63ª Udienza del Processo 60SA in Vaticano. I fatti raccontati dal Promotore di Giustizia totalmente lontani dalla realtà. Il Cardinal Becciu respinge ogni singola accusa

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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 20.07.2023 – Ivo Pincara] – Oggi 20 luglio 2023, all’inizio della 63ª Udienza del processo penale per la gestione dei fondi della Segreteria di Stato al Tribunale dello Stato della Città del Vaticano, il Presidente Giuseppe Pignatone ha dato lettura del calendario delle prossime Udienze, che continueranno lunedì e martedì prossimo “ed eventualmente mercoledì” (24, 25 ed eventualmente 26 luglio). Il processo continuerà quindi con le parte civili, il 27, 28 e 29 settembre, e gli interventi delle difese nelle udienze successive, in programma il 5,6, 19, 20, 26 e 27 ottobre. Udienze anche l’8, 9, 10, 20, 21, 22 novembre il e 4, 5 e 6 dicembre, giorno in cui Pignatone prevede di chiudere la discussione. La sentenza è prevista prima di Natale. Auguri.

Poi, l’Avv. Fabio Viglione, del collegio difensivo del Cardinale Angelo Becciu, ha chiesto la possibilità per il suo assistito di fare alcune dichiarazioni spontanee, richiesta alla quale Pignatone ha acconsentito e che riportiamo di seguito. Dichiarazioni spontanee rese «necessarie a non lasciare quella del Promotore di Giustizia come l’unica versione dei fatti fin quasi alla fine dell’anno, quando comunque appare scontato che tutta questa farsa si concluderà con un’assoluzione non essendo stati provati reati di alcun tipo nel dibattimento», ha commentato Sante Cavalleri sul Faro di Roma, aggiungendo, che il Cardinal Becciu è «intervenuto in Aula per replicare alle accuse grottesche del Promotore di Giustizia Alessandro Diddi, che sta illustrando il suo castello accusatorio senza poter fornire alcuna prova di reato a carico del cardinale, che ha dovuto sopportare una tale umiliazione» in tutto questo tempo. «Becciu fa finta di non comprendere la lettura che l’Ufficio dà dei fatti e quali sono le questioni in ballo. Mi dispiace, ma ce ne faremo una ragione», ha poi replicato Diddi nel suo stile inconfondibile.

A seguito, il Promotore di Giustizia vaticano, Professore Avv. Alessandro Diddi, nella terza parte della sua requisitoria, ha ricostruito i passaggi della presunta estorsione in cui sono stati coinvolti Mons. Mauro Carlino, Fabrizio Tirabassi e Gianluigi Torzi, al termine della quale, ha ricordato Diddi, “la Segreteria di Stato si ritrovava con 30mila azioni che non valevano nulla, di fronte alle 1.000 con diritto di voto che si è riservato Torzi, e quindi in balia dei capricci di quest’ultimo”. I 15 milioni di sterline versate dalla Segreteria di Stato a Torzi, per Diddi, “sono del tutto ingiustificabili”.

Il Promotore di Giustizia ha affermato che i 15 milioni di sterline dati a Gianluigi Torzi per uscire dalla compravendita del palazzo al numero 60 di Sloane Avenue a Londra, sono stati “una estorsione alla Segreteria di Stato”, che con tale somma “aveva acquisito una scatola vuota”. “Anche in Vaticano – ha aggiunto Diddi – c’è stato un atteggiamento omertoso, in particolare perché la vittima, dopo essere stata vittima di estorsione conclamata, non ha presentato neanche denuncia”. Secondo Diddi, in sintesi, “tutti sapevano che c’era un atto di estorsione in corso”.

In tutto questo, ricordiamo innanzitutto che Il Cardinale Angelo Becciu è stato Sostituto della Segretario di Stato dal 10 maggio 2011 fino al 29 giugno 2018, quindi prima del periodo dei fatti a cui riferisce il Promotore di Giustizia, come appare con precisione secondo quanto segue.

Inoltre, ricordiamo che Papa Francesco, informato dei vari passaggi, ha autorizzato la trattativa con e il compenso a Torzi, che ha anche incontrato per ben tre volte [QUI].

Come ha riferito Sandro Magister il 3 gennaio 2021 sul suo blog Settimo Cielo, tra le carte in possesso del Tribunale vaticano, c’è una Nota informativa in testa alla quale c’è scritto che “durante l’udienza di tabella dello scorso 6 aprile il Santo Padre ha dato l’autorizzazione di rendere pubblica la suddetta Nota”. Firmato: Edgar Peña Parra, Sostituto Segretario di Stato. Che Papa Francesco era coinvolto nelle decisioni circa il caso 60SA era stato dimostrato già più volte. Poi, le rivelazioni di Magister ne sono stata la conferma definitiva.

La seconda parte della Nota di Peña Parra riguarda appunto gli sviluppi dell’operazione di Londra dalla fine di novembre del 2018 in poi [quando il Cardinal Becciu già non era più Sostituto], di cui si occuparono non solo lui, il Sostituto in carico, l’Arcivescovo Edgar Peña Parra, ma anche il Segretario di Stato, il Cardinale Pietro Parolin, e Papa Francesco in persona.

Il 22 novembre 2018, sollecitato da Mons. Perlasca a dare il via libera a un’iniziativa finanziaria definita “urgentissima” per raddrizzare l’operazione d’acquisto del palazzo di Londra, Peña Parra gli ordinò di redigere un “memorandum utile a presentare l’istanza al Cardinale Segretario di Stato e al Santo Padre per la loro valutazione in merito”.

A questo scopo, domenica 25 novembre il Sostituto chiese e ottenne “un incontro urgente con il Santo Padre”, il cui responso fu un “sì” con cautela: “Egli mi ha chiesto di tenere presente due cose, che poi ha ripetuto in vari momenti: (i) ‘cerchiamo di perdere il meno possibile’ e (ii) ‘noi dobbiamo voltare pagina e ricominciare da capo’”.

Il giorno dopo, lunedì 26 novembre, anche il Cardinale Parolin diede la sua approvazione. L’operazione fu dunque compiuta. “Con il benestare del Santo Padre e del Cardinale Segretario di Stato – scrive Peña Parra – siamo andati avanti a perfezionare l’operazione di riacquisto della società proprietaria del palazzo, firmando la ratifica in data 27 novembre 2018”. Restavano però ancora da riscattare mille azioni in possesso di un altro finanziere, Gianluigi Torzi.

Le ipotesi alternative inizialmente valutate in Segreteria di Stato erano le seguenti: “1) iniziare un contenzioso contro il Torzi; 2) riacquistare il pieno controllo dell’asset (quindi quantificare il valore delle mille azioni)”.

La soluzione adottata fu la seconda, non solo perché “considerata più economica e con rischi più contenuti”, ma soprattutto perché “prettamente allineata con la Superiore volontà”, cioè con la volontà del Papa. Il quale non solo incoraggiò la Segreteria di Stato a procedere per questa strada, ma diede lui stesso l’impulso al negoziato con l’aiuto di un suo amico di vecchia data, come riferito da Peña Parra nella Nota: “Sabato, 22 dicembre 2018, il Santo Padre mi ha chiesto di recarmi a Santa Marta dove mi ha presentato il dott. Giuseppe Milanese, […] che ho conosciuto per la prima volta, nonché il dott. Manuele Intendente, […] di cui ho saputo dopo essere uno degli avvocati del Torzi, mentre il Milanese era una conoscenza del Santo Padre. […] Il giorno successivo ho ritenuto opportuno chiedere chiarimento all’ufficio amministrativo circa quanto appreso durante l’incontro a Santa Marta. […] Non trovandosi in sede Mons. Perlasca, già partito per le vacanze di Natale, ho convocato il Tirabassi nel mio ufficio”.

Pochi giorni dopo, il 26 dicembre, festa di Santo Stefano, Papa Francesco ricevette di nuovo Torzi a Santa Marta, con i famigliari, facendosi anche fotografare con lui, e ne riferì a Peña Parra, che nella Nota registra così la consegna ricevuta da Francesco: “Il mio agire […] era ed è tutt’ora motivato dal desiderio di mettere in pratica la volontà Superiore, manifestata anche in sede d’incontro con il Torzi il 26 dicembre 2018, cioè di ‘perdere il meno possibile e ripartire da capo’”.

Un terzo incontro tra il Papa e Torzi fu di poco successivo, così riferito da Peña Parra: “I primi giorni del mese di gennaio 2019, il Santo Padre ha ricevuto in udienza il Torzi insieme all’Intendente, al Prof. Renato Giovannini e al Milanese e il sottoscritto. Durante un breve incontro, Papa Francesco ha voluto ribadire al Torzi che apprezzava quanto egli aveva fatto per la Segreteria di Stato, e che aveva dato al Sostituto il mandato di riorganizzare per esteso la gestione patrimoniale e finanziaria della Segreteria di Stato e che la Sua volontà era di ‘voltare pagina e ricominciare da capo’, Questa Superiore volontà è diventata per noi il punto di forza nel negoziato con il Torzi, il quale non ha potuto mai negare il volere espresso dal Santo Padre”.

Le mille azioni furono effettivamente rilevate dalla Segreteria di Stato  il 2 maggio 2019. Ma ciò non trattiene Peña Parra dallo scrivere, nella Nota, d’essere “arrivato alla convinzione che la Segreteria di Stato è stata vittima di una truffa”, per come il Capo dell’Ufficio amministrativo aveva operato in precedenza, “costringendo di fatto la Segreteria di Stato, in sede di risoluzione contrattuale, a pagare al Torzi” quella somma cospicua: “Con la firma prematura e comunque non autorizzata dai superiori, Mons. Perlasca aveva ceduto al Torzi non soltanto le mille azioni, ma soprattutto il diritto esclusivo di gestione del palazzo, […] creando un ingente danno patrimoniale alla Segreteria di Stato, per non parlare del danno reputazionale per il Santo Padre e tutta la Chiesa”.

Sta di fatto che il ricupero delle mille azioni è stato negoziato e concluso con Papa Francesco come primo attore, stando a ciò che è scritto nella Nota informativa di Peña Parra resa pubblica per volontà dello stesso Papa.

Interrogato nella fase istruttoria del processo, Perlasca ha confermato questo coinvolgimento del Pontefice, venendo però aspramente zittito dai Promotore di Giustizia, Alessandro Diddi: “Monsignore, questo che dice non c’entra niente! Noi prima di fare questo che stiamo facendo siamo andati dal Santo Padre e gli abbiamo chiesto che cosa è accaduto, e di tutti posso dubitare fuorché del Santo Padre”.

Come si vede, è alquanto utile andare a rileggere la mole dei fatti forniti con la copertura di questo processo farsa [QUI], per togliere ogni dubbi sul fatto che Diddi con il suo operato e in particolare adesso con la sua requisitoria, si trova fuori della realtà. Ascoltandolo, pare che 60 Udienze sono state tempo perso, e con esse buttati nelle fogne una barca di soldi della Santa Sede. Sarebbe auspicabile che Diddi, bravissimo nel fare i conti in tasca alla Segreteria di Stata, nel nome della trasparenza, fornisse i conti per capire quanto ha costato alla Santa Sede questo suo accanimento giudiziario,

Come abbiamo riferito [QUI], ieri il Promotore di Giustizia, Professore Avv. Alessandro Diddi ha raggiunto l’apice del suo singolare modo di accusare senza mostrare alcuna prova a sostegno. Scandaloso comportamento per un magistrato vaticano, il cui compito invece sarebbe promuovere la giustizia alla ricerca della verità. Se serviva ancora dopo questo calvario di due anni, ecco ieri ha fornito la prova provata, che il suo obiettivo principale è quello di colpire a qualsiasi costo il Cardinal Becciu, che nell’Udienza odierna ha risposta con una dichiarazione spontanea.

Dichiarazioni spontanee rese dal Cardinale Angelo Becciu

«Il Promotore continua a raccontare fatti sul mio conto totalmente lontani dalla realtà, che respingo con forza cosi come respingo ogni singola accusa. Nessuna esclusa. E lo faccio per amore di verità». È quanto ha riferito in una dichiarazione spontanea il Cardinale Angelo Becciu, intervenuto questa mattina in Aula nel corso del processo che lo riguarda.
«Il Professor Diddi insiste innanzitutto sui 50 milioni annui donati dallo IOR al Papa per le necessità della Sede Apostolica e depositati nei conti della Segreteria di Stato, manifestando dubbi sul loro utilizzo», spiega il Cardinal Becciu, che prosegue: «Quando arrivai in Segreteria di Stato questa tradizione era già consolidata e ricordo che la somma era ripartita tra Radio Vaticana, L’Osservatore Romano e Nunziature Apostoliche».
«Ancora, mi si accusa con veemenza di aver impedito che il Cardinal Pell e la Segreteria per l’Economia (SPE) effettuassero controlli sull’Ufficio amministrativo della Segreteria di Stato. Ribadisco: il denaro amministrato dalla Segreteria di Stato costituiva il Fondo sovrano del Papa dai tempi di Paolo VI (e da allora mantenuto riservato), non rientrava nel bilancio consolidato della Santa Sede e di esso si rendeva conto solamente al Pontefice e al Segretario di Stato ogni sei mesi”, prosegue il Cardinal Becciu.
«Il cambiamento delle prerogative della Segreteria di Stato che la ponevano al di sopra degli altri Dicasteri non poteva deciderlo il Sostituto, come fatto intendere da Diddi, ma solo e soltanto il Santo Padre. La prova? È stato necessario un Motu proprio per mutare natura e competenze della Segreteria di Stato».
«Sugli investimenti, è come se il Promotore di Giustizia mi avesse scambiato con Perlasca, Capo ufficio dell’Amministrazione della Segreteria di Stato, mentre ho svolto il ruolo di Sostituto», fa notare. Infatti, «tutte le attività che Diddi ha attribuito a me le doveva svolgere e la ha svolte il Capo ufficio, Monsignor Perlasca. Nessuno tra chi ha avuto a che fare con il palazzo di Londra ed è intervenuto in questo processo ha fatto il mio nome. Il Promotore mi ha attribuito responsabilità che non avevo: mi sono sempre uniformato ai dossier preparati dall’Ufficio e controfirmati da Mons. Perlasca, e così anche per il palazzo di Londra, semplicemente perché mi era stato presentato calorosamente come un affare vantaggioso per la Santa Sede. Se mi avessero presentato un minimo di svantaggi avrei certamente bocciato la proposta. L’autorizzazione a investire le somme depositate nell’Ubs di Lugano mi fu comunque data dall’allora Segretario di Stato».
«Circa l’investimento nella Falcon Oil, mi sono limitato a parlare a Mons. Perlasca di questa proposta, affinché ne verificasse eventuali vantaggi, precisando che nel rispondermi non avrebbe dovuto guardare la mia faccia e tantomeno la nostra amicizia». Quella proposta fu infatti poi bocciata, «a riprova che gli investimenti venivano decisi dall’Ufficio amministrativo e da me solo ratificati».

Commenti di una lettrice

A questo punto ci sembra utile riportare tre commenti di una lettrice, a seguito delle prime due parti della requisitoria del Promotore di Giustizia (anche se si dovrebbe usare un altro termine per descrivere le sue performance grottesche in Aula):

«Il Promotore di Giustizia vaticano, Professore Avv. Alessandro Diddi, con l’inizio della sua requisitoria, anziché ribadire verità, si mette artatamente dalla parte del falso – anzi, da conferma della manipolazione del teste chiave Perlasca.
Mi chiedo e chiedo a “chiunque” – chi è che rappresenta l’accusa? Il Promotore di Giustizia vaticano, Professore Avv. Alessandro Diddi, oppure Francesca Immacolata Chaouqui? Una pregiudicata che oltraggia impunemente un avvocato della difesa.
Che teatrino.

  • Ciferri accusa Chaouqui, la stessa comunica con Diddi con 126 chat, che il suo caro Perlasca è in pericolo, causa la manipolazione di Chaouqui.
  • Chaouqui a colloquiare con il Pontefice, che viene informato in anteprima su quanto registrato su podcast, manco fosse un nume tutelare del Vaticano.
  • Il Pontefice che mette per iscritto al Cardinal Becciu che la Chaouqui non deve mettere piede in Vaticano.
  • La Gendarmeria, che sovraintende alla sicurezza del Vaticano, fa mettere alla Chaouqui i piedi dove gli pare ed anche le mani sugli archivi riservati del Vaticano, tanto che si porta a casa carte, timbri e quant’altro.
  • Diddi e Pignatone non consentono alle difese di appurare il “quantum” scritto dalla Ciferri a Diddi in 126 chat. La difesa ha diritto a conoscerne solamente 6.

La mia considerazione su quanto su esposto è semplicissima. La falsità viene equiparata alla verità. E il buon giorno si vede dal mattino. Comunque, la verità oggi o domani verrà a galla. Quando non lo so. Ma uno soprattutto ne pagherà le conseguenze. La storia non perdona».

«Continua a stupire il Professore Avv. Alessandro Diddi, in senso negativo. La inerenza ed il ruolo che ha svolto nel processo il cosiddetto Mons. Perlasca, considerato dal Promotore di Giustizia persona fragile, manipolato e/o manipolabile, però intanto la sua personale e particolare “posizione” è stata archiviata. Mentre, udite udite, rimette in capo al Presidente Pignatone eventuale e/o diversa valutazione. Ciò sta a significare che lui stesso, il Promotore di Giustizia, si autodefinisce “incapace” di valutare il ruolo svolto dal Perlasca – su ipotesi di reato “promosse” dal Promotore di Giustizia su testimonianza fornita dal Perlasca, che a sua volta si è “autodefinito” negligente nel merito di che trattasi, in sostanza “reo confesso”.
Se poi si aggiunge la super testimonianza resa dal Sostituto alla Segreteria di Stato, Mons. Edgar Peña Parra, sempre sul merito e metodo di operare del Perlasca, che nello svolgimento delle sue mansioni faceva di testa sua, senza informare i suoi superiori.
Ogni ulteriore commento sul Professore Avv. Alessandro Diddi è superfluo, ma voglio aggiungere che il suo ruolo debba essere rivisto da un altro punto di vista. Quale? Fate voi. Non sarà mai adeguato e proprio troppo fuori».

«È un “eufemismo” definire soltanto “singolare” il comportamento del Promotore di Giustizia, Professore Avv. Alessandro Diddi nello svolgimento del proprio ruolo di promotore di una accusa nei confronti del Cardinal Becciu. Tale accusa nel corso del processo si è auto-dimostrata incapace di produrre elementi probatori che n’è dimostrano la verità. Anzi, nel corso del dibattimento, si è avuto modo di appurare: palese e contraddittoria accusa costruita e manipolata “artatamente” da personaggi “pregiudicati”, quindi non attendibili che hanno gestito quello che era il super testimone Perlasca. Oggi sappiamo che è stato retrocesso a persona fragile, ed ininfluente. Intanto la sua posizione è stata archiviata. Si rimanda al Presidente Pignatone eventuale responsabilità. Quale?
Falsa testimonianza?
È collaterale al diniego di contro-interrogatorio dei testi Perlasca, Chaouqui e Ciferri. Ma col diniego si parlava di apertura di un nuovo fascicolo, a carico di chi?
Imputazione del Perlasca connessa all’oggetto del processo?
Lo scandalo diventa sempre più grande. L’informazione da parte dei giornaloni e TV sempre più piccola.
Forza, coraggio e fede non mancano Don Angelino, che la verità sta per arrivare».

Indice – Caso 60SA [QUI]

Foto di copertina: con Alice in tribunale nel Paese delle meraviglie di Lewis Carroll: «La Regina di Cuori, da ciò molto indispettita, ordina che prima sia pronunciata la sentenza e poi siano ricostruiti i fatti». Stupore, ilarità, diffidenza e rifiuto per il (mal)funzionamento delle istituzioni giudiziarie vaticani. Lewis Carroll, in tribunale con Alice nel Paese delle meraviglie ci spiega come funziona l’(in)giustizia vaticana. Consigliamo di rileggere al riguardo, trascorsi quasi 2 anni, l’articolo che abbiamo pubblicato l’11 luglio 2021 [QUI], da cui riprendiamo l’incipit:
«Non nascondo che talvolta, vedendo nella vita reale applicato con determinazione e accanimento il metodo giudiziario da Alice nel Paese delle Meraviglie, ci viene lo scoraggio. Perché, vengono fatto uscire dai fascicoli dell’Ufficio del Promotore di Giustizia vaticano (il Pubblico Ministero d’Oltretevere) sempre nuovi fatti e costrutti accusatori, messi alla gogna mediatica, che vengono puntualmente smentiti e smontati… fino alla prossima. Lo scoraggio di fronte a questa alternanza tra bagnomaria e bagno nella pece bollente a cui viene sottoposto il primo accusato per importanza (ma non per la sostanza delle accuse), viene però vinto con l’amore per la misericordia nella giustizia, alla ricerca della verità, da cui attingere la forza per andare avanti. E andiamo avanti soprattutto per sostenere lungo il cammino della metacognizione chi ci legge.
La forza ci viene data anche dai nostri attenti lettori, con i loro commenti pubblici sui social e dai loro messaggi in privato. Oggi citiamo in particolare il commento pubblico ad un post sulla pagina Facebook di Korazym.org: “Penso che i nodi verranno al pettine. Nel senso che al dibattimento dubito che il Cardinal Becciu si rassegnerà al ruolo di vittima sacrificale come a suo tempo fece il maggiordomo papale nel processo Vatileaks. E allora si capirà anche perché Perlasca è rimasto fuori dal novero degli imputati. Oltretutto non si può escludere che, per una volta, il processo non si esaurirà nel primo grado di giudizio. A ogni modo, emergeranno tutti i limiti, come dissi in un precedente post, dei vecchi codici vigenti e pure, e forse soprattutto, della loro concreta applicazione in uno Stato assoluto (…)” (G.C.). (…)».
Poi, la riflessione indispensabile del giusfilosofo e magistrato Otello Lupacchini, che ha spiegato il 6 agosto 2018 su Ilfattoquotidiano.it, quindi in tempi non sospetti, come funziona la (in)giustizia:
«Girovagando per l’universo letterario di Lewis Carroll, ci si imbatte in alcuni processi che – sol provando a riflettere sulle condizioni degli imputati – si prestano a essere considerati in una prospettiva assai meno superficiale di semplici manifestazioni letterarie dello stupore, dell’ilarità e della diffidenza che il funzionamento delle istituzioni giudiziarie ha sempre e dovunque suscitato tra i profani.
Tra questi c’è quello che si celebra presso la “corte” dei reali di Cuori, lo si trova nell’11esimo e nel 12esimo capitolo dello stesso libro. Imputato è il Fante, accusato di aver rubato dei dolci preparati dalla Regina, la quale è a un tempo parte lesa, coadiutrice del giudice e componente, con il Re stesso, dell’ufficio della pubblica accusa. La giuria è composta da 12 animaletti di varia specie, disorientati e ottusi. Araldo, usciere, cancelliere e in genere maestro di cerimonie è il Coniglio Bianco. Di avvocati difensori, nel testo non vi è traccia. Dopo la solenne lettura del capo d’imputazione, il re invita subito la giuria a pronunciare il verdetto, ma il Coniglio Bianco gli fa presente la necessità di assumere prima di tutto le prove.
Vengono allora sentiti, in veste di testimoni, il Cappellaio Matto, la cuoca della Duchessa e, finalmente, Alice. Esaurita, senza alcun esito apprezzabile, l’escussione dei testimoni, il Re torna a sollecitare il verdetto della giuria; ma è ancora una volta il Coniglio Bianco a impedirlo, segnalando al Re un documento decisivo, che si suppone provenga dall’imputato, quantunque non rechi traccia della sua calligrafia. Il documento, letto con la consueta solennità dal Coniglio Bianco, risulta contenere una poesia nonsense, come tale incomprensibile; ma ciò non impedisce al Re di esultare, fregandosi le mani.
È a questo punto che si accende una vivace disputa ermeneutica fra il Re e la Regina da una parte e dall’altra Alice, erettasi a tutrice del senso comune e indirettamente a difensore del Fante, la quale ribadisce la futilità della prova raccolta, mentre gli altri insistono nel ravvisare nel documento un’inconfutabile dimostrazione di colpevolezza del Fante. Il Re tronca la discussione, invitando per la terza volta la giuria a pronunciare il verdetto. Questo ennesimo sovvertimento delle regole processuali eccede la sopportazione di Alice, che, contestando drammaticamente la serietà e la realtà stessa della corte, pone fine repentinamente sia al processo sia al sogno in cui esso s’inserisce».

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