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Quinta domenica di Quaresima. La nuova legge: misericordia e perdono

Il Vangelo oggi ci presenta un fatto concreto di misericordia e perdono: scribi e farisei presentano a Gesù una donna colta in flagrante adulterio e chiedono: “Signore, Mosè nella legge ci ordina di lapidarla. Tu cosa dici ?”. Gesù aveva sempre parlato di misericordia e perdono: Dio è il Dio della misericordia; è il Padre che abbraccia e perdona il figlio prodigo ed invita il figlio maggiore a fare la stessa cosa. Gesù oggi è chiamato a dare una risposta: dire ‘sì’ oppure ‘no’, è un tranello preparato contro Gesù perché se, conforme alla legge di Mosè, avesse detto ‘lapidatela’, poteva benissimo essere accusato alle autorità romane come sobillatore ( in Palestina solo Roma poteva autorizzare una pena di morte).

Se Gesù avesse detto: ‘No, perdonatela!’, allora dichiaratamente andava contro la legge di Mosè e doveva risponderne davanti al Sinedrio. Scribi e Farisei attendono una risposta da Gesù mentre questi scrive a terra con il dito e la donna sta là, a tremare. Gesù infine dà una risposta: ‘Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra!’ Gesù invita i suoi interlocutori ad un esame di coscienza: i santi di Dio, gli amici veri del Signore è giusto che osservino la legge: chi è santo scagli la pietra.

Quelli (scribi e farisei) buttano la pietra, ed uno ad uno vanno tutti via. Rimane solo Gesù e la donna sempre tremante in mezzo alla strada. Dio ama il suo popolo e non vuole la morte del peccatore ma che si converta a viva. Gesù non è venuto per condannare ma per riconciliare l’uomo con se stesso, con gli altri e con Dio. Per questo agli infelici deportati a Babilonia il profeta Isaia aveva annunciato che Dio non li avrebbe abbandonati; aveva inoltre liberato il popolo ebreo dalla schiavitù dell’Egitto trasferendolo nel deserto e nutrendolo per quaranta anni con la manna sino al trasferimento nella terra promessa: la Palestina.

Al suo popolo Dio aveva dato la legge: ‘Ascolta Israele: amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, il prossimo come te stesso’. Amare è il perdono; il dono più bello è dimenticare tutto, se sei pentito.  Gesù mostra il suo amore con la sua passione, morte in croce e risurrezione. Gesù è venuto ad instaurare la Nuova Alleanza basata sulla misericordia e il perdono; a Gesù preme solo la salvezza dell’uomo; in croce al buon ladrone dirà: oggi sarai con me in paradiso; nell’episodio evangelico gli scribi e i farisei  buttano via la pietra e vanno via;  Gesù vede la donna rimasta sola e tremante e le dice: ‘Dove sono?, nessuno ti ha condannata? Vai e d’ora in poi non peccare più’: cosi trionfa la misericordia e il perdono.

L’episodio oggi è un monito anche per noi: siamo in quaresima, tempo di conversione, è il momento di seppellire l’uomo vecchio per rinascere a vita nuova. E’ necessario rinascere, rinnovarsi ogni giorno: più profondo e vasto è il rinnovamento, più alta è la vitalità. Gesù fa appello alla coscienza; è pronto sempre a perdonare e ci apre la via nuova per andare avanti. Il perdono mentre ci riconcilia con Dio, ci dona la pace interiore e una spinta sempre avanti. Il Vangelo colpisce sempre le nostre abitudini: siamo sempre facili a vedere il male degli altri, riflettiamo poco sulla nostra vita quotidiana.

Tutti parliamo sempre di giustizia, ma la giustizia per la giustizia non ha senso; è necessario punire chi sbaglia ma la nostra condizione di uomini esige una condotta amorevole  anche verso chi sbaglia; l’episodio del Vangelo è assai eloquente; la giustizia deve avere sempre un valore terapeutico: deve guarire e salvare dove e quando si può salvare.

L’amore, il perdono, la misericordia devono sempre trionfare. Il profeta Isaia evidenzia che Dio vuole sempre aprire nel deserto una via: la via del perdono e della misericordia e il Signore immette in questa via quanti si avvicinano a Lui. Imploriamo dalla SS. Vergine, madre di Gesù e nostra: ‘Rivolgi a noi, Madre, gli occhi tuoi misericordiosi’.   

A Brescia il premio letterario ‘Carlo Castelli’

La casa circondariale ‘Canton Mombello’ di Brescia si prepara ad accogliere la nuova edizione del Premio Letterario ‘Carlo Castelli’, un concorso unico, dedicato ai detenuti degli Istituti penitenziari italiani, inclusi i minorili. La partecipazione è aperta a cittadini italiani e stranieri, senza limiti di età, condannati almeno con sentenza di primo grado.

L’evento, organizzato dalla Federazione Nazionale Italiana Società di San Vincenzo De Paoli ODV, Settore Carcere e Devianza, ruota intorno a un tema potente e attuale: ‘Mi specchio e (non) mi riconosco: non sono e non sarò il mio reato’. Una riflessione che invita a distinguere la persona detenuta dal reato commesso, aprendo alla speranza di cambiamento e reintegrazione.

Un tema, quello della speranza, che occupa un posto centrale nel carisma della Società di San Vincenzo De Paoli e ritroviamo anche nel motto riportato sotto il logo: ‘Serviens in spe’, al servizio nella speranza.

Ma la speranza è anche la protagonista del Giubileo 2025. Papa Francesco, con la sua bolla ‘Spes non confundit’, sottolinea la forza della speranza nel pensiero cristiano. Una virtù che il Pontefice vuole stendere sulle ferite di un’umanità debole, fra i quali cita per primi proprio i ristretti, per ‘vivere e non sopravvivere’, per ‘recuperare la fiducia in sé stessi’.

E verso un orizzonte di speranza è orientato l’operato del Settore Carcere e Devianza della Federazione Nazionale Società di San Vincenzo De Paoli ODV che indirizzerà il lavoro da un lato ad azioni concrete all’interno delle carceri, dall’altro a stimolare l’autoriflessione dei reclusi attraverso il Premio Letterario Castelli.

Nell’edizione 2025 si parlerà di coscienza, miglioramento, umanità. Temi che apriranno un percorso indirizzato ad aiutare il ristretto a riconoscere l’errore ma anche a capire che ogni persona merita un futuro, dentro o fuori dal carcere.

Il Premio ‘Carlo Castelli’ si articolerà nelle sezioni narrativa (saggio breve, racconto, lettera, riflessione), scrittura autobiografica (testo autoriflessivo e introspettivo), poesia, opere multimediali (CD-rom/DVD) realizzate in carcere.

Il concorso letterario offre ai detenuti l’opportunità di raccontarsi, riflettere e sperare attraverso la scrittura, ma anche di fare del bene. I primi tre classificati saranno considerati a parimerito e riceveranno tre premi di uguale importo. Oltre ai premi in denaro per i primi tre vincitori, una seconda somma sarà destinata a progetti di reinserimento sociale. L’obiettivo è contribuire a costruire una nuova strada per chi desidera ripartire.

Il concorso, dedicato alla memoria di Carlo Castelli, figura di spicco del volontariato vincenziano e promotore della Legge Gozzini, diventa un mezzo per costruire un futuro condiviso, sottolineando l’importanza del sostegno reciproco, anche in contesti difficili come il carcere.

Il Premio ‘Carlo Castelli’ ha ottenuto il patrocinio di Camera, Senato e Ministero della Giustizia, ed è stato insignito della medaglia del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. I media partner includono il Pontificio Dicastero per la Comunicazione, TV2000, Radio InBlu, e UCSI.

I racconti premiati, insieme ad altri dieci segnalati dalla Giuria, saranno raccolti in un’antologia che verrà distribuita a tutti i presenti nel corso degli eventi e allegata alla rivista della Federazione Nazionale, ‘Le Conferenze di Ozanam’, pubblicazione che raggiunge oltre 13.600 tra soci e volontari in tutta Italia.

Il Settore Carcere e Devianza, quest’anno sotto la guida della nuova responsabile, Antonella Caldart, è da sempre impegnato nella formazione dei volontari penitenziari e alla realizzazione di attività rivolte ai detenuti e alle loro famiglie, anche collaborando con altre associazioni presenti sul territorio.

Mons. Delpini: non dimenticare l’eredità di sant’Ambrogio

“Come sarà quel giorno in cui si troveranno vicini chi ha bussato alle porte d’Italia e d’Europa e chi ha chiuso la porta; chi ha chiesto di lavorare, di rendersi utile senza morire di fame e di guerra e si è sentito dire: qui non puoi entrare perché non mi fido di te, perché ho paura, vai pure a morire altrove?… Come sarà quel giorno in cui nella luce di Cristo risorto si troveranno vicini l’assassino e la sua vittima, chi ha bombardato e chi è morto sotto i bombardamenti, chi ha subito violenza e chi ha commesso violenza? Signore che cosa sarà quel giorno?”: è stato un monito severo quello che l’arcivescovo di Milano, mons. Mario Delpini, ha rivolto ai fedeli che hanno gremito la basilica di sant’Ambrogio per il pontificale nella solennità del santo vescovo della città di Milano e della regione Lombardia.

L’arcivescovo ambrosiano ha comunque sottolineato che tale monito deve rendere anche saggi: “Possiamo ancora accogliere la rivelazione del grande mistero affidato all’apostolo Paolo e predicato a tutte le genti: che le genti sono chiamate, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo, a essere partecipi della stessa promessa, per mezzo del Vangelo. Siamo in tempo per convertirci”.

E’ stato un invito a riscoprire il pensiero di sant’Ambrogio: “Sant’Ambrogio amò intensamente i poveri e i prigionieri, per i quali donò tutto l’oro e l’argento che possedeva. Sant’Ambrogio accolse nella Chiesa Agostino, l’illustre intellettuale di origine africana, che proprio a Milano ha portato a compimento il suo cammino di conversione e ha ricevuto il battesimo”.

Ecco la nuova visione, sempre attuale, di sant’Ambrogio: “Sant’Ambrogio aveva una visione del mondo e dei popoli ispirata dalla universalità cattolica e dalla visione politica dell’impero romano. L’impero romano è finito da un pezzo, ma la coscienza della vocazione alla fraternità universale è irrinunciabile per la coscienza cattolica”.

E’ stato un richiamo a non dimenticare l’eredità del santo vescovo ambrosiano: “Per essere degni dell’eredità di Ambrogio noi siamo chiamati a condividere questa visione cattolica. La radice del nostro desiderio di costruire una comunità unita nella fede e nella carità ha la sua radice e la sua forza nel desiderio di Gesù: ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge e un solo pastore.

La fraternità universale in cui tutti sono accolti non è una confusione indistinta, ma un superamento della separazione tra le genti che genera la contrapposizione, i nazionalismi e infine persino le guerre (così insegna Paolo nella lettera agli Efesini). Occorre resistere alla divisione che contrappone i fratelli, i popoli. ‘Attenzione al lupo’: c’è un nemico che insidia il gregge, rapisce le pecore e le disperde. La rovina è la divisione, che si conclude con l’essere schiavi di padrone, invece che abitare nella casa della libertà”.

Quindi la fraternità è solidarietà, che pone interrogativi: “La fraternità universale in cui tutti sono accolti, e hanno tutto in comune, non è una forma di comunismo, ma una pratica della solidarietà in cui i ricchi non sono troppo ricchi ed i poveri non sono troppo poveri. Come sarà quel giorno? Come incroceremo lo sguardo degli altri? Come incroceremo lo sguardo di Gesù?”

Anche nel ‘discorso alla città’ mons. Delpini ha invitato a lasciare ‘riposare la terra. Il Giubileo 2025, tempo propizio per una società amica del futuro’, perché la gente è stanca: “La gente non è stanca della vita, perché la vita è un dono di Dio che continua a essere motivo di stupore e di gratitudine. La gente è stanca di una vita senza senso, che è interpretata come un ineluttabile andare verso la morte. E’ stanca di una previsione di futuro che non lascia speranza. E’ stanca di una vita appiattita sulla terra, tra le cose ridotte a oggetti, nei rapporti ridotti a esperimenti precari. E’ stanca perché è stata derubata dell’ ‘oltre’ che dà senso al presente, sostanza al desiderio, significato al futuro”.

Ed invita ad una riflessione sul valore del lavoro: “La stanchezza della gente non è per la fatica del lavoro, perché la gente lavora con passione e serietà, impegna le sue forze, le sue risorse intellettuali, le sue competenze. Lavora bene ed è fiera del lavoro ben fatto. La gente è stanca di un lavoro che non basta per vivere, di un lavoro che impone orari e spostamenti esasperanti. La gente è stanca degli incidenti sul lavoro. La gente è stanca di constatare che i giovani non trovano lavoro e le pretese del lavoro sono frustranti. La gente è stanca della burocrazia, dell’ossessione dei controlli che tratta ogni cittadino come un soggetto da vigilare, piuttosto che come una persona da coinvolgere nella responsabilità per il bene comune”.

Ed ecco la ‘novità’ del Giubileo:  “Non vogliamo e non possiamo, infatti, sottrarci al compito di interpretare e affrontare la crisi antropologica che travaglia la nostra società. Siamo chiamati a comporre le tensioni che sembrano inconciliabili: sviluppo contro sostenibilità, crisi ambientale contro crisi sociale, dimensione globale contro quella locale. Occorre un punto di vista più alto, di tipo culturale e spirituale, capace di abbracciare i vari aspetti che sono contemporaneamente in gioco. Ciò sarà possibile operando tutti insieme attraverso uno sguardo ‘contemplativo’, l’unico in grado di imprimere alla realtà umana, sociale, politica ed economica una direzione che componga aspetti vitali che da soli si presentano in termini conflittuali”.

Il Giubileo è un’occasione per riscoprire il ‘principio sabbatico’: “Il Giubileo, che si sta per aprire, deve essere un’occasione per prestare ascolto al grido di sofferenza che si leva dai popoli e dalla terra. Il Giubileo che il papa ha indetto per l’anno 2025 è un’attuazione storica del ‘principio sabbatico’: se Dio ha sentito l’esigenza di riposare, così occorre lasciare anche agli esseri umani e alla terra la possibilità di farlo.

Il ‘principio sabbatico’ custodisce il mistero del cosmo come dono di benevolenza e creatività. Senza il rispetto di tale principio, non solo non c’è più festa, ma viene a esaurirsi lo spazio dello spirito umano: la stanchezza non trova sollievo, l’umano affaticato non vive le condizioni per una ri-creazione. Il riposo è essenziale agli uomini come alla terra”.

Nel giubileo risiede il significato del riposo: “Lasciare riposare la terra non significa scegliere di assentarsi dalla storia o immaginare un periodo di semplice inerzia. Al contrario, si tratta di un esercizio fortemente attivo: chiede di raccogliere tutte le energie per evitare di continuare a fare quello che si è sempre fatto e riuscire a sospendere le abituali azioni per ascoltare e cogliere il grido di aiuto che si eleva dalla terra”.

In questo senso si può ancora sperare, in quanto nasce dalla responsabilità: “La speranza nasce anche grazie alla (e in conseguenza della) assunzione di responsabilità individuali e collettive. Significa lasciarci guidare da Dio, nel leggere e accogliere tutte le grida e le domande di riparazione che la terra mal coltivata e sfruttata eleva ogni giorno, dentro le nostre vite”.

E’ una benedizione anche per il popolo: “E benedico la gente. Benedetti tutti voi abitanti di questa terra che portate il peso della vita con la dignità operosa di chi fa fronte, di chi ha fiducia nelle istituzioni e con realismo pretende quello che è dovuto perché la stanchezza non esasperi gli animi, non opprima i fragili, non condanni i poveri.

Benedico voi che siete disponibili a portare i pesi gli uni degli altri e vi dedicate ad alimentare la speranza, a praticare una solidarietà senza discriminazioni, perché tutti possano affaticarsi nell’edificare la società e tutti possano trovare ristoro e riposo in questo nostro convivere… Che siate tutti benedetti, voi che vi prendete cura della stanchezza della gente, della città, della terra e cercate come offrire riposo nell’anno del Giubileo e in ogni anno a venire. E riposate un po’ anche voi!”

(Foto: Diocesi di Milano)

A Verona il concorso letterario ‘Carlo Castelli’

Si è tenuta venerdì 4 ottobre, a Verona presso la Casa Circondariale di Montorio, la cerimonia di premiazione della XVII Edizione del Premio ‘Carlo Castelli’, un prestigioso concorso letterario dedicato ai detenuti delle carceri italiane, evento organizzato e promosso dal Settore Carcere e Devianza della Federazione Nazionale Italiana Società di San Vincenzo De Paoli ODV, con il patrocinio di Camera, Senato, Ministero della Giustizia e con il riconoscimento della medaglia del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

L’appuntamento coinvolge detenuti provenienti da penitenziari di tutta Italia, offrendo loro un’opportunità unica di esprimersi attraverso la scrittura. Ogni anno, un carcere o un Istituto Penitenziario Minorile (IPM) viene scelto come sede della cerimonia, durante la quale sono letti e premiati i racconti selezionati da un’apposita giuria.

Il tema di quest’anno, intitolato ‘Perché? – Ti scrivo perché ho scoperto che c’è ancora un domani’ invita a riflettere sul valore della speranza e sul riscatto possibile, come ha affermato Paola Da Ros, presidente della federazione nazionale ‘Società di San Vincenzo De Paoli’: “La speranza è un bene prezioso, una luce che accompagna e sostiene, soprattutto nei momenti più difficili. E in questo luogo, dove la libertà è limitata, il nostro desiderio è che nessuno perda mai questa luce…

Il Premio Carlo Castelli non si limita a offrire uno spazio di riflessione e espressione per i detenuti, ma prosegue nel tempo, grazie ai progetti di reinserimento sociale sviluppati in collaborazione con le istituzioni. Con il contributo in denaro che eroghiamo per ciascuno dei tre premi oltre alla somma che spetta al vincitore, ogni anno realizziamo tre progetti.

Il primo premio di questa edizione finanzierà un importante progetto di reinserimento nel mondo del lavoro per i ristretti del carcere di Brescia che hanno finito di scontare la loro pena; il secondo aiuterà i giovani dell’Istituto per Minori di Catania, il terzo premio andrà a favore delle attività dell’Ufficio Distrettuale di Esecuzione Penale Esterna di Pisa”.

Al termine dell’incontro tre detenuti hanno testimoniato il cambiamento avuto nel tempo di reclusione grazie al sostegno dei volontari e alle attività rieducative organizzate nel carcere di Verona Montorio. Tra di loro c’è anche chi ha composto dei brani e, chitarra in mano, ha deliziato i presenti. Non sono mancati momenti di commozione e di gioia anche per chi rende possibile il funzionamento di questa complessa struttura. Un particolare ringraziamento va alla direttrice, dott.ssa Francesca Gioieni, agli educatori, al corpo della polizia penitenziaria e a tutto il personale. 

I racconti vincitori della XVI Edizione del Premio Carlo Castelli sono stati:

Primo Classificato: ‘Sì, c’è ancora un domani’ racconta il grido di una coscienza che, nel lento trascorrere del tempo, si interroga, medita, riflette, soffre, al cuore bussa la colpa per quanto compiuto, si eleva e guarda alla propria e altrui vita con occhi nuovi. Occhi di speranza perché “Tutti hanno il diritto di avere una seconda possibilità”. Occhi privi di ogni forma di giudizio e condanna, perché, come afferma l’autore “Anche il più specchiato e morigerato potrebbe incappare in un errore fatale”. Occhi volti al bene, capaci di vedere dietro i gesti quotidiani del personale di sorveglianza “Uomini che fanno il loro lavoro con dedizione, con impegno e professionalità lasciando ampio spazio anche a doti di innata umanità”.

Secondo Classificato: ‘Acque tempestose’ descrive la rinascita di chi, grazie alle acque turbolente vissute nella cella di un penitenziario, ha riconquistato lentamente la propria umanità soffocata per anni da una terribile avidità. Un male che lo ha condotto sino in carcere: “Mi sono macchiato di un reato finanziario. Sono stato soverchiato dai miei demoni. Demoni interiori che mi hanno reso avido di potere, che mi hanno reso diverso, cinico, che mi hanno tolto il meglio di me stesso”, scrive l’autore. Oggi Giovanni, forte delle sue nuove consapevolezze, può ricominciare a guardare al futuro con speranza, a “fare programmi e quando oggi mi si chiede “come ti vedi fra cinque anni?” so bene cosa rispondere”.

Terzo Classificato: ‘Cecità’ è la storia di chi vuole aprire gli occhi a una nuova vita dopo il lungo periodo trascorso in carcere. È la storia di chi vuole continuare a crederci, “Non è mai troppo tardi per essere un uomo migliore e credere nel Domani che verrà”, scrive l’autore. È il racconto di chi vuole tornare a onorare un padre che non c’è più e che, dal buio della sua cecità fisica, ha sempre saputo infondergli amore cogliendo ogni sfumatura del suo cuore. È la storia di chi vuole iniziare a camminare, riappropriandosi dei valori ricevuti sin da piccolo. È la storia di chi vuole “tornare a vederci davvero” ponendosi sotto la potente protezione di Santa Lucia.

La XVII Edizione del Premio letterario Carlo Castelli ha riaffermato il potere della scrittura come uno strumento fondamentale per i detenuti, un ponte tra il loro mondo interno e l’esterno. Sabato 5 ottobre nel Teatro Nuovo di San Michele a Verona si è concluso l’incontro: ‘Dialogo in punta di cuore’ con toccanti testimonianze di alcuni ristretti. Sì è affrontato il tema della Giustizia riparativa e del reinserimento dei detenuti nel mondo del lavoro, con il coinvolgimento della società civile.

La Dott.ssa Stefania Zambelli, assistente sociale e responsabile ‘Area Misure e Sanzioni di Comunità UDEPE’ di Verona, ha illustrato i nuovi percorsi di Giustizia Riparativa sottolineando l’importanza di mettere in contatto le vittime con i colpevoli accompagnandoli con percorsi di avvicinamento.

Tra gli ospiti della mattina, il professor Sergio Premoli, psicanalista e formatore, che ha invitato a non confondere mai l’uomo con il reato commesso.  Un’attenzione particolare è stata dedicata ai sentimenti delle vittime e dei loro famigliari, e si è ragionato su come aiutarli a gestire il dolore e ad avvicinarsi, dove possibile, ad una dimensione di perdono.

Don Paolo dal Fior ha portato il suo vissuto di cappellano del Carcere di Verona Montorio e ha raccontato episodi di straordinaria umanità registrati nella casa circondariale. Alto il coinvolgimento del pubblico che ha gremito il teatro ed ha partecipato attivamente con interventi e domande da cui è emersa la forte la consapevolezza che l’aiuto non deve limitarsi ad un sostegno materiale, ma deve arrivare dritto dal cuore. Come di consueto al termine della manifestazione è avvenuto il passaggio del testimone: l’edizione numero XVIII si celebrerà nella Casa Circondariale di Brescia – Canton Mombello nell’ ottobre 2025.

(Foto: Società San Vincenzo de’ Paoli)

I crimini del silenzio di fronte all’ingiustizia degli oppressi

Dice il proverbio arabo: Chi tace dinanzi all’ingiustizia è un diavolo muto. Il diavolo taciturno è il peggior tipo di demone, perché il silenzio di fronte all’ingiustizia, all’abuso e all’oppressione è una partecipazione passiva che contribuisce alla continuazione della situazione, perfino alla sua giustificazione, e spesso la esacerba e peggiora. Il silenzio di fronte a situazioni ingiuste spinge gli oppressori a persistere, li incoraggia a mantenere le loro posizioni sbagliate e in molti casi li spinge a giustificare a sé stessi quelle posizioni vergognose, fino a considerare le loro ingiustizie motivo di orgoglio e di vanto.

Mentre, dire la verità, costi quel che costi e qualunque siano i risultati, è una delle caratteristiche delle persone nobili, giuste e dotate di principi, morali e valoriali, ed è l’unica via di chi sceglie la strada della fede, dell’umanità, dell’integrità e della rettitudine morale.

Infatti, esistono diversi tipi di persone: il primo tipo è quello di coloro che dicono la verità per vantarsi e per sentirsi migliori degli altri e, così facendo, esprimono solo la loro arroganza e la nauseante sensazione di essere migliori degli altri e di avere il diritto di condannarli e giudicarli. Qui Gesù Cristo gli dice: ‘Con la stessa misura con la quale misurate, sarete misurati anche voi’ (Mc 4, 24). Cristo mette in guardia contro questo tipo di persone che condannano gli altri che si vantano e si arrampicano sulle spalle degli altri con il pretesto di ‘dire la verità’, non ‘per amore della verità’.

Il secondo tipo è quello di coloro che tacciono di fronte all’ingiustizia degli altri e li giustificano dicendo che non vogliono condannare nessuno, dimostrando così la loro paura e codardia. Nascondono la testa nella sabbia come se nulla fosse successo. Questo tipo di persone spesso tacciono quando si tratta di dire la verità davanti ai potenti e alle persone influenti per paura della loro vendetta e per ottenere il loro compiacimento e approvazione e per evitare la loro malvagità.

Queste persone spesso si comportano come Ponzio Pilato, che si lava le mani di fronte all’ingiustizia dell’Innocente, credendo così di essersi esonerato dalla responsabilità nonostante abbia detto: ‘Non sai che ho il potere di metterti in libertà e il potere di metterti in croce?’ (Gv 19,10). Questo tipo di ipocrisia è il tipo più spregevole di evasione dalle responsabilità, è di facciata, di giustificazione e persino di vanto che arriva sino a sfruttare i versetti della Bibbia per giustificare un silenzio vergognoso ed evitare di prendere posizione o dire la verità.

Il terzo tipo è di quelli che restano in silenzio fino a quando la tempesta non è passata e appena raggiungono la certezza dei risultati gridano come se fossero i più valorosi dei cavalieri. E’ un tipo di essere umano caratterizzato da opportunismo, meschinità spirituale e umana. Scelgono di tacere finché non sono certi dei risultati e appena appare la ‘visione’ il troviamo tra i primi a congratularsi con il vincitore e consolare il perdente. Commerciano anche nel dolore, versano lacrime di finzione e simulano di essere compassionevoli e generosi, ma in realtà pensano solo a sé stessi e ai loro guadagni, esprimendo così la bassezza e la fragilità dei loro principi e della loro vita morale.

Il quarto tipo è di quelli che credono di adottare la moderazione come approccio e si vantano di parlare diplomaticamente per non ferire nessuno, ma in realtà sono come camaleonti che cambiano colore a seconda delle circostanze cosicché nessuno possa scoprire il loro vero colore. Agiscano con tatto ed educazione per sostenere il loro cambio di posizione secondo le circostanze, dimenticando che Gesù Cristo ci insegna: ‘Siano le vostre parole sì, sì, no, no. E tutto il resto viene dal male’ (Mt 5:37). Il tatto è necessario quando si tratta di cortesia umana, non quando si tratta di dire la verità contro l’ingiustizia e a favore degli oppressori e di rendere giustizia agli oppressi.

Il quinto tipo è di coloro che dicono la verità basandosi sulla convinzione della necessità di essere coraggiosi e di non tradire i propri principi e valori, costi quel che costi. Questo tipo di esseri umani sono come le perle preziose: non mutano colore, non cambiano le loro parole secondo la grandezza di chi hanno davanti, ma secondo l’autenticità della loro fede, della loro storia, della loro alta morale.

Esprimono le loro opinioni sia davanti ai governanti sia davanti agli oppressi. Sono come il profeta Natan che si presentò davanti al re Davide, affrontandolo, dicendogli: ‘Tu sei quell’uomo! Così dice il Signore, Dio d’Israele: Io ti ho unto re d’Israele e ti ho liberato dalle mani di Saul, ti ho dato la casa del tuo padrone ….. e, se questo fosse troppo poco, io vi avrei aggiunto anche altro’ (2 Sam 12, 7-9).

Questo tipo di persone sanno che dire la verità è un dovere religioso, morale e umano. Ci insegnano che dire la verità deve essere fatto con educazione, rispetto e tatto, ma resta un dovere morale e di fede, in primis, soprattutto di fronte a comportamenti sbagliati, indipendentemente dalla posizione o dal rango civile o ecclesiastico delle persone ingiuste.

Oggi abbiamo tanto bisogno di uomini di questo tipo che non temono altro che il volto di Dio e il suo giusto giudizio. Uomini che dicono: basta con il silenzio, la sottomissione e la codardia. Uomini che urlano contro le rovine delle nostre coscienze mummificate per risvegliarle dalla morte e dal marciume.

Uomini con un cuore coraggioso, una lingua parlante, una coscienza pura, una storia onorevole e cuore puro. Uomini che non calcolano le cose secondo gli standard di questo mondo e l’equilibrio tra vincitori e vinti, ma piuttosto agiscono con valore e audacia. Uomini che scuotono coscienze vergognose, lingue mute, occhi ciechi e orecchie chiuse, cuori pietrificati e menti logore. Uomini che tracciano un percorso nell’oscurità, capaci di accendere la speranza. Gesù disse: ‘Conoscerete la verità, e la verità vi farà liberi’ (Gv 8, 32).

Hiroshima e Nagasaki: l’incubo dell’atomica e la libertà di coscienza

Nei giorni scorsi a Hiroshima, città giapponese che ha subito il bombardamento atomico da parte degli Stati Uniti nel 1945, si è svolta la consueta cerimonia di commemorazione in occasione del 78^ anniversario dello sgancio dell’ordigno nucleare.

Don Lorenzo Milani nel racconto di Mario Lancisi

Sabato 27 maggio a Barbiana si è svolta l’apertura ufficiale del centenario della nascita di don Lorenzo Milani (Firenze, 27 maggio 1923-Firenze, 26 giugno 1967), con la partecipazione del Presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella. In tale occasione Mario Lancisi ha pubblicato ‘Don Milani. Vita di un profeta disobbediente’, la prima biografia ragionata e aggiornata del sacerdote fiorentino.

A Rondine la scuola restituita a 9 ex alunni ebrei, vittime delle Leggi razziali del 1938

Un primo giorno di scuola straordinario e di grande emozione quello che si è svolto oggi a Rondine Cittadella della Pace. Gli ex alunni ebrei espulsi da scuola nel 1938 a seguito delle Leggi Razziali sono tornati sui banchi al fianco degli alunni del Quarto Anno Rondine, studenti di tutta Italia che hanno scelto di frequentare nella Cittadella della Pace la quarta liceo. Esattamente 84 anni da quel 5 settembre per loro è tornata a suonare la campanella per un’ora di lezione straordinaria, un gesto simbolico come esprime il titolo dell’evento ‘La Scuola Restituita’ realizzata da Rondine Cittadella della Pace in collaborazione con l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane. 

Al Meeting di Rimini una mostra racconta la vita nei lager

Al Meeting dell’Amicizia tra i popoli, in svolgimento a Rimini, lo spazio dedicato alle mostre è sempre stato ben curato e ben documentato; per questo richiama l’interesse dei visitatori. E tra le mostre allestite quest’anno, quella da non perdere racconta storie di persone che hanno trascorso parte della vita nei lager senza perdere la dignità: ‘Uomini nonostante tutto. Storie da Memorial’, curata dalla Fondazione Russia Cristiana e dall’Associazione Memorial.

Mons. Crociata: Maria Goretti esempio educativo

Più di un secolo fa santa Maria Goretti veniva uccisa il 6 luglio 1902 per aver resistito a un tentativo di violenza, ed ogni anno presenta un nuovo tratto di attualità, come ha spiegato il vescovo di Latina- Terracina-Sezze-Priverno, mons. Mariano Crociata, ricordando che di fronte a tali gesti c’è una carenza educativa nell’aggressore:

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