Bussole per la fede

La Facoltà Teologica del Triveneto offre approfondimenti sui temi della vita

Cinque corsi del piano di studi del ciclo di licenza nell’anno accademico 2024/2025 della Facoltà Teologica del Triveneto approfondiscono alcuni temi di stretta attualità: l’educazione affettiva e la prevenzione della violenza di genere; il fine vita e implicazioni bioetiche; la sessualità e l’identità di genere; l’abuso spirituale; la meditazione spirituale.

Il corso ‘Educazione affettiva e prevenzione della violenza di genere’, tenuto dalle professoresse Marzia Ceschia e Michela Simonetto, offre un quadro generale sulle principali teorie dello sviluppo psico-affettivo, con alcuni percorsi di lettura sull’educazione di genere e sulle dinamiche che innescano la violenza. Mentre il corso ‘Incontro con il limite. Il ‘fine vita e le sue implicazioni bioetiche’ con il prof. Leopoldo Sandonà propone un approfondimento di carattere etico-spirituale sull’accompagnamento nei confronti delle persone assistite.

In un altro corso, ‘Giovani: sessualità e identità di genere’, il prof. Giovanni Del Missier offre un approccio al tema del gender per valorizzare il pensiero della differenza sessuale e individuare le questioni che tale teoria presenta alla chiesa e alla società contemporanea, con particolare attenzione alla realtà giovanile. Il quarto corso di approfondimento, ‘L’abuso spirituale’, condotto dal prof. Giorgio Ronzoni, analizza il tema dell’abuso spirituale e/o di coscienza.

Il quinto corso, condotto dal prof. Antonio Bertazzo, esplora ‘La pratica della meditazione. La tradizione cristiana e nuovi orientamenti’, in quanto la meditazione spirituale è una pratica che si sta diffondendo in differenti ambiti, dalle scuole ai luoghi di lavoro, nel tempo dello svago e delle attività ludiche, come una ricerca soprattutto di benessere psichico e fisico.

Per capire meglio le finalità che una facoltà teologica dedica a questi temi, abbiamo chiesto alla prof.ssa Assunta Steccanella, direttrice del secondo ciclo di studi teologici della Facoltà Teologica del Triveneto, di spiegare i motivi per cui una facoltà teologica dedica gli approfondimenti a temi quali violenza, sessualità e fine vita: “Ci sono due ragioni fondamentali per questa scelta, la prima di carattere strutturale, la seconda squisitamente teologica. La ragione strutturale: i corsi di cui qui parliamo fanno parte del piano di studi del ciclo di specializzazione (licenza) in teologia pastorale.

La teologia pastorale è una disciplina che non si limita ad ‘applicare’ le norme dottrinali all’agire della Chiesa: essa si struttura piuttosto intorno al dialogo nativo tra teoria e prassi o, per dirlo con le parole di Christoph Theobald, vive di un duplice ascolto, di Dio e dell’umano. In questa prospettiva sviluppiamo la nostra ricerca in relazione continua con le provocazioni del reale, per valutare i modi nei quali, come Chiesa, possiamo svolgere al meglio il nostro compito di servizio all’evangelizzazione e al bene comune nella realtà in cui siamo immersi oggi.

La ragione teologica: l’inculturazione del Vangelo è compito inesauribile di noi-Chiesa. Il termine indica l’incarnazione e la riespressione del Vangelo nelle varie culture. Il principio di incarnazione appartiene integralmente alla logica della salvezza: noi cristiani non possiamo esimerci dall’assumerlo come paradigma di quanto pensiamo e di quanto proponiamo come via all’evangelizzazione nel contesto storico in cui ci è dato di vivere”.

Tali temi pongono un confronto con le scienze: quale dialogo è disponibile ad aprire la Chiesa?

“Non si tratta di una disponibilità da offrire o meno, ma di una norma per tutta la riflessione teologica. Al n. 4 della Costituzione apostolica ‘Veritatis Gaudium’ sono illustrati ‘i criteri di fondo per un rinnovamento e un rilancio del contributo degli studi ecclesiastici a una Chiesa in uscita missionaria’ e si richiama al dialogo tra tutti i saperi e a una teologia che si sviluppi in prospettiva inter- e trans-disciplinare. Si tratta di un approccio epistemologico tipico della teologia pratica o pastorale che don Mario Midali, già professore emerito di teologia pastorale all’Università Pontificia Salesiana. descriveva già alcuni decenni fa come ‘disciplina-cerniera’, chiamata a porre in dialogo teologia, scienze umane, sacra scrittura, per individuare coordinate adeguate all’agire pastorale”.

Quale è la proposta della Chiesa su questi temi sensibili?

“La proposta della Chiesa non consiste prima di tutto in una serie di indicazioni concrete, ma nello sforzo continuo per promuovere la realizzazione dell’umano nella pienezza della sua vocazione. La ricerca muove quindi da uno sguardo antropologico fondato sulla Rivelazione e in dialogo con le scienze umane, per individuare alcune coordinate fondamentali in grado di orientare l’agire”.

Con quale linguaggio la Chiesa può affrontare l’emergenza educativa?

“Il problema del linguaggio è oggi centrale, ma non lo si affronta semplicemente adottando nuove tecniche comunicative: la risposta abita in un cambio di atteggiamento. Diceva il sociologo David Le Breton che ‘se l’altro non è apprezzato, la sua lingua è un rumore’. Uno sguardo positivo sul mondo e sull’umano, ascolto e accoglienza, sono gli elementi fondamentali che consentono ogni comunicazione”.

Quali indicazioni può offrire la meditazione cristiana?

“Riscoprire questa pratica antica aiuta prima di tutto noi-Chiesa a uscire dalla frenesia del fare, dall’ansia di ‘concludere’ qualcosa. Apre lo sguardo sulla nostra interiorità e ci dispone in ascolto di Colui che è il Bello, il Vero, il Buono. In relazione profonda con Lui, tutto diventa poi più sensato, e possibile”.

A chi sono rivolti tali approfondimenti?

“Oltre agli studenti ordinari, i corsi sono aperti agli uditori, operatori pastorali in genere, preti, diaconi, ministri e ministre istituiti e di fatto, insegnanti di religione, qualsiasi persona magari impegnata nel sociale, nella sanità… non ci sono preclusioni. Per chi sceglie la modalità di frequenza in formazione permanente c’è anche la possibilità di seguire i corsi online”.

(Tratto da Aci Stampa)

Gabriele dell’Addolorata: patrono dei giovani

Gabriele dell’Addolorata, al secolo Francesco Possenti, è stato un religioso e mistico italiano della Congregazione della Passione di Gesù Cristo. Proclamato santo nel 1920 da papa Benedetto XV, la sua memoria liturgica si celebra il 27 febbraio. E’ patrono della regione Abruzzo, della Gioventù cattolica italiana e dei comuni di Martinsicuro (TE), Civitanova Marche (MC) e Bovolenta (PD).

Un Sinodo verso visioni differenti

La parabola del Buon Samaritano come mappa del cammino sinodale: è su questo snodo che suor Maria Ignazia Angelini ha incentrato ieri la sua meditazione, preparando i partecipanti alla riflessione sulla seconda parte dell’Instrumentum laboris, sul tema delle relazioni attraverso una similitudine tra Buon Samaritano e Sinodo: “Nella parabola del samaritano, implicitamente troviamo come tracciata, in simbolo, una mappa del cammino sinodale. Che nelle relazioni ha la sua rete portante. Relazioni in cui, prima ancora che di ‘fare’, si tratta di ‘vedere’. Il vedere che è alla base della spiritualità sinodale: ‘Ubi amor ibi oculus’: dov’è amore si apre una nuova visione”.

Il cammino sinodale è un cammino verso Gerico: “E possiamo vedere raffigurato lo stesso cammino sinodale: la via che da Gerusalemme ‘scende’ a Gerico è l’orizzonte a tutti i possibili percorsi. Il cammino sinodale, partito a molti livelli, e in molte direzioni (a seconda dei continenti, delle nazioni, dei contesti, delle collaborazioni), è unico. Ma per coloro che lo percorrono (ci rivela il Vangelo), si aprono visioni diverse: vedere e passar oltre, distanziandosi dall’altra parte. Nei dialoghi sinodali, quante storie si incrociano, quante attese deluse, oppure (trasformante!) quale sguardo potrà maturare”.

Ma a quale missione la Chiesa è chiamata è spiegata dalla religiosa benedettina: “Quella discesa da Gerusalemme a Gerico è modello di tutti i tragitti della missione. Lo sguardo che ‘scendendo’ vede la sventura sconvolge le viscere e trasforma il samaritano in prossimo; trasforma i rapporti di colui che, per sé, era ritenuto non averne di buoni: non potrà più staccarsi dal ‘mezzo morto’ che d’improvviso gli si è parato dinanzi. Una dimensione materna, viscerale, trasforma il lontano in vicino. La Chiesa ‘misericordiata’, in misericorde”.

La parabola insegna a vedere: “La punta della parabola è in quel ‘vedere’ che riconosce l’altro e mi intima di farmi prossimo; il vedere che infligge la ferita, fa scattare il sommovimento interiore da cui parte l’atto dell’ ‘erede’ della vita eterna, l’atto propriamente divino: l’umile compassione. Il lampo di luce che opera questo vedere, è scoccato dall’uomo nella necessità. Il quale può essere perfino fenomeno ripugnante (san Francesco lo apprende bene dall’incontro col lebbroso); o rivelazione sconvolgente. Evidenze nuove maturate attraverso l’incarnazione, la con-corporeità”.

E la visione implica la cura: “Prendersi cura, da samaritano chino su anonimo giudeo sventurato; accettare e rielaborare le differenze, e subito tendere alla costituzione di un pandocheion: una rete di relazioni ospitali. Una cultura della gratuita, umile compassione. Solo la rivelazione del Figlio ‘che discese’ può aprire gli occhi e il cuore a vedere…; e può realizzare questa prossimità improbabile, intimando il ‘fare’ sorprendentemente semplice, capace di edificare una umanità fraterna. L’altro nel bisogno è rivelazione sconvolgente. Che converte il cuore e ridisegna il mondo. Crea una cultura”.

Insomma l’invito di Dio è quello di non ‘passare oltre’: “Lo Spirito di Dio ama dimorare nei luoghi della liminalità. I bordi della strada che da Gerusalemme scende a Gerico. E’ principio di un ribaltamento dell’orizzonte dello spirituale. Un ribaltamento che in Gesù di Nazaret ha trovato piena rivelazione. La liturgia non sacrale dell’incontro con l’altro, appresa dal Mistero della celebrazione liturgica, è il nucleo ardente dello stile dello Spirito. La nostra natura umana è in radice imbevuta di relazioni. Dunque, prima o poi, giunge un momento nella vita di ciascuno di noi, in cui dobbiamo scegliere se fermarci o passare oltre”.

Di seguito il relatore generale del Sinodo della Seconda Sessione della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, card. Jean-Claude Hollerich, ha presentato il Modulo II dell’Instrumentum Laboris: “La sfida per il nostro lavoro dei prossimi giorni è sintonizzarci con il movimento che anima l’Instrumentum laboris, capace di tenere insieme i diversi livelli e i diversi ambiti, e raggiungere così la vita e le pratiche concrete delle nostre comunità. Sarebbe semplice rimanere su un piano generale e limitarci a ribadire l’importanza delle relazioni per lo sviluppo delle persone e delle comunità… Il Popolo di Dio aspetta da noi indicazioni e suggerimenti su come è possibile rendere quella visione sperimentabile concretamente”.

Infine il relatore generale ha invitato i padri sinodali alla ‘concretezza’: “Come credo stiate intuendo, affrontando la Sezione delle “Relazioni” cerchiamo passi per rendere operativa oggi la prospettiva ecclesiologica delineata dal Concilio…

La sfida dei prossimi giorni sarà mantenere il delicato equilibrio che allontani il rischio di cadere in un eccesso di astrazione da una parte, o in un eccesso di pragmatismo dall’altra. Nei lavori di gruppo così come in quelli in plenaria cerchiamo dunque di dare adeguato spazio tanto al piano dell’ispirazione, in collegamento con quanto delineato nei Fondamenti, quanto a quello delle pratiche, senza rinunciare a nessuno dei due e senza aver paura di disegnare il profilo di proposte concrete che le singole Chiese saranno poi chiamate ad adattare alle diverse circostanze”.

Le Chiese pregano per la pace nel mondo

“Fratelli e sorelle, riprendiamo questo cammino ecclesiale con uno sguardo rivolto al mondo, perché la comunità cristiana è sempre a servizio dell’umanità, per annunciare a tutti la gioia del Vangelo. Ce n’è bisogno, soprattutto in quest’ora drammatica della nostra storia, mentre i venti della guerra e i fuochi della violenza continuano a sconvolgere interi popoli e Nazioni. Per invocare dall’intercessione di Maria Santissima il dono della pace, domenica prossima mi recherò nella Basilica di Santa Maria Maggiore dove reciterò il santo Rosario e rivolgerò alla Vergine un’accorata supplica; se possibile, chiedo anche a voi, membri del Sinodo, di unirvi a me in quell’occasione. E, il giorno dopo, 7 ottobre, chiedo a tutti di vivere una giornata di preghiera e di digiuno per la pace nel mondo. Camminiamo insieme. Mettiamoci in ascolto del Signore. E lasciamoci condurre dalla brezza dello Spirito”.

Così papa Francesco ha concluso l’omelia della celebrazione eucaristica nella festività degli Angeli custodi, che ha aperto il Sinodo dei vescovi, con cui oggi pomeriggio si reca nella basilica di Santa Maria Maggiore per pregare per la pace nel mondo, chiedendo a tutti i padri sinodali di partecipare, a cui si è unita la presidenza della CEI con l’invito a tutte le diocesi italiane ad unirsi alla preghiera del Rosario di domenica 6 ottobre ed a vivere la giornata di preghiera e di digiuno del 7 ottobre:

“Ogni giorno aumentano i pezzi di questa guerra mondiale che si abbatte su diversi popoli e numerosi luoghi, spesso dimenticati. Non dobbiamo stancarci di chiedere che tacciano le armi, di pregare perché l’odio faccia spazio all’amore, la discordia all’unione. E’ tempo di fermare la follia della guerra: ognuno è chiamato a fare la propria parte, ognuno sia artigiano di pace”.

Per tale momento l’Ufficio Liturgico Nazionale della Cei ha preparato il sussidio per l’animazione liturgica e per la recita del Rosario:. “Sentiamo il peso degli orrori della guerra e delle campagne di odio che lacerano la convivenza umana in tante regioni del mondo. Con piena fiducia  e filiale abbandono volgiamo lo sguardo verso Maria, la Madre del Principe della Pace, perché accolga il nostro anelito di pace!” Con tali intenzioni la Chiesa pregherà per la pace nel mondo:

“Si spengano i fuochi di guerra che sconvolgono popoli e nazioni e si rinnovi in tutti la consapevolezza di una fraternità universale… per tutti i popoli oppressi dalla guerra: non perdano la speranza di un futuro di pace e con l’aiuto della diplomazia internazionale vedano sorgere nuove vie di dialogo… per i governanti: non cedano alla tentazione della violenza e della sopraffazione, ma perseguano scelte per custodire la pace e far crescere il bene comune”.

A Milano domani alle ore 13.00 è previsto un incontro di preghiera n incontro di preghiera dei dipendenti della diocesi ambrosiana e di Caritas Ambrosiana in arcivescovado, come ha sottolineato Luciano Gualzetti, direttore della Caritas Ambrosiana: “Ad un anno dagli atti terroristici che hanno dato inizio alla nuova, crudele guerra in Medio Oriente, Caritas Ambrosiana e l’intera rete Caritas sentono il dovere non solo di ribadire vicinanza spirituale e umana a tutte le popolazioni che sono vittime di tanta insensata violenza, ma anche di confermare e moltiplicare l’impegno ad aiutare feriti, sfollati, vulnerabili.

Ed a sostenere, con l’ostinazione della fede e della speranza, ogni esperienza di dialogo, di convivenza, di riconciliazione, anche la più piccola e apparentemente fragile, che fiorisce sui terreni accidentati dei conflitti contemporanei”.

La guerra in Medio Oriente, riaccesasi un anno fa in Israele e a Gaza, estesasi alla Cisgiordania, ora dilagata in Libano (con ramificazioni in Siria, Iran, Yemen e, si teme, Iran), mescola le ragioni ed i torti delle leadership politiche e militari dell’area, uccidendo la popolazione con decine di migliaia di morti innocenti e danni umanitari e infrastrutturali di proporzioni immani.

Inoltre in occasione del Capodanno ebraico, celebra tossi lo scorso 3 ottobre mons. Mario Delpini ha inviato al rabbino capo di Milano, Alfonso Arbib, un messaggio di augurio: “La situazione che stiamo vivendo domanda una partecipazione ancora più intensa. Il 7 ottobre, pochi giorni dopo la solenne ricorrenza, cadrà infatti il primo anniversario degli attentati terroristici che hanno sconvolto e segnato la vita di tante famiglie israeliane, innescando un conflitto che ancora non si spegne, e che anzi sembra ingrandirsi sempre più”.

Nel messaggio l’arcivescovo aveva sottolineato il precipitare della situazione mondiale: “Il clima che si respira a livello mondiale sembra avere cancellato parole come pace, fraternità, fiducia, vita insieme. Anche la parola ‘Dio’ fatica ad essere ascoltata. Con animo profondamente turbato, ci sentiamo immersi dentro un pellegrinaggio verso gli abissi del male, dell’odio, dell’ingiustizia.

Avvertiamo di doverci appoggiare con forza alla nostra fede per non essere vinti dalla paura e dallo sdegno e per trovare, nonostante tutto, una via di speranza… Assicuro il deciso sostegno della Chiesa Ambrosiana perché siano contrastati gli episodi di odio e le insorgenze di pregiudizi e accuse che pensavamo ormai consegnati alla storia”.

Anche il vescovo di Arezzo – Cortona – Sansepolcro, mons. Andrea Migliavacca ha indetto una giornata di preghiera e digiuno, in contemporanea alla Chiesa che è in Gerusalemme: “E’ importante e necessaria la preghiera di fronte all’insensatezza e violenza della guerra venga celebrata con l’intenzione ‘per la pace e la giustizia’, affinché si fermino le ostilità in tutto il mondo, con un pensiero per l’Ucraina ed in particolare per tutto il Medio Oriente. Ogni parrocchia inoltre, è libera di promuovere ulteriori momenti di preghiera e riflessione, come per esempio il Rosario per la pace, secondo le proprie possibilità.

Tutti i fedeli sono invitati dunque a partecipare all’iniziativa del 7 ottobre nella propria parrocchia, un’occasione per pregare anche per il viaggio che i vescovi toscani, insieme anche ad alcuni giovani, faranno (a Dio piacendo) in Terra Santa dal 14 al 17 ottobre come segno di vicinanza ai cristiani che vivono nella terra di Gesù e come appello per la pace”.

(Foto: Cei)

Mons. Raspanti: san Francesco segno di Cristo

Nel giorno del Transito di san Francesco, ha avuto ufficialmente inizio ‘La Sicilia ad Assisi’, le iniziative legate ai festeggiamenti in onore del Santo assisate che hanno invitato in Umbria oltre 5.000 pellegrini dalla Sicilia, ai quali si aggiungono molti che hanno raggiunto Assisi in autonomia o, comunque, senza una organizzazione legata alle diocesi.

Ad Assisi, già dalla mattinata del 3 ottobre, il Custode della Porziuncola, fr. Massimo Travascio, ha accolto gli ospiti nel Refettorietto del Convento di Santa Maria degli Angeli, che ha  rivolto un messaggio di benvenuto a tutti i convenuti nella sala e alle autorità presenti; la concelebrazione eucaristica è stata officiata da mons. Antonino Raspanti, vescovo di Acireale e presidente della Conferenza Episcopale Siciliana, rievocando le parole di Thomas Merton:

“Siamo in questa basilica, pellegrini di quell’immagine di Cristo povera e umile che è Francesco, perché vogliamo seguirne le orme, che con sicurezza ci rendono veri discepoli del divino Maestro. Venuti dalla Sicilia, siamo una porzione di Italiani che cerca in questo Frate del Medioevo un sicuro orientamento per il proprio cammino lungo una strada che appare piena di insidie.

L’olio che portiamo in dono raffigura noi stessi perché esprime il nostro desiderio di rimanere vicini a lui nelle sue spoglie mortali, qui custodite, per attingere alla sua ispirazione spirituale, conservata dai Frati, e non smarrire la giusta direzione”.

Riprendendo la lettera di san Paolo ai Galati mons. Raspanti ha affermato che san Francesco ha ricevuto il ‘segno’ di Cristo: “Questo segno fu concesso anche a Francesco ottocento anni fa, nel settembre 1224, quando ‘nel crudo sasso intra Tevere e Arno da Cristo prese l’ultimo sigillo, che le sue membra due anni portarno’, secondo la descrizione di Dante nella Commedia.

Così fu noto a tutti quanto egli fosse intimamente unito al Signore, il quale lo rendeva partecipe della propria dona zione amorosa per l’umanità e sigillava la missione di Francesco di ricostruire la sua Sposa, la Chiesa”.

Per questo san Francesco è patrono d’Italia: “I Padri della Repubblica, di tradizioni culturali e fedi diverse, i governanti e il popolo italiano hanno ben colto il nocciolo di questo messaggio, accogliendo Francesco quale patrono d’Italia dichiarato tale da papa Pio XII. Noi italiani tutti desideriamo così attingere alla sorgente della pace e della concordia per berne direttamente e diffonderla.

Siamo consapevoli di non essere qui dinanzi a valori, per quanto alti e preziosi, come la concordia e la fraternità, ma siamo dinanzi alle spoglie di un uomo con un vissuto che lo rende eccellente testimone e profeta che indica la sicura via della pace”.

E’ stato un invito al rinnovamento interiore: “Forse potremmo rischiare di dire che non riusciamo nell’odierna convivenza sociale ad accogliere il migrante, a frenare la violenza, a curare i deboli e i poveri, a respingere il malaffare proprio perché non riusciamo a raggiungere la sorgente dei valori, cioè il perdono e la riconciliazione, l’umiltà e la mitezza.

Se il risanamento non accade nel profondo delle radici, non vedremo mai i frutti dell’albero. Cristo crocifisso e Francesco, piccolo e stigmatizzato, hanno raggiunto il fondo risanando e inaugurando la nuova creazione”.

Mentre nei Primi Vespri del Transito di san Francesco mons. Corrado Lorefice, arcivescovo di Palermo e vicepresidente della Conferenza Episcopale Siciliana, aveva sottolineato la ‘spoliazione’ del Santo: “Nelle prime due spoliazioni Francesco sveste il suo corpo delle vesti, rimanendo nudo, ma nell’ultima (con il sopraggiungere di ‘sorella morte’) si spoglia anche di ‘fratello corpo’ nudo… Per essere restituiti alla terra e all’abbraccio paterno e fraterno originario. La morte segna la totale consegna del suo corpo a Dio e ai fratelli”.

Tale Transito è un ammonimento a vivere ‘bene’ la morte, che conduce alla Vita: “La memoria del transito di Francesco, ci ridesta al nostro essere creature mortali, figli e fratelli/sorelle: creature, non Creatore, mortali non eterni; figli amati, non schiavi; fratelli/sorelle, non nemici catapultati nel mondo campo di battaglia. Fratelli e sorelle dell’unico Padre che ci affida la Terra come ‘Casa comune’ fraterna fragrante d’amore e di pace, come ‘Giardino fecondo’ con al centro l’albero sempreverde della Vita… Fatti di terra, per ritornare in nuda terra, per essere plasmati dalle mani di Dio cittadini della nuova Creazione, della Casa comune trasfigurata. Anche noi, come Francesco, con Francesco”.

Quindi tale Transito è un momento particolare per la conversione di molti: “Su quanti oggi hanno dimenticato di essere creature mortali e seminano nella Casa comune guerre, divisione, odio, parole aggressive, distruzione e morte violenta, soprattutto dei piccoli e degli inermi, la memoria del luminoso Transito di Francesco, Fratello universale, verace testimone di Cristo e di un cammino di piena e autentica umanità, sia audace segno profetico di conversione di mentalità e di cambiamento di rotta per il bene dell’umanità, per il bene della Casa-Terra”.

In occasione della festa del Transito è stato consegnato il riconoscimento di ‘Frate Jacopa, Rosa d’argento 2024’ a suor Alfonsina Fileti: questo premio non è solo un segno di stima per il servizio svolto da suor Alfonsina a favore delle famiglie in difficoltà, dei minori a rischio e delle donne vittime di violenza domestica, ma è anche un richiamo al ruolo importante che la Chiesa e le comunità locali svolgono nel sostenere i più vulnerabili.

(Foto: Conferenza Episcopale Siciliana)

Giornata del Migrante: Dio si fa migrante

“L’accento posto sulla sua dimensione sinodale permette alla Chiesa di riscoprire la propria natura itinerante, di popolo di Dio in cammino nella storia, peregrinante, diremmo ‘migrante’ verso il Regno dei cieli (‘Lumen gentium’, 49). Viene spontaneo il riferimento alla narrazione biblica dell’Esodo, che presenta il popolo d’Israele in cammino verso la terra promessa: un lungo viaggio dalla schiavitù alla libertà che prefigura quello della Chiesa verso l’incontro finale con il Signore. Allo stesso modo, è possibile vedere nei migranti del nostro tempo, come in quelli di ogni epoca, un’immagine viva del popolo di Dio in cammino verso la patria eterna”.

Attingendo dalla parte iniziale del messaggio (‘Dio cammina con il suo popolo’) di papa Francesco per la 110^ Giornata mondiale del migrante e del rifugiato, che si celebra domenica 29 settembre, abbiamo domandato al missionario scalabriniano e presidente dell’Agenzia Scalabriniana per la Cooperazione allo Sviluppo (ASCS), prof. Gioacchino Campese, docente  di ‘Teologia della mobilità umana’ alla Pontificia Università Urbaniana di Roma, di narrarci il motivo per cui Dio cammina con il suo popolo:

“ Il messaggio della Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato di quest’anno è fondamentale, perché affermando che ‘Dio cammina con il suo popolo’ ci parla della natura stessa di Dio. Dio cammina con l’umanità migrante, Dio si fa migrante, perché Dio è amore, bontà e compassione infinite e quindi accompagnare il suo popolo non è altro che l’espressione della sua stessa natura. Il messaggio di papa Francesco cita diversi passaggi biblici che spiegano che Dio non abbandona mai l’umanità e, in particolare, non fa mai mancare la sua protezione e grazia alle persone più vulnerabili, al punto da identificarsi con queste persone come il brano di Matteo (‘Giudizio universale’: 25, 31-46) illustra chiaramente. La sua presenza con e nel suo popolo migrante è semplicemente una costante della rivelazione biblica”.

Per quale motivo i migranti possono un ‘segno dei tempi’?

“I migranti e i rifugiati sono sempre stati un segno dei tempi. In altre parole, i migranti e i rifugiati non sono solo un segno dei ‘nostri’ tempi, ma un segno di ‘tutti’ i tempi, un segno di una delle costanti antropologiche dell’umanità, cioè le migrazioni, la mobilità umana. Qui è bene citare san Giovanni Battista Scalabrini (1839-1905) il quale alla fine del XIX secolo affermava che ‘L’emigrazione…è legge di natura. Il mondo fisico come il mondo umano soggiacciono a questa forza arcana che agita e mescola, senza distruggere, gli elementi della vita…’. I migranti sono un segno dei tempi perché ci ricordano l’essenza migrante del cosmo e dell’essere umano creato ad immagine e somiglianza di Dio. I migranti sono un segno dei tempi perché rappresentano l’abbondante e preziosa diversità con la quale Dio vuole arricchire l’esistenza e l’esperienza di ogni persona”. 

In quale modo i migranti aprono all’incontro con Dio?

“Incontrare i migranti e i rifugiati vuol dire incontrare persone che rappresentano con la loro esistenza una delle dimensioni principali della natura umana e, di conseguenza, ci rimandano al Dio creatore, al Dio migrante; al Dio che ha creato il cosmo e l’umanità nella sua incredibilmente ricca diversità; al Dio che bussa alla nostra porta nei migranti e rifugiati per chiedere accoglienza, comprensione, compagnia, comunità; al Dio che ci ricorda che siamo e dobbiamo vivere come un’unica famiglia umana”.

Fino a quale punto il Giudizio finale narrato nel Vangelo di Matteo è punto importante per i cristiani?

“Il racconto del giudizio universale in Matteo 25 non è solo importante, ma fondamentale per tutti i cristiani. E’ uno dei brani evangelici che meglio descrive chi è il Dio di Gesù Cristo il quale, come osserva giustamente papa Francesco nel suo messaggio, continua ad incarnarsi nelle persone più vulnerabili, tra i quali ci sono anche i migranti e i rifugiati; allo stesso tempo questo passaggio esprime palesemente una delle sfide essenziali per la vita dei cristiani: riconoscere nelle persone vulnerabili (i migranti, i carcerati, gli affamati, gli ammalati…) la sua presenza e rispondere agendo di conseguenza a seconda delle loro necessità. E’ in questo incontro che sfida le nostre paure, pregiudizi, egoismi, e pigrizie, che avviene la salvezza, come Matteo 25 afferma senza mezzi termini”.

In quale modo la Chiesa può fare sinodo con il migrante?

“Un sinodo senza i migranti non può chiamarsi sinodo, perché se sinodo vuol dire camminare insieme come chiesa, l’assenza dei migranti ridurrebbe questo evento ad una semplice assemblea tra persone che credono di avere un certificato di appartenenza esclusiva alla chiesa. Purtroppo, spesso i migranti e i rifugiati cattolici e cristiani si sentono esclusi dalla chiesa perché parlano una lingua differente, perché hanno usi e costumi culturali differenti, perché pregano e celebrano in modo differente.

Non bisogna dimenticare un elemento essenziale in questo discorso, elemento che spesso viene dimenticato: la chiesa deve e può fare sinodo con i migranti e i rifugiati prima di tutto perché essi sono la chiesa e la provocano continuamente ad essere veramente cattolica, cioè una chiesa formata da tutti i popoli della terra; e anche quando non sono cristiani essi richiamano la chiesa ad essere fedele alla sua vocazione fondamentale: essere il ‘segno e lo strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano’, secondo la Costituzione dogmatica sulla Chiesa ‘Lumen gentium’ n. 1.. E’ la sfida della fraternità universale nella quale la chiesa deve essere sempre in prima linea”.

Quali sono gli ambiti di intervento di ASCS?

“La filosofia di intervento dell’Agenzia Scalabriniana per la Cooperazione allo Sviluppo (ASCS) si manifesta nell’atteggiamento e la pratica di ‘essere con’ i migranti, i rifugiati, e le comunità locali in Italia e nel mondo. L’ASCS si ispira al carisma di san Giovanni Battista Scalabrini, uno dei pionieri della pastorale con i migranti nella chiesa cattolica, e ai quattro verbi che papa Francesco ha proposto a tutta la chiesa come i pilastri di una pastorale integrale con i migranti e i rifugiati: accogliere, proteggere, promuove e integrare. Sulla scia di queste ispirazioni le tre aree di intervento principali dell’ASCS sono: accoglienza integrale, animazione interculturale e cooperazione allo sviluppo. Per ulteriori informazioni sulla visione, missione e attività dell’ASCS si può consultare il sito www.ascs.it”.

(Foto: ASCS)

Il card. Semeraro ha ricordato i martiri del Congo

Si celebrano quest’anno i 60 anni dall’uccisione di centinaia di religiosi e di migliaia di persone, dopo l’indipendenza della Repubblica democratica del Congo, provocati dalle tensioni politiche e sociali, da lotte di potere e conflitti tribali alimentati dall’Occidente, dall’Unione Sovietica e dalla Cina. E sabato 21 settembre a Parma il card. Marcello Semeraro, prefetto del Dicastero delle Cause dei Santi, ha celebrato la messa di ringraziamento ricordando quell’avvenimento:

“Ero un giovane seminarista, quell’anno, e nel Seminario giungevano, lasciandoci addolorati, le notizie dei missionari che morivano nel Congo violentemente uccisi nel corso dei tragici eventi di quel Paese. Ho poi riletto, in vista di questo nostro incontro a più titoli ‘eucaristico’, le cronache quasi quotidiane de ‘L’Osservatore Romano’ di quei giorni e ho trovato scritto: ‘I nomi di questi caduti per Cristo rimarranno nella Chiesa e negli annali delle famiglie religiose e torneranno sulle labbra, nella preghiera e nei discorsi non per inveire ma per rianimare la carità’.

In quegli stessi giorni il papa Paolo VI consegnava al Primo Ministro congolese un messaggio dove sottolineava che quei missionari, religiosi e religiose, che avevano testimoniato con il sangue la loro fedeltà al Vangelo e il loro amore per la patria congolese, vi erano giunti solo per mettere le loro migliori energie al servizio della nuova nazione e certamente non desideravano altro che la sua prosperità e il suo sviluppo pacifico”.

Ed ha ricordato due elementi della liturgia: “Il primo è l’ufficiale riconoscimento della Chiesa del loro martirio, come disse papa Francesco dopo la preghiera dell’Angelus nello stesso giorno, ‘è stato il coronamento di una vita spesa per il Signore e per i fratelli’. L’altro scopo è onorare questi Beati riconoscendo attivo e presente in loro il mistero evangelico del granello di senape…

Nella beatificazione dei martiri Luigi Carrara e Giovanni Didonè, religiosi sacerdoti, e Vittorio Faccin, religioso professo, la famiglia saveriana troverà certamente impulso e motivi di fervore apostolico. A questi tre questi Beati, che hanno vissuto la loro vocazione missionaria con gioia ed entusiasmo apostolici, è associato il beato Alber Jovet, uno dei primi sacerdoti della regione congolese, anch’egli animato da profondo spirito missionario”.

Nel ricordare il viaggio apostolico del papa in Asia ed Oceania, il prefetto del dicastero delle cause dei santi ha parlato della gioia del Vangelo: “Cosa sia la gioia del Vangelo possiamo coglierlo nel racconto del vangelo che è stato proclamato e trovarlo particolarmente nel gesto di Gesù che, dopo avere chiamato Matteo alla sua sequela, lo vede prontamente alzarsi e seguirlo.

Narrando lo stesso episodio, gli altri due evangelisti, Marco e Luca, ci riferiscono che Matteo invitò Gesù a casa sua e con lui invitò pure i suoi amici, magari nella fiducia che anche loro sperimentassero la sua medesima chiamata. Si dà, dunque, inizio a un banchetto cui Gesù prende parte con gioia evidente ed espansiva, al punto da destare le critiche dei farisei: ‘mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori’. Com’è bella, com’è esemplare questa gioia di Gesù: è la gioia del Vangelo!”

La pagina evangelica è un invito per i missionari saveriani nel ricordo di mons. Biguzzi: “Voi, missionari saveriani, avete il dovere di evidenziare nella Chiesa certamente lo zelo, ma pure la gioia del vangelo. Mentre vi guardo, carissimi, sento il cuore riscaldarsi per la memoria di un vostro confratello, il vescovo Giorgio Biguzzi che, all’epoca del mio ministero episcopale nella Chiesa di Albano, ho più volte incontrato e per due volte ho visitato nella diocesi di Makeni, in Sierra Leone. E’ morto da poco ed io lo ricordo come un vescovo gioioso, che della gioia del vangelo è stato davvero un singolare testimone”.

(Foto: Savveriani)

Il card. Zuppi ai vescovi: guardare con la speranza di Abramo

Ieri il presidente della Cei, card. Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna, ha aperto i lavori del Consiglio Permanente della Cei che terminano mercoledì 25 settembre, affrontando molte tematiche, che hanno spaziato dal Giubileo al Sinodo dei Vescovi, dalla riforma della Cei all’emergenza educativa dei giovani, con un sentimento di vicinanza alle popolazioni della Romagna e delle Marche, colpite dall’alluvione di qualche giorno fa:

“Il nostro pensiero va a quanti sono stati colpiti dall’alluvione e dalle esondazioni in Emilia Romagna e nelle Marche. Ci stringiamo alle comunità locali che, a distanza di poco tempo, si trovano a vivere un altro dramma. Nelle parole dei nostri Fratelli Vescovi abbiamo ascoltato il grido di sofferenza delle persone ferite da questa nuova emergenza”.

Il presidente dei vescovi ha pregato ed ha ringraziato chi è impegnato in questa emergenza: “Preghiamo per quanti sono in angoscia, perché possano continuare a guardare con fiducia al domani, anche quando tutto sembra, ancora una volta, perduto. Insieme al ringraziamento alle Forze dell’Ordine, ai Vigili del Fuoco, alla Protezione Civile e ai volontari impegnati nei soccorsi alla popolazione, chiediamo alle Istituzioni di intervenire, con tempestività ed efficacia, a sostegno delle famiglie e del territorio che ha mostrato, di nuovo, tutta la sua fragilità: le accuse vicendevoli e i proclami lascino il posto a misure adeguate, scelte lungimiranti e azioni concrete”.

Il discorso introduttivo è stato uno sguardo al futuro: “E’ il valore di questi nostri appuntamenti, esercizio di responsabilità che personalmente sento come luogo decisivo di confronto fraterno, pensoso, collegiale. A molti, davanti al futuro, viene da abbassare lo sguardo, perché si presentano situazioni difficili, anzi inestricabili, tra cui tutte le guerre, come in Ucraina e in Terra Santa, delle quali portiamo nel cuore il dramma e il gemito della nuova creazione che solo la pace può permettere.

I nostri contemporanei scrutano inquieti il futuro e, senza speranza, si rifugiano facilmente nell’individualismo, non credono possibile un futuro migliore. Così abbassano lo sguardo per evitare di vedere. E’ un fenomeno di concentrazione su di sé e di estraniazione dai legami sociali”.

Un futuro che non può far a meno del presente, come Abramo: “Siamo chiamati al futuro. Non lo cerchiamo perché abbiamo accumulato garanzie sufficienti per il cammino o per la sicurezza che sarà senza problemi e fatiche. E’ sempre valido il monito di non prendere due tuniche, sapendo che non ci mancherà quanto ci servirà! Abramo si mette in cammino perché accoglie il Signore solo con un’indicazione e una promessa”.

Il futuro che Dio propone non è facile: “Il cammino dell’Amico di Dio non è rettilineo. C’è sofferenza, racchiusa nella drammatica domanda che sgorga dal cuore di Abramo di fronte alla promessa di Dio (‘la tua ricompensa sarà molto grande’). Abramo guarda la sua realtà e non può non esclamare: ‘Signore Dio, che cosa mi darai? Io me ne vado senza figli e l’erede della mia casa è Elièzer di Damasco’.

E’ la domanda di molti (penso anche ai nostri sacerdoti e a quanti hanno a cuore le nostre comunità) di fronte ai frutti del loro servizio e alle difficoltà quotidiane: ‘Un mio domestico sarà mio erede’. Cioè la fatica a generare figli, che vuol dire futuro. La risposta di Dio ad Abramo angosciato, pur partito fiducioso e dopo aver tanto camminato, è la proposta di una visione… E’ il dono di una visione del futuro di un popolo numeroso come le stelle del cielo”.

Questa visione è propria dei martiri: “I martiri sono anche nostri contemporanei. Non hanno seguito l’idolatria dell’individualismo, del proprio io, del salvare sé stessi, delle ideologie totalitarie, pagane. L’8 agosto sono stato a Lucca per ricordare gli ottant’anni dell’uccisione di 28 sacerdoti e monaci per mano dei nazifascisti: colpiti in mezzo al popolo e per il popolo…

Così i martiri missionari per popoli lontani, che non conoscevano. Sono davvero semi di vita, testimonianza di speranza nel futuro. Mostrano che la Chiesa è comunità, famiglia di Dio, per cui vivere e dare la vita. Queste sono le vere radici delle nostre Chiese e ci indicano un atteggiamento forte, generoso, mite, per affrontare con fiducia le avversità.

Nella prolusione non è mancato un riferimento all’imminente viaggio papale in Lussemburgo ed in Belgio; “I viaggi del Papa ci spingono a mantenere uno sguardo ecclesiale anche al di là dei confini nazionali. In questi giorni si è parlato d’innovazione e d’investimenti per una economia europea moderna e sostenibile, con riferimenti anche al lavoro e alla demografia, lasciando intravvedere un nuovo ‘piano Marshall’, più ambizioso di quello del secondo Dopoguerra, rappresentando l’UE come destinata altrimenti a una lenta agonia. Nel frattempo, si sono definiti squadra e programma della nuova Commissione europea che, fra l’altro, prevede alcune nuove deleghe alla difesa, al Mediterraneo e alla questione abitativa. L’auspicio è che l’Europa resti fedele alla sua vocazione al dialogo e alla pace”.

E’ stato un invito a dare vita alla ‘Camaldoli per l’Europa: “Mentre si affrontano i problemi contingenti, mi piacerebbe che si aprisse una discussione più ampia: una ‘Camaldoli per l’Europa’ per parlare di democrazia ed Europa. Potrebbe essere anche l’occasione per riflettere sul contributo che oggi può provenire dai cattolici in primis, come anche dai cristiani di tutte le Confessioni, dai credenti delle diverse Comunità religiose oggi presenti in Europa, dagli umanisti che hanno a cuore la cultura del nostro Continente, per uno sviluppo di una coscienza comune, che allarghi i confini dei cuori e delle menti e non ceda al nichilismo della persona, con tutte le conseguenze che questo comporta, e a sovranismi egoistici. Un’Europa nel segno della ‘Fratelli tutti’, coesa e solidale al suo interno e aperta al mondo”.

Ecco una particolare attenzione all’emergenza educativa: “Come Chiesa ci sentiamo pienamente coinvolti e non smetteremo di mantenere alta l’attenzione, perché sono in gioco le persone, la loro realizzazione, la possibilità di vivere l’esistenza in pienezza… Sono necessari luoghi, fisici e non virtuali, in cui tornare a fare esperienza di gratuità e libertà personale e comunitaria. Penso, in modo particolare, al prezioso servizio degli Oratori, del dopo-scuola e di tante altre attività formative, che conservano intatta la loro attualità e chiedono un rilancio di progettualità e creatività”.

E’ stato un invito alle Istituzioni per un lavoro comunitario: “Dobbiamo lavorare, tutti insieme, per sradicare i semi dell’individualismo che soffoca la dimensione umana e disconosce la presenza degli altri. Non ci sono ricette facili, né risposte preconfezionate a buon mercato, ma non per questo dobbiamo cedere al pessimismo o al disfattismo che paralizza ogni tentativo di azione. L’orizzonte è quello della speranza, che non è un palliativo, una pacca sulle spalle, ma è consapevolezza che Dio illumina il cammino da compiere, perché Egli ama di amore eterno ed è sempre presente nella storia di ogni vivente. Non è ingenuità, è concretezza”.

Ed uno sguardo educativo è anche quello che guarda i poveri: “Nei percorsi educativi delle nostre comunità ed istituzioni il tratto distintivo deve essere la familiarità e il servizio ai poveri. Senza fare catechesi a nessuno, sono loro infatti a introdurre alle profondità della fede e dell’incontro con Gesù. Le nostre opere, iniziative, istituzioni, le nostre imprese in favore degli emarginati sono importanti. Ma tutte dovrebbero verificarsi nel confronto evangelico con la realtà del povero, dando valore al contatto personale con la sua persona. I poveri sono i fratelli più piccoli di Gesù, ma anche i nostri fratelli, i fratelli dei cristiani, segno eloquente della presenza del Signore”.

Don Giovanni Merlini sarà il primo Beato del Giubileo!

Il 23 maggio 2024 la Sala Stampa della Santa Sede ha comunicato a tutto il mondo: “Il Sommo Pontefice Francesco, accogliendo e confermando i voti del Dicastero delle Cause dei Santi, ha dichiarato: consta il miracolo, compiuto da Dio per intercessione del Venerabile Servo di Dio Giovanni Merlini” (cf. Decreto super Miro, DCS, 23 maggio 2024).

“Tale notizia è per ognuno di noi – affermano don Emanuele Lupi, Moderatore Generale della Congregazione dei Missionari del Preziosissimo Sangue e sr. Nicla Spezzati, Adoratrice del Sangue di Cristo e Postulatrice della Causa – fonte di grande gioia e di sentimenti di profonda gratitudine a Dio per il dono della santità offerto alla sua Chiesa nella persona del nostro amato don Giovanni Merlini, Sacerdote e III Moderatore Generale della Congregazione dei Missionari del Preziosissimo Sangue, nato a Spoleto (PG) il 28 agosto 1795 e morto a Roma il 12 gennaio 1873.

Uomo di profondo discernimento e di sapienza, ha annunciato, come Missionario Apostolico, il Mistero della Redenzione a intere popolazioni nello Stato Pontificio e nel Regno di Napoli, favorendo i miseri e i reietti. Testimone vivo di tale Mistero al cuore della Chiesa, ha ricercato e vissuto nel quotidiano la volontà di Dio, assumento la pace significata dal Sangue di Cristo, come via regale alla santità, verbo e stile di vita. Fondata, giorno dopo giorno, nell’ascesi dell’habitare secum, nell’orazione, nel vincolo della carità fraterna – alimentato da una visione universale – la vita di Giovanni Merlini ha sapore di Vangelo”.

Dalla Segreteria di Stato del Vaticano è stata comunicata alla Postulazione la Nota (N. 644.680) in cui si afferma che: “Il Santo Padre Francesco ha concesso e disposto che il Rito della Beatificazione del Servo di Dio Venerabile Giovanni Merlini abbia luogo a Roma, il 12 gennaio 2025 alle ore 11:00, nell’Arcibasilica Papale San Giovanni in Laterano. Rappresentante del Sommo Pontefice sarà il Cardinale Marcello Semeraro, Prefetto del Dicastero delle Cause dei Santi”.

“Questo Evento di grazia – sottolineano il Moderatore Generale e la Postulatrice – posto all’inizio dell’Anno giubilare 2025, ci vedrà uniti nel santo pellegrinaggio da ogni parte del mondo. E’ un’azione ecclesiale che ha un particolare carattere liturgico, in quanto finalizzata alla lode di Dio, nella venerazione del suo Servo fedele, Giovanni Merlini. Come Famiglia del Sangue Preziosissimo di Cristo, con tutto il popolo di Dio, invochiamo lo Spirito Santo per percorrere la via sanguinis, ‘via nuova e vivente che Cristo ha inaugurato per noi per mantenere, senza vacillare, la professione della nostra speranza’ (cf. Eb 10,20.23)”.

Don Giovanni Merlini nasce a Spoleto (PG) il 28 agosto del 1795 da Luigi Merlini e Antonia Claudi Arcangeli. Dopo essere stato ordinato sacerdote per la diocesi di Spoleto, il 19 dicembre 1818, in occasione di un corso di esercizi spirituali presso l’Abbazia di San Felice, a Giano dell’Umbria (PG), conobbe nel 1820 San Gaspare del Bufalo, fondatore della Congregazione dei Missionari del Preziosissimo Sangue. L’incontro tra questi due giganti della fede cambierà le vite di entrambi. Gaspare diverrà per Giovanni padre e modello di ispirazione, tanto da convincerlo ad entrare nella Congregazione, il 15 agosto 1820, e a divenirne uno dei fiori all’occhiello.

Come nel carisma della Congregazione, don Giovanni non sarà solamente un intrepido annunciatore del Vangelo per mezzo delle missioni popolari, ma anche e soprattutto una eccellente guida spirituale. Non si può non ricordare la capacità straordinaria che ebbe di intenerire i cuori dei briganti nel basso Lazio, che a lui si rivolsero per chiedere grazia presso il Papa, nel lontano 1824. Tra i frutti più belli della sua sapiente guida risplende nella Chiesa Santa Maria De Mattias che, nel 1834, con il suo paterno aiuto, fonderà le Adoratrici del Sangue di Cristo.

Don Giovanni è stato un uomo dalle molteplici capacità e ha saputo intessere la sua vita a riflesso di quella di Cristo, incastonato, come una gemma preziosa, tra due grandi santi fondatori. Ma la sua peculiarità e quell’unicità che lo fecero brillare vennero fuori soprattutto dal 1847, quando succedette a San Gaspare del Bufalo come III Moderatore Generale della sua Congregazione.

Don Giovanni Merlini diede spazio, da quegli anni in poi, al genio che il Signore gli aveva donato per il bene del Regno di Dio. Seppe sognare in grande per entrambe le Congregazioni religiose, fino a spingersi ad aperture all’estero. Continuò ad essere ricercata ed illuminata guida di anime, tanto da divenire consigliere del Beato Pio IX, dal quale ottenne l’estensione della festa del Preziosissimo Sangue a tutta la Chiesa, con la bolla Redempti sumus del 10 agosto 1849.

Anni di lavoro e consiglio, di preghiera innamorata ma anche di spiccate qualità artistiche, gli guadagnarono il titolo di “santo dei crociferi”, dal nome della piazza in cui risiedeva allora la curia generalizia dei Missionari del Preziosissimo Sangue. Ed è proprio da quella stessa casa, accanto alla fontana di Trevi in Roma, che don Giovanni volò al cielo il 12 gennaio del 1873, a seguito di un brutto incidente provocatogli da un anticlericale in carrozza.

Ed ancora oggi, da quella chiesa di Santa Maria in Trivio, dove è sepolto accanto al suo santo padre Gaspare del Bufalo, continua ad intercedere e ad essere invocato dai Missionari, dalle Adoratrici e da tanti fedeli, soprattutto giovani, che chiedono a lui consiglio e preghiera. Sembra davvero che la fila di gente fuori dal suo ufficio non si sia mai esaurita, e che lui continui ancora, ora come allora, ad aspettare tante anime da guidare ed accompagnare, e soprattutto a ricordarsi di loro alla presenza del Signore Gesù.

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