È Pasqua a Shanghai. Kirill dice Messa nella cattedrale ortodossa, e spera in una resurrezione della sua chiesa in Cina

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Si è conclusa con un Messa nella cattedrale ortodossa di Shanghai la visita del patriarca russo ortodosso Kirill in Cina. E non è un dato di poco conto, per l’ortodossia russa che cerca di essere riconosciuta tra le religioni ufficiali della Cina e che molto ha investito in questo primo, storico viaggio. Una spinta per il riconoscimento ufficiale che sa molto di realpolitik, e che serve al Dipartimento degli Affari Religiosi di Cina di legittimare il suo operato: non solo Kirill, incontrando tutti i membri del governo, ha riconosciuto che gli interlocutori del partito sono ineludibili, ma – in cinque giorni di visita – non ha mai fatto cenno al problema della libertà religiosa in Cina.

La volontà è quella di non urtare la sensibilità degli ufficiali di Stato del Paese del Dragone. In ballo non c’è solo il riconoscimento della Chiesa ortodossa russa in Cina, ma anche i rapporti diplomatici tra la Russia e la Cina, e questi ultimi stanno sicuramente più cari al governo di Pechino, tanto che il nuovo segretario del partito Xi Jinpig, appena eletto, ha subito fatto una visita in Russia per rinsaldare i legami diplomatici tra le due nazioni.

Anche nel mondo ortodosso russo, il viaggio di Kirill è stato considerato più politico diplomatico che di carattere religioso. D’altronde, erano molto indicativi gli appuntamenti in calendario di questi cinque giorni di visita: non solo il faccia a faccia tra il patriarca e il segretario generale del Partito, ma anche un incontro – lo scorso 14 maggio – con Sunem Yunbo, vicepresidente del governo del Popolo nella Provincia di Heilongjang, cui hanno partecipato anche il “ministro degli Esteri” russo ortodosso Hilarion, il vescovo Sergiy Solnechgorosk (numero uno della segreteria amministrativa del Patriarcato di Mosca) e vari altri “ufficiali” di alto livello del Patriarcato di Mosca, ma anche l’ambasciatore russo Denisov e il console generale di Russia a Shenyang Paltov. Da parte cinese, era presente anche un ufficiale dell’Amministrazione di Stato per gli Affari Religiosi della regione i Heilongjang.

In quella provincia c’è Harbin, uno dei posti di maggiore presenza russa prima della Rivoluzione Culturale cinese. E in occasione dell’incontro, il patriarca Kirill ha sottolineato che proprio Harbin ha un posto speciale nel cuore dei russi, perché “nessun altra città in Cina ha mantenuto così tanti monumenti legati alla presenza russa in Cina. Harbin è stato una volta uno dei più grandi centri della Chiesa Russo Ortodossa. C’erano 22 chiese attive, due monasteri e due scuole di teologia”.

Tutto è finito con la rivoluzione culturale. Ma Kirill ha anche ringraziato il governo cinese, sottolineando come “nel 1986 la chiesa del Velo è stata riaperta e concessa ai fedeli cinesi per il culto. Questo era consonante con la nuova politica di apertura iniziata in quel tempo dalle autorità cinesi in queste relazioni con il mondo”.

Parole che rappresentano anche una pre-condizione per la Chiesa ortodossa russa in Cina di essere registrate come associazione religiosa. L’ortodossia non è tra le cinque religioni ufficialmente riconosciute in Cina. Il governo permette ai fedeli ortodossi di riunirsi per la Messa nel consolato della federazione russa a Shanghai e a volte nella chiesa di San Nicola, negli anni Novanta usata come ristorante.

In una intervista all’agenzia Ria Novosti, il patriarca Hilarion ha sottolineato che la Chiesa ortodossa russa in Cina è stata fondata nel 1956 e al  tempo non ha pensato di registrarsi come associazione religiosa. Poi è arrivata la Rivoluzione Culturale a spazzare via tutto, ma dagli anni Ottanta in poi i rapporti sono cambiati. “Abbiamo come obiettivo dei nostri negoziati con il Dipartimento degli Affari Religiosi in Cina di normalizzare lo status della Chiesa Autonoma Russo Ortodossa di Cina, facendola diventare la Chiesa Ortodossa Nazionale di Cina. Questo significa eventualmente la Chiesa si possa registrare come associazione religiosa, e possa così avere i suoi vescovi, il suo clero e le sue chiese”. Ma – ha aggiunto poi Hilarion – la “nomina di un vescovo è tutta via l’ultimo passo, piuttosto che un passaggio intermedio. I primi obiettivi sono quelli di riuscire, nei prossimi anni, a nominare sacerdoti cinesi che si prendano cura delle parrocchie”.

Sarà una soluzione accettata dal governo cinese? Incontrare i rappresentanti del governo e legittimare il loro operato può mettere in serio imbarazzo anche la Chiesa cattolica di Cina, che da anni ha portato avanti un braccio di ferro con il governo perché quest’ultimo riteneva suo diritto nominare i vescovi cinesi. Succederà così anche per la Chiesa ortodossa, se questa dovesse essere riconosciuta?

Per ora questo sembra importare poco alle autorità del patriarcato di Mosca, più ansiose di rinnovare l’amicizia tra i popoli di Russia e Cina e di ottenere per la loro confessione religiosa un riconoscimento che permetterebbe loro di strutturare finalmente una Chiesa nell’immenso territorio missionario che è la Cina. Così ansiose che il Patriarca Kirill, in visita lo scorso 11 maggio alla Grande Muraglia Cinese, ha comparato la costruzione della Muraglia – una delle meraviglie della terra – con lo sviluppo della Siberia portato avanti dalla popolazione russa, definendo entrambi come “una manifestazione della forza e dell’impegno” delle due grandi nazioni.

Per le quali Kirill spera una rinascita nei rapporti. Dicendo la messa nella cattedrale ortodossa di Shanghai il 15 maggio, Kirill ha sottolineato che è “significativo” che la prima funzione religiosa nella chiesa in oltre cinquant’anni “avvenga nel periodo pasquale”. La rinascita di questa chiesa – ha aggiunto Kirill – “è parte della rinascita della Cina e della grande nazione cinese”.

Iniziata nel 1933, la costruzione della cattedrale di Shanghai è terminata nel 1937 e può ospitare circa 2500 persone. Gli immigrati russi la chiamavano con orgoglio “il Cremlino dell’Ortodossia cinese”, ma le funzioni erano state interrotte negli anni della Rivoluzione Culturale, e l’edificio è stato nazionalizzato e convertito in un magazzino.

Ora si spera che la cattedrale venga presto restituita alla comunità ortodossa di Shanghai. Una restituzione che però dovrebbe passare anche attraverso i rapporti diplomatici tra Russia e Cina. Come nel passato, la Chiesa ortodossa, con la sua presenza, si pone come mediatore dello Stato. Il rischio è che, senza una sovranità, la Chiesa ortodossa si pieghi alla ragione di Stato, magari mettendo a volte da parte per realpolitik la questione della libertà religiosa.

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