Festa di san Giuliano: mons. Marconi chiede discernimento
Nell’ultimo giorno di agosto Macerata ha celebrato il patrono, san Giuliano ospitaliere, con molta attenzione alle norme anticovid: 211 le persone e gli ambulanti a cui è stato controllato il possesso del green pass e 706 quelle fermate per l’uso della mascherina; mentre è stato elevato un solo verbale per assenza del ‘green pass’ e due sono state le sanzioni per il mancato uso di mascherina e una per detenzione di vetro e lattine.
Non c’è stata la processione nelle vie cittadine per garantire la sicurezza delle misure anticovid 19, ma mons. Nazareno Marconi ha celebrato la messa nel piazzale davanti al duomo, partendo dalla lettera di san Paolo intorno al ‘cuore indolente’:
“La prima tentazione di un cuore ‘indolente’ che secondo la parola di Dio dovremmo evitare, mi sembra quella di pretendere da Dio la soluzione di tutti i nostri problemi. Questa è la visione di una fede ‘di comodo, con Dio e i santi al nostro servizio, chiamati ad affrontare al nostro posto i problemi, rispetto alla genesi dei quali non siamo peraltro del tutto innocenti. Possiamo e magari dobbiamo chiedere la fine di questa pandemia, ma ciò richiede da parte nostra di superare l’indolenza e la mancanza di fede”.
Però la Bibbia narra il contrario dell’indolenza alla ricerca del bene: “La Bibbia invece parla di Alleanza tra Dio e l’umanità, in cui ciascuno dei due fa il bene che può, per raggiungere il benessere, la pace, la salute. La prima cosa da fare è cercare la verità delle cose. Non la verità più comoda per noi, o quella che ci prende alla pancia quando siamo spaventati… Oggi le cose sono cambiate”.
Davanti a queste situazioni il vescovo ha chiesto il bisogno di discernere: “Papa Francesco dice che ogni cristiano deve chiedere a Dio prima di tutto il dono del discernimento: quella sapienza che è dono dello Spirito santo che fa riconoscere la verità anche quando è scomoda, quando è impegnativa, quando ci chiede di fare scelte che costano fatica e rischio personale, ma portano al bene di tutti. Usate più la testa e la coscienza e meno lo stomaco, quando leggete i post su internet o seguite l’ennesimo dibattito urlato in Tv!”
Eppoi ha chiesto competenza per poter sconfiggere le pandemia: “I competenti, che a me sembrano più avveduti, dicono che non avremo la fine veloce di questa pandemia, ma il virus diventerà endemico per un tempo piuttosto lungo.
Cioè sarà presente, avrà dei picchi in varie zone del Paese, alternerà periodi di tregua e riprese locali di virulenza. Quella che ci attende non è una guerra lampo, con armi miracolose che risolvono tutto e subito. Ci attende ancora una guerra di trincea”.
Ed ha chiesto prudenza e solidarietà: “Una guerra dove contano più il controllo dei nervi che la forza dei muscoli. Abbiamo delle armi: dai vaccini a una migliore conoscenza delle cure e della prevenzione. Sappiamo meglio come radunarci, lavorare, studiare senza correre gravi rischi.
In una guerra di trincea la prudenza è più importante del coraggio, ma non deve diventare paura, altrimenti perderemo tutto. Dobbiamo riprendere a vivere, lavorare, studiare, ma in modo nuovo, più cosciente e responsabile verso noi stessi e verso gli altri.
In una guerra di trincea, la solidarietà e la collaborazione a lungo termine sono più importanti dei gesti isolati e dell’eroismo individuale. Non si può restare in una buca attendendo che altri lottino per noi”.
Un pensiero è stato rivolto anche ai profughi afgani arrivati in città: “Se per noi la parola guerra è simbolica, tra di noi stanno giungendo da ieri delle famiglie per cui la guerra è il ricordo vivo di due o tre giorni fa. Da settimane: la Diocesi, il Comune, le Autorità locali civili e militari, la Caritas, la ‘Fondazione Diocesana Vaticano II’ e l’Associazione ‘Centro di ascolto e di prima accoglienza’ stanno lavorando assieme per dare una accoglienza responsabile, competente e di qualità ad alcune famiglie afgane in fuga da Kabul…
Accogliere questi perseguitati mentre si continua ad aiutare i nostri poveri e i nuovi poveri è un dovere umanitario. E’ una testimonianza all’Italia che anche noi Maceratesi sappiamo fare la nostra parte. E, permettete che lo dica, è anche il modo giusto di onorare i 53 civili e militari italiani che, partiti in questi 20 anni per una missione di pace in aiuto al popolo afghano, sono caduti in tenendo fede all’impegno di bene che avevano preso”.
(Foto: diocesi di Macerata)