La statua della Spigolatrice di Sapri nella bufera e la vera storia di Carlo Pisacane

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La Spigolatrice di Sapri, la poesia scritta da Luigi Mercantini, ispirata alla fallita spedizione di Sapri dei 300 di Carlo Pisacane, ha ispirato l’opera al centro di una polemica sui social. L’opera fu commissionata per commemorare uno degli aneddoti più conosciuti del Risorgimento italiano, in cui la protagonista è una spigolatrice di grano, cioè una popolana che si occupava della raccolta delle spighe di grano successivamente alla mietitura.

«La statua appena inaugurata a #Sapri e dedicata alla #Spigolatrice è un’offesa alle donne e alla storia che dovrebbe celebrare. Ma come possono perfino le istituzioni accettare la rappresentazione della donna come corpo sessualizzato? Il maschilismo è uno dei mali dell’Italia» (laura boldrini @lauraboldrini – Twitter, 26 settembre 2021).

«A #Sapri uno schiaffo alla storia e alle donne che ancora sono solo corpi sessualizzati Questa statua della Spigolatrice nulla dice dell’autodeterminazione di colei che scelse di non andare a lavoro per schierarsi contro l’oppressore borbonico. Sia rimossa! @DonnePd @pdsicilia» (Monica Cirinnà @MonicaCirinna – Twitter, 26 settembre 2021).

Innanzitutto, sui social è stata osservata la differenza tra le due foto mostrate rispettivamente dalla Boldrini (con Giuseppi Conte, ben in mostra, ad osservare il lato B della spigolatrice) e dalla Cirinnà (che ha fatto sparire il leader pentastellato dalla scena).

Palesemente, la Cirinnà e la Boldrini ignorano che le culture maschiliste sono quelle che costringono la donna a coprirsi da cima a fondo con la burqa (e quando sono in visita da noi, ci obbligano a coprire le statue di nudo nei musei) e che vedono il male nella nudità, la quale invece da sempre è arte e bellezza e armonia. Non ci scandalizza un lato B scolpito, ma la testa vuota di chi per questo si scandalizza. E, a parte di questa ovvietà, dimostra soprattutto di essere ignorante in materia di geografia e storia, per fermarsi a queste due materie; persone che si atteggiano a classe dirigente, che invece di occuparsi delle cose serie che attanagliano gli Italiani con le loro futilità rendono palese di avere meno competenza di un etto di sabbia della spiaggia di Sapri. Iniziamo con la geografia, brevemente, per poi entrare nella più importante materia della storia. @pdsicilia… Ma Sapri, egregia Cirinnà, da quando sta in Sicilia? Sapri, comune della provincia di Salerno, quindi in Campania… Poi, la storia. “Oppressore borbonico” a Sapri? Mentre il vero oppressori del Sud furono i Piemontesi. No, vabbè! Vedremo poi.

La Spigolatrice di Sapri, statua nella bufera: “È un’opera sessista”. Lo scultore: “L’avrei fatta nuda”

La foto che ritrae l’opera è andata subito virale online e duramente condannata da movimenti femministi e da alcune esponenti politiche, come Laura Boldrini e Monica Cirinnà. Ma la polemica sulla statua merita davvero una scrupolosa critica da parte di questi personaggi? In realtà, col femminismo la statua non c’entra niente. Comunque, come ormai siamo abituati, sui social gli haters si sono scatenati e l’autore è stato subissato dalle critiche per le forme femminili considerate troppo erotiche. Però, il giovane scultore cilentano si difende e non la manda a dire: “In tutte le mie sculture rappresento uomini e donne con pochi vestiti addosso”.

I trecento di Pisacane sono morti nel 1857 infilzati dai forconi dei cilentani, prima ancora di essere massacrati dall’esercito borbonico, ma la spigolatrice, emblema di quella sciagurata “epopea”, in questi giorni ha scatenato un putiferio a metà tra il politico e l’avanspettacolo. La statua della spigolatrice, installata sul lungomare di Sapri e inaugurata lo scorso sabato alla presenza del Leader del Movimento 5 Stelle e Presidente del Consiglio dei Ministri di infausta memoria, l’Avvocato del Popolo Giuseppi, è opera dello scultore Emanuele Stifano di Moio della Civitella in Provincia di Salerno. Secondo i democratici censori liberal del terzo millennio è colpevole di aver rappresentato l’eroina campana come una Venere di Delacroix. Secondo loro l’artista avrebbe dovuto ritrarla come la Libertà che guida il Popolo e invece ha messo in mostra il suo lato B.

A queste critiche Stifano risponde: «Sono allibito e sconfortato da quanto sto leggendo. Mi sono state rivolte accuse di ogni genere che nulla hanno a che vedere con la mia persona e la mia storia. Quando realizzo una scultura tendo sempre a coprire il meno possibile il corpo umano, a prescindere dal sesso. Nel caso della Spigolatrice, poiché andava posizionata sul lungomare, ho “approfittato” della brezza marina che la investe per dare movimento alla lunga gonna, e mettere così in evidenza il corpo. Questo per sottolineare una anatomia che non doveva essere un’istantanea fedele di una contadina dell’800, bensì rappresentare un ideale di donna, evocarne la fierezza, il risveglio di una coscienza, il tutto in un attimo di grande pathos. Aggiungo che il bozzetto preparatorio è stato visionato e approvato dalla committenza. A chi non mi conosce personalmente dico che metto in discussione continuamente il mio operato, lavorando con umiltà e provando sempre a migliorarmi, lungi da me accostarmi ai grandi Maestri del passato che rappresentano un faro che mi guida e mi ispira. Se fosse stato per me avrei fatto una figura completamente nuda, lo stesso vale a dire per il Palinuro di qualche anno fa e per le statue che farò in futuro, a prescindere dal sesso, semplicemente perché sono amante del corpo umano in generale e mi piace lavorarci. Penso comunque sia inutile dare spiegazioni a chi vuole assolutamente vederci depravazioni o cose varie”.

Nel difendere l’opera, il Sindaco di Sapri, Antonio Gentile, ha affermato che la sessualità era “negli occhi di chi guarda”. “Penso che le statue siano state demolite solo nei paesi in cui la democrazia è stata sospesa”, ha detto, respingendo la possibilità di rimuovere la scultura.

Spiegazioni che, come era prevedibile – e messo in conto dall’artista – non zittiscono le contestazioni dei censori della sinistra radical chic, che pretendono che l’opera sia distrutta: «È un’offesa alle donne e alla storia che dovrebbe celebrare», ha affidato a Twitter il deputato Pd, Laura Boldrini, ex Presidente della Camera. «Ma come possono perfino le istituzioni accettare la rappresentazione della donna come corpo sessualizzato? Il maschilismo è uno dei mali dell’Italia», le ha fatto eco la collega di partito Monica Cirinnà: «Questa statua della Spigolatrice nulla dice dell’autodeterminazione di colei che scelse di non andare al lavoro per schierarsi contro l’oppressore borbonico. Sia rimossa!». La “cancel culture” è uno dei problemi di questi tempi. Troppe sono le statue e le opere d’arte che sono state vittime di questa politica di proibizionismo intellettuale del politicamente corretto e del pensiero unico purché di sinistra. Ci auguriamo che non sarà il caso anche della Spigolatrice di Sapri.

Anche a destra c’è chi non vuol essere di meno. L’ex Senatore Manuela Repetti, compagna di Sandro Bondi, ex di Forza Italia, oggi con Insieme per l’Italia: “Quella donna voluttuosa con il sedere tondo e perfetto, che mette bene in mostra con lascivia, non può rappresentare la lavoratrice dei campi in un contesto di valore storico ben preciso. Sì, l’arte è arte, ma c’è sempre un contesto appropriato da rispettare, soprattutto se è un’amministrazione pubblica a patrocinarla”. E viva l’arte del socialismo reale della gloriosa URSS.

Mentre il Giuseppi, che ha presenziato all’inaugurazione, sembra di aver perso la parola, probabilmente folgorato della visione davanti ai suoi occhi, invece il Senatore M5S Francesco Castiello, Presidente della Fondazione Grande Lucania che ha contribuito a finanziare l’opera, ha dichiarato: «Ad arrecare grave turbamento a Repetto sembra siano stati l’abbigliamento leggero e le forme pronunciate. Alla ex senatrice sfugge quali siano le fattezze fisiche delle donne meridionali. Così come certamente sfugge la data dello sbarco di Pisacane. Del resto a distanza di 164 anni dall’evento la memoria si indebolisce ed è facile scambiare il 28 giugno, data dell’approdo a Sapri, con il 28 gennaio, in pieno inverno, quando si rendeva necessario un pesante cappotto per difendersi dalle avversità atmosferiche».

«La Spigolatrice di Sapri: femminismo è orgoglio di essere donna, culo compreso», titola Next e Mario Piazza scrive: «La levata di scudi di Laura Boldrini, Monica Cirinnà e altri sembra più ispirata dalla sessuofobia che dal femminismo. Una polemica speciosa tutta intesa a negare la centralità del sedere femminile nell’arte a partire dalla Venere Callipigia, meravigliosa opera di uno sconosciuto del primo secolo dopo Cristo. Il femminismo è altro, il femminismo parte dall’orgoglio di essere donna, culo compreso».

Così, oggi Sapri ha due statue raffiguranti la sua spigolatrice: quella della polemica sul lungomare Italia inaugurata il 25 settembre 2021 e l’altra, posizionata sullo scoglio dello Scialandro nel giugno del 1994, ad opera dello scultore di Battipaglia Gennaro Ricco.

L’uccisione di Carlo Pisacane.

La vera storia di Carlo Pisacane

Considerata una delle migliori testimonianze della poesia patriottica dell’epoca, “La Spigolatrice di Sapri” è ispirata alla fallita spedizione di Carlo Pisacane nel 1857, che aveva lo scopo di innescare una rivoluzione antiborbonica nel Regno delle Due Sicilie. Si tratta, insieme all’Inno di Garibaldi, di uno dei componimenti a cui la fama di Luigi Mercantini, come cantore del Risorgimento, è indissolubilmente legata. Mercantini parte dall’osservazione di una lavoratrice dei campi, addetta alla spigolatura del grano, che si trova a vedere lo sbarco dei 300 di Pisacana a Sapri:

«Eran trecento, eran giovani e forti,
e sono morti!
Me ne andava al mattino a spigolare
quando ho visto una barca in mezzo al mare:
era una barca che andava a vapore,
e alzava una bandiera tricolore.
All’isola di Ponza si è fermata,
è stata un poco e poi si è ritornata;
s’è ritornata ed è venuta a terra;
sceser con l’armi, e a noi non fecer guerra.
Eran trecento, eran giovani e forti,
e sono morti!
Sceser con l’armi e a noi non fecer guerra,
ma s’inchinaron per baciar la terra.
Ad uno ad uno li guardai nel viso:
tutti aveano una lagrima e un sorriso.
Li disser ladri usciti dalle tane,
ma non portaron via nemmeno un pane;
e li sentii mandare un solo grido:
“Siam venuti a morir pel nostro lido”.
Eran trecento, eran giovani e forti,
e sono morti!
Con gli occhi azzurri e coi capelli d’oro
un giovin camminava innanzi a loro.
Mi feci ardita, e, presol per la mano,
gli chiesi: “Dove vai, bel capitano?”
Guardommi, e mi rispose: “O mia sorella,
Vado a morir per la mia patria bella”.
Io mi sentii tremare tutto il core,
né potei dirgli: “V’aiuti il Signore!”
Eran trecento, eran giovani e forti,
e sono morti!
Quel giorno mi scordai di spigolare,
e dietro a loro mi misi ad andare:
due volte si scontrâr con li gendarmi,
e l’una e l’altra li spogliâr dell’armi:
ma quando fûr della Certosa ai muri,
s’udirono a suonar trombe e tamburi;
e tra ’l fumo e gli spari e le scintille
piombaron loro addosso più di mille.
Eran trecento, eran giovani e forti,
e sono morti!
Eran trecento e non voller fuggire,
parean tre mila e vollero morire;
ma vollero morir col ferro in mano,
e avanti a loro correa sangue il piano:
fin che pugnar vid’io per lor pregai,
ma a un tratto venni men, né più guardai:
io non vedea più fra mezzo a loro
quegli occhi azzurri e quei capelli d’oro.
Eran trecento, eran giovani e forti,
e sono morti!».

L’allora Esercito Borbonico era una super potenza, ma non era preparata ad attacchi sul suo territorio, per via del fatto che il popolo del Regno delle Due Sicilie era pacifica e totalmente estraneo ad invadere e sottomettere altri popoli. Il misero Carlo Pisacane approfittò di questa cosa e liberando i feroci galeotti dell’isola di Ponza, promise loro la libertà. Ma da lì a poco avrebbero saputo la reale intenzione di questo disperato, che già sapeva che fine avrebbero fatto. Garibaldi fece tesoro di questo “tentativo di risurrezione” ed escogitò un altro piano, con altrettanto 300…

Ponza dell’800.

Pisacane a Ponza, uccise senza pietà
Una triste storia da non dimenticare
di Cap. Alessandro Romano
Bringantaggio.net, 4 luglio 2010


Coloro che alimentano la retorica risorgimentale, si concentrano esclusivamente sulle date degli avvenimenti che anno per anno si avvicendano in un accavallarsi di eventi e di iniziative poco partecipate, poco capite, ma estremamente remunerative per organizzatori ed organizzati.

È proprio di questi mesi il gran da farsi per celebrare, commemorare, ricordare, esaltare improbabili eroi impegnati in partenze, sbarchi, vessilli al vento, canti, balli e colori di una storia tutta da riscrivere. Nuovi eventi che lasciano alle spalle eventi ormai abbondantemente “sfruttati”.

Come si ricorderà nel 2007 fu celebrato in pompa magna il “mitico” disertore e traditore tradito nonché disperato Carlo Pisacane. Anche in quell’occasione numerosi e costosi furono gli eventi organizzati, tutti rigorosamente di parte, dove la voce di chi dissentiva, nonostante brandisse documenti e prove inoppugnabili, venne sistematicamente ignorata e soffocata dai soliti giornalisti “ciucci e venduti”.

Ora che il 2007 è ben lontano, senza tregua e ne date continuiamo a ricordare, ad impegnarci nella ricerca e nella diffusione della verità commemorando i veri eroi che caddero in difesa della vera Patria e del Popolo.

Infatti a Ponza, dove le conseguenze di una rivolta senza senso innescata in modo criminale, aprendo le galere dei peggiori delinquenti ed assassini, nonostante il vento della retorica sia già transitato, proprio in questi giorni si sono ricordati nuovamente quegli eventi luttuosi, scoprendo un lapide che ricorda uno di quei giovani eroi, Cesare Balsamo che per aver osato contrapporsi con coraggio e sprezzo del pericolo a quell’accozzaglia di sanguinari delinquenti guidata da Carlo Pisacane, fu trucidato senza pietà.

Dopo tre anni di continue pressioni, con l’intervento supremo di chi ha deciso che è ora di porre termine alla stagione delle menzogne, a Ponza finalmente è stata resa giustizia e soddisfatta la verità.

Un plauso all’assessore del Comune di Ponza Mario Aversano che ha concesso l’installazione della lapide commemorativa, ma soprattutto un sentito grazie ai compatrioti e colleghi del Movimento che sono stati i testardi promotori ed i generosi sovvenzionatori dell’iniziativa: gli amici fraterni Franco Schiano ed Armando Raponi.
Inoltre un sentito grazie anche agli amici e compatrioti di sempre Alfredo Scotti e Alessandro Bonifacio che hanno dato la propria autorevole disponibilità alla riuscita della non facile impresa.

Adesso anche un eroe borbonico ha un nome ed una tomba di tutto onore presso la quale deporre un fiore.

La collocazione della lapide in ricordo dell’eroe borbonico Cesare Balsamo, caduto nell’adempimento del proprio dovere in difesa dei civili minacciati dagli assassini guidati da Carlo Pisacane Da sinistra: Armando Raponi, Francesco Schiano, Alfredo Scotti, Cap. Alessandro Romano.

All’Isola di Ponza si è fermata
La vera storia di Carlo Pisacane che i libri di scuola non hanno mai voluto raccontare
di Cap. Alessandro Romano
Bringantaggio.net, 4 luglio 2021


Conosciamo tutti la storia di Carlo Pisacane che, partito da Genova con 26 uomini, raggiunse prima la colonia penale di Ponza per imbarcare 323 galeotti e, quindi, proseguire per Sapri dove, scontratosi più volte con la popolazione, fallì nel suo intento di innescare la rivoluzione nel sud Italia.

Altrettanto conosciamo la famosa “Spigolatrice di Sapri”, patetica poesia di Luigi Mercantini che, insieme alla storiografia ufficiale, contribuì ad infondere alla piratesca impresa un alone di misticismo teso a sfruttare, per fini risorgimentali liberal-monarchici, tra l’altro ben lontani dalle teorie politiche del Pisacane, il fallimento della spedizione.

Al di là delle controversie ideologiche che sono tuttora oggetto di accesi dibattiti, appare invece interessante soffermarsi su un aspetto trascurato ma sicuramente importante dell’intera impresa: lo sbarco a Ponza.

Negli stessi versi del Mercantini troviamo che la nave a vapore “all’isola di Ponza si è fermata, è stata un poco poi è ritornata”. Cosa esattamente accadde nell’Isola in quel “poco” né il poeta né la storiografia ufficiale lo dicono.

Invece un’analisi dei fatti isolani risulta fondamentale per comprendere i veri motivi del fallimento politico e “militare” della “storica spedizione” e le reali cause della reazione violenta delle popolazioni meridionali contro chi andava “… a morir per la Patria bella”.

Il 27 giugno del 1857 a Ponza vi era una gran calura, il mare era calmo e nel cielo splendeva un sole estivo senza precedenti. Alle ore 15 tutta l’isola era impegnata nella quotidiana siesta: i Ponzesi, i detenuti del bagno penale, i militari addetti alla loro sorveglianza, i relegati in semilibertà: tutti dormivano.

Nella rada del porto, di fronte alla batteria “Lanternino”, apparve ed accostò lentamente una enorme e bella nave a vapore dal nome in oro: “Cagliari”. Non issava la bandiera tricolore, come dice il Mercantini, bensì la “bandiera rossa” di avaria alle macchine. Stancamente dal porto mosse una lancia che accostò all’inconsueta nave per parlamentare ed offrire assistenza secondo le regole marinare. Quella dell’avaria fu solo uno stratagemma per prendere degli ostaggi. E funzionò. Il Pisacane, accompagnato dai compagni armati di fucili e pistole, sbarcò con la stessa lancia aggredendo la guarnigione portuale ed intimando la resa, pena la morte degli ostaggi trattenuti sulla nave. Nonostante le minacce, alcuni militari del presidio reagirono prima di arrendersi generando un vivace conflitto a fuoco che causò morti e feriti. Gli echi dello scontro ruppero il silenzio pomeridiano e la gente, destata di soprassalto, raggiunse incuriosita le finestre, i balconi ed i tetti per osservare cosa stesse accadendo al porto. Il gran trambusto, gli spari, il fermento di uomini, divise e bandiere mai viste prima di allora fecero emergere nella mente dei Ponzesi un ricordo antico e tremendo: i pirati. Terrorizzati, cominciò un fuggi fuggi generale in un crescente panico che, in breve, fece perdere la calma anche a chi non sapeva cosa stesse esattamente accadendo. Isolani, militari e relegati in regime di semilibertà scappavano per ogni dove a cercare un nascondiglio sicuro. Mentre il Pisacane raggiungeva il quartier generale presso la Torre di Ponza, ponendolo in assedio ed intimandone la resa, i suoi compagni, Giovanni Battista Falcone e Giovanni Nicotera, issarono una bandiera rossa nella piazza principale e quindi, a gran voce, cominciarono a dar spiegazioni di quanto stava accadendo. Ripresosi dallo spavento si affacciarono timidamente dapprima i relegati in semilibertà e quindi i residenti che, comunque diffidenti, si mantennero a distanza di sicurezza.

Ma quelle teorie politiche così lontane dalla realtà del popolo non attecchirono anzi causarono sgomento e maggior timore. Addirittura reazione quando il Falcone, con dire sicuro e sprezzante, inveì contro la religione, il re e le terre demaniali. I Ponzesi solo sette giorni prima avevano celebrato solennemente il Santo Patrono Silverio e le parole dissacranti del Falcone non piacquero affatto. Inoltre a Ponza, così come in tutte le regioni del sud, i contadini coltivavano le terre demaniali quali usi civici loro assegnati gratuitamente come beni provenienti dallo smantellamento graduale degli antichi feudi. Essi sfruttavano terreni dello stato in “enfiteusi perenne” tuttavia senza divenirne mai veri proprietari. Una specie di “sistema comunista” ante litteram. Sconvolgere quel delicato equilibrio, che comunque assicurava la vita, la pace e la giustizia sociale, spaventò i Ponzesi ancor più dei pirati tanto che, alla chetichella, lasciarono il luogo della riunione per vedere il da farsi. Intanto i rivoluzionari infervorati dai loro stessi discorsi parlavano di repubblica e di fantomatiche rivolte a Napoli, Roma, Genova, Livorno e Reggio Calabria ed alcuni militi della “compagnia disciplina” relegati a Ponza sembravano dar credito a quelle parole. Ma ciò non bastava a Pisacane: egli aveva bisogno di far scattare sul serio la scintilla della rivolta generale, non limitarsi a fare un comizio in quella semideserta ed ambigua piazza isolana. Avrebbe voluto cominciare proprio da Ponza la sua rivoluzione coinvolgendo la popolazione di quella sperduta isola, estremo confine dello Stato Napoletano, per poi sbarcare lungo le coste e propagare i moti. Pisacane ben presto si rese conto però che nonostante i suoi incitamenti proprio la popolazione non c’era. Ignorando i veri motivi di quella defezione, pensò di riuscire a coinvolgere tutti con l’azione e l’esempio innescando lui stesso la scintilla della rivolta. Per rendere la cosa più coinvolgente la scintilla la fece partire proprio da dove si governava la popolazione: gli uffici del Comune. Qui Giovanni Nicotera, futuro Ministro dell’Interno dello Stato Unitario, dopo essersi impossessato della cassa del Comune appiccò il fuoco agli archivi ed all’antica biblioteca dei monaci Cistercensi quindi, guidato dai relegati in semilibertà, fece il resto assaltando il dazio ed il giudicato (la pretura). Ma, com’era prevedibile, fu peggio: i Ponzesi presi da maggior sgomento si rinchiusero a doppia mandata nelle case e nelle caverne poste sulla sommità del Monte Guardia.

Il Pisacane, innervosito, deluso e disperato dall’atteggiamento di quella “strana popolazione a cui non andava di rivoltarsi contro il tiranno”, aprì i cancelli del bagno penale della “Parata” che allora accoglieva circa 1800 delinquenti comuni.

Una minacciosa turpe di individui invase vicoli e strade come un torrente in piena. I loro zoccoli crepitavano sul lastricato ed il brusio iniziale diventò man mano un vociare sguaiato e terrificante. Anni di lavori forzati, rabbia repressa mista ai più profondi e bestiali istinti avevano trasformato quegli uomini in belve dai lineamenti vagamente umani.

Il paese fu messo a ferro e a fuoco da quei forsennati: gli spari, le violenze, le urla, i lamenti echeggiarono per molte ore. Il fumo soffocante degli incendi propagatisi fino ai vigneti ed agli uliveti delle colline, contribuì a rendere ancora più tremendamente infernale quella notte di anarchia.

Il Pisacane, per inibire ogni reazione contro la sua operazione, si era preoccupato sin dallo sbarco di prendere in ostaggio il comandante della guarnigione Magg. Antonio Astorino ed i suoi ufficiali ma non pensò al prete: Don Giuseppe Vitiello. Questi, di fattezze minute ma di una furbizia ed un temperamento fuori da ogni immaginazione, comprese immediatamente la natura e gli intenti di quegli uomini. Già dallo sbarco, senza perdere tempo e, soprattutto, senza perdersi d’animo, si era dato da fare per creare una vera e propria linea difensiva a metà isola, raggruppando gendarmi e civili, impedendo così che il Pisacane ed i detenuti del bagno penale ormai liberi dilagassero su tutto il territorio isolano causando ben maggiori danni. Grazie alla prontezza del parroco, figura emblematica e vero eroe ponzese dimenticato, parte della popolazione poté mettersi in salvo raggiungendo anche a nuoto la zona nord dell’isola. Don Giuseppe, inoltre, ordinò un’incursione notturna per l’affondamento silenzioso delle imbarcazioni risparmiate dai rivoltosi ancora galleggianti ed all’ancora nel porto, per evitare fughe di massa ed, infine, organizzò un equipaggio che, con una lancia forte di 8 remi comandata da Ignazio Vitiello, partì alla volta di Gaeta per dare l’allarme e chiedere aiuto.

Fallita la rivolta popolare, il Pisacane si preoccupò di reclutare tra i relegati stessi quanta più gente possibile per lo scopo primario della sua missione: lo sbarco a Sapri. Ma anche questa volta la sua delusione fu tanta. Oltre alla diserzione dei ponzesi, di quelle migliaia di detenuti solo pochi si fecero avanti e nei volti di quei pochi si leggeva l’unico e vero obiettivo: raggiungere il continente per darsela a gambe. La maggior parte dei forzati che accettarono di seguire la spedizione erano di Sapri e dintorni, essi si erano macchiati di crimini e violenze di ogni genere e pertanto condannati ad espiare la loro pena ai lavori forzati nel bagno penale di Ponza. Gli altri preferirono restare ed accontentarsi di quella inaspettata ed insolita festa. Infatti, molti relegati dopo aver abusato di vino, cibo, canti, balli e violenze si disseminarono lungo spiagge, grotte e campi per abbandonarsi in un profondo sonno. Molti altri, alle prime luci dell’alba, rientrarono prudentemente nel bagno penale. Fatto giorno lo spettacolo era raccapricciante, ma Don Giuseppe, come al solito, non si perse d’animo. Assicuratosi che il Pisacane fosse effettivamente ripartito, fece liberare il comandante della guarnigione, gli ufficiali, i graduati ed il resto della gendarmeria che immediatamente si diede a riacciuffare qua e la i relegati ormai fiaccati dai bagordi notturni. Si spensero gli incendi, si recuperarono le masserizie e le suppellettili, si risistemò alla meglio la chiesa, si recuperarono gli animali, si ritirarono su le imbarcazioni, si aprì l’infermeria ai feriti, si ripulirono le strade e le piazze, fu issata la bandiera sulla Torre. Nel frattempo arrivò una nave da guerra che sbarcò alcune centinaia di militari con il compito di completare la bonifica ed arrestare i più ostinati ancora barricati e nascosti nelle campagne e negli anfratti.

Intanto il Pisacane ed i suoi trecento sbarcavano a Sapri, ma qui la popolazione non stava facendo la siesta come a Ponza, anzi fu molto arguta a riconoscere tra quegli “eroi” gli artefici di abominevoli delitti e non esitò ad imbracciare forconi e schioppi e, come il Mercantini recita: “Eran trecento erano giovani e forti e sono morti”.

Fu una vera e propria carneficina, il preludio dell’enorme tragedia che dopo qualche anno investì il meridione d’Italia, preda della sanguinosa e devastante conquista militare del Piemonte, che vide la disperata reazione armata dei contadini del Sud che poi “scrittori salariati tentarono di infamare con nome di briganti” (Gramsci).

Uccisione di Carlo Pisacane.

La verità sulla Spigolatrice di Sapri
Eran 300, eran delinquenti e sono morti
Il Brigante, 3 dicembre 2014


Conosciamo tutti la storia di Carlo Pisacane che, partito da Genova con 26 uomini, raggiunse prima la colonia penale di Ponza per imbarcare 323 galeotti e, quindi, proseguire per Sapri dove, scontratosi più volte con la popolazione, fallì nel suo intento di innescare la rivoluzione nel sud Italia.

Altrettanto conosciamo la famosa “Spigolatrice di Sapri”, patetica poesia di Luigi Mercantini che, insieme alla storiografia ufficiale, contribuì ad infondere alla piratesca impresa un alone di misticismo teso a sfruttare, per fini risorgimentali liberal-monarchici, tra l’altro ben lontani dalle teorie politiche del Pisacane, il fallimento della spedizione.

“Eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti!”. È il celeberrimo ritornello di quella che, probabilmente, è una delle più conosciute poesie risorgimentali, La spigolatrice di Sapri, composta da Luigi Mercantini in memoria dell’impresa tentata da Carlo Pisacane nel 1857.

Si chiamava Rosa Ferretti la spigolatrice di Sapri. Fu ammazzata dalla banda criminale di Carlo Pisacane, ossia ergastolani condannati per crimini comuni. Erano 450 assassini e ammazzarono molti contadini mentre spigolavano il grano, tra i quali Rosa Ferretti. Mercantini fece la sua fortuna con quella poesia, infangando la storia.

La fortuna dell’opera – giudizio che peraltro si può estendere all’intera produzione di Mercantini – non riposa certo nella sua alta qualità lirica, ma nella capacità dell’autore di suscitare passioni patriottiche e di celebrare l’eroismo dei martiri della causa nazionale.

Mercantini, che annoverò tra i suoi estimatori personaggi del calibro di Giovanni Pascoli, fu anche l’autore di un altro celebre testo del periodo risorgimentale: la Canzone italiana, meglio nota come Inno di Garibaldi, musicata da Alessio Olivieri.

150° anniversario della fine della spedizione di Sapri con la morte del suo capo Carlo Pisacane

Nella zona dello sbarco è stato indetto un megaconvegno di tre giorni con contorno di spettacoli vari per celebrare quell’evento. Il fiume di denaro pubblico elargito dalle istituzioni mostra subito il suo punto dolente nel non essere stato speso in maniera imparziale. Infatti, come al solito, gli argomenti sono quelli stantii del periodo postunitario senza ascoltare anche l’opinione dei vinti del risorgimento, in linea con le più moderne ricerche storiografiche. Un faraonico ma vuoto programma per esaltare il traditore napoletano. I mass media avrebbero il dovere di divulgare la vera essenza di Pisacane oltre che le sue farneticazioni demagogiche, perché i fatti valgono sempre più delle parole.

Ecco chi era Carlo Pisacane: a 21 anni ufficiale borbonico alla Nunziatella; a 25 condannato a Civitella per un adulterio finito nel sangue; a 28 fuggiasco da Napoli come disertore con una donna sposata e i soldi di suo marito; a 29 arruolato nella Legione Straniera per colonizzare gli Algerini; a 31 ingaggiato dalla Repubblica Romana e combattente contro i Napoletani a Velletri; a 39 irretito dal Gran Maestro Mazzini per portare la rivoluzione a Sapri.

Il popolo di allora, di cui si riempiva la bocca, sventò il suo conato rivoluzionario nel Cilento e gli impose una misera fine; il popolo di oggi lo ignora, anche se deve subire sulla propria pelle le conseguenze degli altri come lui: emigrazione, questione meridionale, cancellazione memoria storica…

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