Dal centro l’accusa di indietrismo e dalla periferia la risposta, salva reverentia: semper idem

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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 07.09.2023 – Vik van Brantegem] – Oltre alle due occasioni in cui Papa Francesco ha parlato di “indietrismo”, citate da Aldo Maria Valli nell’articolo Francesco e l’indietrismo. Un concetto distruttivo pubblicato ieri sul suo blog Duc in altum e che riportiamo di seguito – il colloquio con i Gesuiti del Portogallo, in occasione della Giornata Mondiale della Gioventù, il 5 agosto 2023 presso il Colégio de São João de Brito, una scuola gestita dalla Compagnia di Gesù a Lisbona, quando ha ricordato di ritenere «che l’indietrismo è inutile»; e l’incontro con la Commissione Teologica Internazionale, il 24 novembre 2022 nella Sala del Concistoro in Vaticano, quando ha sostenuto che «il tradizionalismo è la fede morta dei vivi» –  ricordiamo altre tre occasioni in cui Papa Francesco ha “toccato” l’argomento. Un contributo per provare a capire cosa intende con questo suo neologismo.

Inoltre, riportiamo un contributo sull'”indietrismo” come sistema di Darrick Taylor pubblicato su Crisis magazine. Si tratta, dopo i vari e recenti interventi, un interessante tentativo di analisi e sistematizzazione di questioni non solo liturgiche ma, come dice l’autore, politiche, nel senso ampio del termine. Nel riportare la traduzione italiana, il sito Messa in Latino-MiL osserva: «Ci chiediamo, salva reverentia, qual è il motivo di questa ossessione del Santo Padre sugli “indietristi/tradizionalisti/pelagiani pii” che ha ormai da tempo».

Francesco e l’indietrismo. Un concetto distruttivo
di Aldo Maria Valli
Duc in altum, 6 settembre 2023


Fra i tanti neologismi che ha inventato ce n’è uno al quale Papa Francesco è particolarmente affezionato: indietrismo. Lo usa spesso e lo ha fatto anche durante il colloquio con i Gesuiti del Portogallo, in occasione della Giornata Mondiale della Gioventù. Alla domanda di un confratello che parlava delle critiche a Bergoglio sempre più diffuse tra i cattolici degli Stati Uniti, il Papa ha risposto: «Hai verificato che negli Stati Uniti la situazione non è facile: c’è un’attitudine reazionaria molto forte, organizzata…  A queste persone voglio ricordare che l’indietrismo è inutile». E più oltre: «Alcuni si chiamano fuori, vanno all’indietro, sono quelli che io chiamo indietristi».

Quando Francesco parla a braccio (cosa che fa spesso, anche lasciando da parte il testo scritto preparato in precedenza) non è sempre agevole capire che cosa intenda con alcuni dei termini impiegati. Al contrario di quanto accadeva nel caso di Benedetto XVI, che da buon docente non lasciava mai un’affermazione priva di spiegazione, Francesco sembra pensare che alcune parole abbiano in sé stesse una forza che non ha bisogno di argomentazione. E indietrismo è una di queste.

L’ha utilizzata, per esempio, anche nell’incontro con la Commissione teologica internazionale, nel novembre 2022, quando, sostenendo che «il tradizionalismo è la fede morta dei vivi», disse: «Oggi c’è un grande pericolo, che è andare in un’altra direzione: l’indietrismo. Andare indietro… Questa dimensione orizzontale, l’abbiamo vista, ha mosso alcuni movimenti, movimenti ecclesiali, a restare fissi in un tempo, in un indietro. Sono gli indietristi… L’indietrismo ti porta a dire che “sempre è stato fatto così, è meglio andare avanti così”, e non ti lascia crescere. Su questo punto, voi teologi pensate un po’ a come aiutare».

A quanto sembra, Francesco assume dunque una prospettiva storicistica. La realtà è una successione di infinite esperienze dello spirito e la verità non è statica, ma a sua volta ha natura storica e progressiva, è il frutto di un processo (altra parola che piace a Francesco), di uno sviluppo. Essere indietristi significa non riconoscere tale sviluppo e pretendere di ancorarsi a qualcosa di immutabile. Ma, se così è, diviene lecita una domanda: la visione di Bergoglio è cattolica?

Nel 1966, in una lettera «circa alcune sentenze ed errori insorgenti sull’interpretazione dei decreti del Concilio Vaticano II», il Cardinale Alfredo Ottaviani denunciava: «Per quanto riguarda la dottrina della fede, viene affermato che le formule dogmatiche sono soggette all’evoluzione storica al punto che anche lo stesso loro significato oggettivo è suscettibile di mutazione… Alcuni quasi non riconoscono una verità oggettiva assoluta, stabile ed immutabile, e tutto sottopongono ad un certo relativismo, col pretesto che ogni verità segue necessariamente il ritmo evolutivo della coscienza e della storia».

Sembra strano citare oggi Ottaviani, il cui motto era, non a caso, Semper idem (Sempre lo stesso), ma in fondo la questione è tutta lì. La prospettiva storicistica porta necessariamente con sé il relativismo. Il cristianesimo diventa un umanesimo, Cristo stesso è ridotto alla sola dimensione umana, il cattolicesimo smette di essere la vera fede e cade l’idea secondo cui extra Ecclesiam nulla salus. Dopo di che, siamo proprio sicuri che gli indietristi, con le loro preoccupazioni, siano fuori strada?

* * *

Altre tre occasioni per “toccare” l’“indietrismo”

1. Il 1° giugno 2022, parlando ai partecipanti al Convegno internazionale Linee di sviluppo del Patto Educativo Globale, promosso dalla Congregazione per l’Educazione Cattolica, Papa Francesco ha osservato che oggi nella vita della Chiesa, anziché «attingere dalle radici per andare avanti» si va indietro, si fa un «indietrismo».
“C’è la moda – in tutti i secoli, ma in questo secolo nella vita della Chiesa la vedo pericolosa – che invece di attingere dalle radici per andare avanti – quel senso delle tradizioni belle – si fa un ‘indietrismo’, non ‘sotto e su’, ma indietro. State attenti all’ ‘indietrismo’, che è la moda di oggi, che ci fa credere che tornando indietro si conserva l’umanesimo”, ha detto il Papa. “Questo indietrismo che ci fa setta, che ti chiude, che ti toglie gli orizzonti”, ha proseguito Francesco: “Si dicono custodi delle tradizioni, ma delle tradizioni morte”. A questo proposito, Francesco ha citato nuovamente un teologo del quinto secolo, San Vincenzo di Lerins, che descriveva “la vera tradizione cattolica, cristiana e umana come una crescita continua”. “La vera tradizione è questa, che si porta avanti con i figli”, ha spiegato il Papa, ricordando che “in ogni processo educativo bisogna sempre mettere al centro le persone e puntare all’essenziale, tutto il resto è secondario”.

2. Il 29 luglio 2022, durante l’incontro con i giornalisti ammessi al Volo Papale di ritorno dal Viaggio Apostolico in Canada, parlando del peccato dell’indietrismo, Papa Francesco ha spiegato suo ultimo neologismo che usa per distinguere «la fede viva dei morti» (della tradizione) da «la fede morta dei viventi» di «questi “indietristi” che si dicono tradizionalisti».
Rispondendo alla domanda della giornalista di Religion News Service, Claire Giangravè, Papa Francesco risponde: «Sappiate che il dogma, la morale, è sempre in una strada di sviluppo, ma sviluppo nello stesso senso. Per utilizzare una cosa che è chiara, credo di averlo detto altre volte qui, per lo sviluppo di una questione morale, uno sviluppo teologico, diciamo così, o dogmatico, c’è una regola che è chiarissima e illuminante, l’ho detto altre volte: quello che ha fatto Vincenzo di Lérins, nel secolo V, era un francese. Dice che la vera dottrina, per andare avanti, per svilupparsi, non deve essere quieta, si sviluppa ut annis consolidetur, dilatetur tempore, sublimetur aetate. Cioè si consolida con il tempo, si dilata e si consolida e diventa più ferma ma sempre progredendo. È per questo che il dovere dei teologi è la ricerca, la riflessione teologica. Non si può fare teologia con un “no” davanti. Poi sarà il Magistero a dire: “No, sei andato oltre, torna”. Ma lo sviluppo teologico deve essere aperto, i teologi ci sono per questo. E il Magistero deve aiutare a capire i limiti. Sul problema degli anticoncezionali, so che è uscita una pubblicazione, su questo tema e altri temi matrimoniali. Sono gli atti di un congresso e nel congresso ci sono le “ponenze”, poi discutono fra loro e fanno le proposte. Dobbiamo essere chiari: questi che hanno fatto questo congresso hanno fatto il loro dovere, perché hanno cercato di andare avanti nella dottrina, ma in senso ecclesiale, non fuori, come ho detto con quella regola di Vincenzo di Lérins. Poi il Magistero dirà: “Sì va bene” – “Non va bene”. (…)
Per essere chiaro: quando il dogma o la morale si sviluppa, sta bene, ma in quella direzione, con le tre regole di Vincenzo di Lérins. Credo che questo sia molto chiaro: una Chiesa che non sviluppa in senso ecclesiale il suo pensiero, è una Chiesa che va indietro. E questo è il problema di oggi, di tanti che si dicono “tradizionali”. No, non sono tradizionali, sono “indietristi”, vanno indietro, senza radici. Sempre è stato fatto così, nel secolo scorso è stato fatto così. E l’“indietrismo” è un peccato, perché non va avanti con la Chiesa. Invece la tradizione – diceva qualcuno, credo che l’ho detto in uno dei discorsi -, la tradizione è la fede viva dei morti. Invece per questi “indietristi” che si dicono tradizionalisti è la fede morta dei viventi. La tradizione è proprio la radice di ispirazione per andare avanti nella Chiesa. E sempre questo è verticale. L’“indietrismo” è andare indietro, è sempre chiuso. È importante capire bene il ruolo della tradizione, che è sempre aperta, come le radici dell’albero, e l’albero cresce così… Un musicista aveva una frase molto bella, Gustav Mahler diceva: la tradizione in questo senso è la garanzia del futuro, è la garanzia, non è un pezzo da museo. Se tu concepisci la tradizione chiusa, questa non è la tradizione cristiana. Sempre è il succo delle radici che ti porta avanti, avanti, avanti… Per questo, per quello che tu dici, bisogna pensare e portare avanti la fede e la morale, e finché va nella direzione delle radici, del succo, va bene. Con queste tre regole di Vincenzo di Lérins che ho menzionato».

3. Il 29 aprile 2023, nel corso dell’incontro con alcuni membri della Compagnia di Gesù in Ungheria nella Nunziatura Apostolica a Budapest, in occasione del suo Viaggio Apostolico in Ungheria, Papa Francesco ha parlato dell’importanza della testimonianza, del dono della tenerezza, del dialogo tra le generazioni ed è tornato a parlare anche delle resistenze all’interno della Chiesa Cattolica Romana verso le novità introdotte dopo il Concilio Vaticano II, definendolo nuovamente “indietrismo”, la reazione contro il moderno, da contrastare come «una malattia nostalgica» nella Chiesa: «Certamente so che il Concilio è ancora in via di applicazione. Ci vuole un secolo perché un Concilio sia assimilato, dicono. E so che le resistenze sono terribili. C’è un restaurazionismo incredibile. Quello che io chiamo “indietrismo”».
Papa Francesco ha risposto a sette domande poste da alcuni dei 32 Gesuiti presenti. L’ultima domanda che è stata posta: «Il Concilio Vaticano II parla del rapporto tra la Chiesa e il mondo moderno. Come potremo riconciliare la Chiesa e la realtà che è già oltre il moderno? Come trovare la voce di Dio amando il nostro tempo?».
La risposta di Papa Francesco: «Non saprei come risponderti teoricamente, ma certamente so che il Concilio è ancora in via di applicazione. Ci vuole un secolo perché un Concilio sia assimilato, dicono. E so che le resistenze sono terribili. C’è un restaurazionismo incredibile. Quello che io chiamo “indietrismo”, come dice la Lettera agli Ebrei 10,39: “Noi però non siamo di quelli che tornano indietro”. Il flusso della storia e della grazia va da giù in su come la linfa di un albero che dà frutto. Ma senza questo flusso tu rimani una mummia. Andando indietro non si conserva la vita, mai.
Si deve cambiare, come scrive nel Commonitórium primum San Vincenzo di Lérins quando afferma che anche il dogma della religione cristiana progredisce, consolidandosi con gli anni, sviluppandosi col tempo, approfondendosi con l’età. Ma questo è un cambio dal basso in alto. Il pericolo oggi è l’indietrismo, la reazione contro il moderno. È una malattia nostalgica. Questo è il motivo per cui ho deciso che ora è obbligatorio ottenere la concessione di celebrare secondo il Messale romano del 1962 per tutti i nuovi preti appena consacrati. Dopo tutte le consultazioni necessarie, l’ho deciso perché ho visto che quella misura pastorale ben fatta da Giovanni Paolo II e Benedetto XVI veniva usata in modo ideologico, per tornare indietro. Bisognava fermare questo indietrismo, che non era nella visione pastorale dei miei predecessori».

Tre appunti, fatta salva l’attenzione

1. Sull’applicazione del Concilio Vaticano II è scritto tanto, anche su questo Blog dell’Editore. Consigliamo al riguardo di rileggere per esempio Il Concilio Vaticano II e le difficoltà dell’interpretazione. Conciliare lo zelo per la verità con la correttezza e l’amore del prossimo del 24 giugno 2020 [QUI].

2. Invece, il verso di Ebrei 10,39 dice tutt’altra cosa e non è necessario una laurea in esegesi per capire che la lettura di Papa Francesco non è corretta: «Noi però non siamo di quelli che indietreggiano a loro perdizione, bensì uomini di fede per la salvezza della nostra anima».

3. Per quanto riguarda la citazione di San Vincenzo di Lérins, rimandiamo all’articolo Papa Francesco e San Vincenzo di Lérins. Una lettura corretta e non “tagliata” del 23 agosto 2022 [QUI]: «Di fronte alle citazioni non corrette e “tagliate” da parte del Papa, il Prof. Guarino afferma: “(…) se dovessi consigliare il Papa, lo incoraggerei a prendere in considerazione l’intero Commonitorium di San Vincenzo, non solo la selezione che cita ripetutamente. Si noti che San Vincenzo non parla mai positivamente dei cambiamenti di rotta. Un tale cambiamento, in Lérins, non è un progresso nella comprensione della verità da parte della Chiesa; non è un caso di un insegnamento ‘ampliato dal tempo’. Al contrario, tali cambiamenti sono il segno distintivo degli eretici”».

Una teoria unificata dell’“indietrismo”
di Darrick Taylor
Crisis Magazine, 30 novembre 2022

(Traduzione italiana dall’inglese a cura di MiL [QUI])

Papa Francesco ha presentato molte delle sue iniziative chiave da Papa come sforzi per “far muovere la Chiesa in avanti”, come si suol dire. Come probabilmente saprete anche voi, egli si oppone con veemenza a tutto ciò che porta la Chiesa “indietro”.

Negli ultimi mesi ha iniziato a usare un neologismo italiano – “indietrismo” o “backwardism” [l’autore ha cercato di rendere in traduzione inglese, che qui lasciamo invariata, il neologismo italiano citato, n.d.t.]- per descrivere quei cattolici che si oppongono al progresso nella Chiesa. Il torrente di abusi e invettive di Francesco è stato piuttosto consistente e corrisponde sempre più alle sue azioni, soprattutto da quando è iniziato il giro di vite sulla Messa in latino nel 2021.

Questo attacco verbale è rivolto a coloro che “rifiutano il Vaticano II”, anche se non chiarisce mai del tutto chi rifiuta cosa esattamente. Sicuramente intorno a Francesco c’è chi considera l’esistenza della vecchia liturgia come un simbolo della Chiesa pre-Vaticano II, che la Chiesa postconciliare si è lasciata alle spalle. Data la scelta delle nomine alla Pontificia Accademia per la Vita, è probabile che questo includa coloro che non vogliono che la dottrina della Chiesa sulla contraccezione si “sviluppi”. A quanto pare, egli vede le cose allo stesso modo, o almeno vuole dare l’impressione di farlo.

Ma la domanda rimane: Perché? Cosa c’era di così terribile nella Chiesa pre-Vaticano II da doverne cancellare la memoria e da dover etichettare come “rigidi” e psicologicamente danneggiati coloro che si attengono a dottrine di antica provenienza? Devo essere chiaro, non credo che ci siano buone ragioni per questo, e una parte di ciò deve essere attribuita a malumore da parte sua. Francesco vede chiaramente le persone che sono in qualche modo “indietro” come avversari, e vorrebbe chiaramente che se ne andassero.

Per quanto ingenuo possa essere, non sono disposto a lasciare le cose come stanno. Può darsi che non ci sia alcuna razionalità in questo attacco al passato cattolico, ma in qualche modo ne dubito. In parte, è perché questo attacco è selettivo. Solo alcune parti del passato vengono trattate in questo modo e non altre. Poiché ci sono così tante parti diverse dell’insegnamento e della tradizione cattolica che i cattolici “progressisti” mettono in discussione, è difficile individuare una serie di motivazioni; ma credo che la motivazione sia politica, nel senso più ampio del termine.

Il clero che ha partecipato al Concilio Vaticano II è cresciuto negli anni ’30 e ’40, quando il fascismo e il comunismo erano in ascesa. In Italia, la battaglia tra cristiani democratici come Alcide De Gasperi (1881-1954) e fascisti italiani era particolarmente acuta per ovvie ragioni. Molti giovani cattolici dell’epoca erano sconcertati dalla diplomazia del Vaticano con i regimi fascisti in Italia e nella Germania nazista, con i quali aveva firmato dei concordati.

Tra loro c’era Giovanni Montini, il futuro Paolo VI. Molti di questi ecclesiastici devono aver visto la lotta contro il fascismo come la questione politica più importante del loro tempo e che la Chiesa era apparentemente dalla parte sbagliata.

Così come molti cattolici in Francia, come Jacques Maritain, che da membro antimodernista de L’Action Francaise (un’organizzazione fascista e nazionalista) divenne un “umanista integrale” che voleva riconciliare il cattolicesimo con la modernità. Più significativamente, un certo numero di ecclesiastici francesi trascorse del tempo a prestare servizio ai soldati nei campi di prigionia o a combattere nella Resistenza francese. Tra questi, alcuni membri chiave della Nouvelle Théologie, che furono cruciali nel rovesciare la vecchia teologia Scolastica dopo il Concilio Vaticano II. Yves Congar (1904-1995) ha trascorso un periodo in un campo di prigionia, mentre Henri de Lubac (1896-1991) ha combattuto con la resistenza francese durante la guerra, riportando ferite a vita per i suoi problemi.

Alcuni di questi teologi sono stati sospettati da Roma o dai loro stessi ordini religiosi negli anni ’30 e ’40, e diversi sono stati anche puniti da questi ultimi. Non solo Roma, ma anche i vescovi in generale potevano essere piuttosto autoritari (possono esserlo ancora, ovviamente) nel modo in cui trattavano il clero prima del Vaticano II. Si sospetta che questo sia il motivo per cui molti ecclesiastici si sono impegnati a gettare via le vecchie usanze dopo il Concilio o, in alcuni casi, a distruggerle del tutto. Ad alcuni deve essere sembrato che stessero distruggendo i simboli di un regime corrotto.

Dico questo perché molti dei teologi puniti prima della guerra associavano questo approccio autoritario al governo con il fascismo o con altre forme di tirannia. Nelle sue memorie del Concilio, Congar si riferisce a Pietro Parente, il capo del Sant’Uffizio che condannò il lavoro di Marie-Dominique Chenu, suo mentore, come “il facista, il monofisita”, e scrisse nel suo diario, dopo il voto sulla collegialità durante il Vaticano II, che “la Chiesa ha attraversato pacificamente la sua rivoluzione d’ottobre”.

Il cardinale belga Suenens espresse sentimenti simili dopo il Concilio in un’intervista del 1969 in cui spiegava il caos postconciliare nella Chiesa paragonando il Vaticano II alle rivoluzioni russa e francese: “nessuno può capire le rivoluzioni francese o russa senza conoscere il tipo di vecchi regimi che stavano distruggendo…allo stesso modo nella Chiesa una reazione può essere giudicata solo in relazione allo stato di cose che l’ha preceduta”.

Questa identificazione della gerarchia ecclesiastica con i regimi totalitari ha senza dubbio portato a confondere il governo autoritario della Chiesa preconciliare con la sua teologia ufficiale. Chenu, anziano statista della Nouvelle Théologie e maestro di Alberto Melloni, fondatore della cosiddetta Scuola di Bologna (storici che interpretano il Vaticano II come una rottura radicale con il passato), considerava il Neotomismo dominante nella Chiesa pre-Vaticano II uno “strumento di questo autoritarismo”, cioè del Sant’Uffizio che lo disciplinava.

Tutto ciò illumina la coerente associazione da parte dei cattolici progressisti dei tradizionalisti francesi con L’Action Francaise e, più in generale, con il fascismo. Nonostante non ci sia molta sovrapposizione tra la destra nazionalista in Francia e la Società Sacerdotale San Pio X, il legame tende a persistere nell’immaginario teologico progressista.

I sostenitori del progetto della Nouvelle Théologie hanno, allo stesso modo, talvolta accusato i teologi pre-Vaticano II di simpatie fasciste, in particolare Reginald Garrigou-Lagrange. Lagrange è stato il maggior critico della Nouvelle Théologie negli anni ’40 e alcuni dei suoi difensori lo hanno accusato di antisemitismo e di sostegno al regime di Vichy durante la seconda guerra mondiale, nonostante Lagrange non fosse attivamente coinvolto in politica.

La mia ipotesi è che il clero e i teologi che sono diventati maggiorenni subito dopo il Concilio debbano aver assorbito questa associazione – tra la politica di estrema destra e il “trionfalismo” della Chiesa pre-Vaticano II – di seconda mano dai loro insegnanti e mentori. E mentre la generazione del Vaticano II l’ha forse applicata in modo polemico a casi specifici in cui le persone hanno subito abusi reali per mano della curia o dei loro superiori, nelle generazioni successive si è trasformata in un discorso universale su chiunque sia considerato non sufficientemente progressista.

Così, quando Papa Francesco ha scritto la sua lettera di condoglianze per la morte del giornalista italiano Eugenio Scalfari, il suo elogio di lui come uomo “aperto alla modernità… mai nostalgico di un passato glorioso” dovrebbe essere visto in questa luce. Ogni segno di “trionfalismo” sa non solo di una forma di cattolicesimo “ossessionata dal peccato, oppressiva”, ma anche di una politica che ne è l’analogo, quella che si gloria della grandezza del passato, come il fascismo, naturalmente.

L’articolo del 2017 di P. Antonio Spadaro su L’Osservatore Romano, che denunciava un presunto “ecumenismo dell’odio” praticato dagli evangelici e dagli “integralisti cattolici” in America e proclamava che “Francesco vuole rompere il legame organico tra cultura, politica, istituzioni e Chiesa”, è un’eco di questo modo di pensare.

Francesco e i suoi sostenitori parlano e agiscono come se qualsiasi tipo di riverenza o devozione al passato nella sfera religiosa sia in qualche modo un contagio che minaccia la libertà del regno politico. Spadaro lo ha ammesso quando ha affermato che il “fondamentalismo” religioso equivale a “una sfida virtuale diretta alla laicità dello Stato”. P. Spadaro e altri come lui hanno assorbito la tendenza dei progressisti laici a confondere tutte le idee non liberali con il totalitarismo, come se l’unica scelta da fare fosse quella tra la marcia in avanti della storia come interpretata dai progressisti (teologici o politici) e una sorta di incubo totalitario.

Questo tipo di pensiero “o l’uno o l’altro” è assurdo, ma loro sembrano crederci. Questa è l’unica spiegazione che riesco a concepire per il fatto che sia meglio chiudere le parrocchie sane se l’unico modo per salvarle è riempirle di cattolici che frequentano la Messa in latino, o lasciare morire i seminari e gli ordini religiosi se l’unico modo per perpetuarli è ripristinare le pratiche teologiche o liturgiche tradizionali. È meglio lasciare che la Chiesa muoia, apparentemente, piuttosto che farla cadere nelle mani di persone che ritenete fondamentalmente malvagie.

Questo, almeno, è il massimo senso che riesco a dare a questa tendenza altrimenti inspiegabile. Potrebbero esserci motivazioni di principio molto meno valide dietro le parole e le azioni di Papa Francesco e dei suoi sostenitori progressisti, ma anche se ciò fosse vero, dubito che spiegherebbero interamente questa tendenza. Ognuno agisce in base a una visione complessiva del mondo – che dia un senso al caos che spesso è la nostra vita in questa valle di lacrime – e non solo per interesse personale o per passione.

Non voglio lasciare i lettori nello sconforto, e quindi dovrei ricordare loro che non tutti o addirittura moltissimi uomini di Chiesa “liberali” o progressisti vedono le cose in questo modo. Lo si vede dal modo in cui è stato attuato Traditionis custodes. Diversi vescovi, anche stretti alleati del Papa come il cardinale Marx, si sono rifiutati di applicarla; e il Cardinal Zuppi di Bologna, capo della Conferenza Episcopale Italiana (e collaboratore di P. James Martin), ha celebrato recentemente i vespri con i tradizionalisti a Roma.

Non tutti vedono il mondo in termini così manichei. E per una buona ragione: questa ideologia dell’“avantismo” è palesemente falsa e nessuna credenza, per quanto coerente, può durare per sempre se si basa su una visione così distorta del mondo.

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