Quarantaseiesimo giorno del #ArtsakhBlockade. L’Azerbajgian sta esacerbando una crisi umanitaria nell’Artsakh, rifiutando di creare le condizioni per la pace tra i due Paesi

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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 26.01.2023 – Vik van Brantegem] – Quanto sta succedendo nel Caucaso meridionale non è un “conflitto”, ma una guerra ad intermittenza dal 1988. Non è un “conflitto” quando l’Azerbajgian blocca l’accesso all’Artsakh per ottenere rifornimenti, interrompe l’elettricità e chiude il gasdotto dall’Armenia, ma un assedio in violazione del diritto internazionale e i diritti umani. Questa non è una situazione da “entrambe le parti”, quando l’aggressore è l’Azerbajgian e gli aggrediti sono gli Armeni in Armenia e in Nagorno-Karabakh. È necessario mettere in ordine i fatti, prima di aprire bocca come un morto cerebrale.

46 giorni dopo, l’Artsakh sta ancora in piedi. Gli Armeni dell’Artsakh sono resilienti anche nei periodi più bui e freddi. La loro fede non vacilla. Il loro coraggio non conosce limiti. La loro forza ci stupisce ogni giorno di più. 46 giorni dopo e continuano a resistere.

Il giornalista freelance con sede a Stepanakert, Marut Vanyan ha twittato oggi: “Niente gas, niente luce, Stepanakert è nell’oscurità e nel fumo. Stufe a legna, porte chiuse, strade deserte. Non ci sono farmaci antipiretici nelle farmacie, nessun umore. Buonasera dal #NagornoKarabakh”. Marut Vanyan sta a Stepanakert a twittare sulla vita sotto il blocco, evidenziando la vita quotidiana in Artsakh. Sembra che non fosse dell’umore giusto per discutere di ciò che stava accadendo oggi in Artsakh. Non posso biasimarlo dopo 45 giorni di blocco. Il taglio di luce e gas sta avendo gravi conseguenze sulla vita quotidiana. Cose semplici come fare una doccia calda, illuminare e riscaldare la casa, far funzionare elettrodomestici ed elettronica diventa impossibile. Le persone sono state ridotte a pura sopravvivenza negli ultimi 45 giorni e peggioreranno solo con il tempo» (Varak Ghazarian – Medium, 26 gennaio 2023).

Il sito filogovernativo azerbajgiano in inglese Caliber.az scrive: «Il convoglio di soccorso del Comitato Internazionale della Croce Rossa si sposta liberamente e in sicurezza da Lachin [Berdzor] a Khankendi [Stepanakert] trasportando forniture mediche ai residenti armeni in Karabakh [Artsakh/Nagorno-Karabakh]. Questo accade quotidianamente. È così che funziona il “blocco”? I clown devono spiegare questo #CaliberAz #ArmenianLies [menzogne armene]».

Questo è ESATTAMENTE il modo in cui funziona il blocco dell’autostrada interstatale Goris-Stepanakert lungo il Corridoio di Lachin e Caliber.az sta facendo un ottimo lavoro, documentandolo e spiegandolo. Per coloro che non parlano da clown: il CICR non è una consegna di cibo/medicinali e lavora esclusivamente nelle zone di crisi umanitaria, quello che l’Artsakh è.

Come abbiamo riferito [QUI], la Federazione di Tennis dell’Azerbajgian ha chiesto un’azione disciplinare contro Karen Khachanov, che al torneo dei tennis a Melbourne Australian Open aveva lanciato messaggi di sostegno all’Artsakh. La Federazione di Tennis dell’Azerbajgian ha chiesto alla Federazione Internazionale di Tennis misure severe “per punire” Khachanov e impedirgli di fare simili “provocazioni inaccettabili” ai tornei di tennis.

La dittatura dell’Azerbajgian, mentre è intenzionata a far morire di fame e di freddo 120.000 Armeni in Artsakh, si precipita a molestare chiunque voglia aumentare la consapevolezza sul terrore che esercita – non già da 45 giorni ma più di 30 anni con l’assedio dell’Artsakh – e prova di mettere a tacere chiunque parli contro il loro genocida #ArtsakhBlockade. Ma la resilienza armena è millenaria. Non è possibile mettere a tacere la voce degli Armeni. Sarebbe un grosso errore se la Federazione Internazionale di Tennis intraprendesse un’azione disciplinare contro Karen Khachanov, mentre governi e parlamenti di tutto il mondo condannano l’azione genocida dell’Azerbajgian.

Un’utente azero di Twitter, Toghrul Mammadli, commenta la richiesta: «La sanzione per aver commesso atti illegali nelle competizioni sportive e aver fuorviato la comunità sulla sovranità di un altro stato è l’esclusione degli atleti dallo sport. Ricordo come la UEFA ha escluso Nurlan I. dallo staff del Karabakh. Ci aspettiamo che l’Australian Open prenda la stessa decisione per Karen».

In stato di morte cerebrale, Mammadli ha scritto “Nurlan I.” (il cui nome completo, a quanto pare, azprop non vuole menzionare nemmeno). Vale la pena ricordare che Nurlan Ibrahimov, dirigente del club di calcio azero Qarabag, era stato sospeso dall’UEFA nel 2020 per aver invocato “di uccidere tutti gli Armeni, giovani e meno giovani, senza distinzioni”. Ma sì, augurare forza alla popolazione armena dell’Artsakh sarà la stessa cosa. Quando il cervello è morto.

Secondo l’AFP del 4 novembre 2020, Nurlan Ibrahimov, responsabile della comunicazione del Qarabag, fu sospeso dall’UEFA, nell’ambito di un’indagine disciplinare per un messaggio di odio rivolto agli Armeni, nel pieno della guerra scatenata dall’Azerbajgian nel Nagorno-Karabakh. Fu “provvisoriamente interdetto dallo svolgimento di qualsiasi attività legata al calcio, con effetto immediato”. La UEFA stava indagando dal 2 novembre 2020 sulla possibile violazione da parte di Ibrahimov di due delle sue regole interne, ovvero “le regole fondamentali di condotta decorosa” e il divieto “di qualsiasi condotta razzista o discriminatoria”. Il 30 ottobre 2020 la Federcalcio Armena (FFA) aveva chiesto l’esclusione del Qarabag dalle competizioni europee, affermando che il suo responsabile delle comunicazioni Ibrahimov aveva chiesto “di uccidere tutti gli Armeni, giovani e meno giovani, senza distinzioni”. “Ha anche giustificato il fatto che la Turchia aveva commesso un genocidio armeno” nel 1915 e nel 1916, ha assicurato l’FFA in un comunicato stampa. “Ibrahimov ha già cancellato il suo messaggio, ma centinaia di utenti sono riusciti a vederlo e salvarlo”, informava l’FFA, che ha ricordato di aver denunciato diversi funzionari del calcio azero alla FIFA e alla UEFA nel mese di ottobre 2020.

Il Qurabag è stato fondato nel 1951 nella città di Aghdam nel Nagorno-Karabakh, da dove le forze armate dell’Azerbajgian attaccavano Stepanakert. Quando alla fina la regione fu conquistata per l’autodifesa da parte dell’Armenia nel 1993, il Qarabag si è trasferito a Baku, la capitale dell’Azerbajgian.

L’Azerbajgian nega che il Corridoio di Lachin sia bloccato

Il Portavoce del Ministero degli Esteri dell’Azerbajgian ha risposto alla condanna del Segretario di Stato statunitense, Antony Blinken, del blocco del Corridoio di Lachin. Curioso che Buku ha emesso una dichiarazione ufficiale al riguarda, poiché la narrazione ufficiale azera è che si tratta di una “vera protesta di base”. Difficile mantenere la storia dritta quando si producono così tante bugie.

Respingendo i commenti degli Stati Uniti sulla “presunta ostruzione nel Corridoio di Lachin a causa delle proteste nella regione da più di un mese sulla strada che collega l’Armenia e la regione del Karabakh”, il Portavoce del Ministero degli Esteri dell’Azerbajgian, Aykhan Hajizada, ha scritto in un post su Twitter: “Caro Portavoce del Dipartimento di Stato, più di 1.000 veicoli che portano rifornimenti nella regione del Karabakh dell’Azerbajgian dimostrano il contrario di quanto lei ha detto il 24 gennaio. Sarebbe opportuno invitare la parte armena ad adempiere agli obblighi e a fermare le attività illegali”.

Il Portavoce del Dipartimento di Stato, Ned Price, aveva detto che il blocco nel Corridoio di Lachin sta causando carenza di cibo, carburante e medicine per i residenti del Nagorno-Karabakh e ha chiesto “il pieno ripristino della libera circolazione attraverso il Corridoio, compresi i trasporti commerciali e privati”.

Il Ministero degli Esteri dell’Azerbajgian ha criticato anche il Fondo delle Nazioni Unite per la Popolazione (UNFPA) per una dichiarazione sul blocco del Corridoio di Lachin come “di parte, non riflette la verità e non è correlata al mandato dell’organizzazione”. La dichiarazione afferma che è inaccettabile che l’UNFPA rilasci una dichiarazione sulle “legittime proteste degli Azeri”, ribadendo che non ci sono ostacoli imposti dai manifestanti al movimento dei veicoli e dei residenti sulla strada di Lachin. Inoltre, afferma che le accuse che le proteste causano una “disastro umanitaria” nella regione sono “prive di fondamento”.

Anche il Presidente dell’Azerbajgian, Ilham Aliyev, durante la telefonata con il Segretario di Stato Blinken, ha respinto le accuse di un blocco del Corridoio di Lachin, rilevando che 980 veicoli avevano utilizzato la strada dal 12 dicembre, e più di 850 di quei veicoli appartenevano a caschi blu russi nella regione, mentre oltre 120 appartenevano al Comitato Internazionale della Croce Rossa.

Invece di dimostrare l’opposto delle accuse di un blocco del Corridoio di Lachin, come afferma il Portavoce del Ministero degli Esteri (e il Presidente) dell’Azerbajgian, il fatto che le 1.000 veicoli che portano rifornimenti nella “regione del Karabakh dell’Azerbaigian” [in realtà l’autoproclamata Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh, che non ha mai fatto parte dell’Azerbajgian, anzi, si era dichiarata indipendente dall’Unione Sovietica prima che lo fece l’Azerbajgian) sono veicoli (sempre gli stessi, che fanno la spola tra Goris e Stepanakert) esclusivamente del Comitato Internazionale della Croce Rosse e del Contingente delle forze di mantenimento della pace russo, dimostrano che il #ArtsakhBlockade c’è.

Per quanto riguarda il volume della merce che viene trasportato con i mezzi delle forze di mantenimento della pace russe, un’indicazione è fornita dal Nagorno Karabakh Observer, che oggi ha scritto: «Il contingente di mantenimento della pace russo nel Nagorno Karabakh (NK) riferisce che due colonne di veicoli, una da Goris e un’altra dalla base aerea di Erebuni in Armenia [distretto della capitale Erevan], hanno trasportato aiuti umanitari al NK. L’aero russa AN-148AE (reg. RA-61712; ICAO 14F110) ha condotto due voli da Makhachkala [una città della Russia sul mar Caspio, capitale della Repubblica Autonoma di Daghestan] alla base aerea di Erebuni e ritorno. Questi aerei possono trasportare un massimo di circa 10 tonnellate di carico».

Prima del 12 dicembre 2022, inizio del #ArtsakhBlockade, dall’Armenia arrivavano in Artsakh 400 tonnellate di merce al giorno.

L’Ucraine è pro-Azerbajgian e critica l’attenzione mondiale sul #ArtsakhBlockade

L’ Ucraina ha da tempo assunto una posizione pro-Azerbajgian nei confronti del conflitto con l’Armenia. E dall’invasione russa all’inizio dello scorso anno non ha evitato un approccio alla situazione nel Caucaso meridionale, che non fa prigionieri, poiché mira a indebolire la Russia su ogni possibile fronte globale. Ora i funzionari ucraini affermano che l’Armenia e la Russia stanno usando il blocco per cercare di rubare l’attenzione all’Ucraina.

Un alto funzionario ucraino ha affermato che l’impatto del blocco del Nagorno-Karabakh da parte dell’Azerbajgian è stato esagerato come uno sforzo russo per distrarre l’attenzione del mondo dalla guerra nel suo paese. In un’intervista all’emittente pubblica moldava, Mykhailo Podolyak, Consigliere del Presidente ucraino Volodymyr Zelensky, ha affermato che il blocco è stato “gonfiato” per “distrarre l’attenzione dalla guerra in Ucraina e reindirizzarla su altri luoghi di conflitto in modo che il tutto il mondo guarda lì. Nell’intervista, il presentatore moldavo ha inquadrato il blocco in Karabakh come un complotto russo. “Alcuni esperti” dicono che la Russia sta preparando uno “scenario Crimea” per il Karabakh, ha detto a Podolyak, suggerendo che il nuovo leader de facto del territorio, il miliardario russo-armeno Ruben Vardanyan, sia stato inviato da Mosca per questo scopo. Podolyak ha detto che c’erano tre ragioni per cui la questione era stata esagerata. Oltre a deviare l’attenzione del mondo, un altro “obiettivo” era che “la Russia in un modo o nell’altro vuole restituire la sua posizione dominante” e “dimostrare che solo lei può mediare per risolvere conflitti come questo”. Anche la Russia stava usando la questione del blocco, “a scapito di riaccendere il conflitto”, per fare pressione sull’Azerbaigian e sul suo alleato Turchia “per renderli più filo-russi”.

C’è molto da discutere sull’analisi della situazione di Podolyak. In modo più significativo, elude l’agenzia stessa dell’Azerbajgian nel lanciare il blocco, cosa che ha fatto tramite un gruppo di manifestanti sostenuti dal governo il 12 dicembre. E le ambizioni di dominio della Russia hanno solo sofferto mentre il blocco si trascinava, poiché il Cremlino e le forze di pace russe sul campo si sono dimostrate incapaci di risolvere la situazione.

Ma la lettura del conflitto da parte di Podolyak è stata ripresa in una serie di dichiarazioni di altri funzionari più o meno nello stesso periodo. Lyudmila Marchenko, un membro del parlamento del partito Servitore del popolo di Zelensky che ha sostenuto a lungo l’Azerbajgian, ha rilasciato diverse interviste in cui ha espresso molti degli stessi punti,

Un altro deputato di un altro partito, Igor Popov, ha scritto contemporaneamente un articolo negando del tutto che ci fosse un blocco. “Gli attivisti azeri non stanno impedendo il transito di trasporti civili e umanitari”, ha scritto Popov. “Ma la leadership del Karabakh non riconosciuto sta usando la situazione per mostrare la carenza di cibo e la minaccia di una ‘catastrofe umanitaria’, incolpando l’Azerbajgian e gli attivisti per questo”.

Non potete cancellarci. La grande manifestazione a Stepanakert, capitale della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh, del 25 dicembre 2022 (Foto di Davit Ghahramanyan/AFP).

«In un articolo pubblicato su openDemocracy, il giornalista azero Bashir Kitachayev descrive in dettaglio il blocco dell’Artsakh e offre aspre critiche al governo dell’Azerbajgian. Descrive le violazioni dei diritti civili commesse dal governo azero, un’armenofobia sponsorizzata dallo Stato che inizia in tenera età e i pochi diritti disponibili per le minoranze etniche in Azerbajgian. Conclude l’articolo affermando che “l’Azerbajgian sta esacerbando una crisi umanitaria nel Nagorno-Karabakh, quando potrebbe creare le condizioni per la pace tra i due Paesi”. Non potrei essere più d’accordo con lui mentre il suo governo continua a peggiorare la situazione nell’Artsakh e ogni giorno fa sempre più pressione sulla gente dell’Artsakh. Non sono sicuro che la pace possa realizzarsi così facilmente visto che le tensioni tra le due nazioni crescono continuamente. Mi chiedo come un tale conflitto possa potenzialmente finire» (Varak Ghazarian – Medium, 26 gennaio 2023).

Qual è il futuro del blocco azero del Nagorno-Karabakh?
Un giornalista azero esamina le azioni del suo governo mentre si inasprisce il blocco del territorio conteso
di Bashir Kitachayev
openDemocracy [1], 25 gennaio 2023

(Nostra traduzione italiana dall’inglese)

Il blocco del Nagorno-Karabakh da parte di manifestanti azerbajgiani che si dichiarano attivisti ambientali è entrato nel suo secondo mese, scatenando una crisi umanitaria nel territorio conteso e la condanna della comunità internazionale.

Il Corridoio di Lachin, l’unica strada che collega l’Armenia e il Nagorno-Karabakh (o semplicemente Karabakh), una regione di etnia armena di circa 120.000 persone all’interno della catena montuosa del Karabakh in Azerbajgian, è bloccato da metà dicembre.

La scorsa settimana il Parlamento Europeo ha chiesto al governo azero di Baku di revocare il posto di blocco, ma finora non vi è stato alcun segno di cambiamento.

I manifestanti affermano che l’estrazione illegale si sta svolgendo nel territorio controllato dall’autoproclamata Repubblica di Nagorno-Karabakh e chiedono che gli specialisti azeri siano autorizzati a monitorare qualsiasi operazione mineraria. Dispongono di un campo tendato ben attrezzato [fanno il turno con riposto al caldo in un comodo albergo a Sushi. V.v.B.] e consentono solo ai caschi blu russi e al Comitato internazionale della Croce Rossa di viaggiare sul Corridoio di Lachin.

Tra i cosiddetti “eco-attivisti” figurano dipendenti pubblici, personale militare mascherato e membri di ONG filogovernative e organizzazioni giovanili, nessuno dei quali sembra aver preso parte a precedenti proteste ambientali in Azerbajgian. A coprire il posto di blocco ci sono anche i giornalisti delle testate statali.

L’interruzione delle forniture alimentari e mediche al Karabakh ha provocato una crisi umanitaria. Le scorte di frutta e verdura stanno diminuendo, le scorte di latte artificiale si sono esaurite e le autorità de facto della zona hanno emesso buoni alimentari e stanno razionando alcuni prodotti di prima necessità, come olio, pasta, riso, zucchero e grano saraceno. Anche il Karabakh ha subito interruzioni nella fornitura di elettricità e gas, che passa attraverso il territorio controllato dall’Azerbajgian.

Le forze di mantenimento della pace russe sono state criticate dalla comunità internazionale per la loro passività nei confronti del blocco, con una risoluzione del Parlamento Europeo del 19 gennaio che chiedeva un’azione. Le forze di pace sono di stanza nella regione dalla fine della seconda guerra del Nagorno-Karabakh nel 2020 e hanno lo scopo di garantire l’accesso alla strada.

Anche la Risoluzione del Parlamento Europeo ha condannato l’Azerbajgian. Il giorno prima che fosse adottata, l’Eurodeputato estone Marina Kaljurand ha esortato l’Azerbajgian ad astenersi dall’usare “retorica incendiaria di alto livello” per discriminare gli Armeni. Kaljurand si riferiva a un recente ultimatum del Presidente azero, Ilham Aliyev, che ha suggerito agli Armeni del Karabakh di ottenere un passaporto azero o andarsene [2].

In un’intervista televisiva del 10 gennaio, Aliyev ha dichiarato: “Saranno create le condizioni per coloro che vogliono vivere [nel Nagorno-Karabakh] sotto la bandiera dell’Azerbajgian. Come i cittadini dell’Azerbaigian, i loro diritti e la loro sicurezza saranno garantiti. Per chi non vuole diventare nostro cittadino, la strada non è chiusa, ma aperta. Possono andarsene. Possono andare da soli, o possono viaggiare con le forze di pace [russe], oppure possono andare in autobus. La strada [verso l’Armenia] è aperta”.

La dichiarazione di Aliyev dimostra che l’Azerbajgian controlla il blocco e che almeno uno dei suoi obiettivi è prendere il comando del Karabakh, nonostante le autorità del Paese abbiano negato di essere coinvolte nell’azione, che dicono essere una “protesta della società civile”.

Tuttavia, agli estranei che non hanno familiarità con la regione, l’offerta del Presidente della cittadinanza azera potrebbe sembrare allettante. Il Paese è ricco di petrolio, oro e altre risorse, e il tenore di vita è, per certi versi, più alto che nei paesi vicini. Dall’inizio della guerra in Ucraina, l’Azerbajgian ha incrementato il commercio con la Russia, concludendo anche proficui contratti di gas con l’Europa, con la Presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, che ha definito il Paese “un partner affidabile”. L’Azerbajgian ha attratto anche investitori stranieri.

Allora perché gli Armeni del Nagorno-Karabakh scelgono di rimanere cittadini di uno stato piccolo, povero, non riconosciuto, circondato da un esercito ostile e dipendente dai rifornimenti portati attraverso un’unica strada? Perché non credono alle garanzie di diritti e sicurezza di Aliyev?

Violazioni dei diritti civili

Il governo dell’Azerbajgian è stato ripetutamente criticato da Human Rights Watch, Amnesty International, Reporter Senza Frontiere e altri per sistematiche violazioni dei diritti umani e corruzione.

E nel rapporto Freedom in the World aggiornato annualmente da Freedom House, l’Armenia – e persino la non riconosciuta Repubblica di Nagorno-Karabakh – supera di gran lunga l’Azerbajgian in termini di diritti umani e democrazia.

Le elezioni a tutti i livelli in Azerbajgian sono regolarmente truccate, il che significa che i residenti non hanno quasi voce in capitolo nella scelta del loro Presidente, del loro rappresentante in parlamento o persino dei funzionari del loro comune.

I politici dell’opposizione o non sono autorizzati a presentarsi o hanno smesso di criticare le autorità in cambio di sicurezza. Personaggi antigovernativi vengono regolarmente molestati o incarcerati con accuse inventate, con circa 100 prigionieri politici attualmente nelle carceri azere, secondo gli attivisti per i diritti umani.

Il sistema giudiziario è completamente controllato dallo Stato. La polizia e le forze di sicurezza agiscono nell’impunità, violando regolarmente i diritti umani e le leggi nazionali con corruzione, percosse e torture. All’inizio di questo mese, la polizia di Baku ha disperso violentemente una manifestazione a sostegno dell’attivista Bakhtiyar Hajiyev, che è stato imprigionato lo scorso dicembre per aver criticato il Ministero degli Interni.

Anche i giornalisti sono perseguitati: imprigionati, ricattati o costretti a lasciare il Paese. Anche coloro che sono fuggiti all’estero sono stati rapiti o hanno subito attentati. Una draconiana legge sui nuovi media, approvata dal Presidente lo scorso anno, dimostra che le autorità vogliono distruggere il giornalismo indipendente.

Armenofobia

Qualsiasi Armeno del Karabakh che prendesse la cittadinanza azera dovrebbe affrontare un dilagante sentimento anti-armeno, o armenofobia, alimentato dallo Stato.

Sia l’Armenia che l’Azerbajgian hanno commesso crimini di guerra e pulizia etnica durante la prima guerra del Nagorno-Karabakh, durata dal 1988 al 1994, sebbene entrambi i Paesi neghino le uccisioni commesse dai propri cittadini. La propaganda azera ha usato a lungo questi crimini per alimentare l’odio verso gli Armeni.

Gli Armeni sono sempre menzionati negativamente nei media azeri e sono presentati come vili nemici storici che tradiscono gli Azeri nei libri di scuola, con lo storico azero Arif Yunus che scrive che gli Armeni sono descritti come “banditi, aggressori, traditori [e] ipocriti”. Lui e sua moglie Leyla, un’attivista per i diritti umani, sono stati successivamente accusati di spionaggio per conto dell’Armenia e imprigionati per più di un anno nel 2014. I media statali hanno affermato che la madre armena di Yunis aveva “instillato in lui un odio per gli Azeri”.

Gli autori dell’Azerbajgian hanno cercato di giustificare il loro uso di incitamento all’odio contro gli Armeni. Tofig Veliyev, Capo del Dipartimento di Storia dei Paesi Slavi presso l’Università statale di Baku, ha affermato di aver usato espressioni negative per trasmettere la verità: “Tali frasi creano un’immagine accurata degli Armeni. Se non li avessi rappresentati in questo modo, avrei dovuto stravolgere la storia”.

L’Azerbajgian ha provato anche a riscrivere la storia del Nagorno-Karabakh, presentando gli Armeni, che hanno vissuto nella regione dal VI secolo a.C., come nuovi arrivati. Lo stato sostiene che i Russi hanno reinsediato gli armeni nel Caucaso e nel Karabakh nel XIX secolo, per combattere gli Azeri.

L’Azerbajgian nega anche la presenza di qualsiasi patrimonio culturale armeno nel territorio. Le chiese armene e altri oggetti religiosi e culturali sono stati dichiarati dalle autorità appartenenti all'”Albania caucasica”, che esisteva in tempi antichi nell’attuale Azerbajgian moderno. Anche i monumenti storici armeni vengono periodicamente distrutti. Il grande cimitero armeno di Julfa, al confine tra l’odierno Azerbajgian e l’Iran, è stato cancellato nel 2005. Centinaia di khachkar (lapidi di pietra) risalenti al IX-XVII secolo sono state dissotterrate e gettate nel fiume.

Anche le assicurazioni di Baku sulle garanzie di sicurezza sono difficili da credere, dato che l’Azerbajgian non ha indagato sulle brutali uccisioni di civili armeni e soldati catturati durante la seconda guerra del Nagorno-Karabakh e nei successivi scontri.

E nel 2012, l’ufficiale dell’esercito azero Ramil Safarov ha ricevuto un benvenuto da eroe quando è tornato a casa dopo aver decapitato il soldato armeno Gurgen Margaryan con un’ascia durante un seminario di addestramento della NATO in Ungheria otto anni prima. Safarov, che ha affermato di aver ucciso Margaryan per odio etnico, è stato condannato all’ergastolo a Budapest ma estradato in Azerbajgian, dove è stato prontamente rilasciato e graziato.

Pochi diritti per le minoranze etniche

Non sono solo gli Armeni ad essere discriminati dall’Azerbajgian, che afferma di perseguire una politica di multiculturalismo ed è formalmente parte della Convenzione quadro europea per la protezione delle minoranze nazionali.

In realtà, ci sono seri problemi con la conservazione delle lingue e delle culture minoritarie in Azerbajgian. Le minoranze etniche costituiscono circa il 10% della popolazione del Paese, ma il sistema educativo è sbilanciato verso l’etnia azera.

Gli studenti nelle aree delle minoranze etniche dovrebbero essere in grado di imparare la loro lingua madre, ma tali lezioni sono rare, con materiali didattici scadenti e insegnanti poco preparati. Le eccezioni sono Russi e Georgiani. Alcune minoranze nazionali (come i Tats) non possono affatto studiare la propria lingua.

Allo stesso modo, i popoli indigeni sono appena menzionati nei libri di testo di storia. Un libro utilizzato nelle scuole insegna agli studenti che i Turco-azeri sono “la popolazione indigena del Caucaso e, in particolare, del Nagorno-Karabakh, poiché vi abitarono dal primo millennio a.C.”. In realtà, l’odierno Azerbajgian un tempo era abitato da tribù che parlavano lingue caucasiche nord-orientali, tribù iraniche e armeni. Il reinsediamento attivo dei Turchi iniziò solo nel X secolo.

Anche il potere politico ed economico è ancora concentrato nelle mani dell’etnia azera, anche in aree densamente popolate da minoranze. I Talysh, un gruppo etnico iraniano, non possono usare la parola “Talysh” sulle insegne dei ristoranti o nei libri di storia locale, e non esiste un solo programma televisivo regionale in lingua Talysh.

Coloro che cercano di attirare l’attenzione su tali difficoltà affrontano la repressione, le accuse di separatismo e a volte peggio. Il giornalista Novruzali Mammadov e lo storico Fakhraddin Abbasov, entrambi importanti attivisti di Talysh, sono morti in prigione rispettivamente nel 2009 e nel 2020. Altri attivisti di Talysh hanno suggerito che entrambi gli uomini fossero prigionieri politici e che la loro morte fosse sospetta. Casi simili si sono verificati con Lezgin e altri attivisti di minoranze etniche.

Nel frattempo, l’Azerbajgian sta assimilando territori abitati da popolazioni indigene e chiede alle forze di mantenimento della pace russe di usare nomi azerbaigiani per città e villaggi in Armenia.

La pace è possibile?

Non sorprende che gli Armeni del Karabakh non vogliano accettare l’offerta di cittadinanza di Baku.

Però una vita sicura per gli Armeni del Karabakh in Azerbajgian è possibile, almeno in teoria. Molti Azeri sono stanchi dell’inimicizia e della guerra, vogliono una vita pacifica e credono di poter convivere con gli Armeni.

Ma il Paese deve compiere passi concreti verso la democrazia e rifiutare un’identità nazional-patriottica basata sull’odio per gli Armeni. L’Azerbajgian sta esacerbando una crisi umanitaria nel Nagorno-Karabakh, quando potrebbe creare le condizioni per la pace tra i due Paesi.

[1] openDemocracy, con sede a Londra, è una piattaforma multimediale globale indipendente che copre affari mondiali, idee e cultura che cerca di sfidare il potere e incoraggiare il dibattito democratico in tutto il mondo.

[2] Marina Kaljurand è stata Ministro degli Esteri dell’Estonia.
In un post su Twitter oggi ha scritto: «Vorrei rivolgermi ai funzionari azeri che hanno iniziato una caccia alle streghe contro di me. Voglio dirvi che non mi spaventerete né mi farete tacere. I vostri attacchi infondati espongono la vostra debolezza. Quando andate in basso, io vado in alto».
Il 15 dicembre 2022 ha rilasciato una dichiarazione in qualità di Presidente della Delegazione per le relazioni con il Caucaso meridionale, esprimendo preoccupazione per le azioni delle autorità statali azere e la presunta manifestazione ambientale. Ha esortato le autorità azere a porre fine al blocco del Corridoio di Lachin e ad adempiere ai propri obblighi ai sensi della Dichiarazione trilaterale del 9 novembre 2020.
In un breve discorso il 18 dicembre 2022, prima del voto sulla Risoluzione del Parlamento Europeo ha detto: «Recentemente abbiamo assistito a una nuova ondata di retorica infiammatoria di alto livello che invitava a discriminare gli Armeni e li esortava a prendere la cittadinanza azera o a lasciare il Nagorno-Karabakh. Queste dichiarazioni e l’inazione sono inappropriate per uno Stato che si considera partner (energetico affidabile) dell’Unione Europea. Esorto la parte azera a rispettare i suoi impegni internazionali, a porre fine al blocco del Corridoio di Lachin e alla crisi umanitaria, a fornire un accesso senza ostacoli delle organizzazioni internazionali al Nagorno-Karabakh per valutare la situazione e fornire assistenza umanitaria e ad avviare negoziati su un accordo di pace globale che deve garantire i diritti e la sicurezza della popolazione armena del Nagorno-Karabakh. Desidero ringraziare i coautori della Risoluzione e incoraggiare l’Assemblea ad approvarla all’unanimità. Infine, vorrei concludere con una nota personale e rivolgermi ai funzionari azerbaigiani che hanno iniziato la caccia alle streghe personale contro di me. Voglio dirvi che non mi spaventerete né mi farete tacere. I vostri attacchi infondati espongono la vostra debolezza. Siete andato sotto il basso. Ma non andrò in basso, seguirò l’esempio di Michelle Obama: quando andate in basso, io vado in alto».

A che serve l’ONU se non difende i suoi principi fondanti?
di Zohrab Mnatsakanyan [*]
Newsweek, 25 gennaio 2023

(Nostra traduzione italiana dall’inglese)

Le Nazioni Unite sono cresciute da 51 nazioni indipendenti al momento della loro fondazione a ben 193 Paesi membri, un grande passo avanti per l’autodeterminazione. Ma a volte ha anche involontariamente convalidato, attraverso la paralisi e l’inerzia, Stati autoritari che perseguitano le minoranze etniche.

Questo è esattamente ciò che sta accadendo in questo momento in un angolo autonomo dell’Azerbajgian, ampiamente noto come Nagorno-Karabakh, che è chiamato Artsakh dalla sua popolazione armena. L’indifferenza delle Nazioni Unite per il blocco di più di un mese delle 120.000 persone lì manderà il messaggio che l’organizzazione ha messo da parte la sua stessa ragion d’essere.

Dopotutto, lo scopo fondamentale delle Nazioni Unite è sostenere il diritto di tutti i popoli di esprimere la propria volontà in pace. Molte nazioni multietniche lo hanno fatto, vivendo in armonia e democrazia. Ma altri, basandosi spesso su versioni distorte della “storia”, hanno costruito ambienti di discriminazione, intolleranza e violenza. Se l’ONU prende sul serio la sua responsabilità di promuovere la libertà e prevenire le atrocità, non può permettere la soppressione della libertà solo perché avviene all’interno dei confini di uno stato membro.

Negli anni ’90 e all’inizio degli anni 2000, Slobodan Milosevic della Serbia, BJ Habibie dell’Indonesia e Omar al-Bashir del Sudan hanno tutti sfruttato lo status dei loro Paesi come nazioni sovrane nelle Nazioni Unite – una cosiddetta “spessa cortina di sovranità” – per agire con impunità.

Questi leader hanno contraddetto fatti comprovati, assicurando al Segretario Generale delle Nazioni Unite e alla comunità internazionale che tutto andava bene a casa. Hanno manipolato gli Stati membri delle Nazioni Unite, compreso i 5 permanenti nel Consiglio di Sicurezza, facendo appello a interessi ristretti per impedire l’azione. Altri seguirono le loro orme. Per tali despoti, le Nazioni Unite sono talvolta servite da scudo inconsapevole per gravi violazioni dei diritti umani. Per i popoli del Kosovo, Timor Est e Darfur, tra gli altri, ciò ha provocato una tragedia enorme.

Per decenni, il popolo dell’Artsakh ha lottato per la libertà contro la dittatura dell’Azerbajgian, un paese con un incredibile record di violazioni dei diritti umani e oppressione in patria. Nel frattempo, l’Artsakh ha dimostrato la capacità di autogovernarsi in modo democratico, nel pieno rispetto dei diritti e delle libertà delle persone.

Gli autocrati di Baku hanno risposto manipolando sistematicamente i membri delle Nazioni Unite a livello internazionale e la loro stessa gente a casa. Hanno utilizzato la propaganda, creando una caricatura degli Armeni come nemici, portando all’inazione internazionale e persino a un certo sostegno per il loro regime totalitario.

Dalla ripresa dell’aggressione contro l’Artsakh nel 2020, migliaia di Armeni sono stati assassinati e mutilati e decine di migliaia sono stati sfollati con la forza. E ora, dal 12 dicembre, l’enclave è stata bloccata. Donne, bambini e anziani sono intrappolati a temperature gelide, senza cibo, medicine e altri generi di prima necessità. Ci sono state interruzioni intermittenti di gas ed elettricità. Ha creato una vera e propria crisi umanitaria.

Il senso di impunità degli Azeri e le ostilità che ne derivano, registrate anche dalla Corte Internazionale di Giustizia delle Nazioni Unite, sono potenziali precursori di ben peggio. I pericoli sono acuiti dall’assenza di occhi e orecchie internazionali in Artsakh. Il Genocide Prevention Network ha avvertito che si tratta di un tentativo di “ripulire etnicamente e cacciare gli Armeni dall’Artsakh”.

Negli anni ’90, l’ex Segretario Generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, ha dimostrato coraggio e determinazione nel convincere con forza la comunità internazionale ad agire con decisione di fronte a sofferenze e violenze estreme. Ha insistito sul primato della sicurezza umana e sulla protezione del popolo, in nome del quale è stata scritta la Carta delle Nazioni Unite.

“Le nozioni strettamente tradizionali di sovranità non possono più rendere giustizia alle aspirazioni dei popoli di tutto il mondo per raggiungere le loro libertà fondamentali”, ha detto all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel settembre 1999.

Da allora le Nazioni Unite si sono rinnovate per creare un elaborato sistema di capacità di protezione e prevenzione, dal preallarme e l’azione alla diplomazia preventiva, alla costruzione della pace e al mantenimento della pace. L’Armenia ha costantemente contribuito allo sforzo, in particolare agli sforzi di prevenzione del genocidio.

Il deterioramento della situazione nell’Artsakh fornisce un classico segnale di allarme precoce di imminenti disastri umanitari e atrocità.

Se non si è agito, qual era lo scopo delle riforme delle Nazioni Unite? Entrambi i lati – la falsa ma diplomatica attribuzione di uguale colpa – e la confusione di interessi ristretti e contrastanti non fanno nulla per la gente dell’Artsakh. Ancora più importante, inviano un messaggio spaventoso alle persone di tutto il mondo e sono un semaforo verde per i despoti.

In qualità di ex Ambasciatore dell’Armenia presso le Nazioni Unite, sono addolorato per gli eventi sul campo e anche preoccupato per la credibilità e il futuro dell’organizzazione.

È tempo per la leadership delle Nazioni Unite, o gli afflitti concluderanno che i suoi impegni sono vuoti. Un tale tradimento, una tale acquiescenza alla barbarie, sarebbe oltraggioso. Il popolo dell’Artsakh merita la stessa autodeterminazione e libertà dal conflitto del resto di noi.

L’ONU deve capirlo prima che sia troppo tardi.

[*] Zohrab Mnatsakanyan è stato Ministro degli Esteri dell’Armenia e Ambasciatore dell’Armenia presso le Nazioni Unite.

Indice – #ArtsakhBlockade [QUI]

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