Beati i puri di cuore. 55° viaggio di solidarietà e speranza della Fondazione Santina in Kenya. Mettere da parte le paure e cercare le cose dal sapore eterno

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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 11.03.2023 – Vik van Brantegem] – Ieri ho presentato l’inizio del 55° viaggio di solidarietà e speranza della Fondazione Santina, che porta Mons. Luigi (Don Gigi) Ginami in Kenya fino al 15 marzo, con l’imprevista sosta ad Addis Abeba, che ci ha raccontato nel Report N. 1 – Etiopia. Il diavolo è nei dettagli e nel Report N. 2 – Etiopia e la Chiesa Ortodossa. Dio è nei dettagli [QUI]. Oggi continuo con lo straziante (e molto istruttivo) Report N. 3 – Carbone rovente in una piccola mano e il divertentissimo (e altrettanto istruttivo) Report N. 4 – Il pollaio. Due racconti che ci fanno capire come nella nostra vita spesso consideriamo il superfluo come l’essenziale e come è necessario di ricreare le ragioni più profonde del vivere.

È il caso di dire che il caso non esiste – sono “Dioincidenze” – vedendo che Facebook mi propone questa mattina un ricordo di esattamente 11 anni fa, della sera dell’11 marzo 2012. Si tratta di un fumetto con il seguente messaggio: troppo piccolo per pensare a Dio (un bambino), troppo sicuro di sé per pensare a Dio (un giovane), troppo felici per pensare a Dio (una copia di giovani sposi), troppo stanco per pensare a Dio (un uomo adulto in poltrona), troppo impegnato per pensare a Dio (un manager in ufficio), troppo tardi per pensare a Dio (dentro la bara).

Specialmente il Report N. 3 ha toccato profondamente il mio cuore e mi è venuta l’idea di adottare a distanza, attraverso la Fondazione Santina di Bergamo, il Dottor Abdalla con il suo dispensario della parrocchia nel piccolo villaggio di Msabaha sulla costa dell’Oceano Indiano in Kenya, per festeggiare il ventesimo anniversario della fondazione di Korazym.org, che ricorre fra un mese, il 13 aprile. Quanto scrive Don Gigi di seguito, fornirà la spiegazione meglio che sarei in grado di farlo. Nel prossimo futuro proverò a concretizzare questa idea e ci ritornerò con i dettagli, anche per permettere ai lettori di questo quotidiano non profit online di partecipare a questa idea di solidarietà e di speranza.

Report N. 3 – Carbone rovente in una piccola mano

La manina di una bimba di un anno e mezzo, dolcissima e delicata. Provate a prenderne in mano una ed osservatela con cura: la pelle non è dura, liscia, non è ancora abituata a prendere, non ha neppure nessun callo, sono manine bellissime e tremendamente delicate nella loro pelle. Una piccola mano ti incanta, ti dice dolcezza, reclama protezione, dice bontà. Prendere per mano un piccolo bimbo ti cambia l’anima, ti pulisce il cuore solo al tatto di quella manina di una piccola ed indifesa creatura.

Siamo in Africa, in Kenya. Domenica 26 febbraio 2023, nel piccolo villaggio di Msabaha sulle rive dell’Oceano Indiano, una giovane mamma di nome Nema sta cucinando sul fuoco il magro pasto di mezzogiorno: fagioli, riso con hugali. Nema ha 27 anni, 4 figlie e un marito alcolizzato che svolge lavori occasionali. La miseria e lo squallore si palpano con le mani. Un cerchio di pietre, fuori dalla capanna distrutta e che deve essere ricostruita, protegge e delimita il fuoco sul quale Nema sta cucinando. Attorno a lei le 4 bambine attendono affamate il cibo. Sotto il pentolone la legna si è ormai tutta trasformata in carboni ardenti, rossi ed infuocati.

La più piccola bimba si chiama Anastasia, ha solo 1 anno e mezzo, poi vi è Annabel di 4 anni, Anita di 7 e Lidia di 9. Omar, il marito, non c’è: è fuori, non si sa se per lavoro o ubriaco a margine di qualche sentiero, come spesso in Africa fanno gli uomini.

A Msabaha, Nema assaggi il cibo bollente è pronto! Dice questo festante alle piccoline che si avvicinano al fuoco. Alle spalle arriva anche la piccolina Anastasia che ancora non sa cosa sia il fuoco. La mamma toglie il pentolone dal fuoco, si gira e le tre bimbe più grandi la seguono pretendendo cibo; Anastasia no: rimane lì come incantata con i suoi meravigliosi occhioni, guarda intensamente il rosso vivido dei carboni ardenti, il colore è troppo seducente. I suoi occhioni sono catturati letteralmente dal rosso forte forte e… la delicata, dolcissima manina destra si avvicina lentamente ed entra in quei carboni ardenti. I carboni rossi toccano il palmo ed il dorso della manina.

Una formidabile e profonda ustione provoca un urlo disperato della bimba. La forza del fuoco su quella pelle di latte della manina di Anastasia provoca un’ustione di secondo e terzo grado. Nema lascia cadere la pentola per terra corre straziata dalla bimba e mette in acqua la manina nel tentativo estremo di spegnere l’ustione. Nema si affretta, le vecchie del villaggio la esortano a portarla subito in ospedale. Arriva una moto e poi la corsa all’ospedale. Al pronto soccorso disinfettano la manina applicano delle creme e… la rimandano a casa! In Italia con una ferita così profonda da ustione di secondo e terzo grado vi è il ricovero.

Qui no! Si torna a casa ed è proprio a casa che giovedì mattina trovo la piccolina. Nuda corre in giro, mi rendo conto della manina la chiamo. La mamma la va a prendere e vedo che la mano sanguinante e con pelle carbonizzata è tutta sporca. Mando a prendere acqua pulita, lavo, la bimba urla dal dolore, ed osservo il palmo, mi spavento ci sono alcune parti che sembrano infette. Osservo le medicine e la mamma mi dice che le sono costate tanto, ben 400 scellini (3,16 euro). Sono dei prodotti un po’ generici ed a basso costo. Ma prima del costo dei medicamenti vi è il problema delle condizioni igieniche una bimba non può muoversi tra terra, polvere, sporcizia e cibo con quella manina alla quale il fuoco in modo orrendo ha mangiato affamato la delicata pelle.

Dovrebbe essere pulita e bendata… che fare? Scatto alcune foto ed un piccolo video, ne parlo con Jimmy: dobbiamo ritornare ma con le idee chiare! E così la sera grazie a WhatsApp Emanuele, Attilio, Sergio e Cinzia concordano tutti con la medesima risposta. Ormai i miei amici medici sono abituati a diagnosi a distanza. Il parere più qualificato è quello della Dottoressa Cinzia Mazzanti apprezzato primario di dermatologia a Roma ecco i suoi messaggi per WhatsApp: “Ustione di secondo e terzo grado. Dovrebbe tenere la mano fasciata con garze sterili e fare copertura antibiotica. Se hai la possibilità falla vedere in ospedale così la medicano. Se serve potrei spedirti dei farmaci… fammi sapere”. Anche Emanuele mi suggerisce di portarla in ospedale perché si devono rimuovere chirurgicamente le parti necrotizzate.

Passata la notte, ne parlo con Jimmy: “Anastasia si sta infettando dobbiamo portarla in ospedale!” Gigi sono d’accordo ma l’ospedale è troppo lontano potremmo portarla al dispensario dove un bravo medico potrebbe vederla e curarla, se invece non fosse possibile sarà lui a mandarci in ospedale! E poi vi è un’altra cosa da chiarire se lo facciamo dobbiamo pagare noi il costo delle medicine perché loro non hanno soldi”.

Concordo in pieno con questa saggia soluzione e così dopo l’inaugurazione del nostro bellissimo pollaio [di cui nel Report N. 3 che segue] saltiamo in moto e raggiungiamo la capanna. Nema si prepara veste la bambina e alle 5 di sera ci avviamo a piedi. Jimmy ha un passo veloce e ci precede, Nema porta sulle spalle la piccolina. Iniziamo a camminare in sentieri bellissimi e dai colori accesi, palme da cocco, buganvillee, arbusti e cespugli, pecore e mucche…

Camminiamo per circa un’ora e la stanchezza si fa sentire, prendo sulle mie spalle Anastasia ed alleggerisco Nema. Incrociamo alcuni bambini usciti da scuola con le loro uniformi che schiamazzano e corrono via verso la loro capanna. Finalmente ecco un tuktuk, è un piccolo e scassato veicolo che funge da trasporto per i poveri in questa regione. Saliamo ed in mezzo alle scosse percorriamo ancora mezz’ora di strada.

Alberto, un caro amico, ci chiama con WhatsApp, vede la piccolina e ci incoraggia ad arrivare presto al dispensario. Scende la sera ed il tramonto ci riempie della rossa luce. Guardo la manina della bimba e decido di intitolare il nuovo libretto proprio a lei, di celebrare e ricordare la sua manina gravemente ustionata e che avrà per sempre il segno del terribile fuoco che a due anni l’ha toccata.

Siamo al dispensario della parrocchia. Attendiamo con pazienza il giovane medico che sta soccorrendo una anziana malata in fin di vita. Il giovane dottore arriva su una bici. Ha solo 26 anni, ma nel cuore una forte passione nell’aiuto dei malati lo anima. Nema all’arrivo del dottore si spaventa e mi consegna tra le braccia la bimba. Non capisco subito il perché e poi mi rendo conto di quanto sia stupido! Noi uomini non sappiamo cosa sia la maternità. L’ intervento chirurgico svolto in condizioni sommarie sulla propria bimba è una sofferenza pazzesca per una mamma, è come se scorticassero la tua pelle, meglio, il tuo cuore ed è vero che se come dice una nota canzone di Sanremo Superoi: “Il cuore è un’armatura, ci salva ma si consuma”. Penso che il cuore di Nema si sarebbe liquefatto a vedere quello che ho visto io al suo posto. E penso che mai lo dimenticherò: questa notte non ho dormito ed anche oggi non sto bene.

“Ciao dottore, mi chiamo Don Gigi e sono qui a chiederti di fare tutto il possibile per salvare la manina della bimba dalla sepsi!” “Padre, mi chiamo Abdalla e ho 26 anni, farò tutto il possibile, ma tu mi dovrai aiutare”. “Abdalla non ti preoccupare lo farò volentieri con tutto il mio cuore!” “Ti spiego cosa dobbiamo fare: dobbiamo prima di tutto togliere la pelle morta quella superficiale e qui la bimba non dovrebbe soffrire perché la cute è morta, poi però soprattutto nelle palme dovrò togliere chirurgicamente le parti in necrosi e sotto le quali si annida l’infezione, qui invece la piccolina proverà grande dolore e dovrai pensarci tu tenendola ferma perché non abbiamo alcun anestetico!”

Provo repulsione: “Ma come è possibile? Un minimo di anestesia? Un calmante: mi guarda impietoso ed anche freddo: “Gigi, non siamo in Europa, dove avete il supermercato delle medicine alle quali ricorrete: avete mal di testa? Ecco una pastiglia che lo fa passare. Avete bruciore ad un occhio? Ecco il collirio? Avete il naso chiuso? Ecco uno spray! E qui in Africa? I turisti che vengono hanno prodotti per non essere punti da zanzare e poi prodotti per dopo essere punti dalle zanzare: il vostro supermercato delle farmacie in verità non è una cura alle malattie, ma al dolore! Qui no. Purtroppo moltissima della mia gente non sa cosa sia una farmacia e le medicine che ti darò non saranno per calmare il possibile dolore, ma la probabile infezione che la porterebbe alla morte!” Divento rosso ed abbasso gli occhi per la vergogna. Quanto ha detto il ragazzo mi trapassa il cervello, perché ha completamente ragione.

Guardo la piccola Anastasia, la quale non sa a quale dolore si dovrà sottoporre, per non morire. Guardo con dolcezza Nema e le dico: “Accomodati pure fuori, andrà tutto bene, se avrò bisogno ti chiamo”. Timida mi sorride. Le do un bacio in fronte e la giovane mamma consegna il suo bacio sulla guancia di Anastasia. Con il medico e Jimmy entriamo in un povero ma pulito ambulatorio. Non vi è tavolo operatorio, luci speciali per vedere bene, non mascherine o camici sterili. Il medico mi fa sedere sul lettino verde e mi dice: “Gigi prendi una posizione comoda perché ne abbiamo almeno per una mezz’ora e poi tieni forte forte la mano della piccolina mi hai capito? In alcuni passaggi mi dovrai tenere la pinza, quando devo tagliare, lo farai con la sinistra”.

Sono concentrato. Mai mi era capitato di essere parte in un intervento chirurgico, anche di fronte all’intervento sul cuore di mia madre. Ero spettatore, qui non mi si chiedeva di essere infermiere ed aiuto. Sono orgoglioso della parte assegnata. Respiro forte e mi concentro anche io. Abdalla disinfetta la manina e poi con lentezza e cura estrema con una pinza stacca la pelle bruciata, lo spettacolo non è bellissimo, ogni tanto la mia bimba grida per il dolore ed è proprio in quel momento che devo tenere ferma la sua manina con la mia mano destra. Piano piano la cute necrotizzata si stacca e in una bacinella il medico depone il tessuto necrotico. Talvolta deve tamponare il sangue che esce. Poi dopo aver fatto il dorso viene la parte più delicata che riguarda il palmo. Probabilmente la piccola ha tenuto nel palmo il tizzone ardente per qualche istante in più e l’ustione a tratti è addirittura di terzo grado. E qui appare lui, lo spettro del dolore. Abdalla mi avvisa che ora la bimba soffrirà molto. Stringo forte la piccola manina. Il medico mi guarda negli occhi e mi dice: “Pronto?” Non parlo, rispondo di sì con il capo. Lui prende una pinza chirurgica tira il pezzo necrotizzato e mi fa tenere teso quel pezzo con la sinistra. Prende un bisturi dallo sterilizzatore ed incide lentamente e con precisione: un uragano si scatena la bimba esplode in urla strazianti che mi spaccano l’armatura del cuore. Vorrei non guardare, domino me stesso, con uno sforzo incredibile e continuo concentrato a tenere la pinza. Il pezzo si stacca e la bimba urla, urla, urla, fuori la madre piange e sento nel cuore un profondo amaro. Sento il corpicino della bimba su di me, sento il suo spasimo, ascolto il suo respiro e il suo cuore.

Credetemi, in 62 anni mai avevo provato una sensazione del genere, quella del diventare parte di un altro essere umano. Mi ritrovo con gli occhi pieni di lacrime, le sue lacrime sulla mia camicia rossa e le mie lacrime sul suo vestitino rosa scuro, impolverato e pieno di macchie. Davvero il dolore ha una capacità sovrumana di unire le persone. Si è vero: la gioia unisce le persone, ma il dolore le rende un’unica cosa. Giuro che in quel momento avrei voluto sostituirmi alla mia Anastasia e vedermi scorticata la mia mano e il mio palmo di mano al posto del suo.

Abdalla tampona, le garze con il sangue della piccola Anastasia vengono deposte nella vaschetta chirurgica. Infine depone il bisturi e allora esplodo: “Era ora! Mi ha straziato il cuore questa chirurgia!” Piano piano il bravo medico medica le ferite del bisturi con una crema, poi disinfetta il dorso e pone un’altra crema. Infine, ultima piccola sofferenza della bimba due iniezioni nel sederino.

Ci alziamo, ho la bambina esausta nel braccio sinistro e con la destra prendo una garza intrisa di sangue e la metto in tasca. Mi commuovo, perché mi ricordo della garza intrisa di sangue di mia madre, garza che oggi porto al collo. Questo sangue della piccola Anastasia non posso dimenticarlo. Ho i pantaloni bagnati dai disinfettanti e la garza all’interno della tasca destra mi bagna anch’essa.

La bambina si è addormentata. Chiamiamo la mamma e il dottore mi dice: “Gigi lei non ha soldi per le costose medicine! Paghi tu?” “Certamente Abdalla, è mio dovere!” “Sono 1.500 scellini”. Quando sento questa cifra pazzesca, mi si sgretola il cuore: si tratta di soli 11 euro, e non per curare il dolore, ma la malattia e l’infezione. Ma ci rendiamo conto? Undici euro sono una stupidaggine per noi stupidi Europei, ma questa piccola quantità di denaro è per antibiotico, non per una stupida pastiglia per il mal di testa. E qui la gente non ha il denaro per comperare antibiotici e muore! Sì, in Africa si muore e si muore male.

Guardo la mia piccolina che si è svegliata e la riconsegno alla mamma che sorride. E la ragazza con grande dolcezza le pone il seno destro e la piccola succhia con voracità tutto il latte e l’affetto che solo il seno di una madre sa dare alla piccola bimba.

Ci alziamo. Tutto l’intervento è durato 28 minuti, ma a me sembra ore. Sono tutto sudato, i pantaloni bagnati e il cervello e il cuore a brandelli: l’armatura del cuore si è spezzata e mi ritrovo debole, insignificante, fragile e pieno di dubbi. Fino a sussurrare in me: ma dove è Dio in tutto questo? La sofferenza di un bimbo rompe tutti i canoni e ti regala oceani di amarezza e tristezza. Tocco la croce che porto al collo con la garza del sangue di mamma e con la mano destra tocco la garza bagnata di sangue nella tasca. Estraggo con la mano e le mie dita sono sporche del sangue della piccolina. Non le pulisco le bacio.

Toccando la croce penso a Maria ed alla sofferenza sotto la croce, come Nema oggi fuori dall’ambulatorio sentendo le urla della sua piccola. Anastasia e la sua piccola manina ferita mi appare come un gigante che rappresenta le sofferenze di tutti i bimbi del mondo. Prendo una decisione: lei è solo lei sarà il 41° titolo dei nostri libretti, perché lei e solo lei mi ha mostrato oggi la vita reale, la vita vera che ridicolizza tutti i falsi problemi che sento a Bergamo per la mia meschina vita. Lei con i suoi lacrimoni ha un cuore puro e sono sicuro che la piccola Anastasia sa vedere Dio, se non tornerete come bambini non entrerete nel regno dei cieli. Grazie piccola, valeva la pena di fare il viaggio solo per tenerti forte la manina e entrare nella tua sofferenza.

Questa notte non ho dormito, sentivo ancora le sue urla e sul cuscino a farmi compagnia la garza con il suo sangue. Ora invio questo report, anche la sua stesura mi ha sfinito. Dicevo ora ad Emanuele che non ti stanca l’estenuante viaggio, ti stanca la sofferenza, ti debilita, ti inchioda, ti tortura e rischi di impazzire. Questa mattina appena alzato ho celebrato la Messa e vicino al calice ho messo la garza con il sangue di Anastasia. Ricevere Gesù nel mio cuore e bere il suo sangue ha riportato pace nel mio cuore e nella preghiera mattutina ho pregato per la mia Anastasia. Ora lascio a voi il compito di pregare e di pregare tanto per Anastasia e soprattutto per me che Dio mi converta dalla mia stupidità.

Report N. 4 – Il pollaio

Chembe Joyous Children Home è il nome del povero orfanotrofio che sorge nella zona di Chembe sulla costa dell’Oceano Indiano. L’orfanotrofio è tenuto da Joyce ed il marito Ihbraim: sono due cristiani avventisti del settimo giorno. L’orfanotrofio è riconosciuto dallo Stato del Kenya. Con Jimmy abbiamo conosciuto questo povero orfanotrofio circa 2 anni fa, quando abbiamo raccontato la storia di Hamani. Siamo tornati con Jimmy lo scorso anno e allora la direttrice ci ha proposto di costruire il pollaio. Devo dire che questa semplice idea ha avuto una grandissima fortuna in Italia, soprattutto a Bergamo, dove la gente contadina ha salutato con simpatia la semplice idea che ci è costata 4.200 euro.

La terribile pandemia e poi la stupida guerra di Putin, che dura ormai da un anno, ha imposto alla nostra Associazione una profonda riflessione su cosa realizzare in un tempo di gravi ristrettezze economiche. Il pollaio è una idea fantastica! Come in Messico lo scorso anno è stato realizzare un grande murale dal sapore popolare a favore della pace e contro la violenza.

Il Chembe Joyous Children Home, che è nato il 17 luglio 2012, oggi ospita 24 bambini dai 4 ai 17 anni. Sono bimbi abbandonati, orfani o molto poveri. Non vi sono molte risorse. Giovedì 2 marzo incontro la direttrice ed iniziamo così i preparativi per la festa di venerdì 4 marzo, giorno della inaugurazione del nostro bellissimo pollaio.

“Joyce, mi vuoi raccontare come è l’orario della giornata nel tuo orfanotrofio? “È molto semplice: i bambini si svegliano alle ore 05.30, fanno la doccia, preparano la cartella per la scuola e puliscono il dormitorio. Poi alle ore 06.30 fanno la colazione e poi si dirigono a scuola, per alcuni di loro la scuola è qui, perché ospitiamo la scuola primaria di Chembe con circa 50 bambini. I più grandi escono per la scuola che inizia alle ore 07.00. Diamo a loro il pranzo da consumare a scuola, il più delle volte riso e fagioli, oppure ugali. Ritornano a casa per le ore 16.30 e hanno un’ora di ricreazione, poi di nuovo le pulizie per mezz’ora e alle ore 18.00 la cena. Alle ore 19.00 fanno i compiti per 2 ore ed alle ore 21.00 vanno a dormire”. Mi piace molto tale vita ben organizzata ed in effetti i 24 bambini sono ben puliti ed ordinati.

Dopo aver parlato dei bambini, mi faccio ben spiegare come sfrutteranno l’iniziativa del pollaio. Ibrahim e Joyce mi accompagnano a vedere la costruzione e mi commuovo. È molto semplice ed essenziale, ma con pochi soldi in Africa si possono fare cose davvero meravigliose.

Una grande targa colorata con il nostro logo dice grazie all’A.D.A.S.M.-Associazione degli Asili e Scuole Materne di Bergamo, che attraverso il Presidente Giovanni Battista Settori ci è stato già vicino lo scorso anno per un’altra iniziativa in Kenya e lo è quest’anno con il nostro pollaio. Il logo è ben visibile e sigilla una nuova opera di solidarietà.

Ihbraim inizia il tour per mostrarci il grande pollaio. “Il pollaio è molto grande e si compone di due parti, una parte esterna recintata da rete metallica ed una parte in muratura per il ricovero notturno dei polli. Abbiamo sfruttato il muro di cinta come parete e abbiamo costruito una parete laterale chiusa con lamiere per tettorie e così abbiamo ricavato un grande spazio chiuso”.

Entrando nel recinto di rete metallica, realizzo che è davvero bello e grande, respiro profondamente con una grande gioia interiore. Poi Joyce apre la porta ed iniziamo la visita alla parte interna del pollaio, anch’essa è ben grande e robusta, giungiamo così al cuore del pollaio costituito dalla grande incubatrice che può contenere fino a mille uova. Joyce inizia a spiegare: “La nostra idea è molto semplice, ora abbiamo qui una cinquantina di polli, vorremmo attraverso l’incubatrice portare la capienza di questo pollaio a 1.000 polli per giungere in un anno a 1.500 polli. Sai perché? Ogni pulcino lo vendiamo a 200 scellini se ne vendiamo 1.000 al mese otteniamo circa 200.000 scellini e con quella somma riusciamo a dare da mangiare ai nostri 24 bambini, se poi arrivassimo a vendere non più pulcini ma polli allora il guadagno si raddoppierebbe vendendo una gallina a circa 500 scellini.

Guardo con grande attenzione ai coniugi e vedo in loro grande passione per quello che fanno e poi la mia mente inizia a fare un percorso alternativo e tutto suo. Mentre una parte di me segue le illustrazioni di Joyce e Ibrahim, l’altra parte di me inizia a fare i conti. Vediamo un po’, mi ha detto che un pulcino costa 200 scellini il che equivale a 1,47 euro. Dunque se ne vende mille sono solo 1.470 euro. E se divido 1.470 per 24 bambini ne ricavo che un bimbo costa all’orfanotrofio 61 euro al mese. Sono esterrefatto. Come si può vivere con solo 61 euro al mese quando i nostri bimbi in Italia forse costano 61 euro al giorno?

Interrompo il tour: devo avere conferme e riappacificare il cervello. Scusa Joyce ma i bambini qui costano 61 euro mese ciascuno?” “Padre, certo che si! Mangiamo riso, fagioli, ugali, pesce e frutta, tutti prodotti poveri e i bimbi non hanno vestiti hanno solo uno o due ricambi. Sì, è una vita in povertà, ma una povertà dignitosa. Non hanno certo una televisione, ma una doccia e pulizia quella sì”.

Questi viaggi hanno sempre il potere di ridurmi all’essenziale e di farmi capire come molte volte il superfluo nella mia vita sia divenuto essenziale, mentre qui la parola essenziale ricupera il suo valore. Spesso a Bergamo confondo il superfluo con l’essenziale e lo rendo indispensabile. Qui, la struttura mentale europea viene smontata. Ieri con la piccola Anastasia ho capito come le medicine servano a curare la malattia e non il dolore (con le nostre farmacie trasformate in supermercato contro i diversi dolori che accusiamo, per evitare che la vita possa avere in se una parola chiamata dolore) e l’ho capito da un bravo e giovane dottore. Oggi capisco che nella mia vita spesso confondo il superfluo come essenziale, il vivere alcuni giorni qui ricrea le ragioni più profonde del vivere. È vero che partire per un viaggio, come dice il video promo dei nostri viaggi di solidarietà, non è solo per scoprire la destinazione, ma scoprire ciò che ti fa andare avanti.

Giungiamo così alla bellissima e grande incubatrice che ha assorbito una buona parte del denaro del progetto e con grande cura Ibrahim ci spiega il funzionamento che porta alla nascita dei pulcini in 21 giorni.

Mentre Ibrahim spiega mi vengono in mente gli amici di Bergamo felici di questa iniziativa ed anche molti amici preti che condividono con me gioie ed ansie. Guardo il pollaio in questo orfanotrofio povero del Kenya dove un bimbo vive con soli 61 euro al mese, e sono felice. Davvero valeva la pena di venire fino a qui per questo bellissimo progetto. Non sono progetti grandi con centinaia di migliaia di euro. Sono progetti semplici, essenziali, poveri, ma dal grande valore di senso. Ringrazio Dio ed il mio Vescovo di concedermi di vivere queste esperienze radicali che spesso mi trovano impreparato, come sempre si è nei confronti di un Dio imprevedibile. E mi sento ridicolo per le false preoccupazioni e angosce.

A Gerusalemme Padre Pierbattista Pizzaballa mi raccomandava negli esercizi spirituali del mese scorso di mettere da parte paure e di iniziare ad assaporare le cose di Dio e di cercare le cose dal sapore eterno. Bene, questo pollaio grande e povero con la sua forte prospettiva umanitaria mi ricarica dentro.

Con Joyce e Ibrahim prepariamo il programma di festa del 3 marzo 2023. Tre sono stati i momenti che più mi hanno commosso.

Il primo momento è stato il bellissimo canto dei bimbi vicino al logo coperto del pollaio. Tre di loro con le mani hanno fatto esplodere tre palloncini di plastica gridando: grazie Giovanni Battista! Grazie Gigi! Grazie Jimmy!

Il secondo bellissimo momento che sempre mi commuove in tutto il mondo è stato il taglio del nastro e lo scoprire il grande logo: vedere la firma tremula di mia madre Santina apparire sulla parete mi agita sempre profondamente il cuore!

Ed infine, davvero simpatico e bello è stato entrare con tutti i bambini nel pollaio con un pollo in mano e liberarli nel loro recinto di rete metallica. In verità la parte più spassosa è stata quella di chiedere ai bambini di catturare uno dei 54 polli che ci sono nell’orfanotrofio. Quando Joyce ha detto loro di prendere i polli sono scoppiato a ridere a crepapelle. I poveri polli fuggivano ed i bambini svegli correvano, correvano poi li acciuffavano in un turbinio di piume e felici venivano tenendoli per le zampe anche a me ne sono stati dati addirittura due. Penso che quei polli terrorizzati per un po’ di tempo non faranno più uova. E poi. i bimbi in fila indiana, piano piano partono dalla grande targa all’ingresso del pollaio, tenendo le galline in alto. Per ultimo giungo io, chiudiamo la porta e grido: “Uno, due, tre. Lanciate in aria i polli bambini!” Io per primo scagliò in alto le mie due galline e così fanno i bimbi. Il tutto finisce tra piume e risate con un saluto corale ai polli: “Benvenute nella nuova casa galline e fate tanti pulcini!”

Con la camicia cosparsa di piume di galline salutiamo i bambini, saltiamo sulla moto e facciamo ritorno a Msabaha. Sulla moto il vento sparge le piume per il sentiero sterrato. Una capra attraversa la strada, ma fortunatamente riusciamo a schivarla. Nel cuore il lancio delle galline in aria e le felici risate dei bambini.

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