Un inno alla fede e di fede. Il cammino di riconciliazione con la famiglia di Susanna Rufi

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Nell’aprile del 2018, esattamente quattro anni fa, le Edizioni San Paolo pubblicavano L’Alleluja di Susanna, il libro che Enrico Rufi scrisse per sua figlia Susanna che, unica fra un milione di giovani, non aveva fatto ritorno dalla GMG di Cracovia dell’estate 2016. Romana, non ancora diciannovenne, era stata stroncata dalla meningite sulla via del ritorno, a Vienna. “Il libro – scrive nella prefazione il Cardinale Gualtiero Bassetti – è un moderno, forse a tratti inconsapevole inno alla fede e di fede. La storia di Susanna è un exemplum, si direbbe, dei nostri giorni”. Il titolo, per inciso, fa riferimento alla canzone di Leonard Cohen, un inno laico all’amore sacro e all’amor profano, che Susanna stava imparando a suonare con la chitarra.

Tutta la stampa cattolica aveva salutato con entusiasmo quelle pagine, da Avvenire al Regno, da Radio Vaticana a TV 2000, da A sua Immagine a Famiglia Cristiana, dall’Osservatore Romano a San Francesco. Eventi e omaggi si moltiplicarono da Chioggia a Biella, da Milano a Bologna. A Trento fu organizzato un concerto-lettura nella chiesa di San Pietro.

Incredibilmente, però, quel libro fu ignorato proprio dalla parrocchia di Susanna, la parrocchia di San Policarpo, che sorge a Roma sud al limitare del Parco degli Acquedotti, da cui Susanna era partita in pullman per Cracovia insieme a un gruppo di altri ragazzi suoi amici, fra cui sua sorella Margherita, di un anno più giovane di lei.

A dispetto delle reiterate denunce di Papa Francesco delle malattie spirituali che colpiscono tante comunità cattoliche, la testimonianza di Susanna fu lasciata in balìa delle dinamiche malate della parrocchia, tra gelosie, invidie, silenzi, falsità e quieto vivere. “Sopire, troncare, troncare, sopire”, secondo le sempre attuali indicazioni del Conte Zio dei Promessi Sposi.

Questo atteggiamento, peraltro autolesionistico, scatenò la reazione della famiglia. Iniziò un conflitto aperto che coinvolse ben presto le gerarchie della stessa diocesi.

Alla fine, il Cardinal Vicario Angelo De Donatis riconobbe la necessità di promuovere un cammino di riconciliazione, affidandone la guida al Vescovo ausiliare, Mons. Gianpiero Palmieri, nonché Vicegerente della Diocesi di Roma, che però dopo sei mesi naufragò tra tensioni accresciute, equivoci ingigantiti e perfino oltraggi all’identità umana e spirituale di Susanna.

Aiutato dalla sorella di Susanna, il Cardinal De Donatis capì a quel punto che spettava a lui mettere fine a quello scandalo pastorale e sanare una ferita aperta da troppo tempo, e alla vigilia della passata Quaresima si è recato personalmente a San Policarpo. Con un atto di umiltà e di verità il Vicario di Papa Francesco ha voluto ribadire il valore ecclesiale della morte di Susanna, e chiedere perdono ai genitori e alla sorella a nome della comunità parrocchiale, del suo presbiterio guidato da Don Claudio Falcioni e del suo Vescovo ausiliare Palmieri, che nel frattempo era stato trasferito ad Ascoli Piceno, meno di due mesi dopo un pesante e documentato atto di accusa nei suoi confronti che la famiglia di Susanna aveva consegnato al Cardinal Vicario.

Quella che segue è la trascrizione delle parole pronunciate dal Cardinal De Donatis, Vicario del Vescovo di Roma Francesco, la sera dello scorso 27 febbraio nella parrocchia di San Policarpo in Roma.

II Cardinal Vicario Don Angelo De Donatis
alla Comunità di San Policarpo
dopo il cammino di riconciliazione
con la famiglia di Susanna Rufi

Siamo qui oggi per celebrare San Policarpo, ma anche per riprendere un discorso bruscamente interrotto lo scorso 1° agosto. Ricorderete, voi membri di questa Comunità, quell’invito del parroco: «Carissimi, vi informo che domenica prossima 1° agosto, 5° anniversario della nascita al cielo di Susanna, il nostro Vescovo Gianpiero presiederà l’Eucaristia alle ore 11 e 30 e ci guiderà come pastore in una catechesi sulla riconciliazione».

Si riferiva, Don Claudio, al cammino di riconciliazione tra la famiglia di Susanna e la Comunità di San Policarpo, cammino andato avanti per sei mesi tra difficoltà e tensioni qui in parrocchia col presbiterio (Don Claudio, Don Michele e Don Giuseppe) il papà e la sorella di Susanna, Padre Innocenzo Gargano e il Vescovo Palmieri.

Io stesso avevo spinto a fare quel cammino di riconciliazione nella verità, affidandone la guida a Don Gianpiero Palmieri, allora vostro vescovo di settore, dopo che a me si era rivolta la sorella di Susanna, Margherita, non riuscendo lei a trovare ascolto in parrocchia, neanche presso i vecchi amici di Susanna.

Per ragioni che io ho evidentemente ritenuto infondate e che mi hanno molto preoccupato, soprattutto perché veniva violata l’identità umana e spirituale di Susanna, Don Gianpiero decise all’ultimo momento di interrompere il cammino di riconciliazione, lasciando la Comunità in attesa. Si tratta quindi di riannodare questo filo.

Sono qui, quindi, anche perché vorrei che con l’aiuto dello Spirito si risanasse questa ferita. La guarigione può passare solo attraverso una riconciliazione. Sentiremo san Paolo mercoledì [delle ceneri] che accorato ci dice “lasciatevi riconciliare”. È sempre questo l’invito che avviene all’inizio della Quaresima. La riconciliazione non può prescindere dalla verità dei fatti accaduti, che crearono forti contrapposizioni tra la famiglia e la parrocchia già pochi mesi dopo la tragedia del 1° agosto 2016, esattamente cinque anni fa, proprio il giorno della festa di San Policarpo.

Bisogna risalire infatti alla visita qui in parrocchia del Cardinale Gianfranco Ravasi la domenica della festa patronale nel febbraio del 2017. Il cardinale celebrò, ma tornò a casa senza aver saputo che era capitato nella parrocchia da cui era partita l’unica ragazza tra un milione di giovani che non fece ritorno a casa dalla Giornata Mondiale della Gioventù di Cracovia. Nessuno qui in parrocchia gli aveva detto niente. Quando poi lo seppe, espresse tutta la sua amarezza.

Tutti si giustificarono allo stesso modo: dimenticanza. Solo Don Pietro ammise alla fine che fu invece una precisa scelta fatta per un malinteso senso del pudore, per non rischiare cioè di offendere, irritare, quei parrocchiani che avevano perso nel passato figli giovani.

Purtroppo nessuno si assunse le proprie responsabilità, chi continuando a ripetere la versione ufficiale della dimenticanza collettiva, chi sottraendosi ad ogni richiesta di giustificazione. Questo atteggiamento scatenò la reazione della famiglia, in particolare del papà. Iniziò un conflitto aperto che nessuno fino ad oggi ha saputo e voluto disinnescare. Il trasferimento di don Pino acuì le tensioni, che solo in parte il suo successivo reintegro poté allentare. Non mancarono neppure maldicenze, calunnie e lettere anonime ad avvelenare ulteriormente il clima.

La parrocchia di San Policarpo aveva ormai preso una direzione divergente rispetto a quella indicata dalle parole di Papa Francesco e dell’allora cardinal vicario Don Agostino Vallini. La parrocchia, cioè, non ha saputo riconoscere il valore ecclesiale di quanto avvenuto cinque anni e mezzo fa.

Non ci si lasciò aiutare nemmeno dal testamento umano e spirituale di Susanna, il suo Alleluja, che tutta la stampa cattolica aveva salutato con entusiasmo insieme al presidente dei vescovi italiani, il Cardinale Don Gualtiero Bassetti e al monaco camaldolese padre Innocenzo Gargano. A tre anni e tre mesi dall’uscita del libro, qui in parrocchia si è ancora in attesa di un piccolo evento dedicato all’Alleluja di Susanna. Io ricordo di aver proposto di farlo in Seminario, ma la cosa cadde nel vuoto.

E dire che nel frattempo l’Arcidiocesi di Milano ne aveva fatto perfino una versione a fumetti per i bambini. Diverse copie di quel giornalino, Fiaccolina, furono consegnate anche qui in parrocchia, ma purtroppo rimaste da qualche parte, dimenticate.

Il cammino è fallito anche perché una vera riconciliazione non può essere basata solo sulle scuse e sul perdono, ma anche sul pentimento, sulla consapevolezza degli errori commessi e del dolore causato. Spettava e a maggior ragione spetta ancora accogliere questa dimensione di riconciliazione nella comunità.

Non sarebbe tuttavia giusto dire che quei lunghi mesi di cammino non siano serviti a niente, perché si è comunque potuto stabilire la verità dei fatti e ricostruire le dinamiche che da cinque anni a questa parte hanno portato a isolare la famiglia di Susanna opponendole un muro di silenzio. Un silenzio di cui è diventato sempre più difficile distinguere le varie componenti. La situazione ha continuato a peggiorare perché si sa che se non si interviene per tempo la matassa si ingarbuglia sempre di più.

Alcune verità emerse nel corso del Cammino sono state molto dolorose per noi tutti, a cominciare dalla famiglia. In particolare aver constatato che una parte, seppure minoritaria, della Comunità era ed è contraria alla lapide scoperta in chiesa, considerata un privilegio. È emerso col sondaggio promosso dal parroco Don Claudio lo scorso aprile.

Considerare privilegio quella lapide è sintomo di un grave equivoco, che purtroppo è stato alimentato in questi anni qui in parrocchia da scelte e comportamenti che hanno creato scandalo e disorientamento. I risentimenti per un’attenzione speciale della Chiesa verso testimonianze come quella di Susanna evidenziano un vero e proprio deragliamento in un’ottica cristiana, a maggior ragione se alimentati da gelosia o invidia.

Sia chiaro: la morte di Susanna pesa quanto quella di qualsiasi altro giovane di cui si sono celebrati i funerali in questa chiesa. Ma per il contesto in cui lei se ne è andata e per l’impegno parrocchiale da lei profuso, la sua morte ha per la Chiesa un valore peculiare, perché è una testimonianza di fede preziosa per altri giovani e non solo, anche perché è una fede ricca di interrogativi, di dubbi, e allo stesso tempo solidamente ancorata al primato della misericordia.

A farsi carico cinque anni fa delle scuse col Cardinal Ravasi a nome di questa Comunità fu proprio Enrico, il papà di Susanna. Oggi sono io che voglio con tutto il cuore chiedere scusa e perdono alla famiglia di Susanna a nome di questa stessa Comunità, del suo presbiterio e del Vescovo Palmieri, adesso vescovo ad Ascoli Piceno. Sono pieno di desiderio che ci sia pace […].

Parlando delle malattie spirituali della Chiesa, Papa Francesco tiene a distinguere tranquillità da armonia. Dice che una comunità cristiana tranquilla è malata, perché è disposta a sacrificare tutto al quieto vivere. Coltivare tranquillità può creare situazioni di malattia. L’armonia invece è tutt’altra cosa, è un valore che si conquista con l’ascolto, col dialogo, col confronto costante, con la preghiera, con la tensione verso l’altro, tanto più se sofferente.

Questa è quindi un’occasione di conversione. […] Mi sono messo in preghiera e ho chiesto anche a Susanna di aiutarci. […]. Insieme a quanto ho detto stasera alla Messa nella mia riflessione su San Policarpo, lascio a voi tutti questo mio augurio di comunione per la Quaresima.

Don Angelo De Donatis
Cardinal Vicario di Papa Francesco
Questo 27 febbraio 2022 in San Policarpo

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