Papa Francesco incontra Ban Ki Moon. E gli ricorda che l’agenda internazionale della Santa Sede è il bene comune

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Ha parlato del bene comune, che poi è l’agenda internazionale della Santa Sede, Papa Francesco. Ha ricordato il contributo della Chiesa Cattolica in favore della dignità umana integrale, da portare avanti con i mezzi che le sono propri. Ha chiesto di portare avanti una cultura dell’Incontro, un tema che ha tenuto particolarmente fosse inserito nel comunicato ufficiale. Tutto questo – parafrasando il comunicato della Sala Stampa vaticana – ha detto Papa Francesco a Ban Ki Moon, segretario generale dell’ONU, che gli ha fatto visita con moglie e seguito nel Palazzo Apostolico.

Il comunicato ricalca incredibilmente (e quasi parola per parola) quello che fu diramato in occasione della visita di Ban Ki Moon a Benedetto XVI, nel 2007, e vi si legge che l’incontro “vuole esprimere l’apprezzamento che la Santa Sede nutre per il ruolo centrale dell’Organizzazione nella preservazione della pace nel mondo, nella promozione del bene comune dell’umanità e nella difesa dei diritti fondamentali dell’uomo”.

Più che sui principi, nei trenta minuti di incontro (avvenuto alla presenza di un interprete) ci si è soffermati su pratici temi di interesse comune: l’emergenza in Siria, la crisi nella penisola Coreana, i conflitti nel continente africano. E poi, si è “fatto cenno – recita il comunicato – al problema della tratta delle persone, in particolare delle donne, e a quello dei rifugiati e dei migranti”. Anche questo un tema cui Papa Francesco teneva molto.

Questo ha dato a Ban Ki Moon l’opportunità di esporre il programma del suo secondo mandato, appena cominciato: prevenzione dei conflitti, solidarietà internazionale, sviluppo economico equo e sostenibile. E qui Papa Francesco ha ricordato l’agenda internazionale della Santa Sede.

Ban Ki Moon è il settimo segretario generale dell’ONU a fare visita a un Papa in Vaticano. Dai tempi di Giovanni XXIII, sono andati in udienza dal Papa Dag Hammarskjöld, U Thant, Javier Pérez de Cuéllar, Boutros Boutros-Ghali,  Kurt Waldheim, Kofi Annan e Ban-Ki-moon.

Ban Ki Moon aveva avuto un’altra occasione per incontrare Papa Benedetto, quando questi andò a parlare all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 18 aprile 2008.

In quell’occasione, parlando in francese e in inglese il Papa aveva ragionato sui diritti umani e sul principio che sta alla radice dell’esistenza delle Nazioni Unite, “il principio della responsabilità del proteggere”, ma aveva anche sottolineato che l’Onu deve salvaguardare “l’idea di persona”, perché è l’immagine di Dio, mettendo in guardia da un approccio solo pragmatico, da una concezione relativistica che nega ai diritti umani “universalità” e ne limita il valore in base a contesti culturali, politici, sociali o religiosi.

Prima di Benedetto XVI, erano andati a parlare nel Palazzo di Vetro Paolo VI e due volte Giovanni Paolo II. Tutti a difendere i diritti dell’uomo, tutti a promuovere (con i loro documenti, i loro sforzi diplomatici) un organismo internazionale che fosse veramente per l’uomo, come dice la stessa carta delle Nazioni Unite, i cui fondatori hanno voluto nel preambolo dirsi decisi a “riaffermare la fede nei diritti fondamentali dell’uomo, nella dignità e nel valore della persona umana, nella eguaglianza dei diritti degli uomini e delle donne e delle nazioni grandi e piccole”.

Il fatto che venga usata la parola “fede” è indicativo. La fede indica un dato irrinunciabile e incontestabile. L’Onu si base sulla fede sull’uomo. Una fede che tutti i popoli possono condividere, qualunque sia la loro estrazione religiosa.

Sta anche qui il senso della rappresentanza diplomatica della Santa Sede, e l’importanza del lavoro che fa la diplomazia vaticana alle Nazioni Unite, dove è attivissima.

Ban Ki Moon aveva salutato l’elezione di Papa Francesco con un comunicato tempestivo, in cui sottolineava come “le Nazioni Unite e la Santa Sede condividono molti obiettivi comuni: la pace, la giustizia sociale e i diritti umani, l’eliminazione della fame e della povertà”. Il segretario generale concludeva dicendosi “certo che Sua Santità continuerà sulla strada già intrapresa da Benedetto XVI promuovendo il dialogo interreligioso, perché le sfide del mondo di oggi si possono risolvere solo attraverso il dialogo”. Queste parole rappresentano forse proprio quella Cultura dell’Incontro che il Papa ha tanto voluto fosse inserita nel comunicato, e di cui potrebbe parlare nel Palazzo di Vetro, dove Ban Ki Moon lo ha invitato a tenere un discorso all’Assemblea Generale, sulle orme dei predecessori.

Al dialogo interreligioso, Papa Francesco ha fatto un cenno importante durante il suo primo incontro con il corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, mettendo in luce tutti i temi del suo Pontificato: povertà spirituale e materiale, cura del creato, dialogo con i non credenti e dialogo con l’Islam. C’è, però, un altro tema da considerare, ed è quello della riforma delle Nazioni Unite.

A cinquant’anni dalla Pacem in Terris, quando per la prima volta la Santa Sede mise in luce la necessità di un’Autorità Mondiale con competenze universali, il tema è tornato prepotentemente in luce nell’attività diplomatica vaticana. Addirittura, il Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace aveva lanciato un progetto (poi caduto) di invitare lo stesso Ban Ki Moon per il cinquantesimo dell’enciclica di Giovanni XXIII per parlare proprio della possibile riforma delle Nazioni Unite, tra l’altro auspicata e delineata anche nell’enciclica sociale di Benedetto XVI Caritas in Veritate.

E sì che, quando Ban Ki Moon venne in Vaticano il 18 aprile del 2007, il comunicato ricordava come le numerose udienze dei Pontefici con differenti segretari generali dell’ONU sono sempre state un “segno di apprezzamento della Santa Sede per il ruolo centrale svolto dall’Organizzazione nel mantenere la pace nel mondo e promuovere lo sviluppo dei popoli”. Nel comunicato, si leggeva come Ban Ki Moon e Papa Benedetto si fossero “soffermati su temi di comune interesse, come il ripristino della fiducia nel multilateralismo e il rafforzamento del dialogo tra le culture, non mancando pure di accennare a situazioni internazionali che meritano particolare attenzione. Si è evocato inoltre il contributo che la Chiesa Cattolica e la Santa Sede possono dare, a partire dalla loro identità e con i mezzi loro propri, all’azione delle Nazioni Unite per la soluzione dei conflitti in atto e il raggiungimento dell’intesa tra le Nazioni”. Queste ultime, parole quasi completamente riprese nel comunicato diramato oggi.

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