Sua Riverita Eccellenza dopo 5 anni ci riprova con la sua pataccata – Parte 6

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Prosegue dalla Parte 5: QUI.

[Korazym.org/Blog dell’Editore, 11.11.2022 – Vik van Brantegem] – Con Vatican Girl: la scomparsa di Emanuela Orlandi, la miniserie diretta da Mark Lewis, con l’accompagnamento di Andrea Purgatori e diffusa da Netflix, è stato riscaldato (male) anche una patacca vecchia diffusa il 18 settembre 2017 da Emiliano Fittipaldi. «Quattro appuntamenti per mettere insieme i pezzi di un mosaico impossibile» (ANSA). Tanto clamore mediatico a livello internazionale fondato sul nulla, creato con il disordine informativo.

Vatican Girl: la scomparsa di Emanuela Orlandi: «1983: una 15enne vaticana scompare nel nulla, aprendo un mistero che attraversa quattro decenni di storia tra intrighi internazionali, Chiesa e mafia» – Parte 4: «Dopo lo scandalo di Vatileaks, un giornalista scopre nuove prove che suggeriscono che il Vaticano abbia nascosto informazioni riguardo alla sorte di Emanuela».

«Non risulta che sia stato nascosto nulla,
né che vi siano in Vaticano “segreti”
da rivelare sul tema»
(Padre Federico Lombardi, S.I.).

Già cinque anni fa, in occasione dell’uscita del suo libro Gli impostori, scritto su quella falsa-riga, ho scritto tanto – come anche in generale sul “giallo” della scomparsa di Emanuela Orlandi in generale – sul mio diario Facebook (non avevo ancora aperto il mio Blog dell’Editore). Prendendo spunto dal clamore succitato da Calenda per le pataccate riciclate, riporto quanto ho pubblicato su Facebook cinque anni fa, sulla patacca “regina” di Fittipaldi, in ordine cronologico di pubblicazione, concludendo con la mia Nota Facebook La “pataccata” di Fittipaldi. Se vero o falso pari sono… un punto di svolta (o di non ritorno) per il giornalismo italiano, che riassume un po’ tutto. Come fanno i pataccari, anche uno smascheratore di patacche può riciclare il suo lavoro del passato, non vi pare? Ci saranno un po’ di ripetizioni, ma repetita iuvant (e anche il pataccaro si ripete sempre).

Infine, concludiamo questa serie dal passato, con un Postscriptum: Caso Emanuela Orlandi, parla l’avvocatessa Laura Sgrò: «Bisogna indagare anche sulla pedofilia tra le mura del Vaticano». Intervista alla legale che da anni aiuta la famiglia della quindicenne scomparsa da Roma il 22 giugno del 1983 nella ricerca della verità di Tamara Ferrari su Vanity Fair, 7 novembre 2022.

«Soprattutto rattrista
che con queste false pubblicazioni,
che tra l’altro ledono l’onore della Santa Sede,
si riacutizzi il dolore immenso
della famiglia Orlandi»
(Segreteria di Stato, 18 settembre 2017).

La “pataccata” di Fittipaldi. Se vero o falso pari sono… un punto di svolta (o di non ritorno) per il giornalismo italiano
Nota Facebook del 18 settembre 2017 (Ultima modifica: 14 marzo 2021)

Corruptio optimi pessima
Ciò che era ottimo,
una volta corrotto,
è pessimo
(San Gregorio Magno).

Era un giallo “normale”…
Poi diventò un affare di Stato (Vaticano).

“Per il lancio di un libro d’imminente uscita, questa mattina due quotidiani italiani hanno pubblicato un presunto documento della Santa Sede che attesterebbe l’avvenuto pagamento di ingenti somme, da parte del Vaticano, per gestire la permanenza fuori Italia di Emanuela Orlandi, scomparsa a Roma il 22 giugno 1983.
La Segreteria di Stato smentisce con fermezza l’autenticità del documento e dichiara del tutto false e prive di fondamento le notizie in esso contenute.
Soprattutto rattrista che con queste false pubblicazioni, che tra l’altro ledono l’onore della Santa Sede, si riacutizzi il dolore immenso della famiglia Orlandi, alla quale la Segreteria di Stato ribadisce la sua partecipe solidarietà” (Comunicato della Sala Stampa della Santa Sede, 18 settembre 2017).

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Il poster affisso sui muri delle strade di Roma dopo la scomparsa di Emanuela Orlandi il 22 giugno 1983, con il numero telefonico del Vaticano.

Parlando di patacca e di pataccaro si deve andare in fondo e dire che una patacca fatta da un pataccaro, comprato da un giornalista pataccaro e venduto a un editore pataccaro che infanga con la pubblicazione, è una pataccata. E tutti ci guadagnano e vivono ricchi, contenti e felici.

Un’articolo della senatrice Rosaria Capacchione, giornalista (non pataccara), componente della Commissione parlamentare Antimafia (antipataccara) sulla giustizia (pataccara), che aiuta a capire come funzione il sistema pataccaro, anche in altri ambienti (pensando al caso Orlandi): “Prendiamo lo stralcio di un qualunque verbale di un qualsiasi collaboratore di giustizia. È vecchio di vent’anni? Non importa, è un documento. È smentito da una sentenza? Pazienza, anche i giudici sbagliano. È superato dalla storia? Dipende. Dipende da chi racconta la storia e perché”. “Parole sante. Che ovviamente si perdono nel vento per delle “persone non ‘ascoltano’ e come muli proseguono nella loro condotta” (Cit.).

E così, mentre la Segreteria di Stato smentisce con fermezza l’autenticità del documento sul caso Orlandi diffuso stamattina, c’è chi insiste: “Dopo 34 anni?”, “Vorrei vedere che lo riconosceva!” (Cit.) e “Comunque il libro di Fittipaldi va letto” (Cit.) [un altra copia patacca venduta: l’editore, l’autore e il falsario (pataccari) ringraziano sentitamente; “Cosa non si fa per vendere una copia in più…” (Cit.)].

E basterebbe dare un’occhiata (per chi vuole vedere) per capire (se vuole sapere) che il documento sul caso Orlandi è un falso da pataccari. E che un pataccaro “ha trovato il suo albero e continuerà a scrollarlo finché i gonzi lo riterranno un giornalista serio comperando i suoi libri” (Mauro Visigalli).

Fenomenalmente lucido l’amico vaticanista di lunga corsa Andrea Tornielli. Se fosse un boscaiolo invece di giornalista, non ci sarebbe da scrollare più niente, perché l’albero sarebbe abbattuto e non segato per legname, ma già fatto a pezzi per legno da ardere.

“Perché sostengo che quanto è accaduto lunedì 18 settembre 2017, con la divulgazione dell’ultimo documento, evidentemente scritto e costruito come una “patacca”, rappresenta un punto di non ritorno? Lo spiego subito. Un documento – in questo caso il clamoroso e quanto mai presunto rendiconto delle spese sostenute dalla Santa Sede per “gestire” il rapimento Orlandi e le rette pagate per la sua permanenza all’estero – può essere vero o falso. Tertium non datur. Se è vero, va pubblicato con tutte le pezze d’appoggio del caso, dopo una seria e documentata inchiesta giornalistica. Ribadisco che se fosse vero, il Vaticano dovrebbe chiudere domani (altro che riforma), perché significherebbe essere tornati all’epoca dei Borgia, oltre che macchiare indelebilmente il pontificato dell’ultimo Papa proclamato santo, Giovanni Paolo II. Se è falso, va spiegato perché è falso, ed eventualmente pubblicato in un contesto nel quale si parla di depistaggi, ricatti, veleni, etc. etc. Ma dicendo, dopo le opportune verifiche, che è falso. Attenzione: non sto dicendo che, se è falso, non se ne dovesse parlare” (Andrea Tornielli, “Se vero o falso pari sono…).

“Tante cose non tornano… Ma quello che veramente non torna è come mai un giornalista professionista come Fittipaldi non avverta l’esigenza, per non dire il dovere, di chiedere spiegazioni alla sua fonte di così tante inesattezze, prima di pubblicare un documento del genere. Purtroppo si tratta di casi sempre più frequenti. Non so se bisogna chiudere il Vaticano, ma l’ordine dei giornalisti certamente sì” (Paolo Trito).

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Quando ho pubblicato la Nota sul discernimento (che segue), scritto questa notte, ho visto il post di Andrea Gagliarducci Giornalisti, tra la banalità del bene e del male e l’articolo di Andrea Tornielli Se vero o falso pari sono…, che ho condiviso (e che seguono dopo).

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Giornalisti, tra la banalità del bene e del male
di Andrea Gagliarducci
Facebook, 19 settembre 2017


Il problema non è lo spettro di un terzo Vatileaks. Il caso della presunta lettera vaticana su Emanuela Orlandi ci porta ancora una volta a riconsiderare il nostro mestiere, come già era successo con le altre fughe di documenti.

Sin da piccoli, cresciamo con l’ideale che “il nostro padrone è il lettore”, come diceva Montanelli. E questo viene ripetuto in ogni scuola di giornalismo. Insieme a questo, però, ci viene inculcata questa necessità dello scoop, della notizia a tutti i costi. Il giornalista è quello che pubblica prima.

Ma è davvero così? I documenti vengono forniti da fonti che hanno tutto l’interesse a fornirceli. Niente viene fuori per caso. Chi vuole che una notizia esca in anticipo, ha le sue ragioni. Chi vuole che una non notizia esca, ha le sue ragioni. E allora, che gioco si sta giocando? Quale è la partita? A chi si sta dando l’avvertimento?

Resto sempre più convinto che oggi il compito del giornalista non sia fare scoop, ma piuttosto raccontare i motivi delle cose che succedono. Il perché un certo documento è filtrato. Il perché un falso viene reso pubblico. Sono convinto che il ruolo del giornalista non sia di speculare se un documento sia vero o falso mentre allo stesso tempo lo si pubblica, ma piuttosto di scegliere di non pubblicarlo se non è un documento sicuro, o addirittura di pubblicarlo dopo, quando davvero se ne può spiegare natura e significato. Se si riesce a spiegarlo.

Gli scenari complottisti sono il pane di cui tutti amano cibarsi, giornalisti e lettori. Siamo giornalisti di pancia e lettori di pancia, in fondo. Eppure, tante volte la verità è banale. Banalmente bella o banalmente brutta, ma banale. L’esercizio del giornalista oggi è quello di lavorare con il Rasoio di Occam *, e raccontare questa banalità.

Anche se questa banalità non farà vendere. Anche se la verità non ha il sapore gustoso di un documento costruito che, guarda caso, ci conferma nei nostri sospetti di persone ignare che guardiamo le cose dal buco della serratura.

Pure il giornalista guarda dal buco della serratura, intendiamoci. Ma si deve sforzare, poi, di aprire quella porta. Altrimenti resta un passacarte. Famoso, magari ricco, ma sempre un passacarte. Generalmente ignorante, perché parla con maestria di cose che non conosce convinto di conoscerle. E gli viene a mancare la prima qualità di un giornalista: l’umiltà epistemologica. Quell’umiltà che ti spinge a non pubblicare se non si è sicuri, e a pubblicare comunque letture ragionevoli della realtà. Non succose, ma ragionevoli.

Sempre facendo un passo indietro, perché il lettore abbia la capacità di comprendere. Sempre facendo un passo indietro, perché il giornalista per primo sia in grado di discernere.

La morte annunciata del giornalismo
di Michele Zanzucchi
Cittanuova.it, 19 settembre 2017

Emiliano Fittipaldi pubblica un presunto dossier sul “caso Orlandi”. Senza poterne accertare preventivamente l’autenticità. Tra “se”, “ma” e “sembrerebbe” il diritto di cronaca viene così svuotato di senso e credibilità

Il giornalista «controlla le informazioni ottenute per accertarne l’attendibilità». È scritto così nell’articolo 9 comma d del Testo unico dei doveri del giornalista pubblicato dall’Ordine dei giornalisti il 19 febbraio 2016, riunificando una serie di carte di deontologia professionale pubblicate negli anni precedenti. In sostanza il giornalista è obbligato a controllare l’autenticità delle fonti delle notizie, e quindi a darne diffusione solo dopo tale accertamento. Il che vuol dire, stando alla logica aristotelica, che le notizie che sono false non vanno pubblicate. Ma da qualche tempo il “diritto di cronaca”, cioè il diritto di diffondere notizie che altrimenti verrebbero negate all’opinione pubblica, sembra diventato l’unica regola a cui il giornalista dovrebbe sottoporsi, non un dovere ma un diritto.

Ieri il noto giornalista Emiliano Fittipaldi (che scrive su l’Espresso e la Repubblica) ha annunciato la pubblicazione di un libro sul “caso Orlandi”, la ragazza figlia di un dipendente vaticano scomparsa da casa il 22 giugno 1983 per motivi mai appurati. Non avendo trovato alcun riscontro all’interno dello Stato del Vaticano, le indagini hanno da tempo escluso il coinvolgimento di personale della Curia romana. Gli impostori, è il titolo del volume. L’autore così presenta il suo presunto scoop su la Repubblica: «Se è vero, apre squarci clamorosi sulla vicenda della ragazzina scomparsa nel 1983. Se falso, segnala uno scontro di potere senza precedenti nel pontificato di Francesco». (…)

Ovviamente dal Vaticano sono arrivate le attese smentite, da quella del card. Re alla durissima nota del direttore della Sala Stampa vaticana, Greg Burke: «Documento falso e ridicolo». Al Corriere della sera l’arcivescovo Angelo Becciu, attuale sostituto per gli Affari generali della Segreteria di Stato vaticana ha dichiarato che «il documento è un falso, questo è chiaro, per stile e contenuto». Aggiungendo: «Non abbiamo nulla da nascondere. Non so cosa si proponesse chi lo ha prefabbricato, ma la falsità è palese. Andiamo avanti sereni. Dispiace, certo, per questo accanimento contro la Santa Sede e soprattutto perché così si finisce con l’infierire, con notizie infondate e novità illusorie, sulla famiglia e il suo dolore».

Al di là delle ovvie smentite, è la questione deontologica che turba. Si può pubblicare un documento di cui non è stata accertata l’autenticità? Secondo la scuola anglosassone di giornalismo, infatti, quella più rigorista, prima di pubblicare una notizia bisognava verificarla con tre fonti concordanti. Poi si è scesi a due, perché è spesso difficile trovare tre fonti che dicano esattamente stessa cosa in ogni dettaglio. Poi si è passati all’unica fonte – che sia un dispaccio d’agenzia, una conoscenza o una gola profonda –, che comunque va verificata accuratamente prima della pubblicazione. Ora manco una. Povero giornalismo…

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Discernimento … parola chiave … facoltà della mente di giudicare, valutare, distinguere rettamente
Il discernimento dono dello spirito
di Maria Nives Zaccaria

1. Che cos’è
In senso generale, il discernimento è un giudizio sulla qualità delle cose, che porta a separare quelle buone da quelle cattive.
Esiste un discernimento umano, secondo la carne, fatto secondo criteri scelti dal mondo (es. il successo, la ricchezza, il potere, la bellezza … ).
Ed esiste un discernimento spirituale, fatto dal credente, secondo i criteri suggeriti dallo Spirito.
Per avere un vero discernimento spirituale, occorre uscire dalla prigionia della carne ed entrare nella vita secondo lo Spirito.

2. Il discernimento spirituale
Esso consiste in un atto di giudizio nella fede fatto dal credente.
Giudicare nella fede significa: giudicare da uomini spirituali (cfr. 1 Cor 2,15), le situazioni concrete della vita personale, della vita del gruppo, per distinguere (“discernere”) le vie di Dio e orientare le proprie azioni verso di esse.

3. “Per distinguere le vie di Dio”
Il dono del discernimento permette innanzitutto di cogliere dentro di noi se in una certa idea/ ispirazione / mozione ad agire c’è la presenza di Dio oppure no.
Avere questa sensibilità è molto importante per la vita del cristiano, perché spesso si tende a percepire come segno della volontà di Dio ciò che invece non lo è.
Essa ci fa percepire una parola o un fatto come mozione di Dio in noi e per noi e ci aiuta ad assecondarla senza alterarla in alcun modo.
Questo dono permette anche di riconoscere l’azione vera della Grazia, distinguendo gli impulsi che da essa provengono dagli inganni del demonio, che talvolta può presentarsi sotto le apparenze del bene.
“Carissimi, non credete ad ogni spirito, ma discernete gli spiriti che sono da Dio, poiché molti falsi profeti sono passati al mondo” (cfr. 1 Cv 4, 1).
In questo caso si tratta del discernimento degli  spiriti, che lo Spirito ci dona per farci affrontare vittoriosamente la lotta 1ra la carne e lo Spirito”.
Confronta: Catechismo della Chiesa Cattolica, nn 2846-2849.

4. È il dono dei doni
Senza il discernimento, infatti, non si può vivere nella piena conoscenza della volontà di Dio. Confronta: Rm 12,2; Le 12,56; 1 Gv 4, 1.
Esso è una necessità che si impone ai cristiani maturi, poiché la volontà di Dio non è sempre percepibile attraverso l’applicazione di principi e regole generali.
Esso non è una capacità naturale, ma la capacità donata dallo Spirito che educa il cuore, dandogli quella particolare sensibilità, che la carne non possiede, di captare la presenza di Dio e cogliere le mozioni della Grazia.

5. La sua importanza secondo la Sacra Scrittura
Il Discernimento è imposto e suggerito da Dio attraverso i profeti. Ad essi è affidato l’incarico di invitare gli uomini ad esaminare la loro condotta: cfr. Ger 6,27. Essi sono consapevoli di essere posti come “sentinelle” in mezzo al popolo per metterlo in guardia in prossimità di un pericolo. Confronta Is 62,6; Ez 3,16-21. Hanno il compito di invitare gli uomini a leggere gli avvenimenti per coglierne il significato profondo.
Esso ritorna nei libri sapienziali come:
– esortazione costante a prestare attenzione alla realtà intima delle cose per poter scegliere meglio: cfr, Pr 1,20ss; 8,1ss; 9,1ss;
– proposta dei criteri per valutare gli uomini e i loro comportamenti: cfr. Sir 11,29-34; 12,8-18; 19,26-27; 27,4-7; 22-24;
– proposta di criteri su come comportarsi con gli uomini: cfr. Sir 37,7-6
– esortazione a praticare il discernimento nel rapporto con Dio: cfr. Qo 5,3-4.
Il discernimento è cercato dagli uomini (singoli e gruppi)
– per comprendere come comportarsi in situazioni concrete: cfr. Ger 42-44; Ez 33,30-33; Ne 8; 1 Mac 4,42-47;
– per comprendere il significato profondo di avvenimenti in cui il popolo si trova immerso: cfr. Dn 9,2-4a.
La risposta arriva:
– attraverso il profeta;
– attraverso una parola che va applicata alla realtà che si sta vivendo.
Nel Nuovo Testamento, riveste particolare importanza il libro degli Atti. Esso ci aiuta a cogliere:
– le situazioni del discernimento;
– i protagonisti;
– il ruolo dello Spirito:
– i criteri.
Cfr. At 2,14-36: discernimento come “comprensione dell’azione di Dio”.
Cfr. At 4 e 5: discernimento come criterio di azione nel contesto delle persecuzioni.
Cfr. At 10-11 e 15: discernimento come decisione sulla missione da compiere.

6. Criteri che guidano il discernimento spirituale
Nel discernimento spirituale lo Spirito Santo viene in aiuto al credente fornendogli i criteri per discernere. Essi sono contenuti nella Parola di Dio.
L’uomo è debole a causa del peccato e la sua debolezza gli impedisce di fare un discernimento autentico, poiché egli non sa neppure che cosa è bene e che cosa è male. Prima del peccato dirigeva i suoi desideri verso Dio, dopo verso di sé e le creature. Lo Spirito viene in aiuto alla sua debolezza capovolgendo la direzione dei suoi desideri:
– fornisce i criteri del discernimento che sono contenuti nel Vangelo e nella Parola di Dio, così che l’uomo impara ad orientarsi verso la volontà di Dio;
– interviene nella lettura, donando l’interpretazione “secondo lo Spirito”
– educa il cuore alla riflessione e a confrontare la propria vita sulla Parola.

7 Come assecondare l’azione dello Spirito
L’ascolto dello Spirito richiede il silenzio del cuore. Occorre pertanto abituarsi a far tacere i nostri pensieri, i nostri desideri, quel tumulto di passioni che occupano il nostro cuore. E’ un lavoro paziente, ma necessario, che il Signore ci aiuta a fare nella preghiera umile e sincera.

Bibliografia
– Beck p. Tommaso – Giovanna Della Croce, Il discernimento dono dello Spirito, ed. Delioniane, Bologna 1986.
– Molto utile per studiare questo argomento è il fascicolo n. 191 del Servizio della Parola, ed. Queriniana, Brescia, settembre 1987. E fascicolo è interamente dedicato al discernimento.
Per quanto riguarda il discernimento nella tradizione biblica, vedere i seguenti articoli:
– Boggio Giovanni, Il discernimento nell’Antico Testamento, pp. 10- 19.
– Fabris Rinaldo, Discernimento ecclesiale e dono dello Spirito negli Atti, pp. 19-24.
– Lanza Sergio, Come Paolo esercita il discernimento e invita i cristiani a fare altrettanto, pp. 24-30.
– Vanni Ugo, Discernimento e comunità negli scritti giovannei, pp. 31-37.
– Maggioni Bruno, I vangeli sinottici: situazioni e modalità di discernimento, pp. 37-41.
Seguono una II sezione sul discernimento lungo la storia, fino a Concilio Vaticano Il (artic. di mons. Luigi Bettazzi); e altre due sezioni sui presupposti e sulla metodologia dei discernimento, con particolare attenzione al discernimento in comune.
Si veda inoltre il già citato volume sul Discernimento degli spiriti di Pedro Gil CP, ed. RnS, Roma.

Il carisma del discernimento

1. Il discernimento è un dono e una necessità per tutti

2. Ad alcuni viene donato come carisma, cioè come capacità particolare di:
– distinguere la verità dall’errore;
– di cogliere ciò che è giusto fare nelle singole situazioni;
– di trovare la volontà di Dio;
– di discernere gli spiriti, discriminando la vera e la falsa manifestazione dello Spirito
– per l’edificazione della comunità.
Esso è menzionato esplicitamente in 1 Cor 12, 10.

3. Come dono carismatico è utile all’esercizio di ogni ministero
In particolare va posseduto da chi svolge un compito di autorità e di guida e quindi ha un ministero che lo obbliga a discernere tra veri e falsi profeti, tra veri e falsi fedeli.
Esso permette di cogliere la presenza del “vero Dio” in ogni situazione, o in una ispirazione, o in una preghiera.
Lo si può definire come una particolare illuminazione che permette di giudicare la rettitudine delle parole e delle opere.
Una luce che si ottiene in preghiera.
Un dono che lo Spirito dà agli umili e ai puri di cuore.
È di grande utilità per la crescita del gruppo, sia perché permette di assecondare l’azione che lo Spirito vi compie, sia perché aiuta a conoscere le opere dei nemico che dobbiamo combattere.

4. Come esercitarlo
– Una regola è data da San Paolo in 1 Cor 12,1
– Lo Spirito dona il fondamento del discernimento: riconoscere in Gesù di Nazareth – morto in croce -il Figlio di Dio.
– Da questo deriva ogni altro discernimento.

5. Per crescere questo carisma richiede:
– la coltivazione di qualità umane come l’intuizione. l’analisi, l’equilibrio;
– l’apertura allo Spirito;
– un profondo e continuo rinnovamento interiore.

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Scheda per la verifica personale

A volte l’animatore si trova davanti a problemi del genere:
– Tacere o parlare?
– Come conciliare l’amore con la verità? La giustizia con la mitezza?
– Come portare a Dio il fratello che sembra volersi allontanare?
– Come fare certe correzioni senza inasprire gli animi e provocare reazioni peggiori?
In questi casi il dono del discernimento aiuta a trovare il comportamento adatto.
Esso porta la capacità di conformarsi a misura del fratello, in modo da non chiedergli più di quanto il Signore vuole da lui in quel momento.
Il discernimento consiste, in questo caso, nella capacità di misurare ogni cosa al fine di condurre le anime a Dio.

1. Come comportarsi allora?
Fermarsi a chiedere aiuto al Signore. Fare silenzio interiore. Pregare con la guida della Parola, soprattutto, con qualche salmo (ad es. il Sa] 86).
Cercare di raggiungere la condizione di “indifferenza interiore” non nel senso di disinteresse o apatia, ma di totale distacco dalle nostre idee e aspettative per essere disponibili soltanto alla volontà di Dio.
Per raggiungere questa condizione occorre:
– riflettere sul fatto che chi ha responsabilità nei confronti di altri può proporre ad essi dei valori, ma non imporli;
– prendere coscienza che noi possiamo proporli in modo che le persone li facciano propri e li attuino con la loro specificità e che il nostro compito è di mettere le persone in grado di camminare da sole sulla strada dei Signore;
– accettare l’idea che, se i fratelli non accolgono le proposte che facciamo, noi dobbiamo comunque rispettare la loro libertà, anche se ci dispiace.
Questa capacità di abbassarsi alla misura dell’altro cresce in noi man mano che conosciamo noi stessi, le nostre difficoltà, le nostre resistenze all’azione dello Spirito in noi.
Avviene così che il discernimento diventi, anche in questo caso, strumento per la nostra crescita, nella conoscenza di noi, nella pazienza, nella discrezione, nella prudenza.
Chiedere allo Spirito il dono del Consiglio. Questo è un dono che ci aiuta a capire che cosa sia giusto fare al momento.
Lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza portandoci a capire la volontà di Dio in questa situazione precisa.
Ci guarisce dalla precipitazione nell’agire, nel parlare, dalla tendenza naturale che ci fa seguire l’istinto dominato da passioni che provocano scelte squilibrate.
Lo Spirito è il Maestro interiore che ci guida, poco alla volta, alla scelta giusta.

2. Rifletti:
– Che cosa deve cambiare nel tuo comportamento abituale?
– Che cosa significa, in questo momento della tua vita, rivestire l’uomo nuovo?
– Quali nuovi modi di agire, di parlare, di comportarti sei chiamato ad accogliere per un rinnovamento autentico?

da Animatore per un progetto di vita
di Maria Nive Zaccaria – Edizioni Rns-Roma

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Novacula Occami – Rasoio di Occam

Il rasoio di Occam è il principio metodologico espresso nel XIV secolo dal filosofo e frate francescano inglese William of Ockham, che per certi versi può ritenersi un precursore del pensiero moderno.

Nella sua forma più immediata suggerisce l’inutilità di formulare più ipotesi di quelle che siano necessarie per spiegare un dato fenomeno quando quelle iniziali siano sufficienti: Entia non sunt multiplicanda praeter necessitatem (Non bisogna moltiplicare gli elementi più del necessario). Secondo questo principio, a parità di fattori, la spiegazione più semplice tende a essere quella giusta. Invita a non complicare la realtà creando inutili entità metafisiche ed a cercare spiegazioni semplici per i fenomeni (e semplicità non significa banalità), favorendo la partenza da principi dimostrati (quindi semplici, che non significa banali) e con solide (quindi semplici, che non significa banali) deduzioni, in modo che si arrivi alla conclusione. La metafora del rasoio esprime l’idea che sia opportuno, dal punto di vista metodologico, eliminare con tagli di lama e mediante approssimazioni successive le ipotesi più complicate. In questo senso, il principio può essere formulato come segue: “A parità di fattori la spiegazione più semplice è da preferire”. La formula, utilizzata spesso in ambito investigativo e di risoluzione di un problema, parte da una pagina di “Ordinatio” del Doctor Subtilis Giovanni Duns, filosofo e teologo scozzese: “Pluralitas non est ponenda sine necessitate – Non considerare la pluralità se non è necessario”. Significa, che “è inutile fare con più ciò che si può fare con meno”. Quindi, non vi è motivo alcuno per complicare ciò che è semplice e all’interno di un ragionamento vanno invece ricercate la semplicità e la sinteticità. Perciò, tra le varie spiegazioni possibili di un evento si deve scegliere quella più semplice (non nel senso di quella più banale, o più ingenua, o che spontaneamente affiora alla mente, ma come quella che appare ragionevolmente vera senza ricercare un’inutile complicazione aggiungendovi degli elementi causali ulteriori).

Discernimento e Rasoio di Occam: utilissimi, anzi indispensabili, nell’epoca delle patacche, dei pataccari, delle pataccate e delle polpette avvelenate. Una Nota che pubblicò tra Vatileaks 1 (2012) e Vatileaks 2 (2015).

Di patacche, di pataccari e della pataccata da Òpra dî Pupi…

“Wat is de wereld trouwens anders dan een groot schouwtoneel, waarin ieder, onder het masker van een ander optreedt en zijn aangenomen rol speelt, totdat de grote Regisseur hem van het toneel laat verdwijnen – Che altro è il mondo oltrettutto, che non una grande palcoscenico, in cui ognuno, appare sotto la maschera di un’altro e svolge il ruolo assegnatogli, finché il grande Regista lo lascia sparire dalla scena” (Erasmus van Rotterdam, umanista neerlandese, 1469-1536).

“Mi sono chiesto: chi avrebbe potuto scrivere questo falso? È stato fatto nel 2014 oppure è un documento apocrifo fatto venti anni fa magari per ricattare? Bisogna capire se questo documento è stato fatto per capire chi si voleva colpire”. Così Emiliano Fittipaldi, parlando della patacca di cinque pagine dal titolo “Resoconto sommario delle spese sostenute dallo Stato Città del Vaticano per le attività relative alla cittadina Emanuela Orlandi” nel corso di una conferenza stampa.

Ma il pataccaro che ammette che la patacca che ha usato per vendere suo libro potrebbe essere una patacca? Sarebbe un sòla che la sòla te la molla, come dicono in romagnolo, e se nel falso ci caschi sei un patacca.

Prima di scrivere suo libro, non avrebbe dovuto cercare e trovare le risposte alle sue stesse domande? E alla domanda: perché questa sòla (il documento di cui è “venuto in possesso” ed è contenuto nel suo ultimo libro “Gli impostori”) è stata mollata, e perché a lui? Infine la domanda cruciale: chi è il marionettista (che muove i fili dall’alto) o il burattinaio (che s’infila la mano dal basso) in questa pataccata da Òpra dî Pupi?

La Repubblica ha anticipato un estratto del “dossier” pubblicato su L’Espresso. “Se è vera è una cosa di gravità assurda, è un documento verosimile e incredibile”, spiega Fittipaldi, “Era importante pubblicarlo perché se è vero apre squarci impensabili, se è falso è sconvolgente perché vuol dire che è stato costruito ad arte un documento apocrifo per seminare sconcerto; se il documento è uscito dal Vaticano vorrei chiedere come. Qualsiasi documento può essere falso ma questo era in una cassaforte del Vaticano. Se è un falso è un falso di un interno che conosce bene questa vicenda. Io ho faticato molto per avere questo documento”, ha aggiunto.

Ma non ha faticato altrettanto per cercare le risposte alle sue domande.

In ogni caso sappiamo dal processo Vatileaks 2 che l’intero archivio della Cosea (nel quale la patacca si trovava, non si sa come e da dove e da chi) è stata fotocopiata ed è stato portato via, in possesso di chi ha ammesso di averlo e non escludere di non usarlo.

“… de gewone man denkt er het zijne van, zolang hij kan…” [… e l’uomo semplice ne pensa il suo, finché può…], direbbe l’amico giornalista Sef Adams.

“All the world’s a stage, and all the men and women merely players: they have their exits and their entrances; and one man in his time plays many parts, his acts being seven ages” [Tutto il mondo è un palcoscenico e tutti gli uomini e donne sono soltanto degli attori: hanno le loro uscite e le loro entrate, e ognuno nel tempo che gli è dato recita molte parti, i suoi atti essendo sette epoche] (William Shakespeare).

E così l’uomo semplice (non vuol dire sempliciotto, ma colui che adopera il Rasoio di Occam) ha pensato all’Òpra dî Pupi, il tipico teatro delle marionette siciliano. La marionetta è un fantoccio in legno, stoffa o altro materiale, ed è una figura a corpo intero mossa dall’alto tramite fili dal marionettista (che è come un burattinaio, che muove il burattino, quel pupazzo che compare in scena a mezzo busto ed è mosso dal basso, dalla mano del burattinaio che lo infila come un guanto). La marionetta è elegante e vario e per la loro costituzione a figura intera, inoltre, si adattano meglio alla decorazione con vesti e suppellettili. Per questo motivo c’è una sottile propensione a dividere il teatro delle marionette come spettacolo più fine e ricercato mentre il teatro dei burattini è considerato maggiormente popolare: mentre i protagonisti del teatro delle marionette saranno, in larga parte ma non necessariamente, personaggi di alto rango, i burattini incarneranno maschere popolari spesso mutuate dalla Commedia dell’Arte.

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La patacca.
Pronto a pubblicare “l’inedito documento” è il giornalista Emiliano Fittipaldi nel suo nuovo libro “Gli impostori” ma a parlare del dossier c’è anche Fiorenza Sarzanini sul Corriere della Sera. Et voilà lo scoop è bello che bruciato, con il giornalista dell’Espresso costretto ad elargire la preziosa anticipazione sul settimanale. Per la Sarzanini quella patacca “circola negli uffici della Santa Sede”, mentre Fittipaldi dice che “qualsiasi documento può essere falso, ma questo era in una cassaforte del Vaticano e io ho faticato molto per averlo”. Quindi, la patacca circola o era chiuso a doppia mandata in una cassaforte? La patacca non è firmato a penna, non è protocollato e presenta una serie di errori grossolani per l’inflessibile e centenaria burocrazia d’Oltretevere. Dall’intestazione a “sua riverita eccellenza”, affermazione mai usata negli Uffici della Santa Sede e dello Stato della Città del Vaticano, alla conclusione “in fede”, più da atto notarile che da cardinale. Anche il nome di Tauran non è scritto correttamente (Jean Luis invece di Jean Louis), come anche uno degli indirizzi londinesi citati. Si parla, inoltre, di spese sostenute a partire da “gennaio 1983”, quando invece la ragazza era stata rapita a giugno di quell’anno. Non ultima l’indicazione in un documento così delicato e riservato, destinato a non uscire dalle mura vaticane, del nome e cognome (con tanto di data di nascita) della ragazza, per anni ricercatissima in Italia e anche nel resto del mondo. Visto la quasi maniacale pignoleria delle segreterie pontificie, già questi semplici indizi dicono la probabilissima falsità del “documento inedito”. Dalla Santa Sede è arrivata immediata e dura la reazione: “Falso e ridicolo”. Così il Direttore della Sala Stampa della Santa Sede Greg Burke l’ha definito laconicamente. “Non ho mai visto quel documento, non ho mai ricevuto alcuna rendicontazione su eventuali spese effettuate per il caso di Emanuela Orlandi”, ha detto il cardinale Giovanni Battista Re, porporato che risulta tra i destinatari del documento datato 1998. Mentre la Segreteria di Stato “smentisce con fermezza l’autenticità del documento e dichiara del tutto false e prive di fondamento le notizie in esso contenute”. Azzeccato il post di Andrea Gagliarducci “Giornalisti, tra la banalità del bene e del male” e memorabile l’articolo di Andrea Tornielli “Se vero o falso pari sono…”. “I documenti vengono forniti da fonti che hanno tutto l’interesse a fornirceli. Niente viene fuori per caso. Chi vuole che una notizia esca in anticipo, ha le sue ragioni. Chi vuole che una non notizia esca, ha le sue ragioni. E allora, che gioco si sta giocando? Quale è la partita? A chi si sta dando l’avvertimento?” (Andrea Gagliarducci). “Credo infatti che segni un punto di svolta (o di non ritorno) per il giornalismo del nostro Paese. (…) Lasciare a chi legge l’onere della verifica è la fine del giornalismo. E se non si raggiunge una qualche ragionevole certezza sulla natura di un testo, così da poterlo inquadrare e contestualizzare (converrete con me che vero o falso non sono la stessa cosa, men che meno in una vicenda come questa), allora non lo si pubblica” (Andrea Tornielli).

Caso Orlandi, se vero o falso pari sono…
di Andrea Tornielli
Sacri Palazzi – Andreatornielli.it, 19 settembre 2017


Cari amici, mi permetto qui di postare qualche parola di commento sulla vicenda del documento sul caso di Emanuela Orlandi pubblicato dal Corriere della Sera e da Repubblica (quest’ultima anticipando il contenuto di un nuovo libro di Emiliano Fittipaldi). Credo infatti che segni un punto di svolta (o di non ritorno) per il giornalismo del nostro Paese.

La storia del rapimento della Orlandi, la ragazza scomparsa dal centro di Roma il 22 giugno 1983, è una vicenda intessuta di depistaggi e intrighi internazionali con messaggi e ricatti certamente indirizzati al Vaticano. È una vicenda ancora avvolta nel buio, e purtroppo le inchieste della magistratura non sono arrivate a nulla.

Perché sostengo che quanto è accaduto lunedì 18 settembre 2017, con la divulgazione dell’ultimo documento, evidentemente scritto e costruito come una “patacca”, rappresenta un punto di non ritorno? Lo spiego subito. Un documento – in questo caso il clamoroso e quanto mai presunto rendiconto delle spese sostenute dalla Santa Sede per “gestire” il rapimento Orlandi e le rette pagate per la sua permanenza all’estero – può essere vero o falso. Tertium non datur. Se è vero, va pubblicato con tutte le pezze d’appoggio del caso, dopo una seria e documentata inchiesta giornalistica. Ribadisco che se fosse vero, il Vaticano dovrebbe chiudere domani (altro che riforma), perché significherebbe essere tornati all’epoca dei Borgia, oltre che macchiare indelebilmente il pontificato dell’ultimo Papa proclamato santo, Giovanni Paolo II. Se è falso, va spiegato perché è falso, ed eventualmente pubblicato in un contesto nel quale si parla di depistaggi, ricatti, veleni, etc. etc. Ma dicendo, dopo le opportune verifiche, che è falso. Attenzione: non sto dicendo che, se è falso, non se ne dovesse parlare.

Se quel documento (dopo le opportune verifiche che competono al giornalista, non al lettore) fosse risultato vero, saremmo di fronte a uno scoop mondiale, epocale: non soltanto sarebbe stato risolto uno dei misteri più oscuri della nostra storia recente, più o meno collegato ad altri misteri, come l’attentato a Papa Wojtyla e lo scandalo IOR-Ambrosiano, ma si sarebbe anche messa in luce la tremenda responsabilità di un’istituzione che pur predicando pace, amore, rispetto per i diritti umani, si sarebbe poi comportata in tutt’altro modo, tradendo palesemente il suo messaggio ai danni di una povera ragazza e di una altrettanto povera famiglia di dipendenti vaticani. Non ci sarebbero scuse: se la verità sul caso Orlandi fosse quella contenuta nel testo pubblicato da Fittipaldi i fedeli cattolici avrebbero il diritto-dovere di chiedere che tutto lo Stato della Città del Vaticano venisse chiuso e la Curia azzerata.

Se invece quel documento (dopo le opportune verifiche che competono al giornalista, non al lettore) fosse risultato falso, saremmo di fronte a un nuovo capitolo di Vatileaks, a un tentativo di depistaggio o peggio di ricatto, a uno degli innumerevoli segnali trasversali che purtroppo hanno segnato tutta la vicenda Orlandi.

Che cosa, a mio modesto avviso, non dovrebbe mai accadere. Non dovrebbe mai accadere che un giornalista pubblichi un documento dicendo: forse è vero, forse è falso. Se sia vero o falso io non lo so e non lo posso sapere, fate voi cari lettori. Di certo c’è che sia che sia vero, sia che sia falso, il Vaticano ci deve delle spiegazioni. Ma che modo di ragionare è mai questo? L’onere della prova, della verifica, del lavoro di scavo, spetterebbe al lettore o alla parte in causa, la Santa Sede. Io giornalista ho ricevuto questa carta e ve la spiattello, senza potervi dare una conclusione sulla sua autenticità. Ripeto: non sto dicendo che se quel testo è falso, allora non avrei dovuto raccontare la sua storia, il perché fosse conservato nell’archivio di monsignor Vallejo Balda, il perché la sua esistenza sia stata preannunciata da chi si dedica ad avvelenare i pozzi, etc. etc.

Sto dicendo che lasciare a chi legge l’onere della verifica è la fine del giornalismo. E se non si raggiunge una qualche ragionevole certezza sulla natura di un testo, così da poterlo inquadrare e contestualizzare (converrete con me che vero o falso non sono la stessa cosa, men che meno in una vicenda come questa), allora non lo si pubblica.

Veniamo infine al documento. Che sia scritto come una patacca è evidente a una prima lettura a chiunque abbia un minimo di dimestichezza con i documenti e i testi prodotti nella Curia romana. Al di là degli errori formali, ci sono problemi di sostanza. Come si può anche soltanto immaginare che nel 1998, con inchieste della magistratura italiana ancora aperte, la Segreteria di Stato commissioni la stesura di una nota spese complessive per la gestione del crimine Orlandi (detenzione della ragazza all’estero senza riconsegnarla alla famiglia tenuta all’oscuro di tutto, gestione del suo ritorno in Vaticano con annesse «pratiche finali» che lasciano intendere il peggio), e che questa venga compilata in triplice copia coinvolgendo diverse persone che fino a quel momento dovevano essere all’oscuro di tutto, a partire dal cardinale Lorenzo Antonetti, presidente dell’APSA?

Dunque: non tornano la forma, il linguaggio, la mancanza di intestazione e di timbri, la mancanza di firma, l’errore nel nome dell’arcivescovo Tauran. Non torna il contenuto: il segreto così ben conservato sulla Orlandi sarebbe stato reso noto a diversi dipendenti della Santa Sede al fine di avere una nota spese finale di tutta l’operazione. Non torna il fatto che una ragazza rapita sarebbe stata tenuta prigioniera non in un covo sotterraneo, ma in convitti e residence nel centro di Londra, con il rischio che qualcuno la fotografasse e la riconoscesse. Non torna il fatto che una ragazza sotto sequestro da parte del Vaticano sarebbe stata portata a far visitare da medici con tanto di pagamento di parcella… Insomma, non ci vuole l’acume di Sherlock Holmes per capire che ci si trova di fronte a una vera e propria “patacca”, maldestramente confezionata.

Ora, qualcuno potrebbe osservare: e se gli errori così grossolani e palesi fossero stati inseriti apposta nel documento proprio per screditarlo in caso di sua divulgazione? Certo tutto è possibile. Anche che l’anziano cardinale Antonetti si sia trasformato in un abile agente 007, e che abbia infarcito – forzando sé stesso – quel balordo rendiconto, di tante assurdità formali, per tutelare se stesso e la Santa Sede. Ma anche ipotizzando ciò (e bisogna mettercela tutta per farlo) resta il macigno delle obiezioni sostanziali: che bisogno aveva la Segreteria di Stato di far pagare la “retta” mensile per il rapimento Orlandi dall’ente pagatore APSA, invece di usare per questo i fondi riservati a sua disposizione, sui quali è tenuta a rendere conto soltanto al Papa? E che bisogno aveva di avere un’accurata nota spese finale, con tanto di ricevute e pezze d’appoggio?

La Santa Sede ha smentito seccamente affermando ciò che è evidente a chiunque legga quel testo: è un falso. Il cardinale Re, destinatario indicato nella “patacca”, ha detto di non aver mai ricevuto quel documento. Questo chiude il mistero? Questo fa chiarezza sul caso Orlandi? Certamente no. Perché è vero che quel documento è stato fabbricato da qualcuno, e che questo qualcuno aveva uno scopo: depistare o ricattare, mandare segnali o magari ottenere qualcosa in cambio. Questo qualcuno sa qualcosa sul caso Orlandi che a noi è sconosciuto? Può essere, ed è pure probabile. Allora l’inchiesta giornalistica, partendo dal falso ci avrebbe dovuto presentare questo contesto. Ma, ripeto, l’onere della prova sull’autenticità non può essere lasciato al lettore, né al Vaticano. Perché vero o falso pari non sono, mai. E non lo sono nemmeno nel pozzo senza fondo del caso Orlandi.

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Parlando ieri di una patacca (sostantivo femminile) e di pataccari – in riferimento al documento ottenuto da Fittipaldi per fare il nuovo libro in uscita sul caso Orlandi, una pataccata – definito dalla Segreteria di Stato “non autentico e del tutto false e prive di fondamento le notizie in esso contenute”, dal Direttore della Sala Stampa della Santa Sede “falso e ridicolo” e dal vaticanista Andrea Tornielli laconicamente “una “patacca” – si è osservato che un patacca (sostantivo maschile) in romagnolo ha diversi significati ben precise, di cui uno in particolare (inoltre, indica il sesso femminile, e anche, per estensione, una bella ragazza) fa riferimento a una persona ingenua, sfigato, sborone, sprovveduto, stupido, buffone, sbruffone. Lo si dice di persona che vuole vantarsi o che si dà delle arie ma che i risultati rendono ridicolo, comico, sfigato. In questo senso il patacca per esempio è quello che fa la figura di merda davanti alle ragazze credendo di essere un figo, il patacca romagnolo appunto. Come disse Valentino Rossi: “A volte la linea che separa l’eroe e il patacca è molto molto sottile”.

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Qui ci avviciniamo al significato di una patacca (sostantivo femminile) in riferimento a un oggetto di valore inferiore a quello che si potrebbe desumere dalle apparenze, cioè molto fumo e poco arrosto. Era il termine con il quale venivano indicate diverse monete, in genere grosse, pesanti e di scarso valore. In tali monete, in particolare, la percentuale d’argento della lega che le costituiva era molto bassa, pur in presenza di peso e dimensioni complessive notevoli: in tal modo, la moneta aveva un valore indicato maggiore di quello effettivo, corrispondente al metallo prezioso usato per batterla. Di qui l’uso in italiano del termine “una patacca” per indicare qualcosa che vale meno di quello che sembra. Per esempio, una medaglia vistosa ma di nessun pregio.

Quello che in romagnolo si indica con il termine “sòla”, che significa la stessa cosa per quanto riguarda l’oggetto ma può essere anche riferito alla persona che la sòla te la molla (“sei un sòla”, dove l’articolo si coordina al genere della persona ma la parola “sòla” resta invariata). Quanto si dice che uno “ha comprato una sòla o una patacca”, si intende che ha praticamente comprato, un’imitazione, un oggetto contraffatto, un falso insomma. In questo caso il valore è proprio nulla.

In romanesco una sòla fa riferimento a una truffa, una fregatura, ma anche una persona di scarso valore o che disattende spesso gli appuntamenti (il sòla). La sòla a Roma (o per estensione il sòla) è una parola usata di frequente e con fastidio. Il romano (in virtù di una scaltrezza quasi antologica) si crede immune da raggiri o mancanze. La sòla e il suo artefice il sòla, lo indispettiscono.

L’origine del termine è in riferimento alla “suola” delle scarpe, quindi la provenienza è duplice. Da un lato l’abitudine disonesta di alcuni calzolai a risuolare appunto con materiali di scarsa fattura (il “sòla” è anche uno degli appellativi del mestiere). Dall’altro c’è invece l’allusione al borseggio (il taccheggio) che rimanda invece all’antico portamonete in cuoio a forma di tacco.

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Nel 1823 uscì “Il Meo Patacca o vero Roma in feste nei trionfi di Vienna. Poema giocoso nel linguaggio Romanesco”, un’opera in versi nel linguaggio romanesco di Giuseppe Berneri (foto). È la storia di Meo (Bartolomeo) Patacca, «er più bravo trà gli Sgherri Romaneschi», un popolano bravo con le armi. Da questa storia ha preso nome l’osteria Da Meo Patacca in Piazza dei Mercanti a Trastevere (foto), che ricrea l’atmosfera di un’osteria romanesca dell’Ottocento con cucina romana e spettacoli sul tema (è il primo ristorante che ho conosciuto a Roma, in occasione della mia prima visita nel 1973, se mi ricordo bene).

Meo Patacca, che avuta notizia dell’assedio di Vienna da parte dell’esercito ottomano di Kara Mustafa Pasha per due mesi nel 1683 (da non confondere con l’assedio di Vienna del 1525), pensa di radunare una truppa di «Sgherri arditi e scaltri» per soccorrere la città assediata. Il protagonista, Meo Patacca, è il bullo per antonomasia, è l’idea platonica dello sgherro romanesco, il modello a cui si rifacevano idealmente nei modi, nei gesti, nella parlata, nei sentimenti eroici, tutti i bulli romani dell’Ottocento: un Don Chisciotte sognatore, idealista, ma anche fusto, manesco e risoluto. Tuttavia, prima della partenza giunge la notizia che Vienna si è liberata dell’assedio ed il denaro raccolto viene così usato per organizzare i festeggiamenti.

Così Meo Patacca diventò la maschera carnevalesca romana che rappresenta la spavalderia tipica della città. Spiritoso ed insolente.

A parte dei “Sanpietrini” in servizio, per la Fabbrica di San Pietro fanno servizio anche dei studenti, che stanno fuori la basilica di San Pietro e ricevono compenso. Mentre dei volontari svolgono servizio interno alla basilica di San Pietro, hanno un obbligo di ore di servizi durante l’anno e non sono obbligatoriamente studenti, ma risiedono a Roma. Sono questi che vengono chiamati pataccari. Sono chiamati così, perché sulla giacca portano un distintivo con le chiavi di San Pietro e quella è la patacca.

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E vabbè, passa per quel “Sua Riverita Eccellenza” in alto di un documento “patacca” (copyright Andrea Torniellii, che ha già iniziato a smontarlo) per non menzionare altro, ma se quello che lo spaccia per vero scrive nel lancio del suo prossimo libro che si base su questo documento “falso e ridicolo” (copyright Greg Burke), parlando di Emanuela Orlandi come “la ragazzina che viveva nella Santa Sede”, allora la frutta è già passato da tempo. Confondere il territorio dello Stato della Città del Vaticano con la Santa Sede (o Sede Apostolica che è “l’ente, dotato di personalità giuridica in diritto internazionale, preposto al governo della Chiesa cattolica”) è cosa se non da principianti, da superficiali (il che è peggio). Aspettiamo di capire come ci spiegherà come una persona fisica può vivere in un ente. Siamo allo sbando totale ormai, mi disse – in privato – un’amico giornalista che stimo molto. L’ho risposto: da mo’.

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Dare quel titolo di “Sua Riverita Eccellenza” dice tutto. Un falsario per niente abile oppure un presidente dell’APSA di allora rimbambito (da escludere, visto che ha vissuto 90 anni). Come scrisse Andrea Tornielli, documentandolo: UNA PATACCA. Il giornalismo “d’inchiesta” italiano in stato di coma.

“Una documentazione “falsa e ridicola”: così il portavoce della Santa Sede ha bollato la lettera pubblicata dal giornalista Emiliano Fittipaldi riguardo a un presunto dossier da cui emergerebbe che il Vaticano pagò 483 milioni di lire per allontanare Emanuela Orlandi dall’Italia. La ragazza, che viveva in Vaticano, era scomparsa nel nulla nel 1983, e il presunto dossier avrebbe avuto tra i destinatari Giovanni Battista Re, all’epoca sostituto per gli Affari generali della Segreteria di Stato” (AGI).

«Il Portavoce della Santa Sede Greg Burke lunedì ha descritto come “false e ridicole” le notizie secondo cui il Vaticano aveva speso ingenti somme di denaro per il caso di Emanuela Orlandi, un’adolescente cittadina vaticana scomparsa in circostanze misteriose oltre 30 anni fa. In un articolo pubblicato lunedì da la Repubblica, il giornalista investigativo italiano Emiliano Fittipaldi scrive di un documento trapelato che mostra che il Vaticano avrebbe speso oltre 483 milioni di lire, circa 250.000 euro, per il caso tra il 1983 e il 1997. Orlandi è scomparso nel giugno 1983. In il pezzo, Fittipaldi riferisce che i soldi sono andati a una pensione a Londra e le spese mediche nella capitale britannica. Fittipaldi ha scritto libri in passato con rivelazioni legate ai due scandali Vatileaks con imbarazzanti fughe di documenti riservati» (ANSA, nostra traduzione italiana dall’inglese).

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Gli asini voleranno … e il pataccaro ne fa un libro.

L’amico vaticanista Andrea Tornielli, il 22 settembre 2017 su Vatican Insider, lo definisce laconicamente per quello che è e che si dimostrerà di essere, la solita “patacca”. Quindi, una bufala, un fake news: un documento su carta semplice, senza intestazioni ufficiali, né timbri né firme manoscritte, composto da cinque pagine e datato marzo 1998, intitolato «Resoconto sommario delle spese sostenute dallo Stato Città del Vaticano per le attività relative alla cittadina Emanuela Orlandi (Roma 14 gennaio 1968)».

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… e le bufale vivranno nel deserto. Ottimo spunto per un’altro libro patacca.

Caso Emanuela Orlandi. Greg Burke: “Documento falso e ridicolo”. Cardinale Giovanni Battista Re: “Mai visto quel conteggio spese”

Quelle che viene chiamato un “dossier” (una presunta documentazione su eventuali spese per oltre 483 milioni di lire che sarebbero state affrontate per “l’allontanamento” di Emanuela Orlandi, risalente al 1998 e riferita all’arco di tempo compreso fra il 1983 e il 1997) pubblicato da Fittipaldi è stato definito dalla Santa Sede un “documento falso e ridicolo”. “Il documento in mano a Emiliano Fittipaldi è la verità sulla vicenda o un attacco alla Chiesa e a Papa Francesco?”, si chiede Ilsussidiario.net.

Dopo la smentita secca con una breve note del Direttore della Sala Stampa della Santa Sede Greg Burke: “Documento falso e ridicolo”, anche il Cardinale Giovan Battista Re ha replicato alle accuse contenute nel presunto “dossier” sul caso Orlandi: “Non ho mai visto quel documento pubblicato da Fittipaldi, non ho mai ricevuto alcuna rendicontazione su eventuali spese effettuate per il caso di Emanuela Orlandi”. Messo in causa i vertici primari della Curia romana all’epoca dei fatti durante il Pontificato di San Giovanni Paolo II, insieme al Cardinale Jean Louis Touran, all’epoca Segretario per i Rapporti con gli Stati, il Cardinal Giovanni Battista Re, all’epoca Assessore agli Affari Generali della Segreteria di Stato di Sua Santità, quindi il “numero tre” nella gerarchia della Santa Sede e – per motivo della sua carica (con i poteri di un ministro degli interni) – sul caso di Emanuela Orlandi – la cittadina vaticana scomparsa 33 anni fa – fra i più informati, nega di aver mai ricevuto “alcuna rendicontazione su eventuali spese effettuate” per la vicenda della ragazza scomparsa nel 1983. Sono le prime parole a caldo del Cardinale Re citato nel documento di nota spese tra i destinatari del presunto carteggio, rilasciate al blog di TgCom 24 Stanze Vaticane di Fabio Marchese Ragona. Nel recente passato il porporato era già intervenuto sulla vicenda Emanuela Orlandi riaffermando che la Segreteria di Stato non aveva nulla da nascondere, in risposta alle frecciate del fratello Pietro Orlandi ai vertici della Santa Sede. “La Segreteria di Stato avrebbe desiderato rendere pubblico qualsiasi elemento, solo che non avevamo nulla di concreto”, spiegava lo scorso 20 giugno il Cardinale Re. “Non sono mai riuscito ad avere in mano nessun riscontro, è solo una mia intuizione. Però, ripensando a quei giorni, mi sono convinto che dietro la scomparsa ci fosse un servizio segreto interessato a mandare messaggi ad Ali Agca, perché non dicesse la verità. Aveva cominciato a parlare e poi ha ritirato tutto», concludeva all’epoca il Cardinale Re oggi messo in discussione da quel presunto dossier in mano a Fittipaldi.

Il Cardinale Jean-Louis Tauran, Presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso e Camerlengo di Santa Romana Chiesa, che ai tempi del rapimento di Emanuela Orlandi si trovava nella Nunziatura Apostolica del Libano e soltanto dal 1990 è Segretario per i rapporti con gli Stati in Segreteria di Stato ha dichiarato a la Repubblica: “Non ho altro da aggiungere a quanto ha dichiarato la Santa Sede, attraverso la Sala Stampa e poi la Segreteria di Stato. Ripeto quanto ha detto il portavoce vaticano: si tratta di un documento falso e ridicolo. Sono d’accordo con la segreteria di Stato, il documento non è autentico e sono del tutto false e prive di fondamento le notizie in esso contenute. Preferirei fermarmi al punto centrale di questa vicenda: stiamo parlando di un testo che è solo una montatura, lo ripeto ancora una volta e altro non voglio aggiungere”.

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Presentando il suo nuovo libro “inchiesta”, Fittipaldi dichiara su Facebook di aver “trovato un documento uscito dal Vaticano. Ci ho lavorato mesi, e ho pubblicato un libro, ‘Gli impostori’, che uscirà tra qualche giorno”. “Leggendo il resoconto e seguendo le tracce delle uscite della nota – spiega il giornalista – che l’estensore attribuisce al Cardinale Lorenzo Antonetti [allora Presidente dell’APSA, con una lunga carriera nella diplomazia della Santa Sede in Paesi-chiave dello scenario geopolitico, morto a 90 anni il 10 aprile 2013], sembra che il Vaticano abbia trovato la piccola rapita chissà da chi, e che abbia deciso di ‘trasferirla’ in Inghilterra, a Londra. In ostelli femminili. Per 14 anni le avrebbe pagato ‘rette, vitto e alloggio’, ‘spese mediche’, ‘spostamenti’. Almeno fino al 1997, quando l’ultima voce parla di un ultimo trasferimento in Vaticano e il disbrigo delle pratiche finali”. “Delle due l’una – conclude Fittipaldi – o il documento è vero, e apre squarci clamorosi e impensabili sulla storia della Orlandi. O è un falso, un apocrifo che segna una nuova violenta guerra di potere tra le sacre mura”.

Un “documento segreto” in dote da una fonte ovviamente segreta al giornalista Emiliano Fittipaldi, che nel suo prossimo libro Gli impostori metterà al centro delle cronache (e delle polemiche) il rapporto tra Vaticano, Stato Italiano, servizi segreti e la famiglia Orlandi: 33 anni di segreti, elementi poco chiari e indagini senza una reale conclusione finale. Le tesi sono state molteplici ma mai realmente dimostrabili e si sono basate su fatti cupi dell’Italia di quegli anni, dalla banda della Magliana alle Brigate Rosse, “misteri” del Vaticano e i servizi segreti.

Scrive Ilsussidiario.net: « Vatileaks e segreti. Il racconto di Fittipaldi parte tutto dalla notte tra il 29 e il 30 marzo 2014 in cui viene scassinata la cassaforte della Prefettura Vaticana nell’area dell’archivio della Commissione Cosea, esattamente quella di cui facevano parte gli attori cruciali e condannati nel caso Vatileaks 2, la pierre marocchino-calabrese Chaouqui e il monsignore spagnolo Balda. Qualche tempo dopo si inizia a percepire che dentro quelle carte trafugate potrebbe esserci anche un dossier segreto sulla scomparsa di Emanuela Orlandi: addirittura il fratello Pietro, sei mesi fa, arriva a sostenere che nella vicenda sulla scomparsa della sorella comparirebbe anche l’immagine di Papa Francesco, il quale avrebbe pronunciato una frase “sospetta”: “Emanuela sta in cielo”. A detta del fratello, Papa Francesco potrebbe conoscere qualcosa in più rispetto alla sua famiglia, lasciando intendere la morte della studentessa che ad oggi continua a restare un grande mistero. Resta da sottolineare come l’intera vicenda potrebbe anche essere “costruita” ad arte da chi ha redatto il documento, senza timbri e con voci assai inquietanti: “attività generale e trasferimento presso Stato Città del Vaticano con relativo disbrigo pratiche finali”, si legge nel documento quasi che fosse una voce che faccia “intendere” la fine della vicenda, con la morte di Emanuela addirittura in Vaticano. Ma dunque, se si tratta ancora di segreti da “Vatileaks” montati ad arte, ci sarebbe qualcuno che in questo periodo specifico voglia trascinare la Chiesa e il papato in un altro scandalo sul caso Orlandi. Chi potrebbe essere e perché ora? “Avessero ragione Becciu [attuale Sostituto della Segreteria di Stato] e il Cardinale Re, il documento sarebbe certamente un falso. Sarebbe importante capire allora chi sono gli impostori che l’hanno architettato, e per quali oscuri motivi la storia di una ragazza scomparsa nel 1983 venga ancora usata per ricatti e lotte intestine della città sacra”, scrive Fittipaldi prima di rilanciare sulla possibilità opposta che il documento sia vero e che dunque il Vaticano stia mentendo. Per il giornalista dell’Espresso il collegamento continuo di segreti tra Chiesa e Cronaca è divenuto ormai un lavoro e spesso con conclusioni affrettate e prive di reali fondamenti e riscontri reali: di certo però c’è un documento e su questo bisognerà indagare e a fondo per trovare l’unica verità. Emanuela Orlandi in primis, la merita”.

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Ulteriori analisi

Emanuela Orlandi, Emiliano Fittipaldi, il Vaticano e i pozzi inquinati – Andrea Mainardi
L’insostenibile leggerezza di Fittipaldi – Paolo Pegoraro
Chi si cela dietro il controverso documento su Emanuela Orlandi? – Riccardo Cristiano
Caso Orlandi: “Quei documenti sono chiaramente falsi. È una macchina del fango contro la Chiesa” – Fabrizio Peronaci
Dossier caso Orlandi: cinque anomalie per cinque pagine – Tommaso Nelli
Orlandi, i veleni del dossier sull’ex capo dei gendarmi – Giovanni Viafora
Caso Orlandi, perché la “nota spese” della Santa Sede è falsa – Orazio La Rocca
Orlandi, il ‘documento choc’ che non prova niente – Angela Marino
Burke: «Su Orlandi documento ridicolo. Da quando un falso può essere vero?» – Caterina Giojell
3 ulteriori considerazioni a margine del caso #Orlandi-#Vaticano – Giovanni Tridente
Orlandi, c’è la faida in Vaticano dietro le nuove rivelazioni – Francesco Peloso
Il magistrato Martella. Caso Orlandi: Vaticano vittima, Emanuela rapita dalla Stasi – Ilario Martella

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Emanuela (a sinistra) con due delle tre sorelle. Al centro la maggiore, Natalina e a destra la più piccola, Cristina.

Monsignor Becciu incontra la sorella di Emanuela Orlandi

Natalina Orlandi, sorella di Emanuela, è stata ricevuta il 19 settembre 2017 in Vaticano dal Sostituto per gli affari generali della Segreteria di Stato di Sua Santità, l’Arcivescovo Giovanni Angelo Becciu. La notizia, anticipata da alcuni giornali, è stata confermata all’agenzia Ansa da fonti della Santa Sede che spiegano come si sia trattato di un incontro «privato» come ce ne sono stati altri in passato, volto soprattutto a mostrare vicinanza alla famiglia della giovane cittadina vaticana scomparsa il 22 giugno 1983. La sua vicenda è tornata alla ribalta dopo la pubblicazione di un “documento”, definito dalla Santa Sede «falso e ridicolo» e con contenuti «privi di fondamento», nel quale si mostra una rendicontazione dei primi mesi del 1998, delle spese che «lo Stato Città del Vaticano» avrebbe affrontato per mantenere di nascosto la ragazza a Londra dal 1983 al 1997. Insomma, una patacca e polpetta avvelenata.

Fine.

Postscriptum

Caso Emanuela Orlandi, parla l’avvocatessa Laura Sgrò: «Bisogna indagare anche sulla pedofilia tra le mura del Vaticano»
Intervista alla legale che da anni aiuta la famiglia della quindicenne scomparsa da Roma il 22 giugno del 1983 nella ricerca della verità
di Tamara Ferrari
Vanity Fair, 7 novembre 2022


«Per capire che fine abbia fatto Emanuela Orlandi bisognerebbe indagare anche sulla pedofilia tra le mura del Vaticano. Un’indagine in questa direzione non è mai stata fatta». A parlare è l’avvocato Laura Sgrò, che da anni aiuta la famiglia della quindicenne scomparsa da Roma il 22 giugno del 1983 nella ricerca della verità.
Inserita dalla rivista Forbes tra le 100 Wonder Woman italiane del 2021, l’avvocato Sgrò sembra avere le idee chiare sulla vicenda ricostruita nella docu-serie di Netflix, Vatican Girl: la scomparsa di Emanuela Orlandi. «Per trentanove anni», dice, «sono state seguite varie piste, come quella legata ad Ali Ağca, l’uomo che tentò di uccidere papa Giovanni Paolo II, e la banda della Magliana. Ma la pedofilia no, in questa direzione non si è mai indagato sul serio, ed è anche in questo senso che noi ci stiamo muovendo».
Emanuela Orlandi è rimasta vittima di un giro di pedofilia in Vaticano?
«Questa ipotesi è stata più ventilata che affrontata negli atti giudiziari, nessuno ha indagato su eventuali devianze sessuali di qualcuno, laico o chierico. Ci siamo mossi in questo senso, ma abbiamo di fronte un muro impenetrabile. Ritengo assai improbabile avere accesso a quelle persone che neanche la Procura di Roma è riuscita a interrogare. Parliamo di cardinali, capi della polizia, personaggi di rilievo mai sentiti perché il Vaticano non lo ha consentito. Nessuna di queste persone si è presentata ai magistrati romani».
Un muro di silenzio, dunque. Eppure, nella serie tv una compagna di Emanuela Orlandi rivela che la ragazzina le aveva confidato di avere subito attenzioni da un personaggio molto vicino al Papa.
«Ripeto, purtroppo non si è mai indagato in questo senso. Invece, negli anni si è puntata l’attenzione su Ali Ağca e poi sulla banda della Magliana. Un’ipotesi, quest’ultima, che a noi sembra plausibile».
Davvero credete che Emanuela Orlandi sia stata rapita dalla banda della Magliana? E perché avrebbero dovuto farlo?
«A titolo di manovalanza, su richiesta di qualcuno in Vaticano. Lo dimostrano tutta una serie di dichiarazioni agli atti, come quelle di Sabrina Minardi».
Una teste che, però, è stata ritenuta inaffidabile.
«Le sue primissime dichiarazioni, a nostro parere, erano assolutamente genuine. Poi lei ha cambiato versione più di una volta e questo ha fatto sì che diventasse agli occhi di tutti poco credibile. Ma bisognerebbe chiedersi perché si sia comportata così».
Ce lo spieghi lei.
«Quando un testimone del genere racconta quello che sa, gli atti vengono secretati per consentire di portare avanti le indagini. Il giorno del venticinquesimo anniversario della scomparsa di Emanuela Orlandi, i verbali della Minardi, che fino a quel momento erano in cassaforte, sono diventati pubblici. L’indagine è stata completamente bruciata. Leggendo le sue dichiarazioni sui giornali, ci sta che tutta una serie di personaggi da lei citati non siano stati con le mani in mano».
Sabrina Minardi ha ritrattato perché minacciata?
«Non lo escludiamo. In una indagine dovrebbe prelevare il segreto istruttorio. Invece, i verbali sono usciti sui giornali: chi aveva interesse a bruciare l’inchiesta? Per quanto ne sappiamo, nessuno è stato punito per questo».
Quindi, riepilogando, il Vaticano chiama e la banda della Magliana risponde. A che pro?
«I legami dell’epoca tra mafia e Vaticano sono ormai acclarati, ne parla anche la serie tv. La nostra idea è che il Vaticano avesse un problema e che abbia chiamato la banda della Magliana per risolverlo. È una ipotesi compatibile con i racconti storici di quegli anni».
Nella serie tv a un certo punto si parla di documenti che dimostrerebbero che Emanuela Orlandi sarebbe stata viva, ospite in un ostello in Inghilterra e che il Vaticano avrebbe sostenuto delle spese per gestirla. Ma queste carte non sono false?
«Quei documenti erano conservati nella cassaforte della Prefettura per gli Affari Economici del Vaticano. Furono rubati insieme ad altri e poi restituiti. A prescindere dal fatto che siano falsi oppure no, la cosa che mi lascia perplessa è che siano stati bollati come fake nel giro di venti minuti dalla loro diffusione. Forse, ci sarebbe voluta un’indagine un po’ più accurata. Anche ammesso che il documento sia falso, come dimostrerebbero tutta una serie di errori macroscopici, la domanda è: che ci faceva nella cassaforte della Prefettura per gli Affari Economici? Ecco, io su questo avrei indagato. E da lì avrei provato a capire perché in quel documento c’erano quelle informazioni e chi le aveva scritte».
Si tratta di un elenco di spese legate al caso Orlandi. C’è anche una voce relativa alla “chiusura pratica”, che lascerebbe pensare a una morte di Emanuela e a un trasferimento della salma in Vaticano. Ma nel cimitero teutonico non è stata trovata traccia.
«La cosa strana è un’altra: nelle tombe segnalate come possibile luogo della sepoltura di Emanuela, non c’erano neanche le ossa dei titolari. Francamente non capisco l’esistenza di tombe così curate, pulite, sistemate con fiori e tutto, e dentro neanche un osso. Anche su questo nessuno ha mai risposto, le domande cadono sempre nel vuoto. Ma il fatto che Emanuela non ci fosse è positivo».
Dopo tanti anni, lei crede che possa essere ancora viva?
«Fino a prova contraria la famiglia continuerà a cercarla come viva. Infatti, non è mai stata fatta la dichiarazione di morte presunta. Emanuela risulta ancora cittadina del Vaticano».
La serie tv di Netflix potrebbe smuovere qualcosa nelle indagini?
«Ha reso il caso famoso in tutto il mondo. Stiamo ricevendo nuove segnalazioni. Le vaglieremo tutte, come abbiamo sempre fatto».

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