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Terremoto in Myanmar: ecco come aiutare

Venerdì 28 marzo un terremoto di magnitudo 7.7 ha colpito il Sud-est asiatico. L’epicentro è stato registrato in Myanmar, a 16 chilometri a nord-ovest della città di Sagaing, a una profondità di 10 chilometri. La situazione è drammatica e in continua evoluzione: subito dopo la prima scossa registrata intorno alle 12:50 ora locale (7:20 ora italiana) ne è stata registrata un’altra di magnitudo 6.5. Il terremoto in Myanmar ha avuto una magnitudo 300 volte superiore a quella del sisma di Amatrice del 2016 e 8 volte superiore alla più alta mai registrata in Italia (7.1 a Messina nel 1908).

Il terremoto ha avuto un forte impatto nelle principali città, tra cui Yangon, Mandalay, Naypyidaw, Sagaing, Aungpan, Bago, Kalay, Magway, Kyaukse, Muse e Yinmapin e alcune parti di Shan East e Taunggyi. Di conseguenza, ci sono stati danni significativi ai servizi pubblici e alle infrastrutture come monasteri, moschee, pagode, seminari e chiese, scuole, ospedali, banche, alberghi, aeroporti, edifici residenziali, ponti, strade ad alta percorrenza, nonché la fornitura di elettricità e le telecomunicazioni, interrotte in molte regioni del Paese, però Caritas Italiana è in contatto con Caritas Internationalis e segue con attenzione gli sviluppi e l’evolvere dell’emergenza. Esprimiamo tutta la nostra vicinanza alla popolazione del Myanmar e alla Chiesa locale, così duramente colpite da questa nuova tragedia, assicura don Marco Pagniello, direttore di Caritas italiana.

Nel frattempo la Caritas nazionale del Myanmar (KMSS, Karuna Mission Social Solidarity) e gli uffici diocesani hanno attivato e mobilitato il team per assistere la diocesi di Mandalay che è la più colpita. L’ufficio nazionale KMSS si sta coordinando con la diocesi KMSS-Mandalay per il piano di valutazione e risposta rapida dei bisogni. Dopo quattro ore in cui le scosse si sono ripetute, KMSS è stata in grado di organizzare la sessione di orientamento alla valutazione rapida dei bisogni con la partecipazione di alcuni uffici diocesani:

“I team dei soccorritori sono riusciti ad arrivare a Mandalay, la zona più colpita dal sisma del Myanmar. Le difficoltà delle prime ore sono state le comunicazioni interrotte, non solo telefono e internet, ma anche quelle fisiche, con i ponti crollati e le strade inagibili. Ora è dunque cominciata la raccolta dei bisogni, per poi lanciare operazioni di risposta di primissima emergenza. Tutto questo mentre si scava a mani nude per salvare vite umane”.

Quindi è possibile contribuire agli interventi di Caritas Italiana per l’emergenza, utilizzando il conto corrente postale n. 347013, o donazione on-line, o bonifico bancario specificando nella causale ‘Emergenza Myanmar’ tramite: Banca Popolare Etica, via Parigi 17, Roma – Iban: IT 24 C 05018 03200 00001 3331 111; Banca Intesa Sanpaolo, Fil. Accentrata Ter S, Roma – Iban: IT 66 W 03069 09606 100000012474; Banco Posta, viale Europa 175, Roma – Iban: IT 91 P 07601 03200 000000347013; UniCredit, via Taranto 49, Roma – Iban: IT 88 U 02008 05206 000011063 119.

Anche le organizzazioni umanitarie italiane presenti nel Paese si stanno già riorganizzando per rispondere ai nuovi bisogni. Una lista delle campagne di raccolte fondi che si possono sostenere. Fondazione Avsi è presente nel Paese dal 2007 e dal 2021 è impegnata in progetti di emergenza e sviluppo nelle aree interessate dal conflitto: “Siamo in contatto con i nostri colleghi birmani, stiamo verificando come stanno i 600 bambini sostenuti a distanza da famiglie italiane, che terremo informate, e tutte le persone coinvolte nei nostri progetti implementati nell’area dell’epicentro del terremoto in Myanmar. Le comunicazioni con il Paese però sono molto difficili”, ha sottolineato  Guido Calvi, responsabile progetti dell’Avsi, che ha aperto una raccolta fondi ‘Emergenza terremoto in Myanmar’ per supportare la popolazione.

I progetti di AVSI si sviluppano a 200 km dall’epicentro del terremoto: “Non c’è ancora un bilancio delle vittime e una stima dei danni. Ma già prima del terremoto la rete elettrica, le infrastrutture, i trasporti erano molto compromessi a causa del conflitto in corso. Il team aiuto umanitario di Avsi sta valutando l’impatto e le necessità, ma è già certo che migliaia di persone avranno bisogno di cibo, kit sanitari, beni di prima necessità, riparo e assistenza. In questo preciso momento è incredibilmente difficile raggiungere le comunità colpite e fare assessment” . Si può donare online sul sito di AVSI oppure con bonifico bancario intestato a FONDAZIONE AVSI presso Unicredit SPA IBAN: IT 22 T 02008 01603 000102945081 BIC (Swift code): UNCRITMM; con bollettino postale sul conto corrente postale n. 000000522474 intestato a FONDAZIONE AVSI ONLUS ONG.

Le scosse hanno causato ingenti danni anche in Thailandia e sono state avvisate altrove nella regione. Le scosse hanno causato ingenti danni anche in Thailandia e sono state avvisate altrove nella regione, come ha testimoniato Save the Children: “I primi rapporti presentano numerose vittime in entrambi i Paesi, sebbene i numeri esatti non possano essere verificati a causa delle strade bloccate e delle comunicazioni interrotte. I primi rapporti presentano numerose vittime in entrambi i Paesi, sebbene i numeri esatti non possano essere verificati a causa delle strade bloccate e delle comunicazioni interrotte. I primi rapporti presentano numerose vittime in entrambi i Paesi, sebbene i numeri esatti non possano essere verificati a causa delle strade bloccate e delle comunicazioni interrotte. In Myanmar sino 6,7 i milioni di bambini nelle aree del Paese interessato dal Sisma”.

 L’ong lavora in Myanmar dal 1995, fornendo programmi salvavita di assistenza sanitaria, cibo e nutrizione, istruzione e protezione dell’infanzia. Per sostenere l’attività di Save the Children in emergenza: https://dona-ora.savethechildren.it/dona-anche-tu-emergenza-adesso.

Mentre Rosario Valastro, presidente della Croce Rossa Italiana, annuncia un’azione di sostegno al Myanmar e ai territori interessati dal terremoto. Al link https://dona.cri.it/terremoto-myanmar la raccolta fondi della CRI per far fronte a questa grave crisi: “Siamo vicini alla popolazione del Myanmar colpita duramente dal terremoto di magnitudo 7,7 che stamattina ha distrutto vite, edifici e infrastrutture gettando nel panico un intero Paese. A questo scopo, per far sentire la nostra vicinanza davanti a questo drammatico evento, abbiamo aperto una raccolta fondi per sostenere le necessità di questa comunità e aiutare la Croce Rossa del Myanmar a far fronte ai bisogni del momento. Questa terribile scossa ha riportato ai nostri occhi il ricordo della devastazione seguita ai terremoti de l’Aquila e di Amatrice, due momenti che hanno segnato per sempre la recente storia del nostro Paese e che ci hanno visti impegnati in prima fila al fianco della popolazione, di chiunque fosse in difficoltà. Vi siamo vicini”.

Anche l’ong Azione Contro la Fame sta mobilitando le sue squadre per rispondere alla popolazione colpita e fornire acqua potabile, servizi igienico – sanitari, assistenza nutrizionale e supporto alle famiglie sfollate. A questo link donazioni.azionecontrolafame.it/emergenza-myanmar la campagna di raccolta fondi lanciata dall’organizzazione.

WeWorld ha avviato una raccolta fondi al link www.weworld.it/sostienici/campagne/emergenza-terremoto-myanmar per sostenere le attività che saranno messe in campo dal partner ChildFund presente nel Paese fin dal 2012. L’obiettivo, precisa l’ong è di essere al fianco «della popolazione del Myanmar per identificare i bisogni più urgenti e avviare i primi interventi di emergenza».

Anche le squadre di Fondazione Cesvi sono immediatamente intervenute per valutare i danni e rispondere ai bisogni urgenti della popolazione. Le zone di Mandalay e Shan State , già interessate da programmi Cesvi di educazione in emergenza e nutrizione a sostegno delle popolazioni sfollate dalla guerra civile, sono tra le più colpite, come ha dichiarato ha dichiarato Stefano Piziali , direttore Generale del Cesvi: “Le nostre squadre di soccorso hanno raggiunto le aree più colpite non lontane da quelle dove operiamo da tempo. Purtroppo, una delle nostre squadre presenti nella zona del sisma ha registrato un ferito , ma fortunatamente gli altri cinque colleghi dati inizialmente per dispersi sono stati ritrovati sani e salvi.

La situazione è estremamente grave: le comunicazioni sono interrotte, ospedali e servizi pubblici risultano tra le infrastrutture più danneggiate , e anche i collegamenti elettrici e telefonici sono compromessi. La nostra priorità ora è verificare se vi siano scuole colpite e bambini in condizioni critiche. Stiamo intervenendo nell’immediato, ma con i partner di Alliance2015 stiamo già pianificando una risposta integrata di medio-lungo periodo”. Per sostenere l’intervento di Cesvi in Myanmar, è possibile effettuare una donazione attraverso il seguente link: donazioni.cesvi.org/terremotomyanmarorg.

Greenpeace: le acque italiane sono contaminate

Il 79% dei campioni di acque potabili analizzati da Greenpeace Italia in 235 città, da nord a sud, comprese le isole, contengono Pfas, secondo l’indagine indipendente ‘Acque senza veleni’, realizzata da Greenpeace: i prelievi sono stati fatti tra settembre e ottobre dello scorso anno e le analisi, realizzate da un laboratorio indipendente e certificato, hanno determinato la presenza di 58 molecole Pfas. In 206 dei 260 campioni è stata trovata almeno una di queste sostanze. Le più diffuse sono il Pfoa, cancerogeno per l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc), il composto a catena ultracorta Tfa e il possibile cancerogeno Pfos.

Le maggiori criticità si registrano quasi dappertutto nel centro-nord ed in Sardegna. Elevati livelli si registrano in Lombardia, in particolare nei campioni prelevati a Milano, in molti comuni del Piemonte (Torino, Novara, alcuni comuni dell’Alessandrino, Bussoleno in Valle di Susa), in Veneto, dove l’inquinamento che deriva dalla ex Miteni di Trissino va anche oltre la ‘zona rossa’ (Arzignano, Vicenza, Padova e Rovigo), in Emilia-Romagna (Ferrara, Comacchio, Reggio Emilia), in Liguria (Genova, Rapallo, Imperia), in Toscana (Arezzo, Lucca, Prato), in Sardegna (Olbia, Sassari e Cagliari) e in Umbria a Perugia.

Al netto del numero differente di campioni analizzati per ogni regione, è possibile avere un’indicazione della diffusione della contaminazione su scala regionale considerando il numero di campioni contaminati rispetto al totale analizzati. Le situazioni più critiche si registrano in Liguria (8 campioni contaminati su 8 analizzati), Trentino-Alto Adige (4/4), Valle d’Aosta (2/2), Veneto (19/20), Emilia-Romagna (18/19), Calabria (12/13), Piemonte (26/29), Sardegna (11/13), Marche (10/12) e Toscana (25/31). Le Regioni in cui si riscontrano meno campioni contaminati sono, nell’ordine: Abruzzo (3/8), l’unica regione con meno della metà dei campioni positivi alla presenza di PFAS, seguita da Sicilia (9/17) e Puglia (7/13).

Il cancerogeno PFOA è risultato il PFAS più diffuso, presente in 121 campioni su 260 (47%), seguito dal composto a catena ultracorta TFA (104 campioni, il 40% del totale) e dal possibile cancerogeno PFOS (58 campioni, il 22% del totale). L’elevata presenza del TFA, considerando la sua persistenza e l’impossibilità di essere rimossa dai più comuni trattamenti di potabilizzazione, rende ancora più grave la mancanza di dati pubblici nel nostro Paese. Molto diffusi risultano anche altri PFAS di più recente introduzione come PFBA e PFBS oltre al 6:2 FTS.

Ad oggi la presenza dei PFAS non è regolamentata nelle acque potabili nazionali e, solo tra un anno, a inizio 2026, entrerà in vigore in Italia la direttiva europea 2020/2184 che impone dei limiti normativi. I parametri di legge fissati a livello comunitario sono però stati superati dalle più recenti evidenze scientifiche e dalle valutazioni di importanti enti (ad esempio EFSA) tant’è che recentemente l’Agenzia europea per l’ambiente (EEA) ha dichiarato i futuri limiti inadeguati a proteggere la salute umana.

Numerose nazioni europee (Danimarca, Paesi Bassi, Germania, Spagna, Svezia e regione belga delle Fiandre) e gli Stati Uniti hanno già adottato limiti più bassi: “In base quindi alle nostre evidenze, in Italia milioni di persone ricevono nelle loro case acqua che in altre nazioni non è considerata sicura per la salute. Confrontando i risultati con i valori vigenti in altri Paese, è emerso, ad esempio, che il 41% dei campioni analizzati supera i parametri danesi e il 22% supera i valori di riferimento negli Stati Uniti.

E’ paradossale che di fronte a prove inconfutabili circa i danni sanitari dei PFAS (alcuni sono noti per essere cancerogeni) e la diffusa contaminazione che interessa le acque potabili italiane il nostro governo continui a non intervenire su questa emergenza, non tutelando efficacemente salute e ambiente. Ancora oggi non esiste nel nostro Paese una legge che vieti l’uso e la produzione dei PFAS. Azzerare questa contaminazione è un imperativo non più rinviabile per governo e parlamento. Il governo Meloni non può continuare a nascondersi dietro un silenzio assordante. La popolazione ha diritto a bere acqua pulita e non contaminata”.

Secondo il report l’Italia non figura tra i Paesi promotori per introdurre un divieto per l’uso e la produzione di queste sostanze a livello comunitario. Inoltre, nel recepire la legge europea che pone dei limiti ai PFAS nelle acque potabili, il governo, a differenza di numerosi altri Paesi europei, non ha scelto di adottare valori limite più restrittivi in grado di proteggere adeguatamente la salute umana. Per questo Greenpeace Italia ha chiesto al governo, ai ministri competenti ed al Parlamento di assumersi le proprie responsabilità, tutelando la collettività e garantendo ad ogni abitante un diritto minimo essenziale: “l’accesso ad acqua pubblica pulita e non contaminata.

Diventa quindi non più rinviabile: varare un provvedimento che vieti l’uso e la produzione di tutti i PFAS in Italia;  rivedere al ribasso i valori limite sulla presenza di PFAS nelle acque potabili, allineando tali riferimenti normativi alle più recenti evidenze scientifiche; garantire a tutta la popolazione l’accesso ad acqua potabile priva di PFAS; fissare per le industrie un valore limite allo scarico di queste sostanze in ogni matrice (acqua, aria, suoli), oltre a limiti restrittivi nei depuratori civili e industriali e nei fanghi; supportare i comparti produttivi nazionali in un piano di riconversione industriale che faccia a meno dei PFAS”.

(Foto: Lavialibera)

Dal Congo un appello per l’emergenza sanitaria

La Repubblica Democratica del Congo, in Africa, è in stato di ‘massima allerta’ sanitaria per una patologia ancora non definita, che ha causato da fine ottobre alcune centinaia di vittime, di contagiati e morti. La malattia misteriosa viene monitorata anche dall’Organizzazione mondiale della Sanità, che è al lavoro con le autorità locali ‘per comprendere la situazione’.

Basandoci sui sintomi e sulle informazioni disponibili, la malattia misteriosa potrebbe essere causata da un’infezione virale, batterica o parassitaria, o potrebbe anche essere legata a cause ambientali o tossiche. Considerando i sintomi riportati (forte mal di testa, tosse, febbre, difficoltà respiratorie e anemia). Nelle zone sanitarie aspettiamo il vaccino che non è ancora arrivato nella nostra terra.

Per il momento stiamo affrontando tempi difficile con questa malattia sconosciuta  ma facciamo sacrifici per dare il meglio di noi per salvare le vite nei villaggi e centro ospedalieri. E’ quindi necessario sviluppare nuovi interventi preventivi e terapeutici per combattere la nuova epidemia.

Ad Haiti l’impegno della Chiesa italiana

Sono momenti estremamente difficili quelli che la popolazione haitiana continua ad affrontare, ora anche a causa dell’aumento dell’instabilità politica. Questa situazione ha fatto precipitare la capitale, Port-au-Prince, in una situazione di grave insicurezza negli ultimi giorni e ha portato allo sfollamento di migliaia di persone dai quartieri poveri e vulnerabili conquistati dalle bande, verso quartieri non ancora colpiti situati nel comune di Delmas e del comune di Pétion-Ville. Lo stato di emergenza è attualmente prorogato fino al 3 aprile.

Le violenze hanno portato a saccheggi, atti di vandalismo e alla chiusura della maggior parte delle istituzioni commerciali, pubbliche e private, e delle strutture sanitarie come l’ospedale Saint François de Salle (ente dell’arcidiocesi di Port-au-Prince). Altre istituzioni sanitarie hanno ridotto drasticamente le loro attività per paura di un attacco e anche per carenza di medicinali, di attrezzature mediche e di personale.

La maggior parte delle scuole pubbliche nei comuni di Port-au-Prince, Tabarre, Cité Soleil, Delmas, Pétion-ville, Croix-des-Bouquets e Carrefour rimane chiusa. Gli sfollati interni non fanno che aumentare dopo le recenti violenze. Alla fine dello scorso anno, erano stati registrati circa 13.000 profughi interni a seguito di situazioni di violenza. Questo numero è salito rapidamente a 15.000, pari a circa 3.200 famiglie, all’inizio del 2024. Oggi gli sfollati sono circa 362.000. La maggior parte di queste persone si trova in 14 rifugi, tra cui tre nuovi allestiti nella municipalità di Port-au-Prince, e presso famiglie ospitanti.

Il fenomeno delle bande giovanili è una forma di comportamento e aggregazione delle generazioni più giovani diffuso in tutte le parti del mondo, secondo modalità e sfaccettature tipiche dei diversi contesti nazionali e socio-culturali. Nel dossier ‘Bande, maras e pandillas. Le gang giovanili, un fenomeno transnazionale’, curato da Caritas Italiana a marzo dello scorso anno, oltre ai dati di statistica pubblica sulle tendenze in atto, sono presentati gli esiti di una indagine sul campo che ha coinvolto 250 giovani: 100 in Guatemala, 100 ad Haiti e 50 in Italia. Alcune storie di vita e interviste realizzate appositamente, con la partecipazione di operatori ed ex membri di gang giovanili, consentono di capire meglio meccanismi di inclusione e funzionamento delle bande.

La gang è spesso una scelta obbligata per sopravvivere alla strada, all’abbandono e alla fame, così come ha raccontato Roberto, un ragazzo haitiano che beneficia dei servizi offerti dal Centro Lakay Lakou, una comunità di accoglienza diretta dai Salesiani, che nella capitale Port-au-Prince riscatta i giovani dalle gang di quartiere: “Mio padre si occupava di tutto, ma non lo vedevo mai a casa, perché lavorava tutto il giorno per mantenere me e i miei fratelli.

Spesso non tornava a casa per giorni e noi rimanevamo soli. Così ho iniziato a frequentare la strada, vivevo come un vagabondo. Quando ero per strada ho incontrato la banda, che si occupava di me e mi dava quello di cui avevo bisogno: cibo, un tetto sopra la testa, ma soprattutto protezione e appartenenza. Con loro mi sentivo accolto. La gang per me è stata una seconda famiglia, anzi, la mia unica famiglia. Ho vissuto per strada tre anni”. E’ arrivato al ‘Centro Don Bosco’, perché aveva sentito che accoglievano ragazzi di strada e che insegnavano un mestiere.

Dopo gli interventi post sisma del 2010 ora la Chiesa italiana “si trova ora di fronte al desiderio di moltiplicare i segni concreti di vicinanza, ma anche alla necessità di valutare bene come poter intervenire in modo efficace in questa nuova emergenza che rende difficile non solo la pianificazione ma anche la realizzazione degli interventi e perfino far arrivare i fondi. Con il rischio che pur essendo a favore dei più poveri diventino oggetto delle mire delle bande armate”.

Negli ultimi 10 anni tramite il Servizio per gli interventi caritativi per lo sviluppo dei popoli, la Chiesa italiana ha sostenuto nell’isola caraibica 70 progetti per quasi € 11.000.000 per rispondere ai bisogni della popolazione attraverso la Chiesa locale, le Congregazioni, i vari Organismi pastorali:

“Si tratta di progetti in risposta a emergenze (in particolare terremoti e uragani) e di sviluppo socio-economico in vari settori: sanità, agricoltura, educazione, formazione. Alcune iniziative hanno anche puntato al rafforzamento del sistema democratico tramite lo sviluppo della capacità istituzionali e di rappresentanza delle reti delle organizzazioni della società civile; la formazione e l’educazione civica, soprattutto con i giovani nelle scuole e nelle parrocchie; le iniziative di sensibilizzazione sul fenomeno della corruzione; il sostegno ai meccanismi di dialogo e concertazione tra potere pubblico e società civile; il coinvolgimento e la mobilitazione delle comunità locali; la partecipazione alla pianificazione e all’implementazione dei programmi di sviluppo; il monitoraggio e la valutazione dell’azione pubblica sulle azioni e sull’utilizzo dei fondi”.

Nel dossier sono ‘ospitate’ alcune testimonianze, tra cui quella di p. Massimo Miraglio, missionario camilliano, che vive da 18 anni a Jeremie, nel Sud Est di Haiti: “Oramai sono mesi che le strade sono bloccate e il poco che arriva ha dei prezzi proibitivi. Anche i trasporti via mare sono fermi. E la maggior parte della popolazione non ha lavoro né i soldi per affrontare questi costi e reperire il minimo indispensabile.

Ci troviamo in una situazione dalla quale non si vede via d’uscita, in cui non ci sono reali alternative politiche decenti che possano guidare questo Paese verso una transizione. La Chiesa sta facendo continui appelli per uscire da questo clima di violenza e c’è una grande preoccupazione per la sofferenza della gente”.

Ed ha raccontato il compito a cui è chiamata la Chiesa: “Bisogna cominciare a pensare al dopo, all’accompagnamento della società verso una transizione alla pace. Ci sono migliaia di giovani armati che devono essere disarmati e che dovranno essere reintrodotti ad una vita normale. Occorre pensare come accompagnare questo Paese verso lo sviluppo, pensare all’educazione, alla sanità. Va bene distribuire sacchi di riso, ma è necessario individuare strategie che aiutino il Paese ad uscire da questo stato di povertà estrema”.

Ha concluso la testimonianza con un messaggio di speranza per il popolo haitiano: “Nella parrocchia in cui sono parroco da agosto del 2023, la gente non ha perso la fede né la speranza, però i fedeli hanno, abbiamo tutti, bisogno di aiuto in questo momento. Dobbiamo unire le forze! C’è tanta gente in gamba ad Haiti, tanti che vogliono risollevarsi e uscire da questa situazione di miseria e di violenza e noi, come Chiesa, abbiamo una grande responsabilità e possiamo sostenere tutte queste forze sane che esistono nel Paese, che lottano e vogliono per Haiti un futuro diverso. Dobbiamo aiutare questa gente a potersi risollevare con le sue gambe e a ritrovare la sua dignità”.

I salesiani raccontano l’emergenza a Goma

“Pochi giorni fa si sono intensificati gli scontri tra l’esercito regolare ed i ribelli dell’M23 nel territorio di Masisi verso Mushaki, Karuba, villaggi sovrastati da alte montagne; altri villaggi, Shasha, Kirotshe, Kihindo, hanno vissuto la stessa situazione. Da mercoledì 7 febbraio 2024 moltissime famiglie si sono trasferite in massa a Minova e a Sake. Ma gli scontri si sono avvicinati, le bombe cadono sulla città, si sente il crepitio di proiettili”: così hanno denunciato le Missioni Don Bosco la situazione umanitaria, che rischia di peggiorare.

I Salesiani, presenti in forza nella regione, continuano a fare il possibile per aiutare i bisognosi, muovendosi su tutti i fronti possibili con Missioni Don Bosco Onlus: “Sake si trova a 27 chilometri dalla città di Goma, nel territorio di Masisi. I leader tradizionali e gli abitanti di questa entità sono profondamente colpiti dalla situazione: più di 3.000 nuclei familiari hanno già abbandonato le loro case e il loro lavoro. Girovagano senza meta, non hanno né acqua né cibo. A causa delle cattive condizioni igieniche, il colera colpisce alcune persone ed è un rischio per tutti”.

Nel racconto i Salesiani hanno evidenziato il caos che si sta creando: “E’ sempre più difficile tenere il conto delle migliaia di persone che continuano a scappare in cerca di un posto sicuro lontano dagli scontri, è la seconda volta che gli sfollati provenienti da Shasha, Kirotshe, Kichonga, Ngungu, Karuba e altre località del territorio di Masisi si aggiungono alle migliaia di altri sfollati che si trovano nei campi della città di Goma. I campi sembrano non avere più spazio sufficiente.

Centinaia di bambini, anziani e giovani si ritrovano in condizioni inaccettabili ai lati della strada alla ricerca di famiglie ospitanti e altri prendono di mira i campi dove hanno la possibilità di essere accolti. I campi di Bushagala, Bulengo e Rusayo sono i più vicini, a seconda delle affinità altri preferiscono viaggiare molto per raggiungere le proprie famiglie in altri campi più lontani da Sake, questi sono i campi di Don Bosco Ngangi e quello di Kanyaruchinya.

Questa situazione si sta delineando proprio nel momento in cui i soldati che sono al fronte stanno lanciano bombe verso Goma, una è caduta sull’aeroporto, un’altra sulla scuola di Nengapeta mentre fortunatamente gli studenti erano già tornati a casa. Altre due sono cascate a pochi metri dall’Università di Goma e al nuovo mercato chiamato ‘Kisoko’ a Mugunga, ai margini dell’Ecole du Cinquantenaire, un’importante scuola tecnica di Goma. Il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha espresso preoccupazione per l’escalation di violenza”.

Il salesiano Pascal Bauma ha testimoniato che sulla strada Sake-Goma ci sono sfollati già da diversi mesi: “Vivevano in quattro siti: Mama Zaina, Mayutsa, Kizimbo e Tshabiringa. Oggi, l’arrivo di nuovi sfollati dai villaggi di Shasha, Kirotshe, Mwambaliro, Buhunga e zone circostanti ha complicato la situazione della sicurezza: tutti sono in stato di vulnerabilità e costretti a fuggire di nuovo.

Molti si sono diretti verso Mugunga, a ovest di Goma. Lungo la strada si vedono bambini, giovani e anziani, seduti, stanchi, non sanno dove andare. Si tratta di un secondo esodo per le stesse persone. A Goma trovano altre migliaia di sfollati che sono scappati da Rutchuru e dalle località del Nord”.

Così i salesiani sono al fianco degli sfollati e continuano a distribuire aiuti di prima necessità, il campo sfollati di Don Bosco-Ngangi attualmente conta più di 3.500 famiglie, quello di Don Bosco Shasha ne ha circa 1.000 famiglie:

“Ai bambini più piccoli viene distribuita una pappa una volta al giorno, oltre al pasto che viene distribuito a tutti, sembra poco, ma significa tantissimo soprattutto per coloro che soffrono di malnutrizione. E’ necessario razionare cibo e acqua per poter aiutare tutti, nonostante sia impossibile prevedere quante altre persone possano raggiungere i campi nei prossimi giorni o mesi”.

Il direttore della comunità salesiana di Shasha, don Kizito Tembo, alcuni giorni fa ha inviato un messaggio ai suoi confratelli: “La situazione si sta infuocando, in breve tempo abbiamo sentito volare proiettili provenienti da tutte le direzioni e il panico ha attanagliato il villaggio. Per evitare di cadere in un’imboscata, ho chiesto a tutti di restare dove erano. E poiché l’assalto è stato improvviso, non siamo riusciti ad evacuare nessuno.

Nella comunità ci siamo chiusi in casa con 6 uomini, 8 donne e 18 bambini. Ci affidiamo alla misericordia divina, abbandonandoci nelle mani della Madonna. Il giorno dopo abbiamo appena trascorso una domenica più o meno tranquilla, a volte disturbata alcuni spari e qualche bomba che proveniva dalle montagne del Kiluku. Vi chiediamo di continuare a pregare per noi, perché ritorni completamente la calma e le persone ritornino alle loro varie attività”.

(Foto: Missioni Don Bosco)

La guerra in Sudan raccontata dalle ‘Missioni Don Bosco’

“Quando due elefanti litigano tutta l’erba viene calpestata: dice un proverbio africano. Nel caso del Sudan i due elefanti sono i due generali al-Burhan e Dagalo e l’erba è l’intero Sudan. ‘I due cretini’ sospira Walid Ahmed, che sta seduto su un letto, guarda in basso, con una mano si tiene la fronte e con l’altra stringe il polso di sua moglie. Quel giorno al mercato del Darfur è andato a fuoco quasi l’intero raccolto di un territorio grande quanto la Francia… Non è una ‘guerra civile’ poiché non nasce da contrapposizioni ideologiche o da contrasti etnici nel popolo sudanese, ma è una violenza che si è scatenata quando il capo delle forze speciali si è reso conto di poter aumentare il suo potere a Karthoum anche a prezzo del sangue”.

Giornata del Rifugiato: superare l’emergenza

“Circa 100.000.000 uomini, donne e bambini, in tutti i continenti, sono costrette a lasciare le proprie case per trovare protezione contro la persecuzione, gli abusi, le violenze. Il senso di umanità e il rispetto per i più alti valori iscritti nella Costituzione repubblicana impongono di non ignorare il loro dramma. Nel celebrare oggi la Giornata Mondiale del Rifugiato è opportuno ribadire che le iniziative di assistenza a queste persone, e in particolare ai rifugiati che si trovano in condizioni di particolare vulnerabilità, devono essere accompagnate dalla ricerca di un’indispensabile e urgentissima soluzione strutturale di lungo periodo”.

Papa Francesco: in Emilia Romagna disastro impressionante

Papa Francesco ha espresso vicinanza per l’alluvione che ha colpito l’Emilia-Romagna con un telegramma inviato al presidente della CEI, card. Matteo Maria Zuppi, assicurando la sua preghiera per le vittime a causa di tale disastro impressionante, che finora ha causato 9 morti e circa 20.000 persone sfollate e ringraziando quanti si stanno adoperando per i soccorsi:

Amref: per 9 italiani su 10 cambiamento climatico è emergenza

9 italiani su 10 concordano sul fatto che il cambiamento climatico sia un’emergenza per la salute globale; mentre 1 italiano su 2 ritiene che prima di tutto bisogna pensare alla ripresa economica, anche se significa intraprendere azioni rischiose per l’ambiente. Inoltre il 49% degli italiani ritiene che sia giusto garantire salute anche ai migranti senza permesso di soggiorno.

Calabria: Terzo Settore ed Azione Cattolica per una sanità che cura

Ci sono 26 obiettivi prioritari  nella la missione affidata dal Governo a Guido Longo, l’ex prefetto di Vibo Valentia e questore di Reggio, nominato commissario per il piano di rientro dal deficit sanitario della Regione Calabria dopo le dimissioni del generale Saverio Cotticelli e una serie di rinunce all’incarico da parte delle persone chiamate a sostituirlo.

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