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Paolo Curtaz si racconta attraverso la Parola di Dio

‘La parola mi racconta. Storia di un’anima in cammino’; nella forma del dialogo con Natale Benazzi, Paolo Curtaz, teologo e ‘cercatore di Dio’, racconta la sua storia personale, dalla prospettiva di una costante, sempre presente: la dedizione alla Parola di Dio come filo rosso che ha accompagnato il tempo della sua vocazione sacerdotale, la crisi della stessa, con l’abbandono dell’attività ministeriale, e la seguente opera di evangelizzazione attraverso le proposte di lectio divina, gli incontri personali e i media. La Parola di Dio è sempre rimasta nel percorso di Curtaz l’elemento di continuità, cui negli ultimi anni si è aggiunto anche il tema della sofferenza, offrendo una visione ulteriore in questo suo vero e proprio cammino vocazionale alla ricerca dell’essenziale.

Cosa racconta la Parola di Dio?
“La Parola di Dio racconta d’amore tra Dio ed il popolo di Israele e verso tutta l’umanità. Questo racconto passa attraverso il racconto di migliaia di persone, che sono state scelte per fare arrivare ad ogni uomo ed ad ogni donna la parola che Dio ha su di noi”.

Per quale motivo la Parola di Dio è sempre stata una costante nella sua vita?
“Fin dai primi passi della mia conversione, quando ero poco più che adolescente e credevo di essere ateo (ma non lo ero affatto), ho trovato persone (sacerdoti in particolare) che mi hanno aiutato a fare la ‘lectio divina’, cioè ad accostarmi alla Parola di Dio come qualcosa di vivo, che mi riguardava. Meditando la Parola di Dio e facendo una lettura orante in comunione con la Chiesa, ho veramente scoperto il volto di Dio, Padre di Gesù: questa Parola ispirata dallo Spirito Santo e pregata nello Spirito Santo mi ha aiutato tantissimo nel mio percorso di vita”.

In quale modo la fede è capace di parlare a chi è in ricerca?
“La fede è fiducia; è un affidarsi nei confronti di Dio, che si è manifestato come Qualcuno di affidabile e merita la nostra fiducia. Leggendo le testimonianze di chi ha vissuto questa fede possiamo far emergere in noi la scintilla dello Spirito Santo e metterci alla ricerca del senso della vita, in quanto Dio è ‘accessibile’, ma ‘nascosto’; è un Dio che non si impone, ma si fa trovare”.

Come è possibile raccontare la Parola di Dio nella sofferenza?
“La Bibbia ha un approccio particolarissimo nei confronti della sofferenza. Possiamo trovare le intuizioni e le riflessioni che si facevano in altre culture, cioè la sofferenza come punizione divina; oppure sofferenza come ‘messa alla prova’. Giobbe si rifiuta di ragionare a livello teologico e disprezza i ragionamenti in punta di fioretto chi vuole difendere Dio. Alla fine questa sua esperienza drammatica di sofferenza ed anche di ribellione, addirittura di bestemmia, lo porterà a conoscere Dio faccia a faccia. Quando c’è, Dio da accusato diventa accusatore e mette Giobbe davanti al grande mistero dell’universo, in cui la sofferenza del singolo ha una ragione di cui noi non riusciamo a comprendere”.

Come si diventa ‘cercatori’ di Dio?
“Si diventa cercatori di Dio quando resti affascinato da una testimonianza, da una comunità, da un libro, da un ritiro spirituale o da un pellegrinaggio e senti dentro questo desiderio di cercare. Viviamo in un contesto, tutto sommato, cattolico. Però altro è vivere la fede ‘popolare’; altro è diventare discepolo. Credo che sia una grande sfida in questo momento in Italia fare questo salto, cioè tornare a capire che il percorso cristiano è un percorso di conoscenza di Dio ed è una ricerca che passa attraverso la meditazione della Parola di Dio ed attraverso l’esperienza della comunità l’accoglienza dei sacramenti che Dio ci ha lasciato per raggiugerLo e dura per tutta la vita. Siamo per sempre ricercatori di Dio, perché la nostra ricerca è ‘già e non ancora’”.

Per quale motivo è un evangelizzatore ‘free lance’?
“E’ una definizione che ho usato molti anni fa nel mio percorso di vita un po’ particolare. Ho desiderato mettere a disposizione quello che io sono e la mia esperienza di fede a chi nella Chiesa vuol fare questo percorso. Sono free lance, perché non sono legato in particolare ad una Chiesa locale, ad un movimento o congregazione, ma sono un battezzato all’interno della Chiesa. Oggi, poi, dopo il Sinodo ancora in corso, piace definirmi missionario digitale”.

(Foto: Edizioni San Paolo)

Alla prof.ssa Boni il premio ‘Vox Canonica’

La prof.ssa Geraldina Boni, Ordinario di Diritto Canonico, di Diritto Ecclesiastico e di Storia del Diritto Canonico dell’Università di Bologna, è stata insignita del premio ‘Vox Canonica’ 2024, assegnato dalla rivista online specializzata nelle scienze canonistiche. La consegna avverrà giovedì 4 aprile alle ore 15.00 all’Università degli Studi di Macerata.

La prof.ssa Geraldina Boni, presidente della Commissione per le intese con le confessioni religiose e per la libertà religiosa, ha al suo attivo più di 200 pubblicazioni, tra monografie, articoli scientifici, saggi e contributi vari. L’ultima a distanza di tempo è il manuale di storia del diritto dal titolo: Il diritto nella storia della Chiesa, edito da Morcelliana.

“Sono molto onorata e davvero commossa per l’assegnazione del premio Vox Canonica 2024, un premio ancora giovane ma già assai autorevole e prestigioso”, ha commentato la prof.ssa Boni che durante la cerimonia di consegna terrà una lectio magistralis sulle prospettive di riforma delle fonti del diritto ecclesiastico.

Oltre alla premiata interverranno il prof. Paolo Picozza già professore di diritto ecclesiastico dell’Università degli Studi di Macerata, il professor Stefano Pollastrelli, Direttore del Dipartimento di Giurisprudenza della stessa Università, la professoressa Elena Cedrola, Direttore del Dipartimento di Economia e Diritto, il professor Giuseppe Rivetti, Presidente del Corso di Laurea in Scienze Sociali Unimc, e Rosario Vitale, Canonista e fondatore di Vox Canonica.

Appena proclamato il premio la prof.ssa Boni è stata intervistata da Maria Cives per il sito della rivista online: “Ovviamente ne sono stata davvero felice. Si tratta di un premio istituito pochi anni or sono ma già molto conosciuto e prestigioso: per questo reputo un onore esserne stata insignita. Lo considero un riconoscimento per la passione con la quale mi dedico al diritto canonico, prediligendolo nelle ricerche e nella produzione scientifica”.

Quindi ha raccontato il suo ‘amore’ per il diritto canonico: “Mi sono laureata in diritto ecclesiastico avendo come relatore il prof. Giuseppe Dalla Torre, negli anni in cui insegnava a Bologna. In verità, la mia vocazione era quella di diventare giudice. Tuttavia, devo ammettere che gli aspetti canonistici inevitabilmente implicati nello sviluppo dei temi affrontati nella tesi attrassero fortemente il mio interesse.

Appena laureata, poi, il prof. Dalla Torre mi coinvolse subito nelle attività della cattedra, quali soprattutto l’organizzazione di seminari di approfondimento per gli studenti: scoprii così un universo giuridico la cui ricchezza e straordinarietà non avevo ancora compreso appieno. Insomma, abbandonata l’aspirazione alla magistratura, mi sono impegnata totalmente nello studio del diritto canonico: e il mio impegno è stato premiato da una carriera universitaria, nella sede bolognese, rapida e soddisfacente”.

Ed infine un consiglio per chi ha desiderio di studiare questa materia: “Sinceramente gli direi che verrà a contatto con un diritto estremamente affascinante, analogo sotto vari punti di vista a quelli secolari coi quali ha intrattenuto nei secoli strettissimi rapporti, ma contrassegnato da una specificità indelebile, un’unicità incancellabile. Tale studio sarà per lui non solo avvincente e ricco di spunti di riflessione, ma lo aprirà, proprio attraverso la comparazione con i diritti secolari, ad una comprensione più piena e matura di questi.

Lo renderà un vero interprete del diritto: pertanto, anche nelle Università statali, lo studio del diritto canonico non ricopre una mera valenza culturale, ma completa in maniera incisiva la preparazione del giurista…. Insomma, sono numerose le ragioni che devono incoraggiare all’approccio e alla coltivazione del diritto della Chiesa: il quale, sono decisamente persuasa, può soprattutto agevolare il giurista nell’acquisizione di un’accentuata sensibilità verso la ricerca di soluzioni razionali e autenticamente giuste”.

(Foto: Corriere Cesenate)

Papa Francesco: la cura è carità

Oggi papa Francesco, ancora non in piena salute, ha ricevuto in udienza la comunità dell’Ospedale Pediatrico ‘Bambino Gesù’ in occasione del 100° anniversario della donazione dell’Ospedale alla Santa Sede da parte della famiglia Salviati, e nel discorso, letto ancora da mons. Filippo Ciampanelli, ha sottolineato il valore di questo ospedale per i bambini:

“Il dono fu accolto da Pio XI, che vide nell’opera l’espressione della carità del Papa e della Chiesa verso i piccoli infermi, e da allora è conosciuto come ‘Ospedale del Papa’. Fermiamoci allora un momento a riflettere, con riconoscenza, sulla ricchezza di questa istituzione, sviluppatasi in un secolo di storia, sottolineandone tre aspetti: il dono, la cura e la comunità”.

Innanzitutto l’ospedale è sorto come ‘dono’ per la cura di bambini i cui genitori non avevano risorse per curarli: “Oggi il ‘Bambino Gesù’ è un centro di ricerca e di cura pediatrica tra i più grandi in Europa, punto di riferimento per famiglie che vengono da tutto il mondo. Resta però fondamentale, nella sua storia e nella sua vocazione, l’elemento del dono, con i valori di gratuità, generosità, disponibilità e umiltà”.

E ne ha raccontato la storia: “E’ bello ricordare, in proposito, il gesto dei figli della duchessa Arabella Salviati che, all’inizio della vostra storia, regalarono alla mamma il loro salvadanaio per realizzare un ospedale per i bambini: esso ci dice che questa grande opera si fonda anche su doni umili, come quello di questi ragazzi a beneficio dei loro coetanei malati.

E nella stessa ottica fa bene, ai nostri giorni, menzionare la generosità dei molti benefattori grazie a cui si è potuto realizzare, a Passoscuro, un Centro di Cure Palliative per giovanissimi pazienti affetti da malattie inguaribili”.

Però il dono ha bisogno di impegno, che si compie nella cura: “La scienza, e di conseguenza la capacità di cura, si può dire il primo dei compiti che caratterizza oggi l’Ospedale Bambino Gesù. Essa è la risposta concreta che date alle accorate richieste di aiuto di famiglie che domandano per i loro figli assistenza e, ove possibile, guarigione. L’eccellenza nella ricerca biomedica è dunque importante”.

E’ stato un incoraggiamento ad avanzare nella ricerca: “Vi incoraggio a coltivarla con lo slancio di offrire il meglio di voi stessi e con un’attenzione speciale nei confronti dei più fragili, come i pazienti affetti da malattie gravi, rare o ultra-rare. Non solo, ma perché la scienza e la competenza non restino privilegio di pochi, vi esorto a continuare a mettere i frutti della vostra ricerca a disposizione di tutti, specialmente là dove ce n’è più bisogno, come fate ad esempio contribuendo alla formazione di medici e infermieri africani, asiatici e mediorientali”.

Inoltre la cura dei bambini ha necessità di accoglienza per i genitori: “A proposito di cura, sappiamo che la malattia di un bambino coinvolge tutti i suoi familiari. Per questo, è una grande consolazione sapere che sono tante le famiglie seguite dai vostri servizi, accolte in strutture legate all’ospedale e accompagnate dalla vostra gentilezza e vicinanza.

Questo è un elemento qualificante, che non va mai trascurato, anche se so che a volte lavorate in condizioni difficili. Piuttosto sacrifichiamo qualcos’altro, ma non la gentilezza e la tenerezza. Non c’è cura senza relazione, prossimità e tenerezza, a tutti i livelli”.

Per questo è necessaria la comunità: “Una delle più belle espressioni che descrivono la missione del ‘Bambino Gesù’ è ‘Vite che aiutano la vita’. E’ bella, perché parla di una missione portata avanti insieme, con un agire comune in cui trova posto il dono di ciascuno. Questa è la vostra vera forza e il presupposto per affrontare anche le sfide più difficili. Il vostro infatti non è un lavoro come tanti altri: è una missione, che ognuno esercita in modo diverso.

Per alcuni essa comporta la dedizione di una vita intera; per altri l’offerta del proprio tempo nel volontariato; per altri ancora il dono del proprio sangue, del proprio latte (per i neonati ricoverati le cui mamme non possono provvederlo), fino al dono di organi, cellule e tessuti, offerti da persone viventi o prelevati dal corpo di persone decedute”.

Ugualmente ai membri ai membri della fondazione ‘Mons. Camillo Faresin’ di Maragnole di Breganza nel vicentino ricevuti  in occasione del ventesimo anniversario di fondazione, ha chiesto di non dimenticare gli ‘ultimi’: “Ricordiamo, in proposito, che il nome del Vescovo Camillo è annoverato, a Gerusalemme, tra quelli del ‘Giardino dei Giusti’, proprio perché, prima ancora di poter partire per il Brasile, bloccato a Roma a causa della seconda guerra mondiale, non si è lasciato fermare dalle circostanze, prodigandosi con carità e coraggio nell’assistere gli ebrei perseguitati.

Così è stato per tutta la sua vita, come sacerdote e poi come vescovo, con un impulso irresistibile a farsi vicino ai più sfortunati. Fino a quando, terminato il suo mandato episcopale, ha chiesto e ottenuto di poter rimanere fra la sua gente, nel Mato Grosso, fino alla sua morte, come umile servo degli umili, continuando così nel nascondimento, come amico e compagno di cammino, lo stesso ministero che per tanti anni aveva svolto come guida e pastore”.

E’ un invito a non abbandonare il suo esempio: “Quello che ci ha lasciato è un esempio grande da imitare: stare con gli ultimi, sempre! Ma in che modo? Scegliendo e privilegiando, nei vostri progetti, le realtà più povere e disprezzate come luoghi speciali in cui rimanere, e come ‘terre promessa’ verso cui mettervi in marcia e in cui ‘piantare le vostre tende’ per iniziare nuove opere.

E farlo con una presenza concreta e vicina alle comunità che servite, dal di dentro, in loco, lavorando tra i poveri e condividendone il più possibile la vita. Solo così, infatti, si sente ‘il polso’ dei bisogni reali dei fratelli e delle sorelle che il Signore mette sulla nostra strada; e soprattutto ci si arricchisce della luce, della forza e della saggezza che vengono dallo stare con Gesù, presente in modo unico nelle membra più sofferenti del suo Corpo”.

(Foto: Santa Sede)

Papa Francesco: i linguaggi sono necessari per educare

Papa Francesco continuamente ritorna sul tema educativo ed anche oggi, ricevendo il Presidente e il Board of Trustees della ‘University of Notre Dame’ dell’Indiana, ha ribadito che è la missione fondamentale della Chiesa e di questa università cattolica, fondata dal beato Basil Moreau: “Fin dalla sua fondazione, l’Università di Notre Dame si è dedicata all’incremento della missione della Chiesa di annunciare il Vangelo attraverso la formazione di ogni persona in tutte le sue dimensioni”.

Papa Francesco agli Oblati: importante un cuore dilatato

La parola ‘oblato’ collega immediatamente all’Offerta che Cristo fece di sè al Padre attraverso il Sacrificio della Croce! La stessa etimologia della parola ‘oblato’, che deriva dal verbo latino fero (ob – fero), rinvia immediatamente alle parole della Consacrazione Eucaristica e al testo di san Paolo ai romani citato in esergo, traducendo così il participio passato oblato/offerto in un’azione che si perpetua nel tempo, soprattutto alla luce degli insegnamenti del Concilio Vaticano II.

Il Meeting di Rimini ‘alla ricerca dell’essenziale’

‘Se non siamo alla ricerca dell’essenziale, allora cosa cerchiamo?’: è il titolo della 45^ edizione del Meeting per l’amicizia fra i popoli si terrà dal 20 al 25 agosto 2024 nella Fiera di Rimini, tratto dal romanzo ‘Il passeggero’ del romanziere statunitense Cormac McCarthy.

Prof. Luigi Alici: libertà da o libertà per?

“Il libro intende indagare lo snodo, storico e teorico insieme, tra radicalità della domanda e pluralità delle risposte. Questo percorso nasce dentro due emergenze epocali, che in modi differenti hanno capovolto la forma attiva della globalizzazione: patire globale, più che potere globale”.

Alessandro Ginotta invita a ‘sorprendersi con Dio’

Creazione o evoluzione? Com’è nata la vita nell’universo? Esiste l’aldilà? A queste ed altre domande risponde il libro ‘Sorprendersi con Dio’, scritto dal presidente UCSI del Piemonte, Alessandro Ginotta, scrittore e caporedattore della rivista ‘Le Conferenze di Ozanam’, presentato nelle scorse settimane al Salone del Libro di Torino.

Pellegrinaggio a piedi Macerata- Loreto, 45 anni di preghiera e ricerca

“Chi cerchi, non che cosa cerchi, perché le cose non bastano per vivere; per vivere occorre il Dio dell’amore… Il bisogno di questo Chi, la ricerca di un amore che dura per sempre, la domanda sul senso della vita, sul dolore, sul tradimento, sulla solitudine. Sono inquietudini di fronte alle quali non bastano ricette e precetti; occorre camminare, occorre camminare insieme, farsi compagni di viaggio… Lo stile di Gesù non è tanto quello di dare risposte ma di fare domande, domande che provocano la vita”.

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