Affrontare il tema della tradizione

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Il tema della tradizione viene molte volte affrontato come se esso fosse un qualcosa di cui vergognarsi, come se la tradizione in un certo qual modo si opponesse al progresso. In realtà la tradizione certamente non si oppone al giusto e legittimo progresso, anzi si può dire che ne è l’indispensabile premessa. Ecco perché si rende sempre più necessario essere in grado di affrontare il tema della tradizione senza nessun timore, anzi essendo ben consapevoli di quello che la tradizione può donarci per la nostra vita materiale e spirituale.

Spesso sentiamo parlare della tradizione e non sempre riusciamo a spiegare che cosa questa parola significa, perché essa può essere usata in tanti contesti che sono tra loro veramente diversi in importanza e peso. Ad esempio la tradizione di fare il presepe non è la stessa cosa dell’idea di tradizione nella Chiesa cattolica, che naturalmente prende un significato molto più profondo ed importante. Quello che c’è in comune è questa idea di tramandare, l’idea che noi siamo l’anello di una continuità. Questo ci è evidente se solo riflettiamo sulla nostra famiglia, che ci dà una immagine viva della tradizione. Noi veniamo dai nostri padri e diamo vita ai nostri figli. Questa idea di continuità è importante, non solo a livello personale, ma anche a livello sociale. La tradizione non ci impedisce di progredire, anzi essa è garante di ogni progresso che può esistere soltanto quando prima di fare un passo avanti si poggia bene il piede dietro. Poggiare bene il piede posteriore garantisce che il passo sia corretto.

Il discorso sulla tradizione è quindi un discorso complesso ma fortemente necessario, perché essa ci aiuta a comprendere quello che siamo, da dove veniamo e ci aiuta a capire dove dovremmo andare. A volte la nostra civiltà sembra camminare ciecamente verso la sua terribile autodistruzione. La tradizione è l’antidoto a questo veleno e ci permette di camminare sicuri, pur quando ci troviamo nella valle tenebrosa.

La tradizione è come un messaggio che viaggia fra le generazioni. In questo modo la tradizione è una continuità fra di noi, coloro che ci precedono e coloro che ci seguiranno. Questo è un meccanismo biologico ma esistono anche tradizioni spirituali che sono altrettanto, forse più, importanti. In questo senso siamo tutti “tradizionali”, cioè non possiamo prescindere dall’essere immersi in un fluire vivo di questa corrente che passa attraverso di noi ma che non inizia e non finirà con noi. Quindi, essere contro la tradizione è innaturale, è andare contro quello che noi siamo e quello che ci forma in senso quasi archetipo.

Il libro Ci hanno detto. Pensare la tradizione (Chorabooks 2023, 158 pagine [QUI]) di Aurelio Porfiri, affronta il tema della tradizione sotto diverse angolature, non solo quella propriamente cattolica, pur molto importante nel libro, ma anche sotto prospettive diverse. Si affrontano alcuni temi per pensare la tradizione, come dice il sottotitolo del libro, ma anche si tocca la tematica del rapporto fra tradizione e modernità, si parla poi di cattolicesimo e tradizione, andando più nello specifico in seguito toccando il tema della liturgia. Poi si presentano quasi dei medaglioni di alcuni protagonisti della cultura e si analizza il loro rapporto con la tradizione.

Alcune cose che troverete nel libro

  • Che cos’è la tradizione?
  • La tradizione è un peso?
  • Rapporto fra tradizione e rivoluzione.
  • Quello che i contadini possono ancora insegnarci.
  • Tradizione e tradizioni.
  • Cosa pensare, in bene e in male, del mondo tradizionalista cattolico?
  • Musica sacra e tradizione.

L’autore

Aurelio Porfiri è un compositore, direttore di coro, autore ed educatore. Ha pubblicato più di 60 libri su temi come la musica sacra e la liturgia, questioni attuali della Chiesa cattolica, cattolicesimo cinese. Collabora con numerose piattaforme di informazione in Italia e all’estero.

Riflessione a latere

Tradizionalismo cattolico. Unire i clan?
di Aurelio Porfiri
Stilum Curiae, 4 luglio 2023


A volte capita di ascoltare, specie dalle piattaforme cattoliche tradizionaliste americane, uno slogan secondo cui bisognerebbe “unire i clan”, cioè le varie fazioni che compongono il variegato mondo del tradizionalismo cattolico. Uno slogan interessante, anche edificante se vogliamo, ma che purtroppo a mio avviso denota una visione quantomeno superficiale della questione.

Innanzitutto, di che tradizionalismo cattolico stiamo parlando? Perché non esiste il tradizionalismo cattolico, ma esistono i tradizionalismi cattolici. Dire che qualcuno si identifica come tradizionalista cattolico, è come dire che uno si identifica come europeo: più o meno capiamo in quale ampia area geografica collocarlo, ma esiste una certa, notevole, differenza fra un greco e un francese, un italiano e un tedesco. Se pure si intende considerare come tradizionalismo cattolico quello che gira intorno agli istituti ex Ecclesia Dei, cioè quelli che criticano la deriva liturgica e dottrinale della Chiesa cattolica pur riconoscendo la corrente gerarchia come sola legittima, ci sono talmente tante differenze e tanti “signori della guerra” che la situazione non è molto diversa da quella della Cina post imperiale e repubblicana, tutti contro tutti.

È una questione che ha a che fare non solo con il carattere delle persone coinvolte, ma anche con le prospettive diverse da cui si affronta il problema: ci sono coloro che hanno un approccio dottrinale, altri storico, altri liturgico e via dicendo. Se è vero che un po’ tutti vedono nel Concilio un momento importante di rottura, alcuni hanno una visione idilliaca della Chiesa preconciliare non dissimile da quella di parte modernista che esalta la “Chiesa primitiva”. Altri invece hanno una visione, a mio avviso più corretta, più ragionata del problema vedendo nel Concilio un momento importantissimo di una crisi cominciata ben in precedenza.

Ma c’è poi un’altra questione, che a mio avviso nel mondo americano è ancora più importanti: quella di coloro che sono al di fuori del tradizionalismo cattolico mainstream, i sedevacantisti, i sedematerialisti, coloro che ritenevano Benedetto XVI il Papa legittimo e Francesco un antipapa e tutti coloro che hanno posizioni ecclesiologiche che in un modo o nell’altro mettono in dubbio la validità o legittimità dei recenti Pontificati. Pur se le loro differenze con il tradizionalismo cattolico sono in materia grave, nondimeno con gli altri condividono tantissimo per quello che riguarda la tradizione cattolica. Se è molto difficile pensare all’unione con questi gruppi, in alcuni casi molto numerosi, non è così facile pensare che sia facile nell’altro caso. Per carità, io penso che molti di coloro che hanno un approccio di questo tipo siano in perfetta buona fede, ma come detto hanno a mio avviso una visione molto superficiale del problema, un po’ come l’altro slogan “vogliamoci tutti bene!”. Sarebbe bello, se non tenessimo presente la realtà di quello che siamo.

C’è sempre la tentazione, anche per il mondo cattolico tradizionalista, di creare le torri d’avorio attorno a riviste, blog, persone. C’è la tentazione, del tutto umana, che ci porta a discriminare “noi” e “voi”. Il proprio gruppo di riferimento diviene un poco il contenitore in cui si vive la propria tormentata appartenenza alla Chiesa cattolica e il punto di vista con cui si guarda tutto il resto.

Se si ha una certa esperienza dei nuovi Movimenti ecclesiali, è un po’ la stessa cosa. Pur richiamandosi tutti al cattolicesimo, c’è sempre la tentazione di considerarsi la parte migliore dello stesso, il che fa vedere gli altri in una luce meno favorevole.

Non dimentichiamo che il tradizionalismo cattolico non è fatto solo di idee, riti, dottrina ma soprattutto di uomini e donne, con i loro limiti e con le loro personali aspirazioni. A volte pensiamo che l’essere tradizionalista cattolico equivale ad una sorta di stato adamitico, ma tutti ben sappiamo che non è così. Tutti tentano di fare del loro meglio per navigare la crisi della Chiesa cattolica, ma non tutti riescono ad evitare gli scogli e pochi riescono ad evitare lo scoglio più pericoloso perché più difficile da ammettere, quello dell’orgoglio personale.

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