Quarantanovesimo giorno del #ArtsakhBlockade. L’unica soluzione corretta, giusta e pacifica è riconoscere la Repubblica di Artsakh. Nuovo appello del Papa
[Korazym.org/Blog dell’Editore, 29.01.2023 – Vik van Brantegem] – Conclusa la recita dell’Angelus domenicale con i fedeli oggi in piazza San Pietro, dopo aver espresso il suo grande dolore nel apprendere le notizie che giungono dalla Terra Santa, Papa Francesco ha detto: «Rinnovo poi il mio appello per la grave situazione umanitaria nel Corridoio di Lachin, nel Caucaso Meridionale. Sono vicino a tutti coloro che, in pieno inverno, sono costretti a far fronte a queste disumane condizioni. È necessario compiere ogni sforzo a livello internazionale per trovare soluzioni pacifiche per il bene delle persone».
Oggi, il Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR) ha facilitato il trasferimento di 11 persone dall’Armenia all’Artsakh, che si uniranno alle loro famiglie. Un camion del CICR ha portato medicine e altri rifornimenti per le istituzioni sanitarie locali. Inoltre, il CICR ha facilitato il trasferimento di 6 pazienti gravemente malati dall’Artsakh all’Armenia per le cure, ha affermato in una nota il Ministero della Sanità della Repubblica di Artsakh. Ha aggiunto che gli interventi chirurgici pianificati rimangono sospesi in tutti gli ospedali dell’Artsakh a causa del blocco dell’Azerbajgian. Inoltre, 8 bambini sono in terapia intensiva e neonatale presso l’ospedale Arevik e altri 12 pazienti sono in terapia intensiva presso il Republican Medical Center a Stepanakert. Cinque dei 12 pazienti sono in condizioni critiche. Finora, il CICR ha facilitato il trasferimento di un totale di 55 pazienti dall’Artsakh all’Armenia durante il blocco.
«L’Azerbajgian interrompe la fornitura di gas all’Artsakh mentre le temperature a Stepanakert scendono sotto lo zero. Questa purtroppo non è vista come una notizia dell’ultima ora, poiché questo è diventato un tema molto comune per l’Artsakh, anche se le temperature scendono sotto lo zero. Spero che riescano a trovare un modo per stare al caldo durante il freddo dell’inverno.
Secondo altre notizie [di cui abbiamo riferito il 26 gennaio 2023 [QUI]], Mykhailo Podolyak, Consigliere del Presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, ha recentemente dichiarato in un’intervista che il blocco dell’Artsakh è stato costruito per “distrarre l’attenzione dalla guerra in Ucraina e reindirizzarla su altri punti di conflitto in modo che il mondo intero guardi lì”. Lo stesso sentimento è risuonato con altri funzionari ucraini, che hanno espresso il loro sostegno essenziale al blocco e hanno mostrato la loro posizione filo-azera. Non è davvero una sorpresa dato che l’Ucraina avrebbe venduto bombe al fosforo bianco all’Azerbajgian durante la guerra dell’Artsakh del 2020. Non capisco come un Paese attualmente attaccato da un regime oppressivo e autocratico possa sostenere un altro regime oppressivo e autocratico. Questo è davvero sconcertante in quanto non sembra esserci alcun motivo reale per cui l’Ucraina intraprenda relazioni così amichevoli con l’Azerbajgian. Credo che questo sia molto ipocrita, figuriamoci molto pericoloso. Mi dispiace signor Podolyak, ma il mondo non ruota solo intorno alla guerra in Ucraina, perché ci sono gravi crisi in altre parti del mondo. Capisco che la situazione in Ucraina sia grave ed è scoraggiante che una simile guerra sia attualmente in corso e che centinaia di migliaia di vite ne abbiano sofferto di conseguenza. Tuttavia, prendiamo in considerazione i bisogni e le crisi degli altri, specialmente se sono per mano di un simile regime oppressivo. Noi Armeni sappiamo cosa significa soffrire per un regime oppressivo e perdere vite preziose a causa della guerra. Possiamo entrare in empatia con te nella tua lotta attuale e sperare che giunga presto a una fine clamorosa, che non favorisca l’uscita vittoriosa di un regime oppressivo e autocratico» (Varak Ghazarian – Medium, 28 gennaio 2023 – Nostra traduzione italiana dall’inglese).
«L’Azerbajgian ha nuovamente interrotto completamente la fornitura di gas all’Artsakh dall’Armenia. L’inverno è qui. Nella foto Nare di 9 mesi al buio, del villaggio Khnatsakh» (Siranush Sargsyan, giornalista freelance a Stepanakert, 28 gennaio 2023).
Stamattina l’Azerbajgian ha riaperto la valvola del gasdotto dall’Armenia e da domani vengono riaperte le scuole in Artsakh. Il Ministero dell’Istruzione, della Cultura, dello Sport e della Scienza dell’Artsakh informa che le strutture competenti stanno lavorando per modificare gli impianti di riscaldamento negli istituti scolastici riscaldati a gas naturale e ha invitato i genitori a vestire i propri figli con indumenti caldi prima di mandarli a scuola.
«Il giorno 49 del #ArtsakhBlockade, se sei fortunato e aspetti in fila, l’unico ortaggio che puoi acquistare sono le carote (solo 5 pezzi consentiti). In queste fredde giornate invernali puoi solo sognare il borsh, dato che non puoi ancora comprare patate, cavoli e barbabietole» (Siranush Sargsyan, giornalista freelance a Stepanakert).
«Stepanakert, 28 gennaio 2023. Dopo quasi 50 giorni di assedio dell’Azerbajgian» (Foto di Liana Margaryan). “Non ci cancellerete!”. “Artsakh è sempre stato Armenia e sarà sempre Armenia!”.
«”Vedo la missione degli europei, della Russia e di altri Paesi nell’aprire un corridoio aereo per noi”, ha detto [il Ministro di Stato dell’Artsakh, Ruben] Vardanyan a France TV. Che differenza fa se grano saraceno e medicinali vengono portati dalle forze di mantenimento della pace russe/CICR in auto o in aereo? Questa è una soluzione?» (Marut Vanyan, giornalista freelance a Stepanakert). L’unica soluzione corretta e giusta per il blocco dell’Artsakh è riconoscere la Repubblica di Artsakh.
«L’Artsakh è una terra armena collocata in Azerbajgian dal machiavellismo di Stalin. È ora che gli Occidentali smettano di nascondersi dietro l’intangibilità dei confini. L’Artsarkh va staccata dall’Azerbajgian oppure va restituito il Kosovo alla Serbia» (Fabrice Balanche, professore associato e direttore della ricerca presso l’Università di Lyon 2).
«L’Azerbaigian può affermare che il blocco del Nagorno-Karabakh è una “eco-protesta”, ma sotto la superficie, anche gli “eco-attivisti” lo percepiscono come una continuazione della guerra del 2020, la fase successiva della pulizia etnica della popolazione indigena armena dal Nagorno-Karabakh» (Lindsey Snell).
«Invece di attivisti ambientalisti che bloccano il Corridoio di Lachin e soffocano l’Artsakh, vediamo piuttosto soldati e nazionalisti azeri cantare l’inno nazionale azero, di cui appunto le parole sono molto nazionalista-militari…» (Jean-Christophe Buisson, Vicedirettore Le Figaro Magazine).
Oggi la Comunità armena d’America ha bloccato temporaneamente una sezione di Wilshire Boulevard vicino a Sepulveda a Los Angeles per sensibilizzare sul blocco dell’Artsakh in corso da 49 giorni. Speriamo che i cittadini di Los Angeles si sono sentiti frustrati per la chiusura della strada, ora riflettano un momento per capire perché questa causa è importante. Il breve blocco di Wilshire Boulevard non è niente in confronto al blocco dell’autostrada interstatale Goris-Stepanakert che mette in pericolo la vita dei cittadini in Artsakh.
Poi, la Comunità armena d’America ha raggiunto il Consolato dell’Azerbajgian a Los Angeles per chiedere la riapertura del Corridoio di Lachin.
Al loro arrivo, i partecipanti alla protesta davanti al Consolato dell’Azerbaigian a Los Angeles hanno trovato un manifesto appiccicato ovunque su Wilshire Boulevard, su cui era scritto: «Azerbajgian + Turchia + Pakistan + Israele = 4 fratelli cancelleranno l’Armenia dalla mappa inshallah». Il riferimento è alla Turchia, Israele e Pakistan che sostengono l’Azerbaigian militarmente e non riconoscono il genocidio armeno, mentre il Pakistan non riconosce l’Armenia).
Invece, l’immancabile Adnan Huseyn (l’agitprop azero al soldo del dittatore Aliyev, che conosciamo già per la sua quotidiana negazione del blocco del Corridoio di Lachin, mostrando i veicoli del CICR e del contingente di mantenimento della pace russo, che sono gli unici mezzi che possono attraversare il posto di blocco degli “eco-attivisti”) si è ovviamente fatto vivo e su Twitter si è rivolto a coloro che “osano” denunciare queste affissioni a Los Angeles in sostegno del dittatoriale Azerbajgian e inneggiano all’annientamento dell’Armenia democratico, con le seguenti parole: «Queste persone riescono quotidianamente a farmi fare ad alta voce questa domanda – CON CHI ABBIAMO A CHE FARE? I loro disturbi mentali e psichiatrici alzano abbastanza bandiere da coprire la superficie della terra, eppure una maggioranza allarmante si innamora ancora della loro isteria, dei falsi e delle bugie». Questo genio riesce sempre a centrare la questione: una maggioranza (allarmante) sostiene gli Armeni dell’Armenia e dell’Artsakh.
Per il resto si tratta di “riflessioni” di una persona che pensa che il genocida #ArtsakhBlockade sia il sequel del film Hunger Games in cui gli Armeni devono lottare per la sopravvivenza, mentre lui può aprire e chiudere a piacere la #StradaDellaVita per scopi di intrattenimento.
L’Azerbajgian e i suoi servi non avranno mai il coraggio di ammettere apertamente i crimini che stanno commettendo e troveranno sempre un modo per capovolgere la narrazione nel modo più vantaggioso per le loro azioni.
Ieri, 28 gennaio 2923 la comunità armena dell’Iran si è riunita presso il cortile della cattedrale armene di San Sarkis a Teheran, in sostegno del popolo dell’Artsakh, per protestare contro la chiusura del Corridoio di Berdzor (Lachin) e la violazione dei diritti del popolo dell’Artsakh da parte dell’Azerbajgian.
Che fine hanno fatto i prigionieri armeni?
Karabakh.it-Iniziativa italiana per il Karabakh, 28 gennaio 2023
Ufficialmente sono 33 i prigionieri di guerra armeni detenuti illegalmente nelle carceri dell’Azerbajgian oltre due anni dopo la fine del conflitto. Per il regime di Baku sono “terroristi“. Poiché i soldati armeni furono catturati alcune settimane dopo la fine della guerra in una vallata dell’Artsakh rimasta sotto il loro controllo e sfuggita all’operazione militare azera non vi è altro termine per l’Azerbajgian di definirli. Altrimenti Baku dovrebbe ammettere un’operazione militare avvenuta dopo l’accordo di tregua del 9 novembre 2020 e restituire al controllo armeno il territorio nel quale si trovavano i soldati così come previsto dalle condizioni del suddetto accordo.
Quindi, le corti azere hanno processato questi soldati e condannati a pene detentive molto alte in palese, criminale, violazione delle convenzioni internazionali e del documento che ha posto fine alla guerra del 2020.
Ma oltre a questi ci sarebbero un’ottantina di soldati armeni mancanti, missing in action, di cui non si hanno più notizie. Potrebbero essere stati uccisi in battaglia o anche dopo e i loro corpi mai restituiti; oppure potrebbero essere imprigionati da qualche parte, al di fuori dei procedimenti “legali”.
Oltre un centinaio di soldati che ventisette mesi dopo la fine del conflitto ancora non possono tornare a riabbracciare le famiglie, ammesso che siano ancora vivi.
Le istituzioni internazionali hanno ripetutamente invitato l’Azerbajgian a restituire i prigionieri di guerra ma senza ricevere alcun riscontro dal regime di Aliyev che l’altro giorno ha riconsegnato il corpo di un soldato armeno ucciso nell’attacco all’Armenia del 13 settembre: oltre quattro mesi dopo…
«I social media azeri riferiscono che l’Azerbajgian sta evacuando la sua Ambasciata a Teheran. Un filmato mostra un autobus e un camion davanti all’Ambasciata, con le luci accese nell’edificio di notte. Questo un giorno dopo un attacco armato alla missione diplomatica e ora gli attacchi aerei segnalati in Iran. Esplosioni segnalate in installazioni militari iraniane, rapporti ufficiali dichiarano danni alle installazioni del Ministero della Difesa a Esfahan, ma ufficiosamente altre aree sono state prese di mira» (Nagorno Karabakh Observer).
Il blocco del Nagorno-Karabakh da parte dell’Azerbaigian è un disastro in attesa di accadere, a meno che non agiamo ora
Con l’attenzione rivolta alla guerra in Ucraina, le nazioni rischiano di ignorare una crisi nel Caucaso e una possibile nuova fase del conflitto armeno-azerbaigiano che potrebbe trascinare nella mischia Russia, Turchia, Iran e Occidente
di Neil Hauer
Globe and Mail, 27 gennaio 2023
(Nostra traduzione italiana dall’inglese)
Sarebbe difficile trovare qualcuno oggi che non sia a conoscenza della catastrofe in Ucraina, poiché l’invasione russa di quel paese raggiunge il traguardo degli 11 mesi. Ma pochi potrebbero dirti che c’è un’altra crisi umanitaria in corso non lontano da lì, su un altro bordo dell’Europa, nella minuscola repubblica non riconosciuta del Nagorno-Karabakh.
Per più di un mese, i residenti di questa contesa enclave nelle montagne del Caucaso sono stati tagliati fuori, da quando i manifestanti organizzati dal governo dell’Azerbajgian, che rivendica la regione, hanno bloccato l’unica strada per il mondo esterno il 12 dicembre. l’elettricità è ora razionata, le forniture di gas vengono regolarmente tagliate e almeno 100.000 civili sono effettivamente sotto assedio.
Questo conflitto può sembrare oscuro e senza importanza: una disputa arcana in un angolo remoto del mondo con poche implicazioni per qualsiasi altro luogo. Ma i rischi di una nuova guerra che potrebbe coinvolgere potenze regionali e internazionali – tra cui Russia, Turchia, Iran e persino l’Occidente – sono alti. International Crisis Group, il principale osservatore mondiale dei conflitti, ha nominato il conflitto Armenia-Azerbajgian (incluso il Nagorno-Karabakh, o semplicemente Karabakh in breve [in breve è più corretto dirlo come gli Armeni: Artsakh. V.v.B.]) secondo nella sua lista di conflitti da tenere d’occhio nel 2023, dietro solo all’Ucraina. Il momento di reagire al blocco è adesso.
Sia l’Armenia che l’Azerbajgian sono ex repubbliche sovietiche che hanno a lungo contestato la proprietà della regione. L’attuale crisi è l’ultimo sviluppo di un conflitto decennale in una regione la cui complessità e diversità possono rivelarsi impegnative anche per osservatori esperti. Un tempo regione più meridionale dell’Unione Sovietica, nel 1991 il Caucaso ha guadagnato il non invidiabile primato di essere le aree più violente dell’URSS in disintegrazione. I suoi tre nuovi stati indipendenti – Georgia, Armenia e Azerbajgian – hanno visto non meno di quattro conflitti separatisti come ha tentato di stabilire la propria sovranità mentre l’autorità comunista si disintegrava.
Una di queste regioni era il Nagorno-Karabakh. Quando negli anni ’20 furono tracciati i confini interni dell’Unione Sovietica, l’Oblast autonomo del Nagorno-Karabakh fu posto all’interno dell’Azerbajgian sovietico, nonostante la sua popolazione prevalentemente etnica armena. Quando l’URSS iniziò a crollare alla fine degli anni ’80, la popolazione del Karabakh chiese di essere unita all’Armenia sovietica. La violenza etnica tra Armeni e Azeri si è intensificata e lo scioglimento dell’URSS ha lasciato il posto a una guerra su vasta scala. Quando finalmente fu raggiunto un cessate il fuoco nel 1994, gli Armeni etnici controllavano non solo lo stesso Nagorno-Karabakh, ma anche sette province adiacenti dell’Azerbajgian vero e proprio.
Questa situazione è perdurata fino al 2020. Dopo aver ricostruito e modernizzato il proprio esercito, l’Azerbajgian – sostenuto dalla Turchia – ha lanciato una nuova guerra per rimediare al fallimento di tre decenni prima. Durante i 44 giorni di guerra, l’Azerbajgian riconquistò non solo le sette province che aveva perso, ma un terzo dello stesso Nagorno-Karabakh, inclusa la città fortezza di Shushi. Le forze di pace russe sono state dispiegate nel restante territorio controllato dagli Armeni per mantenere un fragile cessate il fuoco, ma l’Azerbajgian e il suo Presidente, Ilham Aliyev, non erano soddisfatti. Negli ultimi due anni, l’Azerbajgian ha continuato i suoi tentativi di ottenere il controllo sul resto del Karabakh, con o senza la sua popolazione armena.
Negli ultimi mesi, questi sforzi hanno preso piede. Il signor Aliyev ha cercato di spingere l’Armenia a firmare un trattato di pace capitolatorio che la vedrebbe abbandonare completamente la questione del Nagorno-Karabakh e riconoscere il territorio come parte dell’Azerbajgian. A settembre, ciò ha assunto la forma di un’invasione su vasta scala della stessa Armenia, con quasi 300 soldati uccisi in totale in soli due giorni.
Quando ciò non ha ottenuto il risultato desiderato, l’Azerbajgian ha deciso una nuova tattica: utilizzare “manifestanti” civili schierati dal governo per bloccare l’unica strada per il Karabakh dal 12 dicembre in poi. Da oltre 40 giorni l’unico traffico in entrata o in uscita è costituito da pochi mezzi della Croce Rossa [e dalle forze di mantenimento della pace russe. V.v.B.] con rifornimenti urgenti. Ci sono pochi segnali che il blocco sarà revocato in tempi brevi.
La guerra in Ucraina ha avuto effetti a catena che si sono fatti sentire in tutto il mondo, ma ci sono pochi luoghi in cui il deterioramento delle condizioni è così chiaramente collegato a quel conflitto come il Karabakh.
La Russia è stata tradizionalmente il principale intermediario internazionale nel conflitto del Karabakh: ha governato l’area per quasi due secoli e mantiene una forte influenza su una regione che è stata a lungo periferica per l’Occidente. Il contingente di mantenimento della pace russe di 2.000 persone in Karabakh, così come le basi militari di lunga data in Armenia, lo riflettono.
Ma poiché l’offensiva di Mosca in Ucraina vacilla, lasciando la Russia isolata a livello internazionale e prosciugando le sue risorse, l’Azerbajgian ha cercato di trarne vantaggio. La Russia è diventata sempre più dipendente dalla cooperazione dell’Azerbajgian: i due hanno firmato un trattato di alleanza appena due giorni prima che Mosca lanciasse la sua brutale invasione dell’Ucraina, e da allora hanno firmato accordi per la vendita di gas russo all’Azerbajgian (e poi all’Europa).
Di conseguenza, le forze di pace russe che dovrebbero garantire il libero passaggio lungo la strada Armenia-Karabakh non hanno invece potuto riaprire il Corridoio. Sono rimasti pigramente a guardare il blocco, nonostante l’apparente umiliazione di essere impotenti di fronte a un’altra ex repubblica sovietica che Mosca ha a lungo considerato un partner minore.
La debolezza russa ha creato un’apertura per i Paesi occidentali per assumere un ruolo più forte nella regolazione del conflitto, uno che avevano apparentemente perso dopo il cessate il fuoco mediato dalla Russia del 2020. Gli Stati Uniti, da parte loro, sono stati decisi nel condannare l’aggressione dell’Azerbajgian contro l’Armenia vera e propria.
Dopo l’invasione dello scorso settembre, l’allora Presidente della Camera degli Stati Uniti, Nancy Pelosi, ha effettuato una visita senza precedenti in Armenia, nominandola insieme a Taiwan e all’Ucraina come “una delle avanguardie… della lotta tra democrazia e autoritarismo”. Sebbene tale sforzo abbia contribuito a prevenire una maggiore violenza sul territorio dell’Armenia, ci sono state poche indicazioni che gli Stati Uniti siano disposti a prendere il tipo di misure necessarie per fermare l’assedio del Karabakh da parte dell’Azerbajgian. Le espressioni di preoccupazione non sembrano sufficienti per porre fine al blocco questa volta.
Analogamente, l’Unione Europea ha lottato per consentire la risoluzione pacifica del conflitto del Karabakh. Sulla scia dei combattimenti di settembre, molti politici europei hanno condannato l’invasione dell’Azerbajgian; l’Unione Europea ha successivamente dispiegato una missione di osservazione civile al confine armeno, che è stata rinnovata e ampliata proprio questo mese.
Ma le azioni di Brussel prima di allora potrebbero aver contribuito direttamente alla fiducia di Aliyev che non si sarebbe opposta alla sua invasione. A luglio, una sorridente Ursula von der Leyen, Presidente della Commissione Europea, ha visitato l’Azerbajgian per firmare un accordo con Aliyev per espandere le forniture di gas del Paese all’Europa.
La signora von der Leyen, che ha descritto l’Azerbajgian come un “partner affidabile”, ha ricevuto pesanti critiche dai gruppi per i diritti umani per aver assecondato il regime di Aliyev. Sembra probabile che l’accordo sul gas abbia accresciuto la fiducia dell’Azerbajgian che il mondo avrebbe chiuso un occhio sulla sua invasione di settembre.
L’attuale lotta minaccia di coinvolgere anche altri importanti attori regionali. Primo tra questi è la Turchia, che ha sostenuto apertamente l’Azerbajgian nella guerra del 2020 e da allora lo ha sostenuto con forza.
Le strette relazioni tra i due Paesi – sia Aliyev che il Presidente turco Recep Tayyip Erdoğan spesso descrivono la fratellanza dei loro stati come “una nazione, due stati” – è probabile che si approfondiscano solo nei prossimi mesi con l’avvicinarsi delle elezioni turche. Il signor Erdoğan ha spesso cercato di utilizzare i conflitti stranieri per rafforzare il sostegno nazionalista e presentarsi come un uomo forte, potente e rispettato a livello internazionale. Mentre si avvicina alla sua più grande sfida elettorale da anni, potrebbe cercare di usare una nuova guerra tra l’Azerbajgian e l’Armenia come un’altra distrazione dalla terribile situazione economica della Turchia.
L’Iran, nel frattempo, ha scosso più volte la sciabola contro l’Azerbajgian dalla guerra del 2020, organizzando giochi di guerra di massa sul confine condiviso e affermando ripetutamente che “la sicurezza dell’Armenia è la sicurezza dell’Iran”. In caso di una grande escalation militare, anche Teheran potrebbe essere facilmente coinvolta.
Al centro di questo conflitto protratto ci sono differenze fondamentali tra i tipi di Paesi e società che sono oggi l’Armenia (e il Nagorno-Karabakh) e l’Azerbajgian. Come la maggior parte degli ex stati sovietici, l’Armenia ha lottato contro l’autoritarismo, ma nel 2018 ha segnato una rottura decisiva con questo passato, quando la “rivoluzione di velluto” ha portato al potere l’attuale Primo Ministro Nikol Pashinyan. Una delle poche storie di successo democratico degli ultimi anni, le riforme dell’Armenia hanno guadagnato lodi da parte degli stati occidentali e di altri osservatori internazionali. In un esempio, l’Economist ha nominato l’Armenia Paese dell’anno 2018 per “aver migliorato di più” negli ultimi 12 mesi.
Il mandato democratico di Pashinyan è stato rinnovato nel 2021, in un’elezione che è stata salutata dagli osservatori per essere stata libera ed equa, un risultato non da poco sulla scia di una devastante guerra persa. Il Nagorno-Karabakh, da parte sua, ha avuto elezioni ragionevolmente competitive nel 2020 ed è classificato dal gruppo di sorveglianza Freedom House come “parzialmente libero”.
Il contrasto con l’Azerbajgian non potrebbe essere più netto. Lì, Ilham Aliyev governa dal 2003, quando gli è stata lasciata in eredità la presidenza dal suo defunto padre, Heydar (che l’aveva guidato dal 1993), e ha schiacciato violentemente la sua opposizione dopo un voto fittizio. Le elezioni hanno da tempo superato il punto di farsa in Azerbajgian: le autorità del Paese hanno notoriamente rilasciato i risultati truccati delle elezioni del 2013 un giorno prima che si svolgessero effettivamente le votazioni. La corruzione è dilagante, le violazioni dei diritti umani sono all’ordine del giorno e le proteste vengono violentemente disperse in pochi minuti – un altro aspetto che rende molto più trasparente il teatro dei presunti “eco-attivisti” che attualmente bloccano il Karabakh.
Freedom House classifica l’Azerbajgian come “non libero”, con un punteggio pari a nazioni come Cina e Bielorussia, e descrive il governo di Aliyev come un “regime autoritario”. Questo per non parlare del virulento razzismo anti-armeno sponsorizzato dallo Stato nel Paese, forse catturato in modo più vivido nel Parco della Vittoria a Baku, la capitale dell’Azerbajgian. Lì, nel 2021, figure di cera grottescamente caricaturali di Armeni che muoiono in vari modi raccapriccianti sono state esposte con orgoglio fino a quando il contraccolpo internazionale ha convinto le autorità a rimuoverle.
Sebbene sia allettante per molti osservatori semplicemente liquidare questa dimensione come irrilevante, è difficile immaginare che molte persone rinuncerebbero volentieri a vivere in una società in gran parte libera, a causa di una dittatura repressiva che li disprezza.
Mentre il blocco del Karabakh continua, la domanda più importante da porsi è come potrebbe essere portato a termine. Le realtà attuali non sono incoraggianti su questo fronte. L’Azerbajgian sembra non voler accettare altro che un regime doganale e propri posti di blocco lungo la strada dall’Armenia al Karabakh. Cita “preoccupazioni per la sicurezza”, nonostante ciò costituisca una violazione dell’accordo di cessate il fuoco del novembre 2020 firmato dallo stesso Aliyev.
Per il governo e la popolazione del Nagorno-Karabakh, l’idea stessa è un anatema. Le truppe azere hanno dimostrato ripetutamente che uccideranno allegramente qualsiasi Armeno su cui riescano a mettere le mani, come hanno dimostrato con le esecuzioni sommarie durante la guerra del 2020, durante l’offensiva dello scorso settembre e con i prigionieri di guerra armeni in cattività. Se avessero accesso ai civili del Karabakh, e l’opportunità di detenerli e ucciderli arbitrariamente, non c’è dubbio che ciò porterebbe a un esodo di massa e alla pulizia etnica finale del territorio.
Il governo armeno, nel frattempo, ha poche opzioni a disposizione: sta presentando petizioni ai suoi partner internazionali e lanciando ricorsi legali che hanno avuto un certo successo. La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha ripetutamente chiesto all’Azerbajgian di riaprire il Corridoio, ma vi sono poche indicazioni che Baku intenda conformarsi.
In mezzo a tutte queste dispute geopolitiche, sono le persone normali a soffrire. Proprio come gli Ucraini hanno rafforzato la loro determinazione di fronte alla brutalità russa, i civili del Karabakh non sono stati intimiditi, ma piuttosto rinvigoriti dalla loro resistenza a qualsiasi possibilità di essere posti sotto il dominio mortale dell’Azerbajgian. Ma non è abbastanza. In assenza di serie pressioni internazionali, Aliyev e la sua dittatura non mostrano segni di cessazione del blocco e delle privazioni che sta infliggendo.
Il mondo è venuto in aiuto dell’Ucraina e del suo popolo quando sono stati minacciati da una brutale dittatura vicina. Aspettiamo di vedere se accadrà lo stesso per i 100.000 abitanti assediati del Karabakh.
Indice – #ArtsakhBlockade [QUI]