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Riccardo Moro: ‘La remissione del debito è il nome della pace’

L’associazionismo cattolico e laico ha raccolto l’appello di papa Francesco che, nel messaggio per la 58ª Giornata Mondiale della Pace del 1º gennaio, ha scelto il titolo: ‘Rimetti a noi i nostri debiti: concedici la tua pace’ in un incontro organizzato, nei primi giorni dell’anno, all’Università Lateranense dall’Istituto di Diritto Internazionale della Pace ‘Giuseppe Toniolo’, in collaborazione con Azione Cattolica Italiana, Pontificia Università Lateranense, Forum Internazionale di Azione Cattolica e Caritas Italiana, aperto dal  prof. Giulio Alfano, delegato del ciclo di studi in ‘Scienze della Pace e Cooperazione Internazionale’ dell’Università Lateranense.

I promotori hanno spiegato che il messaggio di papa Francesco richiama con urgenza la necessità di condonare i debiti e di promuovere modelli economici fondati su giustizia e solidarietà; la remissione del debito si inserisce nel contesto del Giubileo, ispirandosi alla tradizione giubilare ebraica: “E’ un passo essenziale per liberare i popoli oppressi da vincoli economici iniqui, che soffocano il presente e ipotecano il futuro”.

Negli interventi il prof. Giuseppe Notarstefano, presidente nazionale di Azione Cattolica, ha dichiarato: “La speranza non è semplice ottimismo, ma si concretizza nei gesti e nei segni che possiamo compiere. Questo Giubileo è un’occasione per ripensare il nostro modo di abitare la casa comune. Guerre, cambiamento climatico, disuguaglianze: è il momento di cambiare rotta”. Mentre da Bangkok, Sandro Calvani, presidente del Consiglio Scientifico dell’Istituto Toniolo, ha ribadito: “Dio ci ha affidato la custodia della creazione. Il primo passo per ristabilire la pace è il perdono, spinta iniziale per riattivare il motore delle relazioni”.

Don Paolo Asolan, teologo e docente alla Pontificia Università Lateranense, ha approfondito il tema della remissione dei peccati e della cancellazione dei debiti in chiave giubilare e l’economista Riccardo Moro, docente di Politiche dello Sviluppo all’Università Statale di Milano, ha ricordato il percorso iniziato nel 2000 con la cancellazione del debito di alcuni Stati africani: “All’epoca si era raggiunto un risultato storico, ma oggi ci ritroviamo con le stesse problematiche. Le crisi economiche, la pandemia e nuovi prestiti spesso predatori hanno aggravato la situazione”, proponendo di creare presso le Nazioni Unite un forum dedicato alla gestione delle crisi di sovraindebitamento, integrando anche il debito climatico.

Infine Chiara Mariotti, rappresentante dell’Alto Commissariato Onu per i Diritti Umani, ha evidenziato che “il debito è un ostacolo insormontabile per il progresso verso giustizia sociale e diritti umani. Nel 2023, i Paesi in via di sviluppo hanno accumulato un debito estero di $ 8.000.000.000.000, con più di 3.000.000.000 di persone che vivono in nazioni dove si spende più per interessi sul debito che per servizi pubblici”.

Sull’importanza del messaggio per la pace di papa Francesco avevamo incontrato, nei giorni precedenti al convegno, il prof. Riccardo Moro, invitato all’Abbadia di Fiastra di Tolentino da don Rino Ramaccioni, in collaborazione con l’Azione Cattolica della diocesi di Macerata, il Sermir di Recanati ed il Sermit di Tolentino: per quale motivo papa Francesco abbina la remissione dei debiti alla pace?

“Per avere pace abbiamo bisogno di condizioni di vita, in cui la dignità di tutti gli esseri umani sia riconosciuta e sia consentita. In questo momento abbiamo una clamorosa disparità nelle condizioni di vita tra Paesi ricchi e Paesi a basso e medio reddito, che generano condizioni di vulnerabilità nei Paesi più poveri, che hanno un debito verso l’estero molto consistente, come era successo già 25 anni fa, perché questi Paesi possano investire nella salute, nell’istruzione e nelle infrastrutture necessarie a cambiare le condizioni di vita, è necessario che dispongano di risorse finanziarie.

La maggior parte delle loro risorse finanziarie è, oggi, sottratta dal pagamento dei debiti, quindi è necessario trasformare i debiti in modo che non ostacolino questi interventi. Finché ci sono queste condizioni di disparità e di vulnerabilità non si ha una pace autentica. La cancellazione del debito è uno degli strumenti che concorrono a creare condizioni perché la pace possa diventare autentica”.

Quali cambiamenti culturali chiede il papa?

“Richiede un lavoro che ragioni sulle qualità delle nostre relazioni, da quelle politiche ed internazionali a quelle finanziarie, ma anche a partire dalle nostre relazioni personali ed all’interno delle nostre comunità. Nel momento in cui orientiamo le relazioni al rispetto della dignità dell’altro, cioè si fanno carico dell’umanità dell’altro, noi costruiamo pace, mentre nel momento in cui non lo facciamo la pace non è alimentata: per questo il papa parla anche di relazioni riconcilianti, che dobbiamo avere”.

Inoltre nel messaggio il papa propone alcune azioni da compiere: in quale modo?

“Da un lato occorre sostenere il percorso che i soggetti del dialogo politico hanno: ci sono le reti di società civile che si stanno muovendo per dialogare con governi ed istituzioni internazionali su una definizione di nuove regole del debito e la conseguente cancellazione di esso, che è diventato insostenibile. Dall’altro lato, con un percorso sul territorio di formazione culturale, che serve ad un’animazione del tempo del giubileo per quanto riguarda la comunità cristiana e dall’altro lato serve a formare la nostra comunità civile per costruire consenso più consistente intorno a leggi nazionali ed internazionali improntate alla solidarietà. Da questo punto di vista sta nascendo una campagna, che si chiama ‘Cambiamo la rotta’, lanciata durante il convegno da parte di molte aggregazioni laicali del mondo cattolico”.    

E’ ripetibile un’operazione come quella proposta da san Giovanni Paolo II durante il Giubileo del 2000?

“Bisogna essere obiettivi. Le condizioni sono diverse rispetto a 25 anni fa. Nonostante le regole, prestatori spregiudicati hanno cominciato a concedere soldi facili a leader altrettanto spregiudicati soprattutto nelle zone in cui si concentrano risorse minerarie di interesse strategico per le economie progredite. Quindi l’indebitamento è aumentato di nuovo, con la differenza rispetto al 2000 che ora spesso i creditori non sono più i governi o il Fondo Monetario Internazionale o la Banca Mondiale, ma soggetti privati e gruppi finanziari con i quali è molto più difficile imbastire un dialogo politico come avvenne allora”.

(Tratto da Aci Stampa)

Papa Francesco chiede la remissione dei debiti

“All’alba di questo nuovo anno donatoci dal Padre celeste, tempo Giubilare dedicato alla speranza, rivolgo il mio più sincero augurio di pace ad ogni donna e uomo, in particolare a chi si sente prostrato dalla propria condizione esistenziale, condannato dai propri errori, schiacciato dal giudizio altrui e non riesce a scorgere più alcuna prospettiva per la propria vita. A tutti voi speranza e pace, perché questo è un Anno di Grazia, che proviene dal Cuore del Redentore!”: il messaggio per la giornata mondiale della pace si intitola ‘Rimetti a noi i nostri debiti, concedici la tua pace’, ed in sintonia del Giubileo papa Francesco ha sottolineato che è anno di grazia.

Ad inizio del messaggio papa Francesco ha sottolineato che il giubileo è annuncio di liberazione: “Il ‘giubileo’ risale a un’antica tradizione giudaica, quando il suono di un corno di ariete (in ebraico yobel) ogni quarantanove anni ne annunciava uno di clemenza e liberazione per tutto il popolo. Questo solenne appello doveva idealmente riecheggiare per tutto il mondo, per ristabilire la giustizia di Dio in diversi ambiti della vita: nell’uso della terra, nel possesso dei beni, nella relazione con il prossimo, soprattutto nei confronti dei più poveri e di chi era caduto in disgrazia. Il suono del corno ricordava a tutto il popolo, a chi era ricco e a chi si era impoverito, che nessuna persona viene al mondo per essere oppressa: siamo fratelli e sorelle, figli dello stesso Padre, nati per essere liberi secondo la volontà del Signore”.

Nel messaggio il papa ha invitato a riscoprire l’essenza del Giubileo, che richiama alla giustizia: “Anche oggi, il Giubileo è un evento che ci spinge a ricercare la giustizia liberante di Dio su tutta la terra. Al posto del corno, all’inizio di quest’Anno di Grazia, noi vorremmo metterci in ascolto del ‘grido disperato di aiuto’ che, come la voce del sangue di Abele il giusto, si leva da più parti della terra e che Dio non smette mai di ascoltare.

A nostra volta ci sentiamo chiamati a farci voce di tante situazioni di sfruttamento della terra e di oppressione del prossimo. Tali ingiustizie assumono a volte l’aspetto di quelle che san Giovanni Paolo II definì ‘strutture di peccato’, poiché non sono dovute soltanto all’iniquità di alcuni, ma si sono per così dire consolidate e si reggono su una complicità estesa”.

Ed ha richiamato alla responsabilità della cura del creato: “Ciascuno di noi deve sentirsi in qualche modo responsabile della devastazione a cui è sottoposta la nostra casa comune, a partire da quelle azioni che, anche solo indirettamente, alimentano i conflitti che stanno flagellando l’umanità. Si fomentano e si intrecciano, così, sfide sistemiche, distinte ma interconnesse, che affliggono il nostro pianeta”.

Con uno sguardo particolare ai migranti, invocando cambiamenti ‘duraturi’: “Mi riferisco, in particolare, alle disparità di ogni sorta, al trattamento disumano riservato alle persone migranti, al degrado ambientale, alla confusione colpevolmente generata dalla disinformazione, al rigetto di ogni tipo di dialogo, ai cospicui finanziamenti dell’industria militare.

Sono tutti fattori di una concreta minaccia per l’esistenza dell’intera umanità. All’inizio di quest’anno, pertanto, vogliamo metterci in ascolto di questo grido dell’umanità per sentirci chiamati, tutti, insieme e personalmente, a rompere le catene dell’ingiustizia per proclamare la giustizia di Dio. Non potrà bastare qualche episodico atto di filantropia. Occorrono, invece, cambiamenti culturali e strutturali, perché avvenga anche un cambiamento duraturo”.

Ed ecco che il ‘legame con il Padre’ richiama alla solidarietà: “Quando una persona ignora il proprio legame con il Padre, incomincia a covare il pensiero che le relazioni con gli altri possano essere governate da una logica di sfruttamento, dove il più forte pretende di avere il diritto di prevaricare sul più debole. Come le élites ai tempi di Gesù, che approfittavano delle sofferenze dei più poveri, così oggi nel villaggio globale interconnesso, il sistema internazionale, se non è alimentato da logiche di solidarietà e di interdipendenza, genera ingiustizie, esacerbate dalla corruzione, che intrappolano i Paesi poveri. La logica dello sfruttamento del debitore descrive sinteticamente anche l’attuale ‘crisi del debito’, che affligge diversi Paesi, soprattutto del Sud del mondo”.

Questo è il motivo per cui il papa chiede costantemente la remissione del debito: “Non mi stanco di ripetere che il debito estero è diventato uno strumento di controllo, attraverso il quale alcuni governi e istituzioni finanziarie private dei Paesi più ricchi non si fanno scrupolo di sfruttare in modo indiscriminato le risorse umane e naturali dei Paesi più poveri, pur di soddisfare le esigenze dei propri mercati. A ciò si aggiunga che diverse popolazioni, già gravate dal debito internazionale, si trovano costrette a portare anche il peso del debito ecologico dei Paesi più sviluppati.

Il debito ecologico e il debito estero sono due facce di una stessa medaglia, di questa logica di sfruttamento, che culmina nella crisi del debito. Prendendo spunto da quest’anno giubilare, invito la comunità internazionale a intraprendere azioni di condono del debito estero, riconoscendo l’esistenza di un debito ecologico tra il Nord e il Sud del mondo. E’ un appello alla solidarietà, ma soprattutto alla giustizia”.

In ultimo il papa traccia tre ‘possibili’ azioni per riaccendere la speranza, riprendendo Isacco di Ninive: “Dio, che non deve nulla a nessuno, continua a elargire senza sosta grazia e misericordia a tutti gli uomini… Dio non calcola il male commesso dall’uomo, ma è immensamente ‘ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amato’. Al tempo stesso, ascolta il grido dei poveri e della terra. Basterebbe fermarsi un attimo, all’inizio di quest’anno, e pensare alla grazia con cui ogni volta perdona i nostri peccati e condona ogni nostro debito, perché il nostro cuore sia inondato dalla speranza e dalla pace”.

La preghiera del ‘Padre nostro’ esplicita chiaramente la remissione dei debiti: “rimettere un debito agli altri e dare loro speranza occorre, infatti, che la propria vita sia piena di quella stessa speranza che giunge dalla misericordia di Dio. La speranza è sovrabbondante nella generosità, priva di calcoli, non fa i conti in tasca ai debitori, non si preoccupa del proprio guadagno, ma ha di mira solo uno scopo: rialzare chi è caduto, fasciare i cuori spezzati, liberare da ogni forma di schiavitù”.

E’ una richiesta a ripensare le finanze degli Stati: “Riconoscendo il debito ecologico, i Paesi più benestanti si sentano chiamati a far di tutto per condonare i debiti di quei Paesi che non sono nella condizione di ripagare quanto devono. Certamente, perché non si tratti di un atto isolato di beneficenza, che rischia poi di innescare nuovamente un circolo vizioso di finanziamento-debito, occorre, nello stesso tempo, lo sviluppo di una nuova architettura finanziaria, che porti alla creazione di una Carta finanziaria globale, fondata sulla solidarietà e sull’armonia tra i popoli”.

E’ una ripresa precisa dell’appello dei papi conciliari: “Oso anche rilanciare un altro appello, richiamandomi a san Paolo VI ed a Benedetto XVI, per le giovani generazioni, in questo tempo segnato dalle guerre: utilizziamo almeno una percentuale fissa del denaro impiegato negli armamenti per la costituzione di un Fondo mondiale che elimini definitivamente la fame e faciliti nei Paesi più poveri attività educative e volte a promuovere lo sviluppo sostenibile, contrastando il cambiamento climatico. Dovremmo cercare di eliminare ogni pretesto che possa spingere i giovani a immaginare il proprio futuro senza speranza, oppure come attesa di vendicare il sangue dei propri cari. Il futuro è un dono per andare oltre gli errori del passato, per costruire nuovi cammini di pace”.

Insomma il papa ha chiesto di costruire basi solide per la pace: “Che il 2025 sia un anno in cui cresca la pace! Quella pace vera e duratura, che non si ferma ai cavilli dei contratti o ai tavoli dei compromessi umani. Cerchiamo la pace vera, che viene donata da Dio a un cuore disarmato: un cuore che non si impunta a calcolare ciò che è mio e ciò che è tuo; un cuore che scioglie l’egoismo nella prontezza ad andare incontro agli altri; un cuore che non esita a riconoscersi debitore nei confronti di Dio e per questo è pronto a rimettere i debiti che opprimono il prossimo; un cuore che supera lo sconforto per il futuro con la speranza che ogni persona è una risorsa per questo mondo”.

Greenaccord Onlus e Fondazione For A Bright Future: partnership strategica per affrontare l’impatto dei cambiamenti climatici sui bambini svantaggiati

In un’iniziativa innovativa volta a coniugare la consapevolezza ambientale con l’empowerment dei giovani, Greenaccord Onlus e la Foundation For A Bright Future (‘For A Bright Future’ – FABF) di Louis Hernandez Jr. sono liete di annunciare una partnership strategica. Questa collaborazione, scaturita dal 16° Forum Internazionale dei Media tenutosi a Roma e Frascati lo scorso ottobre, mira a evidenziare l’importante connessione tra il cambiamento climatico e il suo impatto sproporzionato sui bambini provenienti da contesti svantaggiati.

La partnership unisce l’impegno di For A Bright Future nel supportare i giovani più vulnerabili con l’esperienza di Greenaccord nella formazione giornalistica ambientale. L’alleanza si propone di sensibilizzare i giornalisti che partecipano ai programmi formativi di Greenaccord riguardo all’impatto dei cambiamenti climatici sui bambini che vivono in contesti svantaggiati, tra i più colpiti da questa crisi; promuovere congiuntamente iniziative editoriali e mediatiche dedicate all’educazione ambientale rivolta ai bambini più vulnerabili.

“La nostra fondazione ha sempre creduto nel potere trasformativo dell’istruzione. Collaborando con Greenaccord, non stiamo solo aprendo opportunità ai bambini svantaggiati, ma stiamo fornendo loro gli strumenti per diventare custodi dell’ambiente. Questa partnership rappresenta un passo fondamentale nella formazione di una generazione che comprenda il valore della sostenibilità e della responsabilità comunitaria”, ha dichiarato Louis Hernandez Jr., fondatore e presidente del consiglio di amministrazione di For A Bright Future.

Alfonso Cauteruccio, Presidente di Greenaccord, ha aggiunto: “Da 23 anni Greenaccord è all’avanguardia nel promuovere il giornalismo ambientale. La collaborazione con For A Bright Future ci consente di ampliare il nostro impatto sulle nuove generazioni. Concentrandoci sui bambini svantaggiati, affrontiamo alla radice sia la consapevolezza ambientale che l’equità sociale”.

La visione di rendere l’istruzione accessibile a tutti i bambini è sempre stata la forza trainante dei programmi di For A Bright Future: “Unire le forze con Greenaccord per sensibilizzare l’opinione pubblica sulle questioni ambientali è davvero stimolante. Questa collaborazione si allinea perfettamente con il nostro obiettivo di formare futuri leader a tutto tondo, socialmente consapevoli e responsabili”, ha dichiarato Gina Rogoto, vicepresidente senior delle operazioni e dei programmi di For A Bright Future.

La Louis Hernandez Jr.’s Foundation For A Bright Future è un’organizzazione no-profit 501(c)(3) dedicata a supportare i bambini sottorappresentati e svantaggiati attraverso programmi mirati all’istruzione, all’assistenza sanitaria, alle arti e allo sviluppo della leadership giovanile. Le iniziative della fondazione offrono pari opportunità e strumenti per aiutare ogni bambino a realizzare i propri obiettivi di vita e diventare membri attivi e costruttivi della comunità globale. Per ulteriori informazioni, visitate il sito forabrightfuturefoundation.org.

Greenaccord è un’associazione culturale senza scopo di lucro, ispirata ai valori cristiani e dedicata alla sensibilizzazione e al coinvolgimento di persone di ogni credo e religione per la protezione della ‘casa comune’. Greenaccord organizza forum nazionali e internazionali rivolti ai professionisti dei media, con l’obiettivo di approfondire il ruolo e la responsabilità del giornalismo nell’affrontare le questioni ecologiche.

Attraverso la collaborazione con esperti scientifici e giornalisti altamente qualificati, Greenaccord contribuisce a colmare le lacune comunicative e promuove una comprensione più approfondita delle problematiche ambientali. Fornisce strumenti essenziali per la creazione di un’opinione pubblica informata, capace di rispondere con efficacia alle sfide ecologiche. Per ulteriori informazioni, visitate il sito www.greenaccord.org.

Mons. Muser racconta 60 anni della diocesi di Bolzano-Bressanone

Giovedì 6 agosto 1964 a Castel Gandolfo papa Paolo VI firmava tre bolle pontificie, riguardanti le diocesi di Trento e di Bolzano: la bolla ‘Quo aptius’ stabiliva che i territori dell’arcidiocesi di Trento situati nella Provincia di Bolzano fossero uniti alla diocesi di Bressanone, che da allora porta il nome di Bolzano-Bressanone; la bolla ‘Tridentinae Ecclesiae’ fissava Trento sede metropolitana e Bolzano-Bressanone diocesi suffraganea; infine la bolla ‘Sedis Apostolicae’ trasformava l’amministratura apostolica Innsbruck-Feldkirch in diocesi di Innsbruck.

Infatti dal 1964 i confini della diocesi di Bolzano-Bressanone e dell’arcidiocesi di Trento coincidono con i confini delle due Province e Innsbruck e la diocesi è diventata una diocesi autonoma, come ha ricordato in una lettera pastorale mons. Ivo Muser, vescovo di Bolzano e Bressanone:

“Sono passati 60 anni: un motivo per ricordare e riflettere. Ben tre volte la nostra diocesi ha cambiato nome nel corso della sua lunga storia: Sabiona, Bressanone, Bolzano-Bressanone. Questo fatto da solo dimostra quanto gli sconvolgimenti, la tradizione e il cambiamento, la continuità e la discontinuità caratterizzeranno sempre il cammino della Chiesa nella storia. Il nostro Dio è un Dio della storia: è sempre in cammino con il suo popolo, e quindi con noi, la sua Chiesa”.

Per quale motivo è stata istituita la diocesi di Bolzano – Bressanone?

“Quando il 6 agosto 1964 la bolla papale “Quo aptius” annunciò quello che molti attendevano da tempo, cioè la costituzione della diocesi di Bolzano-Bressanone, l’entusiasmo fu grande. L’unificazione di tutto l’Alto Adige in una diocesi fu un evento gioioso, a lungo desiderato e sperato. La diocesi di Bolzano-Bressanone nasce dal desiderio di fornire vicinanza spirituale a tutta la popolazione dell’Alto Adige nella maniera più equa possibile.

La sua erezione è stata realizzata, nonostante le tensioni politiche, in primo luogo grazie all’azione pastorale del vescovo Gargitter, che allo stesso tempo rese merito all’arcivescovo di Trento come a colui che ‘con amore pastorale disinteressato e lungimirante non solo ha reso possibile il nuovo ordinamento diocesano, ma l’ha anche promosso con tutte le sue forze’”.

‘Questo fatto da solo dimostra quanto gli sconvolgimenti, la tradizione e il cambiamento, la continuità e la discontinuità caratterizzeranno sempre il cammino della Chiesa nella storia. Il nostro Dio è un Dio della storia: è sempre in cammino con il suo popolo, e quindi con noi, la sua Chiesa’: ha scritto nel messaggio ai fedeli. In quale modo la diocesi coniuga tradizione e cambiamento?

“Nel corso della sua lunga esistenza, la nostra diocesi ha cambiato denominazione tre volte: da Sabiona a Bressanone e infine a Bolzano – Bressanone. Questo cambiamento stesso evidenzia come l’inizio, la trasformazione, la tradizione e la continuità, insieme ai mutamenti, influenzino costantemente il percorso della Chiesa nella storia. Cambiamento e trasformazione sono parte integrante dell’essenza della Chiesa. Il nostro Dio è un Dio che vive la storia.

Egli cammina sempre insieme alle sue persone, e quindi con noi, la sua Chiesa. I cristiani credono in un Dio che si è fatto storia in Gesù Cristo. Pertanto, la nostra storia umana non è solo una serie di eventi anonimi, ciechi, banali e spesso contraddittori e crudeli, ma rappresenta il luogo in cui le persone possono incontrare Dio”.

Come la Chiesa di Bolzano e Bressanone si prepara ad ‘essere’ nel mondo?

“La società, con le sue dimensioni sociali e politiche, affronta oggi sfide e tensioni significative. La preoccupazione per la salvaguardia del Creato e le angosce sollevate dai conflitti e dalle guerre in corso nel mondo destano ansia e scoraggiamento in molti. Emergono interrogativi sociali e antropologici, le cui risposte tendono a divergere sempre di più. Le nostre comunità celebranti hanno vissuto un radicale ridimensionamento; la Chiesa appare meno rilevante e meno accettata socialmente.

Abbiamo imparato a convivere con questa realtà, interpretandola alla luce del Vangelo. Abbiamo compreso che è in questo contesto che Dio ci incontra, ci chiama e ci invia. Man mano che diventiamo più umili e impotenti, ci rendiamo conto che Dio è il nostro sostegno e la nostra forza. La diminuzione della nostra influenza sociale ci ha portato a trasformarci in una Chiesa delle Beatitudini, che trae credibilità dalla sua vulnerabilità”.

‘La lunga storia della nostra diocesi di Sabiona, Bressanone e Bolzano-Bressanone non ha donato solo grandi momenti, santi e martiri, tra cui vorrei citare Josef Freinademetz e Josef Mayr Nusser a nome di tutti loro. Ci sono anche ore e periodi bui, colpe e fallimenti. Anche questo fa parte della nostra memoria, della nostra identità.’: cosa significa per la Chiesa locale fare memoria di Josef Freinademetz e Josef Mayr Nusser? 

“San Giuseppe Freinademetz ci insegna ad avere il vangelo come punto di riferimento anche nelle questioni quotidiane, a porre Cristo al centro della nostra vita e a vivere nella patria terrena con fede convinta e profonda nella patria celeste, per la quale siamo voluti e creati.

Il beato Josef Mayr-Nusser ha vissuto la sua identità cristiana fino in fondo. È una figura coraggiosa e scomoda, che ci spinge a confrontarci con un capitolo assai doloroso della nostra storia, caratterizzato da fascismo, nazionalsocialismo e opzioni. Il nostro Beato rimane uno stimolo attuale, scomodo e profondamente cristiano per tutti noi in mezzo alle domande, alle sfide, alle discussioni e alle posizioni contrastanti del nostro tempo”.

Pochi giorni fa è terminata la seconda sessione della XVI Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi sulla sinodalità. In quale modo la diocesi vive la sinodalità?

“Quando pensiamo alla Chiesa, pensiamo innanzitutto alla comunità viva che noi stessi sperimentiamo a livello locale: siamo ispirati dal Vangelo, troviamo nella fede la nostra gioia e condividiamo un’esperienza positiva di comunione ecclesiale. Se saremo in grado di comprendere il vero significato di sinodalità saremo anche capaci di superare le lamentele su ciò che manca, affrontando ed elaborando apertamente problemi ed errori, grandi e piccoli condividendo la responsabilità. La sinodalità è il nostro stile pastorale e ci aiuterà a superare i blocchi, le polarizzazioni e i circoli viziosi che in passato hanno talvolta distolto lo sguardo dalla bellezza del Vangelo”.

Allora, cosa significa ‘festeggiare’ 60 anni di diocesi?

“Festeggiare i 60 anni della nostra diocesi significa rivolgere uno sguardo credente sulla sua storia passata e uno sguardo pieno di speranza su quella a venire. Allora sarà chiaro quanto il nostro Dio si impegni con noi esseri umani, quanto egli desideri e abbia bisogno di noi, fino a quale grandezza siano capaci le persone credenti e quanto Dio possa scrivere dritto anche su righe storte e umane. Possa alla nostra Chiesa locale, all’Arcidiocesi di Trento ed alla Diocesi di Innsbruck, con le quali siamo legati da una lunga tradizione storica, non mancare mai la presenza di persone pronte a scrivere insieme il piano di salvezza di Dio per noi”.

(Foto: Diocesi Bolzano – Bressanone)

Mons. Battaglia: a Napoli è tempo di cambiare

Nei giorni scorsi un quindicenne, Emanuele Tufano, colpito alle spalle, mentre scappava, inseguito da killer ancora senza un volto, mentre due amici, rimasti feriti, si sono presentati, poco dopo l’accaduto, al pronto soccorso dell’ospedale Cto. Il più grande, 16 anni, aveva ferite da colpi di arma da fuoco. L’altro, appena 14enne, è stato accoltellato alla coscia e al gluteo, e ha anche riportato la lesione di un’arteria. Il 16enne è stato sottoposto a un intervento chirurgico d’urgenza, grazie al quale è stato estratto il proiettile che l’aveva colpito.

Il quindicenne assassinato era uno studente e lavorava anche come meccanico. La sua insegnante Oriana Portoghese ha dedicato al ragazzo un accorato post sulla sua pagina Facebook: “Oggi è una brutta giornata. Oggi abbiamo perso un po’ tutti. Oggi sento ancora più forte il peso del lavoro che faccio. Fuori piove ed io mi sento morire. Leggo la notizia ‘Napoli, 15 enne ucciso a Corso Umberto durante una sparatoria’. Ma lui non era un quindicenne, era un mio alunno… Ti chiedo scusa a nome di tutti, tesoro mio, perché non siamo stati capaci di garantirti un futuro”.

E dopo questo ennesimo omicidio è arrivato l’appello dell’arcivescovo di Napoli, mons. Mimmo Battaglia con l’invito ai cittadini a reagire: “E’ con profondo dolore che apprendo dell’ennesima tragedia che ha colpito la nostra città: la morte di un giovane, appena quindicenne, strappato alla vita dalla violenza criminale. Il mio cuore si stringe attorno alla sua famiglia e a tutta la comunità che oggi piange un’altra vita spezzata. Ogni volta che un giovane viene ucciso, la nostra città perde una parte del suo futuro, e questo non può lasciarci indifferenti. Non possiamo più restare inermi. E’ tempo di un cambio di passo, e lo dico con tutta la forza e l’urgenza che richiede questo momento”.

Per attuare questo cambiamento è necessaria una sinergia tra i ‘corpi’ della società civile: “Prevenzione ed educazione devono essere al centro delle nostre azioni. Le istituzioni, le famiglie, le scuole, le parrocchie, tutti noi siamo chiamati a costruire una rete educativa solida, capace di offrire ai nostri ragazzi un’alternativa alla strada e alla criminalità. Non possiamo permettere che la disperazione e la mancanza di opportunità conducano i nostri giovani nelle mani della violenza.

Chiedo con forza un impegno concreto per creare percorsi educativi che partano dai primi anni di vita, che siano capaci di raggiungere soprattutto le famiglie più fragili. I nostri ragazzi devono poter vedere un futuro diverso, un futuro fatto di speranza e possibilità, e non di armi e violenza. Sono numerose le azioni che in questo tempo, grazie alla sinergia tra la Chiesa, la Prefettura e le Istituzioni comunali e regionali si stanno mettendo in campo: ma l’educazione da sola non basta”.

E’ un invito a condurre una lotta contro la criminalità: “Dobbiamo anche garantire sicurezza e controllo del territorio. Napoli non può essere ostaggio della criminalità e del commercio d’armi. Le nostre periferie, troppo spesso abbandonate a sé stesse, devono essere protette. Non possiamo accettare che le armi circolino con tale facilità, né che la vita umana sia trattata con tanta leggerezza. È necessario un intervento deciso delle autorità per fermare il traffico di armi e per garantire una presenza costante e visibile delle forze dell’ordine nei quartieri più a rischio”.

L’appello di mons. Battaglia è stato un invito a salvare la città: “La nostra città ha bisogno di risorgere. Non possiamo arrenderci a questa spirale di violenza e morte. Napoli ha una storia grande, fatta di bellezza, cultura e solidarietà, ma tutto questo sembra allontanarsi ogni volta che perdiamo un giovane. Oggi più che mai, dobbiamo unirci per salvare la nostra città e soprattutto i nostri figli.

Preghiamo per questo giovane e per la sua famiglia, ma preghiamo anche per Napoli, affinché possa trovare la forza di rialzarsi e di diventare un luogo dove la vita venga rispettata, protetta e valorizzata”.

Route Nazionale Agesci: educare alla bellezza della vita

“Siete capi! E questo termine è libero da confronti, competizioni, perché come deve essere è di solo Servizio. Senza di voi non cammina il popolo scout… per poter dare la possibilità di conoscere e seguire il miglior Maestro della Vita, quel vero pellegrino che è Gesù che ama, che insegna ad amare se stessi e ad amare il prossimo e cammina nelle nostre strade e apre quella del cielo”: con queste parole dell’omelia il presidente della Cei, card. Matteo Maria Zuppi, ha concluso a Verona la route nazionale di Arena24 per celebrare il 50^ dell’Agesci.

Il card. Zuppi ha richiamato la memoria all’assemblea di Sichem: “Viviamo a Verona quella grande assemblea di Sichem di cui abbiamo ascoltato, con motivi simili a quelli che avevano spinto Giosuè a convocare il popolo. Giosuè avvertiva il rischio che prevalessero l’identità di ogni tribù e di ogni clan familiare, di una frammentazione che enfatizzasse l’io ma relativizzasse il noi”.

Sichem è un richiamo all’esodo del popolo ebraico: “A Sichem fecero memoria di quanto avevano vissuto nei lunghi anni dell’esodo e dell’amore provvidente di Dio che li aveva accompagnati sempre, anche quando erano inconsapevoli. Il loro cuore era rivolto al futuro, al tempo e alla sfida che li attendeva”.

E’ stato un richiamo ad essere un popolo: “Non siamo turisti, ma esploratori! Ci accompagnano anche i tanti che in questi cinquanta anni hanno camminato con voi e adesso, magari, camminano con difficoltà con le gambe ma certamente lo fanno ancora di più col cuore, con la preghiera, con la solidarietà. Davvero ‘per sempre’. Siete un popolo. Solo l’io può scegliere, ma solo il noi può aiutare quell’io a camminare”.

Ed ha sottolineato il valore della parola ‘capo’: “Senza di voi il popolo scout non cammina. Siete tanti, ma quanti altri ne servirebbero per potere dare la possibilità di conoscere e seguire il miglior maestro della vita che è Gesù, che ama e insegna ad amare sé stessi e ad amare il prossimo, che cammina per strada e apre quella del cielo.

Tu hai parole di vita eterna, parole di vita e non di morte, parli di quello che non finisce e che la vita la rende piena di bellezza umana e spirituale già oggi, luce nel buio, giustizia nei disequilibri, pace nelle divisioni, mitezza in un mondo con cuori e menti armati. L’io isolato soffre, non sta bene! L’io in una vita ridotta a laboratorio diventa solo più fragile. Sappiamo quanti ragazzi e ragazze chiudono il mondo in una stanza (senza cielo però!), catturati e ingannati dallo schermo che confonde reale e virtuale e fa credere di essere quello che non si è”.

E’ stato un invito a ‘fare’ il meglio: “Fare il meglio perché abbiamo davvero capito che se non lasciamo il mondo migliore sarà peggiore, segnato da ingiustizie inaccettabili, alle quali non vogliamo abituarci. Siete diventati grandi facendo diventare grandi non perché sopra gli altri, ma insieme e nel servizio. Il più grande aiuta il più piccolo. Sempre. Quando ognuno finisce per essere regola a sé stesso si finisce per cercare una felicità individuale e non trovarla mai”.

In questo modo è possibile ‘vivere felice’, per cercare di cambiare il mondo: “Voi dimostrate che è possibile vivere una vita felice, non perché senza problemi, ma perché con un amore più forte delle avversità. Questo era il sogno di Baden-Powell (un uomo segnato dalla terribile esperienza della guerra) e questo rimane e si conferma il sogno che anche voi, qui a Verona, volete rinnovare.

Non siete per niente ‘anime belle’, ma belle e forti anime in un mondo che la trova poco! Non siete ingenui, ma (proprio perché sapete come va il mondo) lo volete cambiare! Non siete diventati cinici osservatori, turisti, ma sempre esploratori. Generate tanta felicità”.

E’ stato un invito a  vivere tenendo presente testimoni come don Peppe Diana: “Viviamo un tempo in cui nel nostro Paese è ancora forte e insidiosa la pratica dell’illegalità e delle scorciatoie compiacenti in nome della convenienza personale. In questo anno in cui celebriamo i trent’anni dell’omicidio di don Peppe Diana, parroco di Casal di Principe e Assistente ecclesiastico dell’Agesci, continuate ad essere testimoni e educatori di legalità e di giustizia, senza compromessi e senza impegni a spot o per i sondaggi, come condizione essenziale per costruire il bene comune e insegnare ad amarlo e difenderlo tutti i giorni”.

E non poteva mancare un richiamo a don Giovanni Minzoni: “Viviamo in un tempo in cui si evitano le scelte perché sembra intollerabile rinunciare a qualcuna delle infinite esperienze volatili e a poco prezzo che ci vengono offerte. Seguendo la testimonianza di don Giovanni Minzoni, sappiate scegliere e educare alla vera libertà, affrontando ogni fascismo, totalitarismo e violenza come le Aquile Randagie, senza paura di rinunciare per scegliere e trovare ciò che è buono e bello, ciò che Cristo e la coscienza ci indicano come giusto”.

Insomma, è stato un invito a vivere la bellezza cristiana della vita: “Viviamo in un tempo in cui l’esperienza religiosa e la fede sono relegate al privato e sono ritenute lontane dalla vita, restrittive della coscienza personale e limitative dell’io: siate testimoni di una vita cristiana che favorisce la bellezza di ogni espressione dell’umano, che non ha paura di legarsi per amore e non per possedere, sentendosi a casa nella Chiesa e amandola non perché sia una realtà perfetta, ma perché famiglia di peccatori perdonati che seguono colui che insegna ad amare, parola di vita eterna”.

Anche papa Francesco nel messaggio ha messo in evidenza la sfida educativa dell’accompagnamento: “Le pagine del Vangelo ci permettono di vedere come Gesù sapeva rendersi presente o assente, sapeva qual era il momento di correggere o quello di elogiare, di accompagnare o l’occasione per inviare e lasciare che gli Apostoli affrontassero la sfida missionaria. E’ in mezzo a questi, che potremmo chiamare, ‘interventi formativi’ di Cristo che Pietro, Andrea, Giacomo, Giovanni e il resto dei chiamati, configurarono, poco a poco, la loro vita a quella del Signore”.

Ed ha sottolineato che si educa con la vita: “I formatori educano in primis con la loro vita, più che con le parole. La vita del formatore, la sua costante crescita umana e spirituale come discepolo di Cristo, sostenuto dalla grazia di Dio, è un fattore fondamentale di cui dispone per conferire efficienza al suo servizio alle giovani generazioni. Di fatto, la sua stessa vita testimonia quello che le sue parole e i suoi gesti cercano di trasmettere nel dialogo e nell’accompagnamento formativo”.

Ma come si fa ad educare alla pace in un mondo pieno di conflitti? Lo ha spiegato Shinkuba Sharizan, psicologa sociale e insegnante nella scuola ‘World House’, cuore dell’organizzazione Rondine Cittadella della Pace: ‘L’importante è seminare’, raccontando la sua esperienza di incontro con altri ragazzi di paesi in conflitto con il suo e della difficoltà di accogliere il dolore che insieme provano per trasformarlo in un frutto di pace in entrambi. Kakalashvili Tornike, giornalista e studente della stessa scuola, ha invece ricordato che i modi per arrivare alla pace sono non aver paura di fare un passo avanti, dialogare, ‘esplorare le persone’ ed ascoltarle attivamente.

Rosario Valastro, presidente di Croce Rossa Italiana, impegnata in prima linea nei paesi in conflitto, ha proseguito la riflessione sottolineando che educare alla pace significa educare al fatto che la dignità umana non sopporta eccezioni, nemmeno in tempo di guerra e che aiutare chi ha bisogno, stando dalla parte di chi soffre è un mezzo per costruire la pace.

Marialuisa De Pietro, già incaricata Nazionale – Branca E/G, ha invece raccontato la sua esperienza personale di educazione alla pace, nella vita di tutti i giorni da insegnante, parlando di alcuni bambini nelle sue classi e di come, coinvolgendo i compagni di classe, abbia visto un cambiamento in tutti, un miglioramento basato sul rispetto di chi è in difficoltà, perché diverso non è inferiore; educare alla pace significa anche capire che non è necessario essere d’accordo, ma con il rispetto, anche il conflitto può diventare qualcosa di costruttivo e nel disaccordo si può stare bene insieme.

(Foto: Agesci)

Il matrimonio: croce luminosa

Il Matrimonio celebrato in chiesa ha un valore diverso rispetto a quello in Comune o al semplice convivere; è qualcosa di molto più profondo e grande, due persone si dichiarano amore per tutta la vita nella buona e nella cattiva sorte, nella salute e nella malattia, consapevoli che ciò è possibile solo unendosi in sodalizio con Gesù Cristo.

Si suggella un rapporto che durerà per sempre, un amore a tre consistente nell’amare Gesù e con quell’amore perfetto e trinitario amare il coniuge. Io e Barbara abbiamo risposto ad una chiamata speciale: dedicare la nostra vita a chi è in difficoltà, con la consapevolezza che senza Gesù non si può fare niente (GV 15, 5: ‘Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla’).

Agli inizi della nostra relazione lavoravo in politica, seguivo vari organi istituzionali, ma quando ho sentito la chiamata ho cambiato vita. Barbara invece lavorava in un negozio di arredo casa e quando possibile faceva volontariato; ha sentito di seguirmi in questa nuova vita per gli altri ed ora da sposi, dopo aver lasciato prima io, poi lei, i nostri rispettivi lavori, viviamo di sola provvidenza.

Ma bisogna sempre tenere presente che, indipendentemente dalla nostra occupazione o vocazione, la prima chiamata che abbiamo quando ci sposiamo è al matrimonio, al dono verso il proprio coniuge, ai figli; ciò però non significa che dobbiamo chiuderci nella nostra famiglia, ma dedicarci anche con tanto impegno al nostro prossimo.

Il periodo storico che stiamo vivendo non è facile, possiamo dire senza dubbio che siamo in piena Apocalisse e le famiglie ne sono state sommerse, sono sempre più nell’occhio del ciclone; qui al sud circa il 50% di chi si sposa, si separa, a Verona, città dove vive la mia famiglia di origine, addirittura in pochissimi si sposano in chiesa e la maggior parte di queste poi si separano.

Nel matrimonio abbiamo tre grandi nemici: il nostro io, l’idea che abbiamo del matrimonio, e il demonio, in questi tempi è sempre più presente. Noi, come cristiani, nella nostra vita – e quindi anche nel matrimonio – vogliamo cercare di porre al centro il Vangelo, mettendolo in pratica; ciò significa amare in maniera incondizionata, piena e non aspettandoci nulla in cambio. Perdonando.

Col tempo nasceranno tante prove da superare: malattie, crisi, differenze di carattere, lutti familiari, incidenti etc. La nostra misura per affrontare tutto deve essere una sola, l’amore, che può sfociare anche nel sacrificio. Il nostro riferimento vuole essere la Croce, in cui crocifiggere il nostro io. La Croce fonde le volontà di entrambi, spesso diverse e la fa scorrere in una volontà nuova, perché dalla morte di quelle due volontà nella Croce, uscirà la Volontà Divina luminosa, gloriosa: quella croce di Luce attraverso cui regnerà l’armonia, la pace, la concordia, la lealtà, l’altruismo, il rinnegamento di sé stesso per l’esaltazione dell’altro, in una sola parola l’Avvento del Regno di Dio. 

In sintesi, vogliamo cercare di rendere felice il nostro coniuge!  Dobbiamo fare noi il primo passo e diventare noi, fusi in Gesù e Maria, il cambiamento che vogliamo nell’altro, solo diventando amore donato tutto diventa nuovo! Anche noi ogni giorno lottiamo con i nostri limiti, miserie, fragilità, tante sono state le cadute, le incomprensioni. Siamo in cammino, e cerchiamo di abbandonarci totalmente alla Divina Volontà, in modo da diventare un matrimonio di Luce e quella Luce donarla a tutti!

Altro ostacolo da non sottovalutare è il demonio che interviene nei matrimoni in maniera devastante; bisogna conoscere i suoi attacchi (lettura che consiglio – Fra Benigno: ‘Diavolo e i suoi attacchi al Matrimonio’ – Edizioni Amen), e reagire nell’unico modo possibile, indossando le armi della fede e meditando la Passione di Cristo. A tal proposito Gesù ci dice: “Il mondo si è squilibrato perché ha perduto il pensiero della mia Passione; Sicché, se si ricorda venti, cento, mille volte della mia Passione, tante volte di più godrà gli effetti di essa. Tutti i rimedi che ci vogliono a tutta l’umanità, nella mia Vita e Passione ci sono”.

Per meditare la Passione di Cristo e per fondersi in Gesù ho letto un prezioso libro che mi ha regalato tanto e che consiglio: ‘Le 24 Ore della Passione di Nostro Signore Gesù Cristo’, di Luisa Piccarreta, Piccola Figlia della Divina Volontà.

Per proseguire in questo meraviglioso cammino di fede bisogna approcciare anche alla lettura dei Libri di Cielo, della stessa autrice. Si tratta di numerosi volumi, in cui vengono riportate nuove esagerazioni di amore di Gesù, verità rivelate all’autrice da Gesù stesso, che ci danno gli strumenti per prendere il “posto” che nella notte dei tempi Dio ha pensato per noi.

Posso dirvi che ho già avuto vari doni: una più profonda adesione alla Parola di Dio, la capacità di leggere i segni, maggiore pazienza, più collaborazione nelle faccende domestiche, il dono di leggere insieme a Barbara i Libri di Cielo; questi scritti ci danno la consapevolezza che ogni avversità è una predilezione d’amore di Cristo, per mondarci e camminare verso la fusione con Gesù e Maria.

In Missione, grazie a queste letture, ho provato gioia quando è morto Fratel Biagio, e non dolore: avevo la certezza che era in Cielo e potevo solo essere felice per lui; perdevo un amico ma trovavo la Speranza di una vita eterna. Sono convinto che le esortazioni che ricevevo da Fratel Biagio, mentre si curava dal cancro, a fidarmi solo di Dio, mi abbiano aiutato a ricevere il dono della conoscenza della Divina Volontà. Gesù ci vuole felici e di nuovo uniti a Lui per sempre, come ci pensò in principio!

(Tratto da Matrimonio Cristiano)

Da Assisi una lettura interreligiosa del Cantico di san Francesco d’Assisi

“Prendiamo in esame un testo chiave di san Francesco d’Assisi, il ‘Cantico di frate sole’ (o ‘Cantico delle Creature’) ed alcune delle sue tante possibili riletture, sul versante interreligioso. Francesco d’Assisi è un simbolo del dialogo interreligioso, fra l’altro per l’incontro in Egitto con il Sultano mussulmano al-Malik al-Kamil durante la quinta Crociata (1219)… L’obiettivo del corso macroecumenico per la ‘casa comune’,nel quadro della denominazione della Cittadella di Assisi, ‘Cittadella Laudato Sì’, è di favorire occasioni di incontro, di dialogo, riflessione tra esponenti ed esperti di tutte le religioni del mondo sull’ecologia integrale, nella convinzione che dal patrimonio di fede di ogni confessione religiosa si possano trarre insegnamenti e percorsi inediti. Ed il ‘Cantico di frate Sole’ offre molte suggestioni al riguardo”.

Il corso ‘Il Cantico delle fedi’, che si svolge online, inizia oggi pomeriggio con la scrittrice di racconti d’infanzia e vincitrice del Premio Andersen, Giusi Quarenghi, che propone una lettura laica del cantico del santo assisate; proseguirà giovedì 2 maggio con il missionario saveriano, Tiziano Tosolini, direttore del Centro Studi Asiatico di Osaka e docente di filosofia al Centro Studi Interreligiosi all’Università Gregoriana di Roma, che illustrerà la lettura buddhista del Cantico; giovedì 12 settembre il teologo. Adnane Mokrani, docente di studi islamici e di relazioni islamo-cristiane, offrirà una lettura mussulmana del Cantico; infine, giovedì 7 novembre la registra teatrale e studiosa di ebraismo, Miriam Camerini, proporrà ne lettura ebraica.

Al presidente della Pro Civitate Christiana di Assisi, don Tonio Dell’Olio, chiediamo di spiegarci in cosa consiste ‘il Cantico delle fedi’: “E’ la ricerca sapiente delle tracce e delle ispirazioni che permeano il ‘Cantico di Frate Sole’ di Francesco d’Assisi nella spiritualità e nel patrimonio di fede delle religioni. Il cantico delle fedi è un ‘laboratorio macroecumenico per la casa comune” composto da ricercatori appartenenti a diverse religioni e da esperti. A breve inizierà un Corso di formazione online che, organizzato dal Laboratorio, si rivolge primariamente agli insegnanti ma anche a tutte le donne e gli uomini che desiderano far crescere la propria conoscenza (e la propria esperienza) di fede e di vita in relazione con l’ambiente alla luce del Cantico delle creature”.

Quante ‘letture’ può offrire il ‘Cantico delle Creature’?

“Il ‘Cantico delle creature’ è un portone spalancato verso il cielo e verso la terra, verso Dio e verso tutte le sue creature. C’è una lettura teologica ma c’è una parola affidata al creato che si rivolge a Dio con i suoni del vento e dell’acqua, col crepitìo del fuoco e con il calore dei raggi del sole. Oggi si direbbe che si tratta di una lettura immersiva in cui nessuno può pretendere la delega di parlare a nome di altri ma tutti gli elementi del creato hanno dignità di parola perché fratelli e sorelle, talvolta anche madri. Poi il ‘Cantico delle Creature’ propone una rilettura del perdono e della morte con cui ci si confronta come donne e uomini in cammino sulla terra e nella storia”.

Come leggere oggi il ‘Cantico delle Creature’?

“Prima che leggerlo bisognerebbe ascoltarlo. Papa Francesco l’ha fatto pulsare in quell’enciclica stupenda che porta il nome del Cantico e tocca i nodi nevralgici del cambiamento d’epoca che stiamo vivendo. Ci insegna a rileggere il Cantico non solo come un inno della natura ma come una lente che ci educa a guardarci dentro intimamente, personalmente e come umanità”.

Per quale motivo lodare Dio per tutte le sue creature?

“Maturiamo quella lode come un’esigenza prima che come un dovere. Quando ci immergiamo nel creato non possiamo che aprirci al sentimento della gratitudine e della lode perché scopriamo che tutto è dono, anzi espressione gratuita dell’amore del Creatore”.

Perché la nuova denominazione ‘Cittadella Laudato Sì’?

“Innanzitutto per la collocazione assisana che è tutt’altro che una mera coincidenza: è la scelta di una spiritualità e uno stile di vita. Inoltre per rafforzare un’attenzione che la Pro Civitate Christiana, che è l’associazione che anima le iniziative e le attività di ‘Cittadella Laudato sì’, ha sempre riservato alla cura della casa comune. Basterebbe scorrere i titoli e i relatori dei convegni e dei Corsi di studio che da più di 80 anni vengono proposti, per rendersene conto. Infine ci sembra che in questo modo riusciamo a offrire un contributo specifico alla richiesta che ci viene formulata dal magistero di Papa Francesco”.

Eppoi ad agosto il corso ‘Cum tucte le creature: natura e contronatura’: in quale modo rapportarci con il creato?

“L’attenzione all’ecologia integrale non può prescindere dalla denuncia dei danni che vengono arrecati quotidianamente all’ambiente e alle persone vittime di sfruttamento, guerre e privazione di diritti. C’è un greenwashing diffuso e pervasivo che non può essere assecondato e va smascherato a 360 gradi. Inoltre crediamo che uno dei punti fermi del cammino verso una nuova coscienza ecologica consista nel sentirsi parte del creato: né superiori dominatori, nè dirimpettai”.

Impostori di sabbia

Eppure il cambiamento era dietro l’angolo. Il mondo vecchio stava scomparendo e bastava una spallata per buttarlo giù. Erano gli anni operai delle assemblée, delle 150 ore retribuite in fabbrica per la licenza media e il testo faro di don Milani ‘Lettera a una professoressa’. Il terrorismo e le manipolazioni della sedicente rivoluzione proletaria. Il sospetto, col tempo, che tutto fosse giocato d’avanzo e che l’italico Paese, colonia degli Stati Uniti Vaticani, divenne preda scelta di manovre eversive delle stragi che avrebbero insanguinato banche, piazze, treni e stazioni. Credevamo che il cambiamento fosse una questione di stagioni.

Mons. Lorefice: salire al monte per cambiare la città

Lunedì 4 settembre Palermo ha celebrato l’ascesa sul monte Pellegrino della patrona santa Rosalia con l’arcivescovo, mons. Corrado Lorefice, che è stato chiaro nel motivare questo momento: “Salgo con voi, cammino con voi, per chiedere alla nostra Santuzza, perdono”.

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