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Sant’Omobono ai cremonesi: un invito alla preghiera ed alla pace
“Carissimo Papa Francesco, ti scrivo insieme a tutta la Chiesa di Cremona, di cui da più di otto secoli sono il Patrono, ossia un suo figlio che in cielo continua ad amare tanto la sua gente. Mi chiamo Omobono Tucenghi, laico, sposo e padre, sarto e mercante di stoffe, sono vissuto nel XII secolo, e dicono che abbia illuminato questa terra con la mia fede, accesa da una preghiera incessante e testimoniata nella carità verso i poveri, oltre a spendermi per ricostruire la pace tra le fazioni che dividevano e insanguinavano la nostra comunità”.
Recuperando un altro tratto divenuto ormai tradizione per il solenne Pontificale per la festa del Santo patrono, nell’omelia il vescovo di Cremona, mons. Antonio Napolioni, ha proposto ai fedeli una riflessione raccolta nella forma di una lettera scritta in prima persona dal Santo, ringraziando per quanto il suo magistero incontri i tratti della sua vita terrena, della vicenda storica e della spiritualità del patrono di Cremona, modello di una santità ‘in uscita’:
“Preghiera, poveri e pace: queste erano le passioni maturate giorno dopo giorno nel mio umile cuore di uomo concreto della piccola borghesia cremonese. Mi fa impressione che poi, nei secoli, sia cresciuta dietro di me una comunità che ha imparato ad ideare e attuare tante iniziative di solidarietà, forme di prossimità, che ancora oggi colpiscono e impegnano”.
Ed ha apprezzato il papa per l’impegno verso i poveri, meditando i brani biblici: “Tu, papa Francesco, anche se vieni da un altro continente, conosci l’operosa generosità della gente di Lombardia. E mi colpisce che tu oggi chieda a tutti di fare un passo in più, quello di ‘fare nostra la preghiera dei poveri e pregare insieme a loro… che hanno un posto privilegiato nel cuore di Dio’…
Io imparai a vivere proprio così: meditavo la legge del Signore giorno e notte, alzandomi nel cuore della notte per lodarlo, pregavo incessantemente… arrivavo in chiesa molto tempo prima della celebrazione delle Ore, a meno che non fossi trattenuto dall’esigenza di riportare la pace in città o di procurare elemosine per i poveri. E a volte trovavo le porte della chiesa spalancate (anche se nessuno era ancora sceso ad aprirle): quella chiesa dalle porte aperte che anche a te piace tanto!”
Inoltre ha ‘elogiato’ il papa per aver ricordato che la povertà è anche spirituale: “Tu ci ricordi che i poveri non hanno bisogno solo di beni materiali essenziali, ma anche di attenzione spirituale, e aggiungi che “tutto questo richiede un cuore umile, che abbia il coraggio di diventare mendicante, un cuore pronto a riconoscersi povero o bisognoso… perché il vero povero è l’umile, che non ha nulla da vantare e nulla pretende, sa di non poter contare su sé stesso, ma crede fermamente di potersi appellare all’amore misericordioso di Dio… il povero, non avendo nulla a cui appoggiarsi, riceve forza da Dio e in Lui pone tutta la sua fiducia. Infatti, l’umiltà genera la fiducia che Dio non ci abbandonerà mai e non ci lascerà senza risposta”.
Questo è un ritratto di un innamorato di Dio: “Senza saperlo, hai fatto il ritratto di un uomo innamorato di Dio, quale sentivo di essere: digiunavo, confessavo ogni settimana le mie colpe, preso da tanta preghiera in chiesa e fuori di chiesa, camminando, vegliando o dormendo! Durante la Messa mi prostravo a terra davanti alla Croce, e sempre durante l’Eucaristia quel 13 novembre spirai, al canto del Gloria, restando a terra in preghiera, come fossi ancora vivo”.
Una sollecitazione particolare è stata posta sul valore della preghiera: “Sono stato felice di vedere quest’anno, nel mese di ottobre, ogni martedì, tanti credenti della nostra città riuniti qui, in cattedrale, per un itinerario di preghiera ‘alla scuola di Maria’, come tu hai proposto loro in preparazione al prossimo Giubileo. E’ stato bello sentirli uniti, nell’adorazione e nella lode, nell’intercessione e nella supplica, cantando le parole e i sentimenti della fede in Cristo Signore. Ed il mio povero corpo era lì, sotto i loro piedi, nella cripta da dove cerco sempre di chiamarli alla mia stessa passione per la preghiera, per i poveri, per la pace”.
E la preghiera non deve essere disgiunta dalla responsabilità: “Guai a noi illuderci di avere ‘imparato a pregare’ solo in base all’emozione di qualche canto o alla cura delle nostre cerimonie! Ieri donne e uomini come me e tanti altri amici del Signore, e oggi come te papa Francesco, ci sentiamo spinti a uscire, ad andare (pregando incessantemente, nel cuore) incontro agli altri, agli emarginati e agli ultimi, alle tante storie di solitudine che si nascondono nelle case e nelle periferie, al disagio di piccoli e grandi che urla, disturba e invoca vero ascolto e concreti gesti di amore”.
Infine un pensiero per la pace: “Ma non basta chiederlo al cielo, tocca a tutti voi, farlo, subito, ovunque… per invertire la drammatica corsa all’odio, alle armi, alle guerre, che entra come un sottile veleno anche nelle vostre anime, vi fa dire parole come pietre, e compiere solo per paura scelte di cui dovrete amaramente pentirvi.
Tu, papa Francesco, indichi un metodo di vita diverso, costruttivo e rigenerante, semplice e praticabile da tutti: ’non dimentichiamo di custodire i piccoli particolari dell’amore: fermarsi, avvicinarsi, dare un po’ di attenzione, un sorriso, una carezza, una parola di conforto’. I miei figli e fratelli della Chiesa di Cremona ti promettono di provarci ancora, ne sono sicuro. Ed io, che benigno proteggo Cremona da secoli, saprò ancora ispirare cristiani e cittadini così, attenti a rammendare le relazioni, a tessere l’armonia delle diversità, a pregare e lavorare per la giustizia e la pace”.
P. Aucone e la ‘risorsa’ san Tommaso d’Aquino
Quest’anno ricorrono 750 anni dalla morte, mentre nel 2025 800 anni dalla nascita; e nello scorso anno 700 anni della canonizzazione di san Tommaso d’Aquino, che a distanza di secoli ha ancora molto da dire all’uomo contemporaneo. Per questo papa Francesco, nel luglio dello scorso anno aveva inviato una lettera ai vescovi di Latina-Terracina-Sezze-Priverno, mons. Mariano Crociata, di Sora-Cassino-Aquino-Pontecorvo, mons. Gerardo Antonazzo, e di Frosinone-Veroli- Ferentino, mons. Ambrogio Spreafico, sottolineando che l’eredità di san Tommaso d’Aquino “è anzitutto la santità, caratterizzata da una particolare speculazione che non ha però rinunciato alla sfida di farsi provocare e misurare dal vissuto, anche da problematiche inedite e dalle paradossalità della Storia, luogo drammatico e insieme magnifico, per scorgere in essa le tracce e la direzione verso il Regno che viene… Proprio per questo il Doctor communis è una risorsa, un bene prezioso per la Chiesa di oggi e di domani”.
Partendo dalla lettera del papa, ci facciamo spiegare da p. Daniele Aucone, docente all’Istituto Superiore di Scienze Religiose ‘Mater Ecclesiæ’ e invitato presso la Facoltà di teologia della PUST (Pontificia Università di San Tommaso) e docente LUMSA (Libera Università Maria Santissima Assunta) a Roma, il motivo per cui san Tommaso d’Aquino è una ‘risorsa’:
“Il riferimento al pensiero del grande Maestro domenicano è sempre stato raccomandato dai papi lungo i secoli (papa Francesco stesso ha ricordato la definizione di papa san Paolo VI ‘luminare della Chiesa e del mondo intero’), ma dopo la lunga stagione dei razionalismi, oggi siamo più attenti a radicare questa riflessione anzitutto in vissuto biografico e testimoniale dell’uomo e del religioso che è stato Tommaso, non a caso anche modello autorevole di vita cristiana proposto dalla Chiesa (santità).
E’ quanto ha fatto anche papa Francesco scrivendo ai vescovi di Latina, Sora e Frosinone, all’inizio dei triennio di celebrazioni giubilari (700 anni dalla canonizzazione, 750 dalla morte e 800 dalla nascita) dedicate all’Aquinate, richiamandone questa speculazione feconda ‘non sganciata dal vissuto’, approfondimento cioè di un mistero sperimentato anzitutto in prima persona”.
Perché è stato definito ‘dottore angelico’?
“Il titolo risale alla metà del XV secolo (probabilmente si deve a sant’Antonino Pierozzi il primo utilizzo) e sta a indicare la particolare purezza (intellettuale e di vita) di Tommaso, che sarà poi annoverato tra i “dottori della Chiesa” un secolo più tardi (1567). Non è peraltro l’unico appellativo legato al Maestro, né il più antico: qualche anno dopo la sua morte si parla già di lui come ‘Doctor eximius’, mentre all’università di Parigi era noto semplicemente come ‘Doctor communis’.
Nell’ottica di inseparabilità tra dottrina e vita a cui si accennava, è tuttavia interessante notare come un profondo conoscitore di Tommaso del calibro di Jean-Pierre Torrell, abbia potuto concludere la sua ricognizione dei titoli ecclesiali conferiti all’Aquinate proprio con l’appellativo più semplice (‘frater’), indicandolo come quello che l’interessato stesso avrebbe probabilmente preferito, da vero figlio di fraDomenico e quale icona luminosa del suo stesso fondatore”.
Descrivendo il dogma mariano dell’Assunzione lei ha scritto: ‘Il singolare dono concesso alla Vergine di partecipare fin da subito nella piena interezza personale (corpo e anima) alla beatitudine definitiva diviene in tal senso icona di due tratti specifici della speranza cristiana’: quale venerazione ha san Tommaso per la Madonna?
“Nel suo rapporto alla Vergine, Tommaso dà prova di una devozione sobria, ma autentica e profonda, formata in modo particolare nel solco della tradizione liturgico-spirituale dei Frati Predicatori: basti pensare alla solenne processione della Salve Regina al termine della preghiera di Compieta, introdotta a Bologna già nel 1221-1222 e poi estesa gradualmente a tutto l’Ordine. In quest’ottica, le belle riflessioni mariane contenute ad esempio nel Commento all’Ave Maria, nella Somma teologica o nei commenti biblici, rimandano anzitutto a un vissuto biografico e personale del Maestro: il manoscritto autografo della ‘Summa contro i Gentili’, conservato nella Biblioteca Vaticana, in cui la parola ‘Ave’ compare spesso in margine alle pagine del testo, rivela questa autentica tenerezza filiale di Tommaso verso la Vergine, elevata e raffinata ulteriormente dalla meditazione teologica”
Quale apporto può fornire san Tommaso al pensiero della sinodalità nella Chiesa?
“Il termine ‘sinodalità’, utilizzato per indicare uno stile ecclesiale inclusivo e partecipativo, aperto al contributo dei laici nella vita e nella missione della Chiesa, è un conio tutto sommato recente e non fa meraviglia quindi non poterlo riscontrare testualmente nelle opere dell’Aquinate. Ciò non significa però che manchi l’attenzione ai princìpi di coinvolgimento e compartecipazione che la parola esprime (la ‘res’…). La riflessione ecclesiologica di Tommaso ha un timbro fraterno e comunionale a sfondo trinitario, che è la radice stessa della sinodalità: la Chiesa è definita ‘assemblea dei fedeli’ (congregatio fidelium), legati dal vincolo di reciproca fraternità in Cristo e da lui guidati verso la Gerusalemme celeste. Il tema dell’insieme dei credenti come ‘viatores’,compagni di viaggio’ (synodoi), secondo la bella formula di sant’Ignazio di Antiochia, è già abbozzato in tale prospettiva, anche se non esplicitato in tutte le sue virtualità”.
A 750 anni dalla morte ed a 800 anni dalla nascita quanto è attuale il pensiero dell’Aquinate?
“In un tempo in cui la sfida della complessità ci invita a cogliere con sempre più chiarezza i limiti dell’astrattismo scientifico moderno, il pensiero di Tommaso si impone all’attenzione anzitutto come una ‘critica della ragione concreta’, capace di conciliare analisi e sintesi, astrazione e contestualizzazione logica e ‘dia-logica’ (per dirla con Morin). Il principio dell’ ‘hic homo intelligit’, (‘questo uomo concreto intende’), esprime proprio tale centralità del concreto vivente, in opposizione all’astrattismo disincarnato degli averroisti. La complessità del reale è onorata da Tommaso con un’autentica ‘conversazione’ tra i saperi del suo tempo (filosofia, teologia, storia, diritto, scienze naturali), che risulta illuminante anche per noi oggi. L’approccio interdisciplinare ai vari temi, raccomandato anche in ambito teologico da papa Francesco nella costituzione ‘Veritatis Gaudium’del 2018, non solo non costituisce un inedito alla luce delle migliori espressioni della teologia cattolica, ma trova proprio nell’Aquinate una realizzazione eminente e sempre vitale”.
La prof.ssa Boni spiega l’importanza dello studio della storia del diritto canonico
Nella nuova formulazione quest’anno il Codice di Diritto Canonico ha compiuto 40 anni, ed è stato con una iniziativa di alto profilo all’Università di Bologna, presentando il manuale ‘Il diritto nella storia della Chiesa’ per aiutare a comprendere come l’idea di diritto si sia sviluppato nella storia della Chiesa, grazie alla prof.ssa Geraldina Boni, ordinario di Diritto Canonico, Diritto Ecclesiastico e Storia del Diritto presso la stessa Università, e la dott.ssa Ilaria Samoré, che collabora alla sua cattedra e alla quale si deve il lavoro di raccolta di appunti e temi delle lezioni che hanno affrontato le questioni del diritto nella Chiesa.
Dalla prof.ssa Geraldina Boni ci facciamo spiegare il motivo per cui la Chiesa si è data un diritto ‘canonico’?
“Nell’ottica cattolica la Chiesa non si è ‘data’, non ha cioè ‘inventato’ un diritto canonico, in quanto gli elementi essenziali di giuridicità che la contrassegnano scaturiscono dalla volontà divina: la rispondenza a giustizia delle prescrizioni e degli istituti in cui essa si articola è indelebilmente impressa dal suo Fondatore e non può essere tradita. Benché la parabola storica della comunità ecclesiale sia stata costellata di frequente da fermenti di contestazione della dimensione giuridica, essi sono sempre stati intransigentemente respinti, poiché il diritto canonico si radica e trova legittimazione nello ‘ius divinum’. Il quale ultimo non può essere discrezionalmente mutato né in alcun modo scalfito dall’autorità gerarchica, neppure da quella suprema.
Può tuttavia evolvere e approfondirsi la comprensione e la penetrazione del diritto divino da parte dell’intelligenza dell’uomo di ogni tempo: determinando aggiustamenti normativi che rispecchino questa più matura consapevolezza del disegno superiore. Per questo, con tali trasformazioni, non si induce alcun relativismo, dovendosi comunque tutte le riforme giuridiche innestare saldamente nella Tradizione. Ciò è particolarmente evidente pure in tematiche delicate e continuamente dibattute nella Chiesa, anche attualmente: come la configurazione del primato del vescovo di Roma o la collegialità episcopale, ovvero quella sinodalità che tanto sta a cuore a Papa Francesco; o, ancora, come il ruolo dei chierici e dei laici, ovvero delle donne”.
Quanto è importante il diritto canonico?
Ovviamente io sono un poco “partigiana” nel rispondere alla domanda, occupandomi di tale materia da trent’anni. Ma al di là della necessità per così dire ‘ad intra’ della compagine ecclesiale di studiare il diritto canonico per le ragioni appena dette, ad extra (io del resto lo insegno in una Università statale) sono convinta che conoscerlo sia importantissimo: esso, infatti, rappresenta una chiave di lettura straordinariamente illuminante (oltre che avvincente) per investigare l’origine e lo sviluppo della civiltà occidentale.
Per più di un millennio la Chiesa romana ha dispiegato una funzione cruciale nella guida spirituale e altresì politica dell’Europa; ne discende che il diritto canonico e il graduale dipanarsi delle sue istituzioni hanno sensibilmente contribuito a delineare non solo la fisionomia degli odierni ordinamenti di ‘civil law’ e di ‘common law’, specie in riferimento a capitali principi che li attraversano e li fondano: ma hanno segnato a fondo il linguaggio, il sapere condiviso e il patrimonio intellettuale collettivo, pure le sembianze dei territori.
Esplorare la storia del diritto canonico costituisce dunque uno strumento prezioso e impareggiabile per la decodificazione del nostro passato: e, di conseguenza, per una più piena cognizione dell’identità che ad esso si ricollega. Aggiungo che alcune connotazioni intrinsecamente caratterizzanti ancor oggi lo ‘ius canonicum’, in particolare la sua plastica elasticità nel piegarsi ad ogni realtà concreta affinché in ognuna affiori e si affermi la ‘res iusta’, possono offrire ai cultori dei diritti secolari non poche suggestioni per pervenire a soluzioni più ragionevoli perché più confacenti, appunto, a giustizia.
Come si è sviluppato nei secoli il diritto canonico?
Fermi i capisaldi innervati nello ‘ius divinum’, il diritto canonico di produzione umana, pur tra crisi e regressi, non ha mai cessato di progredire e perfezionarsi, adattandosi costantemente al mutare delle diversificate e capillari domande di giustizia dei ‘christifideles’: lasciandosi interrogare e aderendo al mutare delle contingenze temporali e ambientali. Ciò del resto risponde pienamente alla fisionomia inconfondibile di una religione incarnata come quella cristiana: la Chiesa, con il suo diritto, si è fatta così ‘romana’ coi ‘romani’, ‘barbara’ coi ‘barbari’…
La logica dell’incarnazione si proietta e si ripercuote nell’aspirazione a una perpetua inculturazione anche del diritto canonico. Esso viene sollecitato, arricchito, spronato a nuove e inedite soluzioni giuridiche dal rapporto e dal confronto con le varie culture, ‘filtrandole’ alla luce della buona novella evangelica affinché si mantenga integra la conformità al progetto divino”.
Come si inserisce il diritto canonico nell’azione missionaria della Chiesa?
“Proprio quanto appena ricordato permette di capire come l’azione missionaria della Chiesa non possa comportare l’esportazione e l’imposizione di schemi giuridici del tutto alieni a coloro cui viene proposto l’annuncio cristiano. In passato, ad esempio, con il superamento dei confini dell’Occidente al seguito delle potenze iberiche, la ‘societas Ecclesiae’ entrò in contatto con popoli estranei all’universo greco-latino nel grembo del quale il cristianesimo e il suo diritto si erano formati: e quest’ultimo fu in grado di adeguarsi e plasmarsi alla cultura dei convertiti, alimentando tra l’altro un laboratorio di soluzioni giuridiche inedite e innovative che poi in gran parte, per la loro proficuità, sono state estese all’intera cristianità.
Anche oggi la sfida missionaria, volta semmai ai Paesi di antica cristianità oramai pressoché completamente secolarizzati, richiede strumenti giuridici differenti, che sappiano rispondere alle impellenze esistenziali degli uomini e delle donne del postmoderno. Le urgenze poste quindi dalle esigenze missionarie dimostrano eloquentemente la capacità del diritto della Chiesa di elaborare istituti canonistici calati e forgiati sui bisogni via via emergenti, escogitando disposizioni sempre ispirate alla giustizia di ogni situazione”.
Quindi il diritto canonico è un esercizio di libertà della Chiesa?
“Anzitutto il diritto salvaguarda la libertà: una Chiesa senza diritto sarebbe, come molti hanno osservato, una Chiesa dell’arbitrio e della prevaricazione. Il diritto canonico può essere inoltre considerato un esercizio di libertà nella Chiesa perché ha congegnato e sperimenta criteri di flessibilità che permettono di modellarlo caso per caso, nonostante la rigidità e l’immutabilità che contraddistinguono lo ‘ius divinum’, e pertanto rimanendo sempre entro quella cornice che neppure il papa può varcare o forzare. Ciò è veicolato ed espresso attraverso quell’aequitas canonica che, rinvenendo i suoi primi barlumi nei precorritori dell’età aurea del diritto canonico medievale, si esercita creativamente consentendo di attenuare la durezza del rigor iuris con la dolcezza della misericordia.
Un esercizio di libertà, infine, che è garantito non soltanto all’autorità ecclesiastica, ma che spetta a tutti fedeli: tra essi, in forza della rigenerazione battesimale, vige una vera uguaglianza nella dignità e nell’agire, come recita il can. 208 del Codex Iuris Canonici vigente, cooperando a pieno titolo all’edificazione del Corpo di Cristo”.
Nel prossimo anno si celebrano 1700 anni del Concilio di Nicea, che fu presieduto dall’imperatore Costantino: ciò provocò problemi nella Chiesa e come si risolsero?
Non solo Nicea, ma tutti i primi otto concili ecumenici del primo millennio, come noto, si riuniscono sotto l’egida dell’imperatore, il quale, specie dal momento in cui il cristianesimo viene elevato a ‘religione di Stato’, si fa ‘custos et vindex’ (protettore e garante) di quest’ultima. La figura di Costantino, ricca di chiaroscuri e di ambigue sfaccettature, sin da subito fa sorgere il problema di una difesa della Chiesa da parte del potere politico che rischia di divenire un controllo opprimente e asfissiante. La presenza di Costantino a Nicea quale ‘vescovo di foro esterno’ (stando alla testimonianza di Eusebio) è un sintomo, cioè, di quella pericolosa pretesa di commistione tra autorità secolare e autorità spirituale che a lungo perdurerà nei secoli e che cagionerà non pochi conflitti e danni funesti.
Il principio dualista cristiano del ‘date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio’, seppur teoricamente di una chiarezza cristallina, ha faticato e stenta ancor oggi a realizzarsi nell’esperienza pratica: con invasioni ed esorbitanze, invero da una parte e dall’altra, continue e difficilmente contenibili, ma che vanno tuttavia tenacemente contrastate. Anche proprio rivendicando e facendo valere quella libertà dei figli di Dio che il diritto canonico tutela e promuove per ammonire le autorità civili e quelle ecclesiastiche al rispetto della libertà religiosa, da una parte, e dell’autonomia dell’ordine temporale, dall’altra”.
Papa Francesco: missione e sinodalità essenza della Chiesa
“Questo è certamente un giorno di gioia nella lunga storia delle nostre Chiese, perché è la prima volta che il Santo Sinodo della venerabile Chiesa Siro-malankarese Mar Thoma visita la Chiesa di Roma per scambiare l’abbraccio di pace con il Vescovo. Grato per la vostra presenza e per le vostre parole di amicizia, porgo a ciascuno di voi il benvenuto e vi chiedo di trasmettere i miei migliori auguri di buona salute al vostro Metropolita, Sua Beatitudine Teodosius Mar Thoma; così come i miei saluti vanno a tutti i fedeli”: così papa Francesco ha salutato in apertura di settimana i membri del Santo Sinodo della Chiesa Siro-Malankarese Mar Thoma, sorta grazie all’azione evangelizzatrice dell’apostolo Tommaso.
Il papa ha ricordato l’eredità di questa Chiesa: “La vostra Chiesa, erede sia della tradizione siriaca dei cristiani di San Tommaso sia di quella riformata, si definisce giustamente una ‘Chiesa ponte’ tra Oriente e Occidente. Come Vostra Grazia ha sottolineato, la Chiesa Mar Thoma ha una vocazione ecumenica e non è un caso che si sia impegnata ben presto nel movimento ecumenico, stabilendo molti e vari contatti bilaterali con cristiani di diverse tradizioni. I primi incontri con la Chiesa di Roma sono stati ripresi al tempo del Concilio Vaticano II, al quale Sua Grazia Philipose Mar Chrysostom, futuro Metropolita, partecipò come osservatore. E’ l’avvicinamento dei piccoli passi che si fanno”.
Ed ha messo in evidenza le relazioni instaurate: “In questi ultimi anni la Provvidenza ha permesso che si sviluppassero nuove relazioni tra le nostre Chiese. Ricordo in particolare quando nel novembre 2022 ho avuto la gioia di riceverLa, caro Metropolita Barnabas. Questi nostri contatti hanno portato all’avvio di un dialogo ufficiale: il primo incontro si è tenuto lo scorso dicembre in Kerala e il prossimo avrà luogo tra qualche settimana. Mi rallegro per l’inizio di tale dialogo, che affido allo Spirito Santo e che spero possa affrettare il giorno in cui potremo condividere la stessa Eucaristia”.
Tale cammino può avvenire nella prospettiva della missione e della sinodalità, che si realizza attraverso il battesimo: “Riguardo alla sinodalità, è significativo che abbiate voluto compiere questa visita come Santo Sinodo, perché la vostra Chiesa è per tradizione essenzialmente sinodale. Come forse sapete, pochi giorni fa la Chiesa Cattolica ha concluso un Sinodo sulla sinodalità, al quale hanno partecipato anche Delegati fraterni di altre tradizioni cristiane che hanno arricchito le nostre riflessioni. Una delle convinzioni espresse è che la sinodalità è inseparabile dall’ecumenismo, perché entrambi si basano sull’unico Battesimo che abbiamo ricevuto, sul sensus fidei a cui tutti i cristiani partecipano in virtù del Battesimo stesso”.
Quindi è un cammino verso l’unità, che coinvolge le Chiese, riprendendo una frase del vescovo ortodosso Ioannis Zizioulas: “La vostra Chiesa, ne sono sicuro, può aiutarci in questo cammino di sinodalità ecumenica. E mi viene in mente quello che il grande Zizioulas diceva sull’unità dei cristiani. Era un grande quell’uomo, un uomo di Dio. Diceva: “Io so bene la data dell’incontro totale, dell’unione totale fra le Chiese. Qual è la data? Il giorno dopo il giudizio finale”. Così diceva Zizioulas. Ma nel frattempo dobbiamo camminare insieme, pregare insieme e lavorare insieme. All together. All together”.
Per questo la missione non può essere estranea alla sinodalità: “Infatti, sinodalità ed ecumenismo sono inseparabili anche perché entrambi hanno come obiettivo una migliore testimonianza dei cristiani. Tuttavia, la missione non è solamente il fine del cammino ecumenico, ne è anche il mezzo. Sono convinto che lavorare insieme per testimoniare Cristo Risorto sia il modo migliore per avvicinarci.
Per questo, come ha proposto il nostro recente Sinodo, mi auguro che un giorno si possa celebrare un Sinodo ecumenico sull’evangelizzazione, tutti insieme. E questo Sinodo sarà per garantire, per pregare, per riflettere e impegnarsi insieme per una migliore testimonianza cristiana, ‘affinché il mondo creda’. Anche in questo caso, sono certo che la Chiesa Mar Thoma, che porta in sé questa dimensione missionaria, possa offrire molto. Ma tutti insieme, all together”.
Anche nel saluto ai membri del ‘Catholic Philanthropy Network’ il papa ha sottolineato la ‘natura’ del Sinodo: “Recentemente, come sapete, la Chiesa è stata impegnata in un processo di riflessione sulla sua natura di comunità ‘sinodale’, fondata sulla nostra comune dignità di battezzati e sulla corresponsabilità per la sua missione; e questo mentre affrontiamo un momento di cambiamento epocale, con le sue conseguenze per il futuro della famiglia umana.
Sono particolarmente grato del sostegno che date agli uffici della Santa Sede, che cercano di discernere i segni dei tempi e di aiutare la Chiesa universale a rispondere con sapienza, carità e lungimiranza ai bisogni e alle sfide del presente. Al tempo stesso, vi ringrazio per il vostro silenzioso appoggio a tante iniziative che arricchiscono la vita e l’apostolato della Chiesa negli Stati Uniti”.
La giornata ‘papale’ è proseguita con il saluto ai tecnici ed ai partners della Fabbrica di San Pietro: “A proposito, ricordiamo che il nucleo originario della Basilica è la tomba di Pietro, il discepolo che il Signore Gesù ha eletto come primo tra gli Apostoli, affidandogli le chiavi del Regno dei cieli. Lo testimoniano le enormi iscrizioni greche e latine che dall’alto accompagnano i fedeli all’altare della Cattedra.
I lavori in progetto dovranno avere lo stesso scopo: accompagnare gli uomini e le donne di oggi; sostenere il loro cammino di discepoli, sull’esempio di Simon Pietro. Perciò vorrei lasciarvi tre criteri, che guidino la vostra opera: l’ascolto della preghiera, lo sguardo della fede, il tatto del pellegrino. Siano questi sensi, al contempo corporei e spirituali, a ordinare con intelligenza le iniziative da compiere”.
Infine ha chiesto che ci siano i confessori: “E c’è un’altra opera d’arte che si svolge nella Basilica, nascosta: i confessori. Per favore, che ci siano sempre, a portata di mano, i confessori. La gente va, sente qualcosa, anche i non cristiani si avvicinano per chiedere una benedizione… In questo mondo così artistico e bello, c’è anche l’arte della comunicazione personale. E per favore, dite ai confessori di perdonare tutto, tutto! Tutto va perdonato… Perdonare, non tanto predicare; qualche parola si deve dire, ma perdonare; che nessuno vada fuori (senza benedizione)… Date la benedizione sempre a tutti, e coloro che vogliono confessarsi, perdonare tutti, tutti, tutti!”
Infine alla delegazione della diocesi di Aosta ed a quella dei canonici del Gran san Bernardo ha ricordato le caratteristiche dell’arcidiacono di Aosta: “Prima di tutto l’annuncio. Bernardo, arcidiacono della diocesi di Aosta, era un predicatore capace di toccare anche i cuori più induriti, aprendoli al dono della fede e alla conversione”.
Altra caratteristica era l’accoglienza: “L’avventura caritativa che lo avrebbe reso famoso è però legata a un’altra missione affidatagli dall’obbedienza: quella di prendersi cura dei pellegrini e dei viandanti che traversavano i passi alpini vicini al Monte Bianco (valichi che ancora oggi portano il suo nome) per venire in Italia dalla Francia e dalla Svizzera e viceversa, in un cammino di viaggi internazionali. Il viaggio era impervio e comportava il rischio di perdersi, di essere assaliti e di morire tra i ghiacci. Per prendersi cura di queste persone, Bernardo fondò i due noti Ospizi, raccogliendo attorno a sé la vostra comunità di Canonici, che ancora oggi si dedica a tale servizio, fedele al motto: Qui Cristo è adorato e nutrito”.
La terza caratteristica riguarda la pace: “Annuncio, accoglienza e, terzo punto, operatore di pace. Bernardo operatore di pace. L’episodio emblematico, in proposito, è il suo viaggio a Pavia, già malato, per cercare di convincere l’Imperatore Enrico IV a desistere dal proposito di far guerra a Papa Gregorio VII. Fu un viaggio che gli costò la vita. Sarebbe infatti morto poco tempo dopo il ritorno… Promuovere la pace, senza scoraggiarsi, neanche di fronte agli insuccessi. E quanto c’è bisogno anche adesso di questo coraggio!”
(Foto: Santa Sede)
A colloquio con Fabio Cittadini: un’ora di religione per comprendere la storia
“Ogni docente lo sa. Non è facile far comprendere un personaggio storico vissuto in un’epoca totalmente diversa dalla nostra. Anche perché le logiche politiche, economiche e religiose possono essere diverse. Non è facile andare al di là, oltre gli stereotipi, i pregiudizi, il ‘mito’ che si è creato attorno ad un personaggio. Tanto se più questo è Francesco d’Assisi o Martin Lutero. Non è facile, però è possibile”.
Iniziamo il dialogo con il prof. Fabio Cittadini, docente nei licei ed assistente all’Università Cattolica, che ha coinvolto gli studenti liceali in un ‘lavoro’ su san Francesco e Lutero: “Quanto è avvenuto quest’anno scolastico al liceo Bottoni di Milano con alcune terze è stato un esperimento che il professore di religione ha replicato, ma con un occhi diverso.
Prima di tutto si è trattato di far comprendere cosa animava profondamente sia Francesco sia Lutero, cosa davvero li ha resi e li rende unici, perfino attuali. Inoltre si è dovuto lavorare sui ragazzi per togliere dalla testa alcune idee strane come la questione della ricchezza”.
Come è nato il ‘progetto’?
“Anni fa, quando eravamo in piena pandemia, ho notato che i miei studenti creavano dei video con un collega ed erano ben fatti. Mi sono chiesto: ‘Perché non farlo anche io?’. Così nel 2023 ho iniziato a proporre ad alcune classi seconde questa possibilità”.
Perché la scelta è caduta su Francesco e Lutero?
“In terza superiore la programmazione prevede di trattare della storia della Chiesa. Io mi sono concentrato su queste due grandi figure anche perché, studiandole bene e documentandomi, presentano tratti di sorprendente attualità”.
Come è avvenuto il lavoro con gli studenti?
“Io ho proposto loro di approfondire un aspetto di uno dei due personaggi scelti (o Francesco o Lutero). A gruppi, poi, in classe abbiamo lavorato insieme per elaborare un canovaccio, se così si può dire, di quello che avrebbero detto nel video, cercando di rimanere sotto i cinque minuti”.
Come hanno reagito gli studenti alle proposte?
“In modo diversificato. C’è chi addirittura da tempo mi chiedeva di rifare i video. C’è chi ha reagito in modo svogliato. Tuttavia hanno capito tutti che un personaggio storico ha diverse sfaccettature, è in qualche figlio del suo tempo”.
Quale è il compito di un professore di ‘religione’ nella scuola?
“Cercare di far comprendere che la vita ha un senso, mettendo gli studenti a contatto con le grandi tradizioni religiose. Faccio un esempio. Quando parlo dei primi secoli del cristianesimo, dove migliaia di cristiani sono morti per la loro fede, la domanda che poi rivolgo a gli studenti è: E tu per cosa/per chi sei disposto a perdere la tua vita?”
E c’è anche un canale YouTube: quale ‘lavoro’ c’è dietro ai video pubblicati?
“Sì, il canale si chiama ‘Theological Mind’. Su questo canale ho caricato i video più belli e significativi svolti dagli studenti perché loro per primi devono essere consapevoli che si possono fare video intelligenti e non solo stupidi”.
(Tratto da Aci Stampa)
Solennità di tutti i Santi: Festa della Chiesa: una, santa, cattolica, apostolica
La solennità di ‘Tutti i Santi’, che si celebra il 1° novembre, ci invita ad innalzare gli occhi al cielo e a meditare la vita divina che ci attende. Con il Battesimo ci siamo innestati a Cristo, ‘siamo divenuti figli di Dio, ma ciò che ci attende non ci è stato ancora rivelato’ (1 Gv., 3,2). Veri figli amati da Dio, riceviamo anche la grazia e gli aiuti per sopportare tutte le prove della vita. Come veri figli di Dio, raggiungere la santità è lo scopo primario della vita sulla terra; d’altronde non si può dimenticare che con il battesimo siamo divenuti tralci dell’unica feconda ‘vite’ che è Cristo Gesù: ‘Io sono la vite, voi siete i tralci’ insegna Gesù; membra del corpo mistico che è Cristo Gesù.
La solennità di oggi è pertanto la festa della Chiesa, di tutti i cristiani sia che sono gi passati attraverso la grande tribolazione, sia quelli che ci troviamo ancora in questo cammino terreno ma diretti tutti verso l’unica meta che è la vita eterna. Così oggi, solennità di tutti i Santi, siamo chiamati a contemplare la città del cielo, che è nostra vera patria eterna. Per raggiungere questa meta Dio ha conferito a ciascuno di noi talenti, carismi e vari doni celesti, doni mirabili della sua misericordia divina.
Ciascuno di noi è chiamato a mettere a fuoco i doni ricevuti e con la forza dello Spirito santo, che abbiamo ricevuto nel Battesimo, a vivere la nostra vita terrena nella gioia cristiana. La vita infatti è un cammino verso la meta, la patria eterna. Ciascuno di noi è chiamato a svolgere con santità, slancio, umiltà e fortezza il proprio ministero: papa, vescovi, sacerdoti, coniugi, lavoratori ricchi e poveri. Realizzare la santità svolgendo nella gioia il proprio ruolo.
Da qui il discorso sulla montagna di Gesù, che abbiamo ascoltato nella lettura del vangelo; il discorso che è il documento ufficiale con il quale Gesù ha proclamato le ‘beatitudini’, invito chiaro e mirabile a vivere responsabilmente ciascuno la propria vocazione. Gesù non è venuto ad insegnare come si possa stare bene sulla terra ma come si può e si deve conquistare la felicità vera che ci permette di vivere e camminare per raggiungere la vita eterna.
Nell’annuncio Gesù inizia con il dire ‘beati’; è l’annuncio principale: avere la felicità, la gioia, che non è una conquista umana ma la scoperta e la consapevolezza di essere figli di Dio, perciò vero dono di Dio. Senza gioia la fede è opprimente; in paradiso non c’è posto per i tristi, i musoni, gli arrabbiati: non c’è vera santità senza la gioia.
La vocazione dell’uomo è essere felici; questa felicità si conquista attuando il progetto divino dell’amore: amare Dio creatore e padre, amare i fratelli nel nome di Dio. Ecco in sintesi cosa necessita per avere la vera gioia. Da qui le beatitudini; beati i poveri di spirito, beati coloro che non hanno l’anima legata alla cose terrene, alle ricchezze ma a Dio con l’amore; hanno il cuore libero da ogni impaccio terreno e gli occhi e il cuore rivolti solo alla meta. la vita eterna.
Beati i miti: non sono i timorosi, i pusillanimi ma quelli che si aprono a Dio senza invidia per i fratelli e sperano solo nel Signore Gesù. Beato (sono felici) quelli che hanno fame e sete della giustizia: giustizia è rispetto verso Dio e verso i fratelli: dare a ciascuno il suo. Come vedi: la beatitudini sono un messaggio controcorrente; laddove il modo dice e predica ai quattro venti: beati i ricchi, i potenti, quelli che godono fama e successo, quanti si divertono; le beatitudini del Vangelo hanno un tenore diametralmente opposto.
Le beatitudini sono la profezia dell’umanità nuova, redenta da Cristo Gesù: costituiscono la vera regola d’oro dei Figli di Dio. Oggi rendiamo onore a tutti i Santi di tutti i tempi; domani rivolgiamo preghiere e suffragi per i nostri cari defunti. Nella festa di tutti i Santi un posto mirabile è riservato a Maria, la Madre del Verbo incarnato; Maria è al vertice della comunione dei santi, la vera Regina degli angeli e dei santi.
La Beata Vergine, guida sicura alla santità, noi la imploriamo perchè ci prenda per mano, ci copra con il suo manto materno nel nostro pellegrinaggio terreno verso il cielo. Non dimentichiamo: se la santità è la comune meta di ciascuno di noi, le Beatitudini enunciate da Gesù indicano la strada che ci viene offerta per raggiungerla.
Papa Francesco: raccontare storie di speranza
Nell’udienza odierna ai partecipanti alla plenaria del Dicastero per la Comunicazione papa Francesco ha tracciato ‘l’identikit del buon comunicatore’ richiamando i principi di verità, giustizia e pace, secondo l’esortazione di san Paolo agli Efesini letta nella liturgia odierna:
“In effetti, la vostra è una vocazione, è una missione! Con il vostro lavoro e la vostra creatività, con l’uso intelligente dei mezzi che la tecnologia mette a disposizione, ma soprattutto con il vostro cuore: si comunica con il cuore. Siete chiamati a un compito grande ed entusiasmante: quello di costruire ponti, quando tanti innalzano muri, i muri delle ideologie; quello di favorire la comunione, quando tanti fomentano divisione; quello di lasciarsi coinvolgere dai drammi del nostro tempo, quando tanti preferiscono l’indifferenza. Questa cultura dell’indifferenza, questa cultura del ‘lavarsi le mani’: ‘non tocca a me, che si arrangino’. Questo fa tanto male!”
Così il papa ha risposto alle domande su cui tale Plenaria si sta confrontando con l’auspicio che il Sinodo appena concluso diventi stile comunicativo della Chiesa: “Il Sinodo sulla sinodalità che abbiamo appena concluso diventa ora un cammino ordinario che deve farsi strada (un cammino che viene dal tempo in cui san Paolo VI ha creato il Segretariato per il Sinodo dei Vescovi); diventa lo stile col quale nella Chiesa viviamo la comunione, uno stile sinodale. In ogni espressione della nostra vita comunitaria, siamo chiamati a riverberare quell’amore divino che in Cristo ci ha attratto e ci attrae”.
La Chiesa ha come fondamento Gesù: “Ed è questo che caratterizza l’appartenenza ecclesiale: se ragionassimo e agissimo secondo categorie politiche, o aziendalistiche, non saremmo Chiesa. Questo non va! Se applicassimo criteri mondani o se riducessimo le nostre strutture a burocrazia, non saremmo Chiesa. Essere Chiesa significa vivere nella coscienza che il Signore ci ama per primo, ci chiama per primo, ci perdona per primo. E noi siamo testimoni di questa misericordia infinita, che è stata gratuitamente riversata su di noi cambiando la nostra vita”.
Infatti il cammino sinodale coinvolge tutti alla comunione ecclesiale: “Proprio in quanto comunicatori, infatti, siete chiamati a tessere la comunione ecclesiale con la verità attorno ai fianchi, la giustizia come corazza, i piedi calzati e pronti a propagare il Vangelo della pace”.
Questo è il ‘sogno’ di papa Francesco: “Sogno una comunicazione che riesca a connettere persone e culture. Sogno una comunicazione capace di raccontare e valorizzare storie e testimonianze che accadono in ogni angolo del mondo, mettendole in circolo e offrendole a tutti. Per questo sono contento di sapere che (nonostante le difficoltà economiche e l’esigenza di ridurre le spese, ne parlerò dopo di questo) vi siete ingegnati per aumentare l’offerta delle oltre cinquanta lingue con cui comunicano i media vaticani, aggiungendo le lingue lingala, mongola e kannada”.
Quella proposta dal papa è una comunicazione capace di raccontare la realtà: “Sogno una comunicazione fatta da cuore a cuore, lasciandoci coinvolgere da ciò che è umano, lasciandoci ferire dai drammi che vivono tanti nostri fratelli e sorelle. Per questo vi invito a uscire di più, a osare di più, a rischiare di più non per diffondere le vostre idee, ma per raccontare con onestà e passione la realtà.
Sogno una comunicazione che sappia andare oltre gli slogan e tenere accesi i riflettori sui poveri, sugli ultimi, sui migranti, sulle vittime della guerra. Una comunicazione che favorisca l’inclusione, il dialogo, la ricerca della pace. Quanta urgenza c’è di dare spazio agli operatori di pace! Non stancatevi di raccontare le loro testimonianze, in ogni parte del mondo”.
Insomma una comunicazione educante: “Sogno una comunicazione che educhi a rinunciare un po’ a sé per fare spazio all’altro; una comunicazione appassionata, curiosa, competente, che sappia immergersi nella realtà per poterla raccontare. Ci fa bene ascoltare storie dal sapore evangelico, che oggi come duemila anni fa ci parlano di Dio così come Gesù, suo Figlio, lo ha rivelato al mondo”.
E per attuare questo stile comunicativo è importante il coinvolgimento: “Fratelli e sorelle, non abbiate paura di coinvolgervi, di cambiare, di imparare linguaggi nuovi, di percorrere nuove strade, di abitare l’ambiente digitale. Fatelo sempre senza lasciarvi assorbire dagli strumenti che usate, senza far diventare ‘messaggio’ lo strumento, senza banalizzare, senza ‘surrogare’ nell’incontro in rete le relazioni umane vere, concrete, da persona a persona. Il Vangelo è storia di incontri, di gesti, di sguardi, di dialoghi per strada e a tavola. Sogno una comunicazione che sappia testimoniare oggi la bellezza degli incontri con la samaritana, con Nicodemo, con l’adultera, con il cieco Bartimeo”.
Richiamando la recente enciclica, ‘Dilexit nos’, papa Francesco ha chiesto aiuto nel far conoscere il ‘Cuore di Gesù’: “Aiutatemi, per favore, a far conoscere al mondo il Cuore di Gesù, attraverso la compassione per questa terra ferita. Aiutatemi, con la comunicazione, a far sì che il mondo, ‘che sopravvive tra le guerre, gli squilibri socioeconomici, il consumismo e l’uso anti-umano della tecnologia, possa recuperare ciò che è più importante e necessario: il cuore’. Aiutatemi con una comunicazione che è strumento per la comunione”.
E’ stato un invito a guardare alla speranza ed il Giubileo è un’occasione: “Nonostante il mondo sia squassato da terribili violenze, noi cristiani sappiamo guardare alle tante fiammelle di speranza, alle tante piccole e grandi storie di bene. Siamo certi che il male non vincerà, perché è Dio che guida la storia e salva le nostre vite…
Il Giubileo, che inizieremo fra qualche settimana, è una grande occasione per testimoniare al mondo la nostra fede e la nostra speranza. Vi ringrazio fin d’ora per tutto ciò che farete, per l’impegno del Dicastero nell’aiutare sia i pellegrini che verranno a Roma, sia chi non potrà viaggiare, ma grazie ai media vaticani potrà seguire le celebrazioni giubilari sentendosi unito a noi”.
In precedenza il papa aveva ricevuto in udienza i partecipanti al Congresso nazionale del Movimento di Impegno Educativo dell’Azione Cattolica (MIEAC), esortandoli a portare l’educazione cristiana nei ‘terreni inesplorati, segnati da mutamenti’: “Il servizio educativo che definisce il vostro Movimento porta con sé, oggi forse più ancora che nel passato, la sfida di operare sul piano umano e cristiano. Educare, come voi ben sapete e testimoniate, significa anzitutto riscoprire e valorizzare la centralità della persona in un contesto relazionale dove la dignità della vita umana trovi compimento e adeguati spazi per crescere”.
E’ stato un invito ad essere educatori ‘dal cuore grande’: “Educatori dal cuore grande per il bene dei ragazzi, dei giovani e degli adulti che vivono accanto a voi. Siete chiamati ad allargare il cuore (non si può avere un cuore ristretto: allargare il cuore), a non aver paura di proporre ideali alti, senza scoraggiarvi di fronte alle difficoltà. Le difficoltà ci sono e tante.
E per non perdere il filo in questi ‘labirinti della complessità’ è importante non restare da soli, ma costruire e rinsaldare i rapporti proficui con i diversi soggetti del processo educativo: le famiglie, gli insegnanti, gli animatori sociali, i dirigenti e preparatori sportivi, i catechisti, i sacerdoti, le religiose e i religiosi, senza trascurare la collaborazione con le pubbliche istituzioni. E coinvolgere i ragazzi, perché i ragazzi entrano: non devono essere passivi nel processo educativo, devono essere attivi!”
Infine anche a loro ha rivolto l’invito a ‘seminare’ la speranza con uno sguardo al Giubileo: “Guardando poi al prossimo Giubileo, tempo per seminare speranza, perché di speranza abbiamo un bisogno vitale tutti noi, vorrei lasciarvi un’ultima consegna: abbiate un’attenzione speciale per i bambini, gli adolescenti, i giovani. A loro dobbiamo guardare con fiducia, con empatia, vorrei dire con lo sguardo e con il cuore di Gesù. Sono il presente e il futuro del mondo e della Chiesa…
Attraverso i processi educativi esprimiamo il nostro amore per l’altro, per chi è vicino o ci è affidato; e, al contempo, è essenziale che l’educazione sia fondata, nel suo metodo e nelle sue finalità, sull’amore. Senza amore non si può educare. Educare sempre con amore!”
(Foto: Santa Sede)
Papa Francesco: la Cresima è partecipazione alla vita della Chiesa
“Il mio pensiero va ai giovani, agli ammalati, agli anziani e agli sposi novelli. Siamo ormai vicini alla solennità di Tutti i Santi: vi invito a vivere questa ricorrenza dell’anno liturgico, nella quale la Chiesa ci vuole ricordare un aspetto della sua realtà: la gloria celeste dei fratelli che ci hanno preceduto nel cammino della vita e che ora, nella visione del Padre, vogliono essere in comunione con noi per aiutarci a raggiungere la meta che ci attende”: al termine dell’udienza generale di oggi papa Francesco ha invitato a vivere la festa di tutti i Santi in comunione con la Chiesa.
Inoltre ha chiesto di pregare in modo incessante per la pace: “E preghiamo per la pace. La guerra cresce! Pensiamo ai Paesi che soffrono tanto: la martoriata Ucraina, la Palestina, Israele, il Myanmar, Nord Kivu e tanti Paesi che sono in guerra. Preghiamo per la pace! La pace è un dono dello Spirito Santo e la guerra sempre (sempre, sempre, sempre) è una sconfitta. Nella guerra nessuno vince; tutti perdono. Preghiamo per la pace, fratelli e sorelle. Ieri ho visto che sono state mitragliate 150 persone innocenti: cosa c’entrano nella guerra i bambini? Le famiglie? Sono le prime vittime. Preghiamo per la pace”.
Mentre nel prosieguo della catechesi sullo Spirito Santo papa Francesco ha sviluppato il tema della cresima, conseguenza diretta dell’azione dello Spirito Santo: “L’azione santificatrice dello Spirito Santo giunge a noi anzitutto attraverso due canali: la Parola di Dio e i Sacramenti. E tra tutti i Sacramenti, ce n’è uno che è, per antonomasia, il Sacramento dello Spirito Santo, ed è su di esso che vorrei soffermarmi oggi. Si tratta del Sacramento della Cresima o della Confermazione”.
La cresima è un ‘effetto’ della Pentecoste: “Nel Nuovo Testamento, oltre il battesimo con l’acqua, si trova menzionato un altro rito, quello della imposizione delle mani, che ha lo scopo di comunicare visibilmente e in modo carismatico lo Spirito Santo, con effetti analoghi a quelli prodotti sugli Apostoli a Pentecoste. Gli Atti degli Apostoli riferiscono un episodio significativo a questo riguardo. Avendo saputo che in Samaria alcuni avevano accolto la parola di Dio, da Gerusalemme inviarono Pietro e Giovanni”.
Con la cresima ‘Dio stesso ci conferma’, sottolinea san Paolo ai Corinzi: “Il tema dello Spirito Santo come ‘sigillo regale’ con cui Cristo contrassegna le sue pecorelle è alla base della dottrina del ‘carattere indelebile’ conferito da questo rito”.
Comunque il papa ha invitato a leggere i paragrafi dedicati dal Catechismo della Chiesa Cattolica: “Con il passare del tempo, il rito dell’unzione si configurò come Sacramento a sé stante, assumendo forme e contenuti diversi nelle varie epoche e nei diversi riti della Chiesa…Il problema è come fare perché il Sacramento della Cresima non si riduca, in pratica, a una ‘estrema unzione’, cioè al sacramento della ‘dipartita’ dalla Chiesa”.
Quindi il papa ha invitato i fedeli che la cresima è un invito ad una partecipazione nella Chiesa: “Si dice che è il ‘sacramento dell’addio’, perché una volta che i giovani la fanno se ne vanno, e torneranno poi per il matrimonio. Così dice la gente. Ma dobbiamo far sì che sia il sacramento dell’inizio di una partecipazione attiva alla vita della Chiesa.
E’ un traguardo che ci può sembrare impossibile vista la situazione in atto un po’ in tutta la Chiesa, ma non per questo dobbiamo smettere di perseguirlo. Non sarà così per tutti i cresimandi, ragazzi o adulti, ma è importante che lo sia almeno per alcuni che poi saranno gli animatori della comunità”.
Ed ha sottolineato che questo sacramento riguarda tutti: “Può servire, a questo scopo, farsi aiutare, nella preparazione al Sacramento, da fedeli laici che hanno avuto un incontro personale con Cristo e hanno fatto una vera esperienza dello Spirito. Alcune persone dicono di averla vissuta come uno sbocciare in loro del Sacramento della Cresima ricevuto da ragazzi…
San Paolo esortava il discepolo Timoteo a ‘ravvivare il dono di Dio, ricevuto mediante l’imposizione delle mani’, ed il verbo usato suggerisce l’immagine di chi soffia sul fuoco per ravvivarne la fiamma. Ecco un bel traguardo per l’anno giubilare! Rimuovere la cenere dell’abitudine e del disimpegno, diventare, come i tedofori alle Olimpiadi, portatori della fiamma dello Spirito. Che lo Spirito ci aiuti a muovere qualche passo in questa direzione!”
(Foto: Santa Sede)
Presentato il rapporto sugli abusi sui minori: risposta rigorosa a tale piaga
Dopo un lungo lavoro la Commissione per la Tutela dei Minori (organismo istituito dal papa nel 2014 per proporre le iniziative più opportune per prevenire gli abusi nella Chiesa) ha pubblicato il primo Rapporto Annuale su Politiche e Procedure in materia di Tutela, composto da 50 pagine divise in quattro sezioni, con numerosi dati raccolti nei cinque continenti e in diversi istituti e congregazioni religiose, e anche nella stessa Curia romana che è invitata ad una maggiore trasparenza nelle procedure e nei processi. Il documento è stato redatto da un gruppo di lavoro presieduto da Maud de Boer-Buquicchio, membro della Commissione e già relatore speciale delle Nazioni Unite sullo sfruttamento sessuale dei bambini.
Il Report promuove l’impegno della Chiesa a dare una risposta ‘rigorosa’ alla piaga dell’abuso, basata sui diritti umani e incentrata sulle vittime, in linea con le recenti riforme del Libro VI del Codice di Diritto Canonico che stigmatizza il reato di abuso come violazione della dignità della persona. Il testo documenta rischi e progressi negli sforzi della Chiesa per proteggere i bambini. Raccoglie anche risorse e best practices da condividere nella Chiesa universale, ed è strumento per la Commissione per poter riferire su base sistematica risultanze e raccomandazioni da condividere con il Papa, con le vittime, con le Chiese locali e il Popolo di Dio.
Il rapporto dettaglia le situazioni delle Conferenze Episcopali che sono passate dalla Commissione in questi mesi (Messico, Papua Nuova Guinea, Belgio e Camerun), e anzi ricorda il ruolo che le visite ad limina hanno in questo processo, perché la presenza a Roma dei vescovi locali permette alla commissione di essere a conoscenza dalle 15 alle 20 Chiese locali.
Il rapporto mostra anche la differenza delle Chiese locali sulla base della provenienza geografica, perché in alcuni casi il fenomeno dell’abuso è riconosciuto da tempo, in altri casi invece è giunto in superficie solo di recente, e in altre ancora manca ancora una pubblicizzazione dei casi di abuso.
Presentando il report il card. Seán Patrick O’Malley, arcivescovo metropolita di Boston, ha raccontato il cammino percorso dalla Chiesa: “Il primo periodo l’ho vissuto ininterrottamente per quasi 40 anni come vescovo. Grazie alla vicinanza personale con le vittime, le loro famiglie, i loro cari e le loro comunità, ho ascoltato potenti testimonianze del tradimento che si prova quando si subisce un abuso da parte di una persona in cui si è riposta fiducia, e delle implicazioni che tale abuso comporta per tutta la vita.
Sono enormemente grato alle vittime per la loro apertura, che mi ha permesso di viaggiare con loro. Infatti, è solo ascoltandole in prima persona che possiamo conoscere la verità sulla loro dignità umana ripetutamente violata. Le loro storie rivelano un periodo privo di affidabilità, in cui i leader della Chiesa hanno tragicamente deluso coloro che siamo chiamati a pascere. E’ stato un periodo anche privo di professionalità, in cui i leader della Chiesa hanno preso decisioni senza attenersi alle politiche, alle procedure o agli standard di base per la tutela delle vittime. E’ un periodo buio in cui la sfiducia ha ostacolato la capacità della Chiesa di essere testimone di Cristo”.
Eppoi un altro periodo in cui si è iniziato a denunciare: “C’è poi un secondo periodo, che stiamo cominciando a vedere prendere forma in molte parti del mondo, in cui la responsabilità, la cura e la preoccupazione per le vittime cominciano a fare luce sull’oscurità. E’ un periodo in cui esistono solidi sistemi di denuncia che ci permettono di ascoltare e rispondere alle vittime, con un approccio informato sui traumi.
E’ un periodo in cui i protocolli di gestione del rischio e la supervisione informata promuovono ambienti sicuri. E’ un periodo in cui la Chiesa fornisce servizi professionali di accompagnamento delle vittime, come impegno per il viaggio verso la guarigione. E’ un periodo in cui tutti coloro che svolgono un ministero e lavorano nella Chiesa ricevono la formazione e l’addestramento necessari per promuovere una cultura della tutela. E’ un periodo in cui la Chiesa abbraccia pienamente il suo ministero di salvaguardia”.
Questo processo è avvenuto attraverso tre passaggi: “Il primo è la revisione delle politiche e la promozione della voce delle vittime, in cui valutiamo e suggeriamo miglioramenti alle politiche e alle procedure di tutela adottate dalle varie entità della Chiesa presenti in tutto il mondo, in quasi tutti i Paesi. Il secondo è il rafforzamento delle risorse umane formate, attraverso l’iniziativa ‘Memorare’ della Commissione, per promuovere l’effettiva attuazione di queste politiche e procedure.
La terza è la rappresentazione trasparente e misurabile dei nostri sforzi, attraverso il Rapporto annuale, per documentare i progressi, le carenze e le raccomandazioni. Queste tre attività interconnesse sono articolate in modo continuo e questo ciclo iterativo costituisce il modello della Commissione per promuovere il cambiamento”.
Inoltre la prof.ssa Maud de Boer-Buquicchio, membro della Pontificia Commissione per la Tutela dei minori, ha definito il rapporto onesto ed oggettivo: “Ci rendiamo conto che il Rapporto è lungi dall’essere perfetto, ma ha una metodologia solida che si svilupperà nel tempo, per diventare sempre più completa e robusta.
Naturalmente, questo include innanzitutto l’apprendimento diretto da parte delle vittime e dei sopravvissuti. Negli anni a venire, svilupperemo anche il nostro raggio d’azione per includere in modo più completo i religiosi e i fedeli laici. Infine, sappiamo che, in collaborazione con molti altri, dobbiamo migliorare significativamente la verifica dei nostri dati, attraverso riferimenti incrociati con fonti esterne”.
Inoltre tale Rapporto è uno strumento di ‘Giustizia e Conversione’: “In primo luogo, registra le transizioni critiche che si verificano progressivamente in diverse parti della Chiesa nel mondo. Questa transizione è caratterizzata dallo sviluppo iniziale, dall’attuazione e dall’inculturazione di politiche, linee guida e procedure di tutela. In secondo luogo, attraverso la condivisione di buone pratiche, accompagna la continua conversione pastorale necessaria per consolidare integralmente il nuovo periodo, caratterizzato dall’avanzamento della verità, della giustizia, delle riparazioni e delle riforme istituzionali”.
Inoltre il rapporto sottolinea l’impegno della Chiesa: “Questo Rapporto promuove anche l’impegno della Chiesa a dare una risposta rigorosa alla piaga dell’abuso, basata sui diritti umani e incentrata sulle vittime, in linea con le recenti riforme del Libro VI del Codice di Diritto Canonico che inquadra il reato di abuso come una violazione della dignità della persona umana. Come mi è stato spesso detto, ‘i bambini non sono mini esseri umani con mini diritti umani’. La riforma del Libro VI e questa Relazione annuale contribuiscono a garantire questa verità, che consiste innanzitutto nel rompere il silenzio e nell’incontrare le vittime là dove si trovano”.
Ed infine ha illustrato la copertina del rapporto: “Originario di gran parte del continente africano, l’albero di ‘baobab’ è spesso conosciuto come ‘albero della vita’ ed è un importante simbolo di resilienza e comunità. Crediamo che questo possa servire come segno concreto del nostro sostegno ad ogni vittima, a chi denuncia abusi o qualsiasi altra persona, in un’atmosfera di fiducia e sicurezza. Con il cambiamento di mentalità che accompagna il nostro percorso di Giustizia e Conversione, la Chiesa può offrire l’ambiente protettivo che questo albero simboleggia”.
(Foto: Osservatore Romano)
Papa Francesco delinea una Chiesa missionaria
“Questa domanda, davanti a una persona cieca, sembra una provocazione e invece è una prova. Gesù sta chiedendo a Bartimeo chi cerca davvero, e per quale motivo. Chi è per te il ‘Figlio di Davide’? E così il Signore inizia ad aprire gli occhi del cieco. Consideriamo tre aspetti di questo incontro, che diventa dialogo: il grido, la fede, il cammino. Anzitutto il grido di Bartimeo, che non è solo una richiesta di aiuto. E’ un’affermazione di se stesso. Il cieco sta dicendo: ‘Io esisto, guardatemi. Io non ci vedo, Gesù. Tu mi vedi?’ Sì, Gesù vede l’uomo mendicante, e lo ascolta, con gli orecchi del corpo e con quelli del cuore. Pensiamo a noi, quando per la strada incrociamo qualche mendicante: quante volte guardiamo da un’altra parte, quante volte lo ignoriamo, come se lui non esistesse”.
Così papa Francesco prima della recita dell’Angelus odierno ha sottolineato i passi verso la conversione, che dopo il ‘grido’ di aiuto, si apre alla fede, perché qualcuno presta attenzione: “Bartimeo vede perché crede; Cristo è la luce dei suoi occhi. Il Signore osserva come Bartimeo guarda a Lui. Come guardo io un mendicante? Lo ignoro? Lo guardo come Gesù? Sono capace di capire le sue domande, il suo grido di aiuto? Quando tu dai l’elemosina, guardi negli occhi il mendicante? Gli tocchi la mano per sentire la sua carne?”
Da qui nasce un cammino: “Infine, il cammino: Bartimeo, risanato, ‘seguiva Gesù lungo la strada’. Ma ognuno di noi è Bartimeo, cieco dentro, che segue Gesù una volta che si è avvicinato a Lui. Quando tu ti avvicini a un povero e ti fai sentire vicino, è Gesù che si avvicina a te nella persona di quel povero. Per favore, non facciamo confusione: l’elemosina non è beneficenza. Quello che riceve più grazia dall’elemosina è colui che la dà, perché si fa guardare dagli occhi del Signore”.
E nell’omelia della messa conclusiva del Sinodo papa Francesco ha sottolineato il grido mendicante di Bartimeo: “La sua posizione è tipica di una persona ormai chiusa nel proprio dolore, seduta sul ciglio della strada come se non ci fosse nient’altro da fare se non ricevere qualcosa dai tanti pellegrini di passaggio nella città di Gerico in occasione della Pasqua. Ma, come sappiamo, per vivere davvero non si può restare seduti: vivere è sempre mettersi in movimento, mettersi in cammino, sognare, progettare, aprirsi al futuro. Il cieco Bartimeo, allora, rappresenta anche quella cecità interiore che ci blocca, ci fa restare seduti, ci rende immobili ai bordi della vita, senza più speranza”.
E’ stato un invito alla Chiesa ad alzarsi: “Tuttavia, dinanzi alle domande delle donne e degli uomini di oggi, alle sfide del nostro tempo, alle urgenze dell’evangelizzazione e alle tante ferite che affliggono l’umanità, sorelle e fratelli, non possiamo restare seduti. Una Chiesa seduta, che quasi senza accorgersi si ritira dalla vita e confina sé stessa ai margini della realtà, è una Chiesa che rischia di restare nella cecità e di accomodarsi nel proprio malessere.
E se restiamo seduti nella nostra cecità, continueremo a non vedere le nostre urgenze pastorali e i tanti problemi del mondo in cui viviamo. Per favore, chiediamo al Signore che ci dia lo Spirito Santo per non restare seduti nella nostra cecità, cecità che si può chiamare mondanità, che si può chiamare comodità, che si può chiamare cuore chiuso. Non restare seduti nelle nostre cecità”.
Infatti appena Gesù si china su Bartimeo egli si alza: “Dopo aver gridato verso di Lui, infatti, Gesù si è fermato e lo ha fatto chiamare. Bartimeo, da seduto che era, è balzato in piedi e, subito dopo, ha recuperato la vista. Ora, egli può vedere il Signore, può riconoscere l’opera di Dio nella propria vita e può finalmente incamminarsi dietro di Lui. Così, anche noi, fratelli e sorelle: quando siamo seduti e accomodati, quando anche come Chiesa non troviamo le forze, il coraggio e l’audacia, la parresia necessaria per rialzarci e riprendere il cammino, per favore, ricordiamoci di ritornare sempre al Signore, ritornare al Vangelo. Ritornare al Signore, ritornare al Vangelo”.
E’ questa la consegna di papa Francesco alla Chiesa: “Questa è un’immagine della Chiesa sinodale: il Signore ci chiama, ci rialza quando siamo seduti o caduti, ci fa riacquistare una vista nuova, affinché alla luce del Vangelo possiamo vedere le inquietudini e le sofferenze del mondo; e così, rimessi in piedi dal Signore, sperimentiamo la gioia di seguirlo lungo la strada. Il Signore lo si segue lungo la strada, non lo si segue chiusi nelle nostre comodità, non lo si segue nei labirinti delle nostre idee: lo si segue lungo la strada…
Fratelli, sorelle: non una Chiesa seduta, una Chiesa in piedi. Non una Chiesa muta, una Chiesa che raccoglie il grido dell’umanità. Non una Chiesa cieca, ma una Chiesa illuminata da Cristo che porta la luce del Vangelo agli altri. Non una Chiesa statica, una Chiesa missionaria, che cammina con il Signore lungo le strade del mondo”.
Ed ha concluso l’omelia ricordando il restauro della reliquia dell’antica Cattedra di san Pietro: “Contemplandola con stupore di fede, ricordiamoci che questa è la cattedra dell’amore, è la cattedra dell’unità, è la cattedra della misericordia, secondo quel comando che Gesù diede all’Apostolo Pietro non di dominare sugli altri, ma di servirli nella carità. E ammirando il maestoso baldacchino berniniano più splendente che mai, riscopriamo che esso inquadra il vero punto focale di tutta la Basilica, cioè la gloria dello Spirito Santo. Questa è la Chiesa sinodale: una comunità il cui primato è nel dono dello Spirito, che ci rende tutti fratelli in Cristo e ci eleva verso di Lui”.
(Foto: Santa Sede)