A Torino mons. Repole stimola una nuova presenza ecclesiale
Puntare a un ‘ripensamento della presenza ecclesiale sul territorio’: è questa la necessità che è espressa dall’arcivescovo di Torino, mons. Roberto Repole, arcivescovo di Torino e vescovo di Susa, in una lettera alla diocesi, pubblicata sul settimanale diocesano ‘La Voce e il Tempo’ di domenica 26 giugno.
Nella lettera il neo arcivescovo ha sottolineato le sfide che lo attendono: “Tra le attività più significative di questi miei primi passi nel servizio episcopale vanno certamente annoverate lo svolgimento dell’ultimo consiglio presbiterale e dell’ultimo consiglio pastorale diocesano dell’anno. Nell’uno come nell’altro caso, ho cercato di pormi in ascolto di quelle che in entrambi i consessi sono apparse come le ‘sfide’ più impellenti e più profonde che stanno davanti al nostro cammino di Chiesa che è in Torino.
Non si è trattato, tuttavia, di un ascolto meramente passivo. I due consigli, infatti, sono stati stimolati ad esprimersi proprio in ordine a ciò che appare decisivo guardando alla vita e alla missione della nostra Chiesa, oggi e nel prossimo futuro”.
L’arcivescovo ha stimolato ad una nuova presenza ecclesiale: “Insomma, si tratta di guardare con lucidità la realtà e prendere sempre più profondamente coscienza che la nostra società non è più ‘normalmente cristiana’.
Eppure, noi siamo ancora strutturati (a partire dalle nostre parrocchie) nell’implicito che tutti siano cristiani; e operiamo, a diversi livelli, sulla base della implicita convinzione che sia così, con il grave rischio di investire tantissime risorse in attività pastorali che sembrano non portare frutto, di non provare ad investire (all’inverso!) energie laddove si tratterebbe di osare qualche percorso nuovo e, soprattutto, di perdere noi per primi il gusto della vita cristiana e di una serena e gioiosa sequela del Signore”.
Ed ha proposto un nuovo modo di presenza: “Appare sempre più chiara, dunque, la necessità anche urgente di ridisegnare il nostro modo di esistere, come Chiesa, sul territorio, al fine di continuare qui ed ora ad essere ciò che dobbiamo essere e ad offrire il Vangelo alle donne e agli uomini che incontriamo e lo desiderano.
Non farlo, significherebbe rimanere schiacciati da un passato che ci impedisce di compiere la nostra missione nel presente e, dunque, di essere fedeli a Cristo”.
Per rispondere a tale esigenza ha posto alcune domande: “Possiamo continuare a mantenere tutte le parrocchie, immaginando che vi si svolga tutto quello che vi si svolgeva nel passato, chiedendo ad un prete che- invece di essere parroco di una comunità – lo sia di diverse, senza però cambiare nulla? Come si può immaginare,
facendo così, che i preti possano vivere una vita serena, possano trovare il tempo per coltivare la preghiera e la lettura e offrire un servizio qualificato, possano trovare la giusta serenità per incontrare le persone…? E come pensare che la loro vita possa risultare attrattiva per dei giovani oggi?”
Per questo indica un discernimento per il coinvolgimento delle persone: “Alla luce di ciò, mi pare opportuno che nel prossimo anno pastorale, facendo nostro e calando nella nostra specifica realtà il cammino sinodale, lavoriamo a diversi livelli al fine di discernere bene la situazione nelle differenti zone della nostra diocesi, di rintracciare le potenzialità che ci sono e magari non vediamo, di ipotizzare modi nuovi di essere Chiesa nel territorio, di avanzare proposte per ‘cammini sperimentali’…
Per un lavoro come questo e così decisivo ci sarà bisogno dell’apporto di tutti: anche perché la diocesi è davvero vasta e sarà indispensabile, se non vorremo essere ideologici e applicare un’idea preconfezionata alla realtà, discernere che cosa ci è chiesto di fare nelle diverse situazioni. Un conto, ad esempio, sarà ciò che ci sarà richiesto nella grande città, altro in zone di montagna o di campagna”.
In vista di questo ‘lavoro’ è stato rinnovato il consiglio episcopale: “E’ in vista di ciò che ho rinnovato, in una forma nuova, il consiglio episcopale, pensando sin da subito che non esaurisca affatto la corresponsabilità con il vescovo, la quale dovrà invece beneficiare di altre figure di responsabili nelle diverse zone della diocesi. Ma… un passo per volta e, soprattutto, facciamo passi che siano il frutto dell’intelligenza credente e del cuore di tutti noi e siano il più possibile condivisi”.