Sua Riverita Eccellenza dopo 5 anni ci riprova con la sua pataccata – Parte 5

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Prosegue dalla Parte 4: QUI.

[Korazym.org/Blog dell’Editore, 10.11.2022 – Vik van Brantegem] – Con Vatican Girl: la scomparsa di Emanuela Orlandi, la miniserie diretta da Mark Lewis, con l’accompagnamento di Andrea Purgatori e diffusa da Netflix, è stato riscaldato (male) anche una patacca vecchia diffusa il 18 settembre 2017 da Emiliano Fittipaldi. «Quattro appuntamenti per mettere insieme i pezzi di un mosaico impossibile» (ANSA). Tanto clamore mediatico a livello internazionale fondato sul nulla, creato con il disordine informativo.

Vatican Girl: la scomparsa di Emanuela Orlandi: «1983: una 15enne vaticana scompare nel nulla, aprendo un mistero che attraversa quattro decenni di storia tra intrighi internazionali, Chiesa e mafia» – Parte 4: «Dopo lo scandalo di Vatileaks, un giornalista scopre nuove prove che suggeriscono che il Vaticano abbia nascosto informazioni riguardo alla sorte di Emanuela».

«Non risulta che sia stato nascosto nulla,
né che vi siano in Vaticano “segreti”
da rivelare sul tema»
(Padre Federico Lombardi, S.I.).

Già cinque anni fa, in occasione dell’uscita del suo libro Gli impostori, scritto su quella falsa-riga, ho scritto tanto – come anche in generale sul “giallo” della scomparsa di Emanuela Orlandi in generale – sul mio diario Facebook (non avevo ancora aperto il mio Blog dell’Editore). Prendendo spunto dal clamore succitato da Calenda per le pataccate riciclate, riporto quanto ho pubblicato su Facebook cinque anni fa, sulla patacca “regina” di Fittipaldi, in ordine cronologico di pubblicazione, concludendo con la mia Nota Facebook La “pataccata” di Fittipaldi. Se vero o falso pari sono… un punto di svolta (o di non ritorno) per il giornalismo italiano, che riassume un po’ tutto. Come fanno i pataccari, anche uno smascheratore di patacche può riciclare il suo lavoro del passato, non vi pare? Ci saranno un po’ di ripetizioni, ma repetita iuvant (e anche il pataccaro si ripete sempre).

Quarto giorno
21 settembre 2017

Primo post

Dalla “eco-chamber” di Guido Mocellin i commenti sul documento “falso e ridicolo” ovvero la patacca-polpetta avvelenata di Fittipaldi: “La quota incline a dare credito, per un motivo o per l’altro, al nuovo vatileaks non va oltre il 43% del totale, e in gran parte nutre un pregiudizio anticlericale: «Anche a voi, che possa colpirvi un asteroide all’istante e incenerirvi tutti», azzarda uno, che rinnova così l’ormai frusto «cloro al clero» evocando una recente e discussa campagna pubblicitaria. È sostanzialmente uguale la quota di quelli che si limitano, con mille ragioni, a esprimere pietà per Emanuela Orlandi e i suoi familiari (11%) o che sono esplicitamente orientati a non dare al nuovo vatileaks alcun credito, stigmatizzandone il fine commerciale (32%). Han capito che è una nuova girandola triste della slealtà e del pregiudizio. Compreranno ugualmente il libro?”.

Secondo post

Un commento che come una pallottola centra il bersaglio in pieno. Al contrario della patacca di Fittipaldi che ha sparato come l’uomo a Marietta, nel sud-ovest del Texas, che all’inizio di agosto spara a un armadillo nel suo giardino. Il proiettile rimbalza e lo colpisce in faccia, come ha riferito Larry Rowelo, lo sceriffo della Contea di Cass, in cui si è svolto il rocambolesco episodio.

«Era un giallo “normale”…
Poi diventò un affare di Stato (Vaticano)»
(Paolo Delgado).

Articoli collegati

Nuovo “Godsip” sul caso Orlandi triste girandola del pregiudizio
di Guido Mocellin
Avvenire, 20 settembre 2017

Su Facebook il mio profilo brulica da diverse ore di commenti intorno alla documentazione «falsa e ridicola» (così la Sala Stampa della Santa Sede) sul caso Orlandi divulgata dal giornalista de L’Espresso-Repubblica Emiliano Fittipaldi come anticipazione di un suo nuovo libro. Come già in occasione dei Vatileaks 1 e 2 – questo, del resto, più che Vatileaks 3 sembrerebbe il 2bis – l’area di quanti scrivono e leggono l’informazione religiosa mainstream, tra i quali molti dei miei amici digitali, guarda a queste operazioni senza nessuna simpatia, e io con loro. Nel 2012 avevo anche provato a dare alla risorgente moda dello scoop giornalistico-religioso un nome: proponevo Godsip, Dagospia (cf. Apocalisse 12,9) o Sacri paparazzi, oltre al suffisso -ismo da applicare al nome del giornalista che vi si fosse maggiormente distinto.

Ma il mio profilo Facebook è una eco-chamber, ovvero i miei amici digitali sono (relativamente) omogenei. Provo allora a fare un’incursione sulle pagine Facebook di Repubblica, dove, al momento in cui scrivo, i post dedicati alla notizia sono 4. È il primo, pubblicato alle 8 del 18 settembre, a raccogliere più commenti, 324, oltre a 4.200 reazioni e 1.981 condivisioni. Ecco come li ho classificati, insieme a quelli degli altri 3 post ma limitandomi agli interventi “più rilevanti”, e tralasciando un 14% per me incomprensibile. La quota incline a dare credito, per un motivo o per l’altro, al nuovo Vatileaks non va oltre il 43% del totale, e in gran parte nutre un pregiudizio anticlericale: «Anche a voi, che possa colpirvi un asteroide all’istante e incenerirvi tutti», azzarda uno, che rinnova così l’ormai frusto «cloro al clero» evocando una recente e discussa campagna pubblicitaria. È sostanzialmente uguale la quota di quelli che si limitano, con mille ragioni, a esprimere pietà per Emanuela Orlandi e i suoi familiari (11%) o che sono esplicitamente orientati a non dare al nuovo Vatileaks alcun credito, stigmatizzandone il fine commerciale (32%). Han capito che è una nuova girandola triste della slealtà e del pregiudizio. Compreranno ugualmente il libro?

Era un giallo “normale”… Poi diventò un affare di Stato (Vaticano)
La scomparsa di Emanuela Orlandi, da Marcinkus alla banda della Magliana, una storia di misteri e depistaggi sullo sfondo delle nuove rivelazioni del libro di Fittipaldi pubblicate dall’Espresso
di Paolo Delgado
Il Dubbio, 21 settembre 2017


C’è il terrorismo internazionale: l’attentato al papa, i Lupi grigi, la guerra santa del Papa guerriero ( e polacco) contro l’idra rossa, la Stasi che s’impiccia e depista per stornare gli sguardi dallo zampino di Bucarest nell’attentato del lupo Alì. C’è il nido di vespe finanziarie che ruotava intorno al Ior, con di mezzo il chiacchieratissimo banchiere di Dio Paul Marcinkus, il banco Ambrosiano, la loggia più famosa del mondo e di conseguenza qualche ombra sinistra, quella dei Frati Neri con il loro bravo impiccato, quella dell’attentato in cui al posto della vittima predestinata finì ammazzato il killer, nonché boss della Magliana Danilo Abbruciati.

E c’è la ‘ bandaccia’ naturalmente, tirata in mezzo dal pentito Antonio ‘ l’Accattone’ Mancini ma anche da Sabrina Minardi, ex moglie del calciatore dal piede dorato Bruno Giordano, ex amante o sedicente tale di ‘ Renatino’ De Pedis, il boss ripulito ammazzato in mezzo alla strada in pieno giorno, a Campo de’ Fiori, nel 1990 e destinato poi a riposare, sino alla recente cremazione, nella basilica di sant’Apollinare, con papi e santi ma per la verità anche con gente di meno nobili natali e senz’aureole di sorta. Testimoni discutibili, che non lesinano strafalcioni ma che, specie la Minardi, ogni tanto qualche riscontro lo hanno portato. Entrambi addossano al sepolto in sant’Apollinare la responsabilità del ratto senza specificarne però in modo sia pur minimamente convincente il movente.

C’è l’ombra perversa di festini a base di adolescenti ancora quasi bimbe per prelati porconi e fatali incidenti, e non è neppure tutto. Grotte sotterranee che permettono di deambulare sotto la Capitale, sussurri di salme accumulate nei ridenti giardini del Vaticano, legami ipotizzati pur se mai provati con altre scomparse misteriose, a partire da quella di un’altra ragazzina, Mirella Gregori, un mese e mezzo prima della sparizione della Orlandi. Materiale che al confronto I Misteri di Parigi vagheggiati da Eugene Sue sembrano segretucci da educande.

Il caso Orlandi è il vero grande giallo italiano. Lo resterebbe anche se, come sostiene il giornalista che più di ogni altro è andato a fondo nel fattaccio, Pino Nicotri, tutto questo clamore che da quasi 35 anni non si attenua fosse solo frutto di una perversa spirale mediatica, uno show troppo ghiotto, con audience troppo malata e rinnovatasi nel tempo per essere abbandonato. Perché anche in quel caso la somma di depistaggi, interferenze, intrecci poco districabili di bugie e verità basterebbero a rendere quella scomparsa l’evento forse più clamoroso nella storia criminale della Capitale e del Paese tutto.

Le ultime a vedere viva Emanuela Orlandi, 16 anni non ancora compiuti, furono due compagne di corso nella scuola di musica di sant’Apollinare dove la ragazza faceva, pare, mirabili progressi con il flauto. Si incontrarono alla fermata dell’autobus di fronte al Senato intorno alle 19 del 22 giugno 1983. Emanuela raccontò di una allettante proposta di lavoro: 350mila lire per pubblicizzare una linea di prodotti di bellezza. Le suggerirono di stare in campana. Promise di decidere solo dopo aver chiesto il permesso a casa e in effetti telefonò alla sorella che le suggerì di aspettare e parlarne con i genitori. Poi le tre amiche si separarono e da quel momento di Emanuela non si è più saputo niente.

Era una ragazza tutta casa, scuola e Chiesa, dissero parenti e amici, impossibile sospettare qualche frequentazione equivoca. Quasi vent’anni dopo l’avvocato della famiglia, Gennaro Egidio, smentì: «I motivi della scomparsa sono molto più banali di quello che si è fatto credere. Contrariamente alle dichiarazioni dei familiari, Emanuela di libertà ne aveva molta». Le nuove indagini confermarono: Emanuela era una ragazza normale. Le capitava di saltare la scuola e firmarsi la giustificazione da sola. Tra i ragazzi un po’ più grandi che frequentava ce n’erano alcuni che usavano stupefacenti, o che andavano a rimorchio di ragazze per le strade da quel punto di vista ottimamente frequentate intorno al Vaticano, a uno era capitato pure di prostituirsi. Secondo il legale sarebbe stato casomai opportuno scandagliare meglio il giro di amicizie dalla zia paterna. Egidio promise a Nicotri di dire qualcosa in più su quelle frequentazioni di zia Anna a breve, ma era malato e spirò prima di farlo.

Nulla di speciale, se non, forse, che l’identikit alla santa Maria Goretti ostacolò forse sul momento la pista più ovvia, quella di un rimorchio da parte dello sconosciuto che offriva soldi facili e soprattutto visibilità patinata finito in tragedia.

Fu infatti facile appurare che non c’era nessuna ricerca di volti nuovi da parte di quella società di cosmetici e che, in compenso, il marpione e forse peggio aveva già provato ad adescare fanciulle in quel modo, e nella stessa zona, altre volte.

A rendere il caso qualcosa in più che non uno dei tanti casi di ragazze sparite che costellano da decenni le puntate di Chi l’ha visto? fu il papa in persona. Emanuela era cittadina vaticana e appena dieci giorni dopo, il 3 luglio, durante l’Angelus, Giovanni Paolo II lanciò un appello ai rapitori. Ne seguirono altri 7. Fu quell’appello a evocare la tempesta o si sarebbe prodotta comunque? Difficile, anzi impossibile dirlo. Di fatto, appena due giorni dopo, un uomo con accento americano telefonò in sala stampa vaticana per chiedere uno scambio con Alì Agca, il turco che nel 1981 aveva sparato al papa. Arrivarono altre telefonate: una a un’amica della giovane scomparsa: amica di fresca data, il cui numero di telefono Emanuela aveva segnato proprio poche ore prima di sparire. Altre 15 dall’’ Americano’ che i periti ipotizzarono potesse essere Paul Marcinkus, il cardinale al vertice della banca vaticana, lo Ior, in persona. Un anno dopo, tanto per restare in tema turco, arrivò anche la chiamata dei Lupi grigi, l’organizzazione in cui aveva militato Agca. Si scoprì poi che a chiamare erano invece i servizi tedeschi dell’est, per sviare dai colleghi bulgari il sospetto di aver organizzato l’attentato del 1981.

A tirare in ballo la Magliana, già nel nuovo millennio, fu prima una telefonata anonima, poi Mancini, infine, e con dovizia di particolari Sabrina Minardi. Confusa, anche per via dei decenni di stupefacenti assunti nel frattempo, spesso incoerente, pasticciona sulle date, la (sedicente) ex amante di ‘Renatino’ non si poteva né si può definire del tutto non credibile. Aveva parlato lei per prima di un rifugio sotterraneo che si prolungava per chilometri, al quale si poteva accedere da un appartamento nel quale sarebbe stata tenuta prigioniera Emanuela, e l’immenso sotterraneo, quasi una città sotto la metropoli, c’è davvero, con tanto di lago sotterraneo. Aveva raccontato di essere andata anche lei a prelevare la Orlandi, con una BMW, in quel 22 giugno 1983, e l’automobile è saltata fuori davvero, proprietà del faccendiere Flavio Carboni, uno dei ballerini impegnati nella danza macabra intorno a Roberto Calvi poco prima dell’impiccagione del banchiere sotto il Ponte dei Frati neri a Londra, passata poi a uno dei tanti che gravitavano intorno alla Banda più celebrata della storia criminale italiana.

Inevitabilmente il dossier spuntato dal Vaticano ricaricherà le batterie del carrozzone mediatico. Autorizzerà sospetti, permetterà di lanciarsi in nuove ipotesi, attirerà picchiatelli e bugiardi meno disinteressati. Forse ha ragione Nicotri, convinto che di misterioso, in questo caso, ci sia solo il nome del bastardo che dopo aver attirato Emanuela in trappola l’ha ammazzata. Ma anche al netto dei mitomani e dei depistatori, che in questo caso sono stati davvero una legione, è difficile evitare la sensazione che qualcosa di misterioso, nel giallo della povera Emanuela, ci sia davvero.

Segue la Parte 6 (11.11.2022): QUI.

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