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Papa Francesco: i bambini sono segni di Dio

Nell’omelia della messa celebrata nella spianata di Taçi Tolu a Dili alla presenza di 600.000 persone, papa Francesco ha invitato a guardare alla tenerezza e semplicità dei bambini, perché attraverso di loro Dio si fa vicino, in quanto ‘un bambino è nato per noi’, come ha profetizzato Isaia: “Queste sono le parole con cui il profeta Isaia si rivolge, nella prima Lettura, agli abitanti di Gerusalemme, in un momento prospero per la città, caratterizzato però, purtroppo, anche da una grande decadenza morale”.

In effetti, è stato il monito del papa, la ricchezza conduce all’illusione: “C’è tanta ricchezza, ma il benessere acceca i potenti, li illude di bastare a sé stessi, di non aver bisogno del Signore, e la loro presunzione li porta ad essere egoisti e ingiusti. Per questo, anche se ci sono tanti beni, i poveri sono abbandonati e soffrono la fame, l’infedeltà dilaga e la pratica religiosa si riduce sempre più a pura formalità. La facciata ingannevole di un mondo a prima vista perfetto nasconde così una realtà molto più oscura, molto più dura e crudele, in cui c’è tanto bisogno di conversione, di misericordia e di guarigione”.

Ma il profeta annuncia al popolo un orizzonte nuovo: “Per questo il profeta annuncia ai suoi concittadini un orizzonte nuovo, che Dio aprirà davanti a loro: un futuro di speranza, un futuro di gioia, dove la sopraffazione e la guerra saranno bandite per sempre. Farà sorgere per loro una grande luce, che li libererà dalle tenebre del peccato da cui sono oppressi, e lo farà non con la potenza di eserciti, di armi o ricchezze, ma attraverso il dono di un figlio. Fermiamoci a riflettere su questa immagine: Dio fa splendere la sua luce che salva attraverso il dono di un figlio”.

Nella sua riflessione il papa ha sottolineato che ogni figlio è un particolare messaggio: “In ogni luogo la nascita di un figlio è un momento luminoso, un momento di gioia e di festa, e a volte suscita anche in noi desideri buoni, di rinnovarci nel bene, di ritornare alla purezza e alla semplicità. Di fronte ad un neonato, anche il cuore più duro si riscalda e si riempie di tenerezza. La fragilità di un bambino porta sempre un messaggio così forte da toccare anche gli animi più induriti, portando con sé movimenti e propositi di armonia e di serenità”.

La meraviglia della nascita di un figlio diventa ancor più grande quando è Dio che si fa bambino: “La vicinanza di Dio è attraverso un bambino. Dio si fa bambino. E non solo per stupirci e commuoverci, ma anche per aprirci all’amore del Padre e lasciarcene plasmare, perché possa guarire le nostre ferite, ricomporre i nostri dissensi, rimettere ordine nella nostra esistenza”.

Ed ha elogiato questo Stato perché ha molti figli: “A Timor Est è bello, perché ci sono tanti bambini: siete un Paese giovane in cui in ogni angolo si sente pulsare, esplodere la vita. E questo è un regalo, un dono grande: la presenza di tanta gioventù e di tanti bambini, infatti, rinnova costantemente la nostra energia e la nostra vita. Ma ancora di più è un segno, perché fare spazio ai bambini, ai piccoli, accoglierli, prendersi cura di loro, e farci anche noi piccoli davanti a Dio e gli uni di fronte agli altri, sono proprio gli atteggiamenti che ci aprono all’azione del Signore. Facendoci bambini permettiamo l’azione di Dio in noi”.

Ecco, quindi, il riferimento alla Madonna, che ha detto ‘sì’ all’opera di Dio nella sua ‘piccolezza’: “Maria questo lo ha capito, al punto che ha scelto di rimanere piccola per tutta la vita, di farsi sempre più piccola, servendo, pregando, scomparendo per far posto a Gesù, anche quando questo le è costato molto”.

E’ stato un invito a rivedere la propria vita davanti a Dio: “Perciò, cari fratelli, care sorelle, non abbiamo paura di farci piccoli davanti a Dio, e gli uni di fronte agli altri, non abbiamo paura di perdere la nostra vita, di donare il nostro tempo, di rivedere i nostri programmi e ridimensionare quando necessario anche i nostri progetti, non per sminuirli, ma per renderli ancora più belli attraverso il dono di noi stessi e l’accoglienza degli altri”. 

Infatti ha tratto un ammonimento, prendendo spunto da due monili tradizionali, quali sono il Kaibauk ed il Belak: “Il primo simboleggia le corna del bufalo e la luce del sole, e si mette in alto, a ornamento della fronte, come pure sulla sommità delle abitazioni. Esso parla di forza, di energia e di calore, e può rappresentare la potenza di Dio, che dona la vita. Ma non solo: posto a livello del capo, infatti, e in cima alle case, ci ricorda che, con la luce della Parola del Signore e con la forza della sua grazia, anche noi possiamo cooperare con le nostre scelte e azioni al grande disegno della redenzione.

Il secondo, poi, il Belak, che si mette sul petto, è complementare al primo. Ricorda il chiarore delicato della luna, che riflette umilmente, nella notte, la luce del sole, avvolgendo ogni cosa di una fluorescenza leggera. Parla di pace, di fertilità, di dolcezza, e simboleggia la tenerezza della madre, che coi riflessi delicati del suo amore rende ciò che tocca luminoso della stessa luce che riceve da Dio. Kaibauk e Belak, forza e tenerezza di Padre e di Madre: così Il Signore manifesta la sua regalità, fatta carità e misericordia”.

Al termine della celebrazione eucaristica le parole di ringraziamento del card. Virgílio do Carmo da Silva, arcivescovo di Dili e le parole conclusive del papa prima della Benedizione finale, come augurio: “Cari fratelli e sorelle, ho pensato molto: qual è la cosa migliore che ha Timor? Il sandalo? La pesca? Non è questa la cosa migliore. La cosa migliore è il suo popolo. Non posso dimenticare la gente ai lati della strada, con i bambini. Quanti bambini avete! Il popolo, che la cosa migliore che ha è il sorriso dei suoi bambini. E un popolo che insegna a sorridere ai bambini è un popolo che ha un futuro.

Ma state attenti! Perché mi hanno detto che in alcune spiagge vengono i coccodrilli; i coccodrilli vengono nuotando e hanno il morso più forte di quanto possiamo tenere a bada. State attenti! State attenti a quei coccodrilli che vogliono cambiarvi la cultura, che vogliono cambiarvi la storia. Restate fedeli. E non avvicinatevi a quei coccodrilli perché mordono, e mordono molto. Vi auguro la pace. Vi auguro di continuare ad avere molti figli: che il sorriso di questo popolo siano i suoi bambini! Prendetevi cura dei vostri bambini, ma prendetevi cura anche dei vostri anziani, che sono la memoria di questa terra”.

(Foto: Santa Sede)

Alcide De Gasperi: un profeta non moderato

“A settant’anni dalla sua morte, la Repubblica rende omaggio ad Alcide De Gasperi, uno dei suoi Padri fondatori, onorandone lo straordinario contributo alla causa della libertà, alla costruzione della democrazia e di un ordine internazionale pacifico e più giusto”: lo ha dichiarato in un messaggio il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in occasione del 70^ anniversario della scomparsa di Alcide De Gasperi.

Nel messaggio il presidente della Repubblica italiana ha sottolineato la sua fermezza negli ideali: “Pagò con la carcerazione la sua opposizione nei confronti dell’affermazione del regime fascista, e non rinunciò mai a perseguire quegli ideali volti a pervenire a un ordinamento statale basato sul rispetto delle libertà fondamentali che lo portarono in seguito ad essere riconosciuto come ricostruttore della Patria”.  

Ideali corroborati dalla sua abilità di statista: “Le sue abilità di statista si rivelarono impareggiabili all’indomani della Seconda Guerra Mondiale, dove in seno a complessi negoziati internazionali, seppe raggiungere equilibri che affermarono nuovamente la dignità dell’Italia gravemente compromessa dalla dittatura, con l’attenuazione delle conseguenze di trattati imposti a una Nazione i cui destini il fascismo aveva voluto unire a quelli del Terzo Reich nazista”.

E nella lectio degasperiana tenuta a Pieve Tesino, l’arcivescovo di Perugia-Città della Pieve, mons. Ivan Maffeis, ha sottolineato che De Gasperi guidò l’Italia verso una nuova stagione della democrazia: “La sua grandezza non si misura solo con quello che ha fatto come statista, ma soprattutto per la testimonianza che ci ha offerto. Come gli antichi profeti, ha indicato una strada e un metodo politico che vanno oltre la sua stessa esistenza.

Ha accettato di mettersi alla guida del suo popolo, senza garanzie e senza esitazioni. Prima è stata la volta del popolo trentino, orfano e disperso durante la Prima guerra mondiale, poi quella del popolo italiano che imparò a conoscere. Quando nel 1945 assunse il compito di guidare l’Italia fuori dal deserto in cui la democrazia si era smarrita, De Gasperi aveva 64 anni”.

Ha sottolineato il valore della sua profezia non ‘moderata’: “Come tutti i profeti, non era un moderato. Senza mai tirarsi indietro nelle battaglie elettorali, ha contribuito a riscattare la politica dai suoi aspetti più materiali e duri. Voleva fornirle un’anima, fare in modo che avesse sentimenti e principi. Ha praticato l’arte di comporre le differenze in modo tale che esse non diventassero opposizioni preconcette, ma si integrassero in quell’amicizia politica che è l’anima della democrazia. Non si trattò di una concordia oltre la discordia, ma di una concordia nella discordia. Sapeva che sarebbe venuto il tempo delle scelte di campo”.

La sua profezia non è ‘idealistica’: “Ha delle caratteristiche peculiari e memorabili. Basterebbe riprendere le sue pagine contro l’idealismo astratto della politica e contro le manipolazioni della sofferenza e della disperazione dei poveri. Con la medesima forza, anche all’interno del suo partito ha combattuto ogni forma di messianismo e ogni pulsione utopistica. Non amava le cosiddette terze vie: sapeva che cosa significhi operare dentro e non contro la storia.

Era consapevole che il destino dell’Italia solo in minima parte è nelle mani dei suoi governanti. Conosceva bene, fin dai tempi in cui da giovane giornalista scriveva di politica estera, le dinamiche delle alleanze. Non le subiva come limitazioni, ma anzi le valutava come opportunità. Era davvero entrato nello spirito europeo. Lo guidava un acuto senso della realtà e della fragilità umana. Sapeva che non c’era futuro per chi inganna le masse”.

Ed ha concluso la ‘lectio con un discorso che Alcide De Gasperi tenne a Bruxelles nel 1948: “In democrazia non bisogna scoraggiarsi: lo scoraggiamento è il pericolo principale delle democrazie. Non occorrono mezzi artificiosi, promesse mirabolanti, per infondere coraggio, questi sono mezzi degli assolutismi. Basta la coscienza profonda e la certezza di attuare il proprio proposito. La pazienza è la virtù dei riformatori; riformare vuol dire superare il passato e la pazienza è virtù dei forti, virtù di chi ha fede, di chi ha coscienza dei problemi e li segue con tutta l’attenzione”.

XIV Domenica Tempo Ordinario: Gesù, rifiutato dai suoi, continua ad amare l’uomo

Il brano del Vangelo ci inserisce oggi sul tema della ‘Fede’. Si può rimanere stupiti, affascinati dalla parole e dai miracoli di Gesù, mai restare increduli; la Fede è sempre un dono di Dio e va chiesta con umiltà e in modo incessante. E’ Dio infatti con la sua grazia che ‘si rivela’ (toglie il velo) e ci fa apparire la verità di Dio, che è verità assoluta ed infallibile; superiore alle nostre capacità intellettive ma non contraria. Lo stesso uomo conosce bene se stesso  solo alla luce di Dio; egli infatti è ‘imago Dei’ (creato a sua immagine e somiglianza).

Tutti siamo cristiani; tutti conosciamo Gesù Cristo, figlio di Maria, che è morto in croce per salvare tutti gli uomini. Ma una cosa è conoscere, un’altra cosa è riconoscere: Si conosce tutto ciò che si vede e poi si rivede; il conoscere è quasi sempre qualcosa di superficiale, di esteriore.  Riconoscere è il conoscere intimamente una realtà. Vado in campagna, vedo alberi e li conosco per averli sempre veduti; ma si riconosce veramente un albero solo dai frutti che produce e se ne evidenzia subito la differenza di uno dall’altro.

Nel brano del Vangelo ascoltato gli abitanti di Nazareth conoscevano Gesù come il figlio di Maria; figlio anche di Giuseppe, il fabbro ed anch’Egli fabbro: una conoscenza superficiale che si ferma a ciò che si vede e si percepisce con i sensi. Dai frutti si riconosce profondamente un albero nella sua vera essenza; Anche lo stesso Gesù pose questa domanda un giorno ai suoi discepoli: cosa dice la gente di me?… poi dirà: cosa dite voi di me? Pietro dà la sua risposta: ‘Tu sei il Cristo, il Figlio di Dio benedetto’. Gesù risponderà a Pietro: beato, sei tu; perché è il Padre che te lo ha rivelato! Ciò che hai detto non è frutto della tua intelligenza ma dello Spirito Santo che te lo ha rivelato.

L’esperienza di Nazareth fu per Gesù assai dolorosa, come d’altronde dolorosa era stata l‘esperienza di tutti i profeti che avevano parlato ed operato tra la propria gente, per cui Gesù ebbe a dire. “nessuno è profeta accetto nella propria patria”. La fede in Cristo Gesù, vero uomo e vero Dio, è solo opera divina. Come uomo è il figlio di Maria e di Giuseppe, ritenuto suo padre, il fabbro del paese: come figlio di Dio possedeva una potenza divina, che non annullava la sua vera umanità.

Gesù, vero uomo e vero Dio, ha amato ed ama l’uomo creato ad immagine di Dio. La Chiesa, costituita da Cristo, è chiamata ad essere una mirabile realtà e le porte degli inferi non prevarranno mai. La Chiesa, il regno di Dio è  una barca in mezzo ad un mare tempestoso ma al timone sta sempre lo Spirito Santo. Nel brano del vangelo gli abitanti di Nazareth si pongono due domande: da dove viene a Gesù tanta sapienza?; da dove gli viene a potenza di operare  prodigi? Rifiutano dunque questo Gesù che invita l’uomo a cambiare rotta: ‘convertitevi!’, cioè cambiate rotta, stile, mentalità. 

Così l’iniziale stupore si trasforma in scandalo, ma Gesù dice loro: ‘Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra  suoi parenti e in casa sua’. Gesù invita a scoprire l’uomo creato ad immagine di Dio, con un’anima spirituale ed immorale, creato non per la terra ma per il cielo; homo viator, sempre impegnato a costruire la nuova civiltà dell’amore dove tutti sono chiamati ad essere fratelli e figli di Dio. Una civiltà dove alla base c’è rispetto, comprensione, condivisione; consapevoli sempre che la vita terrena è un cammino verso la vita eterna.

Per conoscere ed accogliere Gesù è sempre necessaria la fede: quella fede che ci porta a vincere la nostra pigrizia, l’attaccamento testardo alle nostre abitudini, alle sicurezze materiali, fondate sul passato, che impediscono a guardare l’azione dello Spirito santo che guida la sua Chiesa. Abramo, uomo di fede, lasciò tutto e partì; noi cristiani, nati a vita nuova con il Battesimo, siamo chiamati perciò a ‘convertirci’, ad essere uomini nuovi, ad instaurare il Regno dell’amore. 

Chiesa di Cristo siamo tutti: Clero e Laicato, sacerdoti e popolo di Dio con eguale dignità, come le due mani dell’uomo: l’una lava l’altra, insieme realizzano la perfetta unità voluta da Cristo Gesù. La Madonna, la Vergine santa ci aiuti a realizzare la vera unità della Chiesa santa di Dio.

Mons. Gambelli: Gesù grazia di vita

Nella festa patronale di san Giovanni Battista a Firenze è stato ordinato il nuovo arcivescovo mons. Gherardo Gambelli dal suo predecessore, card. Giuseppe Betori, insieme ai co-consacranti card. Gualtiero Bassetti, arcivescovo emerito di Perugia – Città della Pieve, mons. Giovanni Roncari, vescovo di Grosseto, e mons. Dominique Tinoudji, vescovo di Pala, in Ciad dove mons. Gambelli è stato in missione per 11 anni. Al termine dell’ordinazione mons. Gambelli ha ricordato tale coincidenza:

“La Provvidenza del Signore ha voluto che la data della mia ordinazione episcopale e del mio ingresso in diocesi coincidessero con la festa di San Giovanni Battista. Il Vangelo ci ricorda che Giovanni è più che un profeta, non solo perché vede con i suoi occhi il Messia e lo indica presente nel mondo, ma anche perché si fa precursore di tutti coloro che si lasciano interrogare da Gesù sul senso della vita, lasciando che la risposta a questa domanda, plasmi la loro identità più profonda”.

Per questo ha sottolineato il significato del nome: “Giovanni, il cui nome significa “il Signore fa grazia” continua ad aiutarci a preparare la via del Signore Gesù, accogliendo la logica nuova del Vangelo ben riassunta nelle parole del canto di offertorio della Messa di oggi: ‘Fa che impariamo Signore da te, che più grande è chi più sa servire, chi s’abbassa e si sa piegare, perché grande è soltanto l’amore’. Un proverbio africano dice che ‘il vento spezza ciò che non sa piegarsi’. La fede nel Signore morto e risorto per la nostra salvezza nutre la nostra speranza nel suo ritorno glorioso e questo ci rende attenti ai segni dei tempi, per collaborare sempre più docilmente con l’azione dello Spirito Santo”.

Ed ha raccontato una storia africana chiedendo di proseguire nel cammino intrapreso: “Proseguiamo il nostro cammino mettendo sempre più Gesù al centro della nostra vita, così sapremo riconoscerci come fratelli e sorelle e saremo testimoni credibili nel mondo della gioia del suo amore.

L’evangelista Luca ci dice che Elisabetta e Zaccaria, negli ultimi tre mesi precedenti alla nascita di Giovanni, hanno avuto la grazia della visita di Maria. Nel Nuovo Testamento la figura di Maria è spesso presentata come un’immagine della Chiesa. Posso dire con tutta sincerità che questi due mesi di preparazione all’ordinazione episcopale sono stati per me un tempo di grazia in cui ho fatto esperienza della vicinanza di Maria nella mia vita, attraverso la preghiera di tanti fratelli e sorelle che mi hanno sostenuto”.

Infine ha rivolto un ringraziamento a tutti, specialmente agli ‘amici’ venuti dal Ciad: “Un grazie speciale ai Vescovi che vengono da altre regioni, da altre nazioni e soprattutto da altri continenti, in particolare quelli provenienti dall’Asia e dall’Africa. La presenza di quattro Vescovi ciadiani, insieme a mons. Henri Coudray, vicario apostolico emerito di Mongo, di numerosi preti e di alcuni laici di queste giovani Chiese, mi riempie di gioia e di commozione. Il Cardinal Piovanelli amava dire di aver fatto l’Università come parroco a Castelfiorentino. La mia Università è stata il Ciad; vorrei rivolgere attraverso di voi i mei più vivi ringraziamenti a tante persone della vostra nazione che, forse senza nemmeno saperlo, mi hanno formato, aiutandomi a capire la bellezza e la forza del Vangelo”.

Nell’omelia l’arcivescovo emerito, card. Giuseppe Betori, ha ribadito che l’obiettivo del vescovo è quello di “annunciare Cristo e condurre a Lui quanti ti sono affidati come suo gregge. La voce della Chiesa resterà sempre una voce scomoda per le logiche del mondo: resta anche per noi il compito di non lasciarci irretire dalla seduzione del consenso o dall’illusione di un ascolto che non produce conversione o di un plauso interessato fino a quando non entra in gioco la propria posizione nel mondo”.

(Foto: Arcidiocesi di Firenze)

Papa Francesco: la preghiera rende capaci

“Per conservare la salute in vista della Veglia di domani e della Santa Messa della domenica di Pasqua, questa sera il Santo Padre Francesco seguirà la Via Crucis al Colosseo da Casa Santa Marta. I testi delle meditazioni e delle preghiere dal titolo ‘In preghiera con Gesù sulla via della croce’ proposte quest’anno per le stazioni della Via Crucis del Venerdì Santo sono state scritte dal Santo Padre”. Quindi questa sera papa Francesco, per preservare la propria salute ha seguito la ‘Via Crucis’ al Colosseo da Casa Santa Marta.

La ‘Via Crucis’ di papa Francesco è stata una preghiera intima che, nell’Anno della Preghiera, ha lasciato parlare il cuore dell’uomo, con i racconti degli incontri lungo la via dolorosa verso il Golgota sulla strada del perdono, perché Dio ci invita a rialzarci dal peccato, nonostante una condanna a morte:

“Gesù, tu sei la vita e sei condannato a morte; sei la verità e subisci un falso processo. Ma perché non reclami? Perché non alzi la voce e non spieghi le tue ragioni? Perché non confuti i dotti e i potenti come hai sempre fatto con successo? La tua reazione stupisce, Gesù: nel momento decisivo non parli, taci. Perché più il male è forte, più la tua risposta è radicale. E la tua risposta è il silenzio”.

Davanti all’ingiustizia il silenzio si trasforma in preghiera che perdona: “Ma il tuo silenzio è fecondo: è preghiera, è mitezza, è perdono, è la via per redimere il male, per convertire ciò che soffri in un dono che offri. Gesù, mi accorgo che ti conosco poco perché non conosco abbastanza il tuo silenzio; perché nella frenesia di correre e fare, assorbito dalle cose, preso dalla paura di non stare a galla o dalla smania di mettermi al centro, non trovo il tempo per fermarmi e rimanere con te: per lasciare agire te, Parola del Padre che operi nel silenzio. Gesù, il tuo silenzio mi scuote: m’insegna che la preghiera non nasce dalle labbra che si muovono, ma da un cuore che sa stare in ascolto: perché pregare è farsi docili alla tua Parola, è adorare la tua presenza”.

In effetti la preghiera è un invito a non portare da soli la propria croce: “Venire a te; io, invece, mi chiudo in me: rimugino, rivango, mi piango addosso, sprofondo nel vittimismo, campione di negatività. Venite a me: dircelo non è bastato e allora ecco che ci vieni incontro e ti carichi sulle spalle la nostra croce, per togliercene il peso. Tu questo desideri: che gettiamo in te fatiche e affanni, perché vuoi che ci sentiamo liberi e amati in te. Grazie, Gesù. Unisco la mia croce alla tua, ti porto la mia stanchezza e le mie miserie, getto in te ogni peso del cuore”.

In questa ‘Via Crucis’ le donne hanno un ruolo importante, iniziando dalla Madre: “Gesù, i tuoi ti hanno abbandonato, Giuda ti ha tradito, Pietro rinnegato: sei rimasto solo con la croce. Ma ecco tua madre. Non servono parole, bastano i suoi occhi, che sanno guardare in faccia la sofferenza e farsene carico. Gesù, nello sguardo pieno di lacrime e di luce di Maria ritrovi la memoria della tenerezza, delle carezze, delle braccia amorevoli che ti hanno sempre accolto e sostenuto. Lo sguardo materno è lo sguardo della memoria, che ci fonda nel bene”.

Il ‘ruolo’ della madre è fondamentale nella vita di ciascuno: “Non si può fare a meno di una madre che ci mette al mondo, ma neppure di una madre che ci rimette a posto nel mondo. Tu lo sai e dalla croce ci dai la tua stessa madre. Ecco tua madre, dici al discepolo, a ognuno di noi: dopo l’Eucaristia, ci dai Maria, dono estremo prima di morire. Gesù, il tuo cammino è stato confortato dal ricordo del suo amore; anche il mio cammino ha bisogno di fondarsi nella memoria del bene.

Mi accorgo, però, che la mia preghiera è povera di memoria: veloce, sbrigativa, una lista di bisogni per oggi e domani. Maria, ferma la mia corsa, aiutami a fare memoria: a custodire la grazia, a ricordare il perdono e i prodigi di Dio, a ravvivare il primo amore, a riassaporare le meraviglie della provvidenza, a piangere di gratitudine”.

Tale ‘ruolo’ è confermato dalla Veronica: “Gesù, tanti seguono il barbaro spettacolo della tua esecuzione e, senza conoscerti e senza conoscere la verità, emettono giudizi e condanne, gettando su di te infamia e disprezzo. Accade anche oggi, Signore, e non serve nemmeno un macabro corteo: basta una tastiera per insultare e pubblicare sentenze. Ma, mentre tanti urlano e giudicano, una donna si fa strada in mezzo alla folla. Non parla: agisce. Non inveisce: s’impietosisce. Va controcorrente: sola, con il coraggio della compassione, rischia per amore, trova il modo di passare tra i soldati solo per darti sul volto il conforto di una carezza”.

La donna comprende il dolore e lo allevia: “Il suo gesto passerà alla storia ed è un gesto di consolazione. Quante volte invoco consolazione da te, Gesù! Ma la Veronica mi ricorda che pure tu ne hai bisogno: tu, Dio vicino, chiedi la mia vicinanza; tu, mio consolatore, vuoi essere consolato da me. Amore non amato, anche oggi cerchi tra la folla cuori sensibili alla tua sofferenza, al tuo dolore. Cerchi veri adoratori, che in spirito e verità rimangano con te, Amore abbandonato. Gesù, accendi in me il desiderio di stare con te, di adorarti e consolarti. E fa’ che, nel tuo nome, io sia consolazione per gli altri”.

E’ un incontro particolare quello di Gesù crocifisso con le donne: “Gesù, chi ti segue fino alla fine lungo la via della croce? Non i potenti, che ti aspettano sul Calvario, non gli spettatori che stanno lontano, ma le persone semplici, grandi ai tuoi occhi e piccole a quelli del mondo. Sono le donne, a cui hai dato speranza: non hanno voce ma si fanno sentire. Aiutaci a riconoscere la grandezza delle donne, loro che a Pasqua sono state fedeli e vicine a te, ma che ancora oggi vengono scartate, subendo oltraggi e violenze. Gesù, le donne che incontri si battono il petto e fanno lamenti su di te”.

Le donne asciugano le lacrime: “Non si piangono addosso, ma piangono per te, piangono sul male e sul peccato del mondo. La loro preghiera fatta di lacrime arriva al tuo cuore. E la mia preghiera sa piangere? Mi commuovo davanti a te, crocifisso per me, davanti al tuo amore mite e ferito? Piango le mie falsità e la mia incostanza? Di fronte alle tragedie del mondo il mio cuore è di ghiaccio o si scioglie? Come reagisco alla follia della guerra, a volti di bimbi che non sanno più sorridere, a madri che li vedono denutriti e affamati e non hanno più lacrime da versare? Tu, Gesù, hai pianto su Gerusalemme, hai pianto sulla durezza del nostro cuore. Scuotimi dentro, dammi la grazia di piangere pregando e di pregare piangendo”.

Infine il corpo di Gesù è accolto dalla Madre: “Maria, dopo il tuo ‘sì’ il Verbo si fece carne nel tuo grembo; ora adagiata sul tuo grembo c’è la sua carne martoriata: quel bimbo che tenevi tra le braccia è un cadavere straziato. Eppure adesso, nel momento più sofferto, risplende la tua offerta: una spada ti trapassa l’anima e la tua preghiera continua ad essere un ‘sì’ a Dio. Maria, noi siamo poveri di ‘sì’ e ricchi di ‘se’: se avessi avuto genitori migliori, se fossi stato più compreso e amato, se mi fosse andata meglio la carriera, se non ci fosse quel problema, se solo non soffrissi più, se Dio mi ascoltasse”.

Il gesto della Madre è un invito a vivere la realtà affidandosi a Dio: “Perennemente a chiederci il perché delle cose, fatichiamo a vivere il presente con amore. Tu avresti tanti ‘se’ da dire a Dio, ma dici ancora ‘sì’. Forte nella fede, credi che il dolore, attraversato dall’amore, porta frutti di salvezza; che la sofferenza con Dio non ha l’ultima parola. E mentre tieni tra le braccia Gesù esanime, risuonano in te le ultime parole che ti ha rivolto: Ecco tuo figlio. Madre, sono io quel figlio! Accoglimi tra le tue braccia e chinati sulle mie ferite. Aiutami a dire ‘sì’ a Dio, ‘sì’ all’amore. Madre di pietà, viviamo un tempo spietato e abbiamo bisogno di compassione: tu, tenera e forte, ungici di mitezza: sciogli le resistenze del cuore e i nodi dell’anima”.

E’ una preghiera alla Madre di Dio di essere sempre al proprio fianco: “Prendimi per mano, Maria. Quando cedo alla recriminazione e al vittimismo: prendimi per mano, Maria. Quando smetto di lottare e accetto di convivere con le mie falsità: prendimi per mano, Maria. Quando indugio e non trovo il coraggio di dire ‘sì’ a Dio: prendimi per mano, Maria. Quando sono indulgente con me e inflessibile con gli altri: prendimi per mano, Maria. Quando voglio che la Chiesa e il mondo cambino, ma io non cambio: prendimi per mano, Maria”.

Ed al termine della ‘Via Crucis’ compare Giuseppe d’Arimatea, che dà valore alla preghiera, perché rende audaci: “Giuseppe: il nome che insieme a Maria sta all’alba del Natale, segna pure l’aurora della Pasqua. Giuseppe di Nazaret sognò e con coraggio prese Gesù per salvarlo da Erode; tu, Giuseppe di Arimatea, ne prendi il corpo, senza sapere che un sogno impossibile e meraviglioso si realizzerà proprio lì, nel sepolcro che hai dato a Cristo quando pensavi che lui non potesse far più nulla per te. Invece è proprio vero che ogni dono fatto a Dio riceve una ricompensa più grande.

Giuseppe di Arimatea, sei il profeta del coraggio audace. Per fare il tuo dono a un morto vai dal temuto Pilato e lo preghi, così da poter regalare a Gesù il sepolcro che avevi fatto costruire per te. La tua preghiera è tenace e alle parole seguono le opere. Giuseppe, ricordaci che la preghiera insistente porta frutto e attraversa persino il buio della morte; che l’amore non rimane senza risposta, ma regala nuovi inizi”.

(Foto: Santa  Sede)

Papa Francesco: il vizio della ‘gola’ è un peccato sociale

Continuando le udienze generali, nell’aula ‘Paolo VI’, sui vizi capitali papa Francesco ha esaminato il peccato di gola, che è il più pericoloso, ricordando però che nei Vangeli molto spesso Gesù è descritto a tavola con i commensali, cosa che suscita scandalo nella casta sacerdotale, perché perdona i peccatori: “Il suo primo miracolo, alle nozze di Cana, rivela la sua simpatia nei confronti delle gioie umane: Egli si preoccupa che la festa finisca bene e regala agli sposi una gran quantità di vino buonissimo.

Papa Francesco: la Beata Teresa di Gesù ha fondato la congregazione sull’Eucarestia

Maria Teresa di Gesù, al secolo Karolina Gerhardinger, nacque in un sobborgo di Ratisbona in Baviera, il 20 giugno 1797, frequentò la scuola femminile delle Canonichesse di Notre-Dame e all’età di 12 anni, essa accolse prontamente la chiamata a divenire insegnante; e più tardi fondò la sua congregazione per l’educazione, rispondendo, così, a una grande sfida del suo tempo; sfida che interpretò come una speciale chiamata di Dio nei suoi riguardi.

Don Lorenzo Milani nel racconto di Mario Lancisi

Sabato 27 maggio a Barbiana si è svolta l’apertura ufficiale del centenario della nascita di don Lorenzo Milani (Firenze, 27 maggio 1923-Firenze, 26 giugno 1967), con la partecipazione del Presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella. In tale occasione Mario Lancisi ha pubblicato ‘Don Milani. Vita di un profeta disobbediente’, la prima biografia ragionata e aggiornata del sacerdote fiorentino.

Nel centenario della nascita di Lorenzo Milani, TS Edizioni pubblica una ricca biografia del ‘profeta disobbediente’

Nel centenario della nascita di don Lorenzo Milani esce la prima biografia ragionata e aggiornata: ‘Don Milani. Vita di un profeta disobbediente’, di Mario Lancisi, edita da TS Edizioni. Tra i più esperti biografi di don Milani, l’autore, giornalista e scrittore, ne traccia il ritratto attingendo a nuove lettere, scritti e testimonianze tra le quali spiccano quelle esclusive di Adele Corradi, insegnante a fianco del sacerdote negli ultimi anni della sua vita negli anni più avvincenti della Scuola di Barbiana, e di Francuccio Gesualdi, che con il fratello Michele ha vissuto per 13 anni in canonica con il priore.

4^ Domenica: Dio è sceso in mezzo agli uomini

Il brano del Vangelo si collega a quello della scorsa settimana, quando Gesù nella sinagoga di Nazareth affermò categoricamente: ‘Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato’. Tutti erano meravigliati ed adirati per l’affermazione di Gesù, perché la gente, oltre alle parole, si aspettava  di vedere fatti prodigiosi.

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