 45^ edizione, in programma fino a domenica 25 agosto con il titolo ‘Se non siamo alla ricerca dell’essenziale, allora cosa cerchiamo?’, caratterizzata da tavole rotonde, mostre, spettacoli, iniziative culturali, sportive e per ragazzi e trasmessa in diretta su più canali digitali e in più lingue, presentato dal presidente della Fondazione del Meeting, Bernhard Scholz:
“Essenziale è ciò che genera una vita piena, libera e responsabile e una vita sociale feconda e solidale… Contro i veleni dell’odio e del disprezzo, dei complottismi e delle estreme polarizzazioni, gli antidoti essenziali sono l’incontro, il dialogo e il confronto. A maggior ragione vogliamo realizzare di nuovo un Meeting che mette a tema le grandi sfide di questo momento storico in un clima di rispetto reciproco, attraverso uno scambio e una condivisione di esperienze e di conoscenze”.
Durante la presentazione degli avvenimenti il presidente della Fondazione ha sottolineato l’importanza culturale delle mostre nella ‘struttura’ del meeting: “Le mostre di questo Meeting sono un invito a riscoprire ciò che è essenziale, a prendere maggiore consapevolezza di ciò che rende la nostra vita più vera e più creativa, ciò che sostiene la nostra esistenza, soprattutto in questo momento di crescente conflittualità e di tante sfide decisive per il nostro futuro”.
I temi delle mostre saranno la storia dei giubilei in vista del Giubileo del 2025, l’opera del fotografo statunitense Curran Hatleberg, con 65 scatti originali, l’opera del pittore americano vissuto in Italia William Congdon (con un importante inedito) e l’opera letteraria dello scrittore svedese Pär Lagerkvist (premio Nobel 1951 per la Letteratura). Altre mostre presenteranno l’attualità di Alcide De Gasperi, la storia dei coniugi austriaci Franz e Franziska Jägerstätter (Franz, martire del nazismo, proclamato beato nel 2007 da papa Benedetto, oggetto anche del film ‘The Hidden Life’ di Terrence Malick) e la tregua di Natale sul fronte occidentale nel Natale del 1914 (raccontata nel 2005 dal film ‘Joyeux Noël’ di Christian Carion).
Un’altra mostra presenterà iniziative sociali nella società civile russa di oggi; di tema sociale anche altre due mostre, una sulla rinascita dei borghi italiani ed una sulla Fondazione Progetto Arca di Milano. Un’esposizione sarà dedicata alla vita del Servo di Dio Enzo Piccinini, medico modenese molto caro al pubblico del Meeting.
La mostra scientifica, a cura dell’Associazione Euresis, avrà a tema le speciali condizioni emerse nell’evoluzione dell’Universo che rendono possibile la vita sul nostro pianeta. La Terra Santa infine sarà al centro di un’esposizione sulle due basiliche della Trasfigurazione sul monte Tabor e del Getsemani, mentre la mostra sulla ‘Fuga in Egitto’ presenterà i luoghi dove è passata la Sacra Famiglia e che sono oggetto di una devozione che unisce cristiani e musulmani.
Per approfondire i temi di alcune mostre abbiamo intervistato la dott.ssa Alessandra Vitez, responsabile dell’ufficio Mostre del meeting, chiedendo il motivo per cui il Meeting pone tale domanda: “E’ una domanda provocatoria di cui abbiamo bisogno perchè ci costringe a non rifugiarci nella rassegnazione e indifferenza, nelle considerazioni ideologiche che ci rendono la vita priva di gusto.
Il Meeting pone questa domanda perchè desideriamo fare esperienza di una vita vissuta nello scoprire e riscoprire quella essenzialità che ci permette di affrontare la realtà così come si presenta. Non significa ridurre tutto ad una sintesi minima ma vivere una vita piena, feconda, e ricca della diversità di chi si incontra come un bene prezioso al proprio cammino umano”.
Per quale motivo per Congdon l’essenziale è visibile agli occhi?
“Rovesciare la famosa frase tratta del Piccolo Principe di Antoine de Saint–Exupéry (‘l’essenziale è invisibile agli occhi’) non è un gioco, è l’essenza della pittura di William Congdon, esponente dell’action painting di New York, uno dei più grandi artisti del ‘900. Dopo un lungo viaggiare e dipingere si stabilisce in Italia, prima a Venezia, poi ad Assisi ed infine a Gudo Gambaredo nella Bassa milanese, dove muore nel 1998. Per lui dipingere è una ‘avventura dello sguardo’ che arriva a cogliere l’essenza di ciò che si vede. Guai a dargli di pittore astratto; infatti egli dice di sé: Sono sempre partito da un oggetto concreto che colpisce il mio occhio… io dipingo quel che vedo e non come vedo”.
Invece, cosa offre ai visitatori la mostra sui Giubilei?
E’ una possibilità straordinaria di salvezza che arriva fino a toccare il cuore dell’esistere quotidiano nel mondo, è una grazia fuori dal comune, introdotta dal realismo umano della fede cristiana nella storia degli ultimi sette secoli: una grazia da mendicare, di cui rendersi degni con i gesti, i passi concreti, aderendo a dei segni visibili capaci di diventare un ponte di collegamento tra la terra e il cielo. Ci attende di nuovo al varco nel prossimo 2025”.
Ed allora in quale modo l’arte si confronta con i Giubilei?
“Le opere pittoriche svolgono la funzione di accompagnare il pellegrino che si avvicina al Giubileo perché le immagini veicolano gli sguardi, illuminano traiettorie, muovono domande. L’artista capta le vibrazioni che animano la sua epoca, si fa profetico interprete del mondo che lo circonda, senza mai smettere di ‘cercare’. Il ‘desiderio’, talvolta, diventa inquietudine e rovello. E possiamo cogliere un segno che rende evidente la meravigliosa capacità dell’uomo di trasformare l’esperienza in cultura, cultura che risponde alla grande domanda su che cosa voglia dire diventare vivi per davvero”.
Infine, per quale motivo il Meeting ha scelto le fotografie di Curran Hatleberg?
“Il mondo della fotografia ci interessa particolarmente e siamo sempre alla ricerca di una prospettiva originale da cui guardare attraverso l’obiettivo. E’ stato il nostro amico Luca Fiore, critico d’arte e giornalista, ad introdurci alla conoscenza di Hatleberg, che sarà con noi per tutta la settimana del Meeting.
Hatleberg ha frequentato la Florida per un paio d’anni, tornando a visitare le stesse famiglie incontrate casualmente per trascorrere del tempo con loro. Questo rapporto di prossimità gli ha permesso di entrare nel mondo di queste persone, di accedere ai loro momenti di intimità e di vulnerabilità.
Di loro non conosceva nulla, ma era curioso di entrare nella vita quotidiana; è incredibile come capiti che in situazioni davvero dure, dal punto di vista sociale e personale, dentro l’inquadratura appare qualcosa che apre ad una possibilità. La fotografia può diventare un’ottima scusa per far incontrare persone che appartengono a mondi diversi e dar loro l’opportunità di condividere qualcosa”.
(Tratto da Aci Stampa)
Bernard Scholz: il Meeting va alla ricerca dell’essenziale
Domani, alla Fiera di Rimini si apre il Meeting dell’Amicizia fra i Popoli, giunto alla 45° edizione, in programma fino al 25 agosto con il titolo ‘Se non siamo alla ricerca dell’essenziale, allora cosa cerchiamo?’, caratterizzata da tavole rotonde, mostre, spettacoli, iniziative culturali, sportive e per ragazzi e trasmessa in diretta su più canali digitali e in più lingue, presentato nel mese di luglio dal presidente della Fondazione del Meeting, Bernhard Scholz:, Bernhard Scholz:
“Essenziale è ciò che genera una vita piena, libera e responsabile e una vita sociale feconda e solidale… Contro i veleni dell’odio e del disprezzo, dei complottismi e delle estreme polarizzazioni, gli antidoti essenziali sono l’incontro, il dialogo e il confronto. A maggior ragione vogliamo realizzare di nuovo un Meeting che mette a tema le grandi sfide di questo momento storico in un clima di rispetto reciproco, attraverso uno scambio e una condivisione di esperienze e di conoscenze… Al Meeting renderemo presenti germogli di riconciliazione che nascono in mezzo alle guerre, incontri che sono diventati cantieri di pace”.
Perché il Meeting pone questa domanda?
“Il titolo che abbiamo preso da un romanzo di Cormac McCarthy è una sfida importante per il momento in cui viviamo con cambiamenti che non abbiamo mai visto nella storia. Dobbiamo chiederci cosa vogliamo tramandare alle generazioni future. Cosa vuol dire educare oggi? Cosa vuol dire dare la certezza ai ragazzi per affrontare un futuro pieno di incognite? Queste sono le domande che affronteremo in questa settimana riminese, perché la bellezza dà la possibilità di rigenerarci e guardare ciò che veramente è importante nella vita.
Quindi l’educazione è il tema più importante di tutte le altre tematiche, perché dobbiamo aiutare le giovani generazioni ad affrontare da protagonisti la vita, che è molto complessa; però sono certo che i giovani saranno capaci di creare un mondo migliore. Perciò la ricerca dell’essenziale non è qualcosa che riduce la vita ad un minimo indispensabile, ma al contrario fa vedere ogni singola cosa nel suo orizzonte di senso; fa conoscere i momenti della vita nella loro apertura verso un destino irriducibile;esalta la bellezza anche quando si nasconde sotto le macerie dell’indifferenza, valorizza il bene anche quando sembra annientato dal male”.
Ma, dopo 44 anni, per quale motivo il Meeting si pone alla ricerca dell’essenziale?
“E’ lo stesso motivo di sempre: la passione dell’inizio! In un intervento al Meeting del 1985 don Luigi Giussani dice che il cristianesimo non è nato come religione ma come ‘passione per l’uomo’. Chi ha fondato il Meeting è stato coinvolto proprio da questa sua passione ed ha voluto renderla presente attraverso i convegni, le mostre e gli spettacoli che se si sono susseguiti in tutti questi anni. E’ una passione per chi cerca, per chi soffre, per chi vive in condizioni avverse, ma anche una passione per l’uomo che si illude della propria autosufficienza, del suo potere”.
Per mons. Luigi Giussani in cosa consiste la ricerca dell’essenziale nella quotidianità?
“Di fronte ad una riduzione del cristianesimo ad una concezione astratta della vita o ad una pura etica don Giussani ha riproposto il cristianesimo come avvenimento: il Mistero di Dio ci viene incontro, ci raggiunge attraverso la realtà, prima di tutto attraverso la realtà sacramentale della Chiesa e le comunità che la vivono nella loro unità e la realtà delle circostanze che ci indicano in un dialogo continuo la strada che siamo chiamati a percorrere, la vocazione che ci siamo invitati a seguire.
In questo senso don Giussani ha parlato di Presenza, del Mistero di Dio che si rende presente nella realtà per incontrarci e lasciarsi incontrare. Questo incontro diventa poi fonte di una nuova scoperta affascinante della bellezza e della verità, diventa fonte di una nuova moralità, che nasce da una affezione vera e profonda e non da un moralismo che enfatizza le norme mettendo in ombra il più grande e incommensurabile dono di Dio: la sua misericordia. Questa riproposizione esistenziale dell’incarnazione come caratteristica fondamentale del cristianesimo ha coinvolto tante generazioni di giovani e meno giovani e penso che proprio in questo consista la sua attualità.
Vivere la propria vocazione in un’amicizia basata sulla fede dentro e attraverso le circostanze della vita vuol dire testimoniare il cristianesimo in tutti gli ambienti della vita stessa: famiglia, quartiere, lavoro, tempo libero, impegni nella società civile, politica. Ed è in questo modo che la fede si comunica, si manifesta come carità e crea una nuova cultura”.
Per i tempi che stiamo vivendo, in quale modo vedere la realtà?
“Don Giussani definisce il senso religioso come ‘complesso di esigenze e di evidenze con cui l’uomo è proiettato dentro il confronto con tutto ciò che esiste’. Mi sembra molto importante la sua osservazione che questa ‘scintilla che mette in azione il motore umano’ non si limita ad un ambito specifico, che potremmo chiamare anche spirituale, ma permea e penetra tutti gli aspetti della vita: ‘Qualunque affermazione della persona, dalla più banale e quotidiana alla più ponderata e carica di conseguenze, può avvenire solo in base a questo nucleo di evidenze ed esigenze originali’.
Questo vuol dire che tutto ciò che l’uomo desidera e realizza è originato da questo senso religioso, che può essere offuscato, tradito, relativizzato ma mai del tutto cancellato. Ed è una caratteristica essenziale dell’uomo che accumuna tutti gli uomini in quanto uomini”.
In quale modo il Meeting può narrare i ‘germogli di riconciliazione’?
“Lo sguardo sul mondo è prima di tutto caratterizzato dal fatto che il mondo è dato. Io non sono il frutto casuale di un processo fisico-biologico ma sono voluto da sempre e per sempre. Ed il mondo mi è dato per vivere questa chiamata, questa vocazione personale insieme agli altri fratelli uomini.
Le testimonianze ed i dialoghi del Meeting vogliono aprire quest’orizzonte di una vita che scopre la bellezza anche nei luoghi più oscuri, che cerca la verità anche se è offuscata, che vuole costruire un mondo più giusto anche in mezzo a mille ostacoli. E’ uno sguardo di positività basata su esperienze che la documentano come possibile, non su un ottimismo effimero e inconsistente. Questo sguardo sul mondo si vede poi negli sguardi delle migliaia di volontari che sono il vero cuore del Meeting.
Il loro sorriso, la loro disponibilità, la loro attenzione, la loro accoglienza dicono più di tante parole che il mondo può presentarci tante difficoltà e problemi ma che in questo mondo pulsa un cuore che ci attende. Quest’anno sentiremo in particolare testimonianze dalla Terra Santa, dall’Ucraina e dalla Russia, ma anche di tante altre nazioni sofferenti del mondo che mostrano l’irriducibilità di un’esperienza capace di perdonare, di costruire relazioni nuove, un’esperienza che rende la propria vita più bella anche nel dolore”.
(Tratto da Aci Stampa)
Libertà di credere o di non credere
Credere in Dio significa fidarsi completamente di Lui, riconoscere la Sua esistenza e vivere e agire secondo i Suoi insegnamenti e comandamenti. La fede che non si trasforma in vita vissuta è una fede morta (Giacomo 1, 26). “Se uno dice: ‘Io amo Dio’ e odia suo fratello, è un bugiardo” (1Gv 4,19 – 5,4)
La fede, secondo il credo cristiano, è una chiamata alla libertà responsabile, poiché Dio può ritenerci responsabili solo in base alle nostre libere scelte. Chi è costretto a fare qualcosa non può essere punito per ciò che ha fatto inconsciamente o senza libertà. San Paolo afferma: “Fratelli, voi siete stati chiamati alla libertà” (Galati 5:13), e anche “Cristo ci ha liberati affinché godiamo di questa libertà e permaniamo in essa e non siamo più legati dal giogo della schiavitù” (Galati 5:1).
La fede di solito attraversa le tre fasi della crescita umana. La fase dell’infanzia spirituale, in cui si crede ciecamente a tutto senza discussioni, domande o dubbi. La fase dell’adolescenza spirituale, dove si rifiuta e ci si lamenta di tutto, facendo il contrario di tutto ciò che viene chiesto e si rifiuta ogni autorità superiore. La terza fase della maturità spirituale, quando si ama Dio, non per paura dell’inferno o per volere il paradiso, ma per un amare gratuito, per la convinzione che Dio è ciò che dà senso alla vita e che la luce della fede è l’unica in grado di illuminare le tenebre della vita, dare senso alle assurdità della malattia, della vita, della morte, del male e dell’esistenza.
La vera fede si traduce in una vita vissuta e in un modo di rapportarsi con sé stessi, con Dio, con gli altri, con la natura e con le altre creature. La fede non nega le difficoltà e non risolve i problemi della vita, ma ce li fa vedere e vivere in modo diverso e con la certezza che non siamo soli e che siamo frutto dell’amore di Dio. Siamo usciti dal Suo cuore e siamo immersi e viviamo e ci muoviamo nel Suo amore.
Una delle condizioni necessarie per un autentico atto di fede è che sia libero, volontario e incondizionato. Qualsiasi tipo di costrizione, coercizione o imposizione è incompatibile con la natura della fede. Cito qui un’espressione di sant’Agostino che dice: “Dio che ci ha creato senza di noi non vuole salvarci senza di noi”. E prosegue: “Questo suo modo di venire a salvarci è la via sulla quale pure invita noi a seguirlo, per continuare insieme a Lui a tessere l’umanità nuova, libera, riconciliata”.
Dio, che ci ha creato perché ci ama, non può costringerci a contraccambiare il Suo amore o a obbedirgli o a sottometterci alla Sua santa volontà. L’amante non può costringere la persona che ama ad amarlo, altrimenti dichiarerebbe, con lo stesso atto, la falsità del suo amore.
Ciò ovviamente significa anche la libertà di rifiutare la fede e persino di negare l’esistenza di Dio. La fede si basa sul riconoscimento dell’esistenza di Dio, la cui esistenza non può essere né dimostrata né negata con prove materiali, e quindi l’uomo è libero di accettare liberamente l’esistenza di Dio o di rifiutarla, dubitare, obiettare o rimanere nella ricerca.
La vita ci insegna che i genitori possono avere diversi figli e dare a tutti le cure, le attenzioni, le possibilità e l’amore necessario. Tuttavia, uno di loro può diventare uno scienziato, l’altro un criminale, un terzo vivere una vita normale e questo nonostante il fatto che tutti i tre provengono dallo stesso padre e dalla stessa madre, hanno vissuto nelle stesse circostanze e nello stesso ambiente. La stessa cosa possiamo applicarla, nonostante i limiti dell’esempio, agli esseri umani che non possono essere tutti d’accordo su tutte le cose tangibili e, quindi come possono essere d’accordo su questioni immateriali e invisibili?
I non credenti, infatti, rendono alla fede e ai credenti un servizio meraviglioso perché li spingono a pensare, a contemplare, ad approfondire, a discutere e a studiare, raggiungendo così una fede matura, convinta, fiduciosa e ferma. Se non fosse stato per i terremoti, gli esseri umani non avrebbero imparato a costruire edifici antisismici e, se non vi fossero le domande e i dubbi, il credente non raggiungerebbe mai la vera fede. Dio ci ha creato come creature pensanti e autocoscienti che crescono e imparano attraverso l’esperienza, il fallimento, il successo, il dubbio e le domande.
Attaccare chi non crede con il pretesto di preservare la fede è in realtà una prova di debolezza e un atto che contraddice la stessa fede in Dio, che ci ha creato diversi e ci ha dato la ragione e la comprensione affinché possiamo raggiungerLo, amarLo e adorarLo con convinzione e fiducia.
Di fronte alle obiezioni dei non credenti occorre dare risposte, dialogare e ricercare con la convinzione che onestamente nessuno può provare o negare l’esistenza di Dio con prove materiali, così come non possiamo provare o negare l’esistenza dell’amore, dell’amicizia, della gratitudine, dell’odio o della gelosia come concetti astratti. Crediamo tutti nella loro esistenza perché ne vediamo l’eco e l’influenza nelle nostre vite e li abbiamo sperimentati nonostante la nostra incapacità di toccarli o dimostrarli fisicamente.
La fede in un Dio Creatore amorevole è un atto di libertà che include la possibilità di negare la Sua esistenza. Un vero credente è come un vero amico o un vero innamorato che deve dimostrare il suo amore e la sua amicizia attraverso atti e azioni concreti che facciano dubitare della loro posizione chiunque dubiti dell’esistenza dell’amore e dell’amicizia. Il vero acredente è colui che cerca la verità, non colui che la nega o si burla di chi ci crede o la difende.
La linea di demarcazione è la sincerità nella ricerca e il non insultare gli altri o cadere nell’abisso degli insulti, della violenza, della diffamazione, del disprezzo o dello sminuimento. La violenza verbale e fisica è una prova di debolezza dell’argomentazione, perché quanto più alta è la voce di chi ha un’idea, tanto più ciò indica la debolezza della sua idea o della sua incapacità di spiegarla.
Un non credente che alla ricerca della verità è migliore agli occhi di Dio di un credente ipocrita, violento o incoerente.
Il credente è un testimone che attraverso la sua vita e le sue azioni divulga la sua fede ed è migliore agli occhi di Dio un non credente sincero che un credente falso: “Magari tu fossi freddo o caldo! Ma poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca” (Ap 3, 14-20).
La cosa più inquietante è vedere credenti e chierici che cercano di difendere Dio con una violenza che riflette la loro ignoranza e sfregia il volto di Dio. Dio non ha bisogno di essere difeso da nessuno, ma è Lui che ci difende. Egli non ha bisogno che qualcuno uccida nel Suo nome perché Egli rigetta i violenti. Papa Francesco afferma: “Dio non vuole essere amato come si ama un condottiero”. Dio rifiuta chi usa la fede per terrorizzare e impaurire le persone invece di usarla per diffondere pace e bontà tra loro. Quindi non parlarmi di Dio, ma fammi piuttosto vedere Dio nella tua vita: “Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, affinché vedano le vostre buone opere e glorifichino il Padre vostro che è nei cieli” (Mt 5, 16).
Si può tranquillamente negare Dio, l’importante è farlo con libertà e non fondare la negazione su posizioni o azioni errate di chi si presenta come credente, o su letture superficiali di alcuni non credenti oppure per seguire la moda. Si può anche credere in Dio però, trasformando questa fede in una vita autentica e coerente e testimoniando questa fede prima con la vita e laddove fosse necessario anche con le parole.
Paolo Curtaz si racconta attraverso la Parola di Dio
‘La parola mi racconta. Storia di un’anima in cammino’; nella forma del dialogo con Natale Benazzi, Paolo Curtaz, teologo e ‘cercatore di Dio’, racconta la sua storia personale, dalla prospettiva di una costante, sempre presente: la dedizione alla Parola di Dio come filo rosso che ha accompagnato il tempo della sua vocazione sacerdotale, la crisi della stessa, con l’abbandono dell’attività ministeriale, e la seguente opera di evangelizzazione attraverso le proposte di lectio divina, gli incontri personali e i media. La Parola di Dio è sempre rimasta nel percorso di Curtaz l’elemento di continuità, cui negli ultimi anni si è aggiunto anche il tema della sofferenza, offrendo una visione ulteriore in questo suo vero e proprio cammino vocazionale alla ricerca dell’essenziale.
Cosa racconta la Parola di Dio?
“La Parola di Dio racconta d’amore tra Dio ed il popolo di Israele e verso tutta l’umanità. Questo racconto passa attraverso il racconto di migliaia di persone, che sono state scelte per fare arrivare ad ogni uomo ed ad ogni donna la parola che Dio ha su di noi”.
Per quale motivo la Parola di Dio è sempre stata una costante nella sua vita?
“Fin dai primi passi della mia conversione, quando ero poco più che adolescente e credevo di essere ateo (ma non lo ero affatto), ho trovato persone (sacerdoti in particolare) che mi hanno aiutato a fare la ‘lectio divina’, cioè ad accostarmi alla Parola di Dio come qualcosa di vivo, che mi riguardava. Meditando la Parola di Dio e facendo una lettura orante in comunione con la Chiesa, ho veramente scoperto il volto di Dio, Padre di Gesù: questa Parola ispirata dallo Spirito Santo e pregata nello Spirito Santo mi ha aiutato tantissimo nel mio percorso di vita”.
In quale modo la fede è capace di parlare a chi è in ricerca?
“La fede è fiducia; è un affidarsi nei confronti di Dio, che si è manifestato come Qualcuno di affidabile e merita la nostra fiducia. Leggendo le testimonianze di chi ha vissuto questa fede possiamo far emergere in noi la scintilla dello Spirito Santo e metterci alla ricerca del senso della vita, in quanto Dio è ‘accessibile’, ma ‘nascosto’; è un Dio che non si impone, ma si fa trovare”.
Come è possibile raccontare la Parola di Dio nella sofferenza?
“La Bibbia ha un approccio particolarissimo nei confronti della sofferenza. Possiamo trovare le intuizioni e le riflessioni che si facevano in altre culture, cioè la sofferenza come punizione divina; oppure sofferenza come ‘messa alla prova’. Giobbe si rifiuta di ragionare a livello teologico e disprezza i ragionamenti in punta di fioretto chi vuole difendere Dio. Alla fine questa sua esperienza drammatica di sofferenza ed anche di ribellione, addirittura di bestemmia, lo porterà a conoscere Dio faccia a faccia. Quando c’è, Dio da accusato diventa accusatore e mette Giobbe davanti al grande mistero dell’universo, in cui la sofferenza del singolo ha una ragione di cui noi non riusciamo a comprendere”.
Come si diventa ‘cercatori’ di Dio?
“Si diventa cercatori di Dio quando resti affascinato da una testimonianza, da una comunità, da un libro, da un ritiro spirituale o da un pellegrinaggio e senti dentro questo desiderio di cercare. Viviamo in un contesto, tutto sommato, cattolico. Però altro è vivere la fede ‘popolare’; altro è diventare discepolo. Credo che sia una grande sfida in questo momento in Italia fare questo salto, cioè tornare a capire che il percorso cristiano è un percorso di conoscenza di Dio ed è una ricerca che passa attraverso la meditazione della Parola di Dio ed attraverso l’esperienza della comunità l’accoglienza dei sacramenti che Dio ci ha lasciato per raggiugerLo e dura per tutta la vita. Siamo per sempre ricercatori di Dio, perché la nostra ricerca è ‘già e non ancora’”.
Per quale motivo è un evangelizzatore ‘free lance’?
“E’ una definizione che ho usato molti anni fa nel mio percorso di vita un po’ particolare. Ho desiderato mettere a disposizione quello che io sono e la mia esperienza di fede a chi nella Chiesa vuol fare questo percorso. Sono free lance, perché non sono legato in particolare ad una Chiesa locale, ad un movimento o congregazione, ma sono un battezzato all’interno della Chiesa. Oggi, poi, dopo il Sinodo ancora in corso, piace definirmi missionario digitale”.
(Foto: Edizioni San Paolo)
Alla prof.ssa Boni il premio ‘Vox Canonica’
La prof.ssa Geraldina Boni, Ordinario di Diritto Canonico, di Diritto Ecclesiastico e di Storia del Diritto Canonico dell’Università di Bologna, è stata insignita del premio ‘Vox Canonica’ 2024, assegnato dalla rivista online specializzata nelle scienze canonistiche. La consegna avverrà giovedì 4 aprile alle ore 15.00 all’Università degli Studi di Macerata.
La prof.ssa Geraldina Boni, presidente della Commissione per le intese con le confessioni religiose e per la libertà religiosa, ha al suo attivo più di 200 pubblicazioni, tra monografie, articoli scientifici, saggi e contributi vari. L’ultima a distanza di tempo è il manuale di storia del diritto dal titolo: Il diritto nella storia della Chiesa, edito da Morcelliana.
“Sono molto onorata e davvero commossa per l’assegnazione del premio Vox Canonica 2024, un premio ancora giovane ma già assai autorevole e prestigioso”, ha commentato la prof.ssa Boni che durante la cerimonia di consegna terrà una lectio magistralis sulle prospettive di riforma delle fonti del diritto ecclesiastico.
Oltre alla premiata interverranno il prof. Paolo Picozza già professore di diritto ecclesiastico dell’Università degli Studi di Macerata, il professor Stefano Pollastrelli, Direttore del Dipartimento di Giurisprudenza della stessa Università, la professoressa Elena Cedrola, Direttore del Dipartimento di Economia e Diritto, il professor Giuseppe Rivetti, Presidente del Corso di Laurea in Scienze Sociali Unimc, e Rosario Vitale, Canonista e fondatore di Vox Canonica.
Appena proclamato il premio la prof.ssa Boni è stata intervistata da Maria Cives per il sito della rivista online: “Ovviamente ne sono stata davvero felice. Si tratta di un premio istituito pochi anni or sono ma già molto conosciuto e prestigioso: per questo reputo un onore esserne stata insignita. Lo considero un riconoscimento per la passione con la quale mi dedico al diritto canonico, prediligendolo nelle ricerche e nella produzione scientifica”.
Quindi ha raccontato il suo ‘amore’ per il diritto canonico: “Mi sono laureata in diritto ecclesiastico avendo come relatore il prof. Giuseppe Dalla Torre, negli anni in cui insegnava a Bologna. In verità, la mia vocazione era quella di diventare giudice. Tuttavia, devo ammettere che gli aspetti canonistici inevitabilmente implicati nello sviluppo dei temi affrontati nella tesi attrassero fortemente il mio interesse.
Appena laureata, poi, il prof. Dalla Torre mi coinvolse subito nelle attività della cattedra, quali soprattutto l’organizzazione di seminari di approfondimento per gli studenti: scoprii così un universo giuridico la cui ricchezza e straordinarietà non avevo ancora compreso appieno. Insomma, abbandonata l’aspirazione alla magistratura, mi sono impegnata totalmente nello studio del diritto canonico: e il mio impegno è stato premiato da una carriera universitaria, nella sede bolognese, rapida e soddisfacente”.
Ed infine un consiglio per chi ha desiderio di studiare questa materia: “Sinceramente gli direi che verrà a contatto con un diritto estremamente affascinante, analogo sotto vari punti di vista a quelli secolari coi quali ha intrattenuto nei secoli strettissimi rapporti, ma contrassegnato da una specificità indelebile, un’unicità incancellabile. Tale studio sarà per lui non solo avvincente e ricco di spunti di riflessione, ma lo aprirà, proprio attraverso la comparazione con i diritti secolari, ad una comprensione più piena e matura di questi.
Lo renderà un vero interprete del diritto: pertanto, anche nelle Università statali, lo studio del diritto canonico non ricopre una mera valenza culturale, ma completa in maniera incisiva la preparazione del giurista…. Insomma, sono numerose le ragioni che devono incoraggiare all’approccio e alla coltivazione del diritto della Chiesa: il quale, sono decisamente persuasa, può soprattutto agevolare il giurista nell’acquisizione di un’accentuata sensibilità verso la ricerca di soluzioni razionali e autenticamente giuste”.
(Foto: Corriere Cesenate)
Papa Francesco: la cura è carità
Oggi papa Francesco, ancora non in piena salute, ha ricevuto in udienza la comunità dell’Ospedale Pediatrico ‘Bambino Gesù’ in occasione del 100° anniversario della donazione dell’Ospedale alla Santa Sede da parte della famiglia Salviati, e nel discorso, letto ancora da mons. Filippo Ciampanelli, ha sottolineato il valore di questo ospedale per i bambini:
“Il dono fu accolto da Pio XI, che vide nell’opera l’espressione della carità del Papa e della Chiesa verso i piccoli infermi, e da allora è conosciuto come ‘Ospedale del Papa’. Fermiamoci allora un momento a riflettere, con riconoscenza, sulla ricchezza di questa istituzione, sviluppatasi in un secolo di storia, sottolineandone tre aspetti: il dono, la cura e la comunità”.
Innanzitutto l’ospedale è sorto come ‘dono’ per la cura di bambini i cui genitori non avevano risorse per curarli: “Oggi il ‘Bambino Gesù’ è un centro di ricerca e di cura pediatrica tra i più grandi in Europa, punto di riferimento per famiglie che vengono da tutto il mondo. Resta però fondamentale, nella sua storia e nella sua vocazione, l’elemento del dono, con i valori di gratuità, generosità, disponibilità e umiltà”.
E ne ha raccontato la storia: “E’ bello ricordare, in proposito, il gesto dei figli della duchessa Arabella Salviati che, all’inizio della vostra storia, regalarono alla mamma il loro salvadanaio per realizzare un ospedale per i bambini: esso ci dice che questa grande opera si fonda anche su doni umili, come quello di questi ragazzi a beneficio dei loro coetanei malati.
E nella stessa ottica fa bene, ai nostri giorni, menzionare la generosità dei molti benefattori grazie a cui si è potuto realizzare, a Passoscuro, un Centro di Cure Palliative per giovanissimi pazienti affetti da malattie inguaribili”.
Però il dono ha bisogno di impegno, che si compie nella cura: “La scienza, e di conseguenza la capacità di cura, si può dire il primo dei compiti che caratterizza oggi l’Ospedale Bambino Gesù. Essa è la risposta concreta che date alle accorate richieste di aiuto di famiglie che domandano per i loro figli assistenza e, ove possibile, guarigione. L’eccellenza nella ricerca biomedica è dunque importante”.
E’ stato un incoraggiamento ad avanzare nella ricerca: “Vi incoraggio a coltivarla con lo slancio di offrire il meglio di voi stessi e con un’attenzione speciale nei confronti dei più fragili, come i pazienti affetti da malattie gravi, rare o ultra-rare. Non solo, ma perché la scienza e la competenza non restino privilegio di pochi, vi esorto a continuare a mettere i frutti della vostra ricerca a disposizione di tutti, specialmente là dove ce n’è più bisogno, come fate ad esempio contribuendo alla formazione di medici e infermieri africani, asiatici e mediorientali”.
Inoltre la cura dei bambini ha necessità di accoglienza per i genitori: “A proposito di cura, sappiamo che la malattia di un bambino coinvolge tutti i suoi familiari. Per questo, è una grande consolazione sapere che sono tante le famiglie seguite dai vostri servizi, accolte in strutture legate all’ospedale e accompagnate dalla vostra gentilezza e vicinanza.
Questo è un elemento qualificante, che non va mai trascurato, anche se so che a volte lavorate in condizioni difficili. Piuttosto sacrifichiamo qualcos’altro, ma non la gentilezza e la tenerezza. Non c’è cura senza relazione, prossimità e tenerezza, a tutti i livelli”.
Per questo è necessaria la comunità: “Una delle più belle espressioni che descrivono la missione del ‘Bambino Gesù’ è ‘Vite che aiutano la vita’. E’ bella, perché parla di una missione portata avanti insieme, con un agire comune in cui trova posto il dono di ciascuno. Questa è la vostra vera forza e il presupposto per affrontare anche le sfide più difficili. Il vostro infatti non è un lavoro come tanti altri: è una missione, che ognuno esercita in modo diverso.
Per alcuni essa comporta la dedizione di una vita intera; per altri l’offerta del proprio tempo nel volontariato; per altri ancora il dono del proprio sangue, del proprio latte (per i neonati ricoverati le cui mamme non possono provvederlo), fino al dono di organi, cellule e tessuti, offerti da persone viventi o prelevati dal corpo di persone decedute”.
Ugualmente ai membri ai membri della fondazione ‘Mons. Camillo Faresin’ di Maragnole di Breganza nel vicentino ricevuti in occasione del ventesimo anniversario di fondazione, ha chiesto di non dimenticare gli ‘ultimi’: “Ricordiamo, in proposito, che il nome del Vescovo Camillo è annoverato, a Gerusalemme, tra quelli del ‘Giardino dei Giusti’, proprio perché, prima ancora di poter partire per il Brasile, bloccato a Roma a causa della seconda guerra mondiale, non si è lasciato fermare dalle circostanze, prodigandosi con carità e coraggio nell’assistere gli ebrei perseguitati.
Così è stato per tutta la sua vita, come sacerdote e poi come vescovo, con un impulso irresistibile a farsi vicino ai più sfortunati. Fino a quando, terminato il suo mandato episcopale, ha chiesto e ottenuto di poter rimanere fra la sua gente, nel Mato Grosso, fino alla sua morte, come umile servo degli umili, continuando così nel nascondimento, come amico e compagno di cammino, lo stesso ministero che per tanti anni aveva svolto come guida e pastore”.
E’ un invito a non abbandonare il suo esempio: “Quello che ci ha lasciato è un esempio grande da imitare: stare con gli ultimi, sempre! Ma in che modo? Scegliendo e privilegiando, nei vostri progetti, le realtà più povere e disprezzate come luoghi speciali in cui rimanere, e come ‘terre promessa’ verso cui mettervi in marcia e in cui ‘piantare le vostre tende’ per iniziare nuove opere.
E farlo con una presenza concreta e vicina alle comunità che servite, dal di dentro, in loco, lavorando tra i poveri e condividendone il più possibile la vita. Solo così, infatti, si sente ‘il polso’ dei bisogni reali dei fratelli e delle sorelle che il Signore mette sulla nostra strada; e soprattutto ci si arricchisce della luce, della forza e della saggezza che vengono dallo stare con Gesù, presente in modo unico nelle membra più sofferenti del suo Corpo”.
(Foto: Santa Sede)